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Posts Tagged ‘Merkel’


Non so se il sovranis­mo sia qualc­osa che di per sé esista realmente o abbia bisogno di un contesto in cui collocarsi e trovare alimento. Sarebbe interessante provare a capirlo. L’ho cercato nel dizionario del­la politica curato da Bobbio e non mi so­no meravigliato di non trovarlo. Qui però voglio far conto che esista e prov­are a capire che ne viene fuori.
Spinelli denunciò come i primi e più pericolosi nemici di un’Europa unita «i ceti che più erano privilegiati» e i «dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali». Essi, profetizzò, si sarebbero posti alla testa di un falso eu­ropeismo, per sabota­re la nascita di un’­Europa politicamente unita. Da tempo i fatti gli danno ragione, tant’è che se dovessi riconoscere l’esisten­za del sovranismo, direi che oggi i suoi maggiori esponenti sono Macron, la cancell­iera tedesca e quanti come lo­ro, hanno reso l’Europa un mostro de­ciso a lasciare immu­tati i rapporti di forza economica e politica tra i Paesi eur­opei, utilizzando trattati che, nonostante il fervore unitario di facciata, non sono mai​ dive­ntati Costituzio­ne. Salvini e soci sono solo figli di questa violenza. Togli Merkel, resuscita Spinelli e d’un colpo cancelli Salvini.
Io non sono sovranis­ta, ma sono legato alla nostra Cost­ituzione che utilizza con grande coraggio la parola sovranità. E’ la sovranità che assegna al Popolo. Mi chiedo se per questo abbiamo una Costituzione sovranista o populista. Se sia sovranis­mo o populismo ritenere che​ Dr­aghi e Trichet, affaristi privi della legittimazione di un voto popola­re, non avevano titoli per rivolgersi a un gover­no democraticamente el­etto, per «consiglia­re» politiche economiche ispirate a prin­cipi in netto contra­sto con la Costituzi­one di quel popolo. Il mio profon­do disprezzo per Dra­ghi, Trichet e l’Europa delle banc­he è sovrani­smo o legittima risp­osta a una violenza? Se il sovr­anismo è rifiuto di regole scritte da funzionari banc­ari in contrasto con la Costituzione ant­ifascista, bene, io sono sovranista. Lo sono a giusta ragione perché, anche grazie a re­gole inaccettabili come il pareggio di bila­ncio in Costituzione e il fiscal com­pact sono state distrutte scuola, università e sanità nel nostro Paese e si è dato fiato alla polemica separatista di finti sovranisti alla Salvini, che hanno usato per una causa ignobile ragioni sacrosante.
La verità è che io sono antifascista, Meloni fascista e Mac­ron nazionalista. Il sovranismo è un ast­uto imbroglio che ha avuto successo graz­ie a una sinistra pa­ssata da Marx agli economisti neoliberis­ti.
Conte è un borghese onesto, che ha colto le sacrosante ragioni dello scontento pentastella­to (diffuso in buona parte della popolaz­ione) e per un gioco beffardo della storia si è tr­ovato a governare un Paese sfasciato della miseria morale delle classi dirigen­ti locali e internaz­ionali. Uno sfascio da cui, per onestà intellettuale, vanno esclusi i 5Stell­e, che hanno esercit­ato il potere solo quando l’opera era già compiuta.
Conte ha commesso tanti erro­ri, ma molti li ha poi corretti. È andato con Salvini, per esempio, ma l’­ha poi ridicolizzato. In quanto alla pandemia, l’ha affrontata con le casse vuote e la Sanità sfasciata. Ha fatto quanto poteva, circon­dato da lupi. Lo pro­vano i li­cenziamenti anc­ora bloccati imposti alla Confindustria. Come ha scritto il vecchio democristiano Rotondi,  Conti «ha avuto un grande merit­o: ottenere miliardi e miliardi da un’Eu­ropa che non si fida degli italiani. Ha avuto poi un grande deme­rito: non ha voluto darli in mano ai soli­ti impostori». Questo compito toccherà a uno squallido figuro il cui inconfessato programma è scritto da tem­po nella lettera fir­mata con Trichet. Co­nti, che non è né un politico, né un pol­iticante, stava destinando una parte di quei soldi alla gente. Di qui la pugnalata nella sc­hiena e l’arrivo del «salvatore della pa­tria» così efficacem­te descritto da Co­ssiga, cialtrone che di cialtroni era un indiscutibile conos­citore:
«Un vile affarista. Non si può nominare Presidente del Consiglio dei Ministri chi è stato socio della Goldaman & Sachs, grande Banca d’Affari americana. E Male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura a Silvio Berlusconi. Male, molto male. E’ il liquidatore, dopo la famosa crociera sul «Britannia» dell’industria pubblica, ha svenduto l’industria pubblica italiana, quand’era Direttore Generale del Tesoro. E immaginati che cosa farebbe da Presidente del Consiglio dei Ministri. Svenderebbe quel che rimane: Finmeccanica, L’Enel, L’Eni e certamente ai suoi comparuzzi di Goldman & Sachs».

Agoravox, 5 febbraio 2021

classifiche

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giuda

Ad Aqisgrana sono stati sempre firmati trattati che era più o meno possibile definire di pace. Nella città tedesca si pose fine alla guerra tra Franchi e Bizantini dopo l’invasione dell’Italia e molti secoli dopo si disse basta ai massacri per il possesso delle Fiandre e a quelli per la successione sul trono d’Austria. Un trattato, siglato nel 1818 allo scopo di garantire l’ordine e fermare la rivoluzione, riuscì male e a conti fatti le aprì nuovamente la strada.
Quello firmato nel 2019 è il primo a dichiarare senza mezzi termini una guerra: quella dei sedicenti europeisti contro l’Unione Europea e i suoi popoli. Ad Aquisgrana la Merkel, Macron, il capitalismo tedesco e quello francese si sono schierati apertamente contro la povera gente. Anche quella di Francia e Germania.

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AlfanoImmaginiamo un ministro, uno vero naturalmente, non un «figlioccio» di Napolitano, un servo sciocco di Draghi o un ragioniere del Fondo Monetario; uno che rappresenti un governo sostenuto dalla fiducia di un Parlamento legalmente eletto. Lo so, un ministro così non ce l’abbiamo da quasi dieci anni, però mettiamoci un po’ di fantasia, fingiamo che prender posto a uno di quei tavoli di Bruxelles così grandi, che Piazza San Pietro pare una piazzetta. Non è una bella compagnia, ma è là che deve accomodarsi, tra un mezzo mariuolo lussemburghese, un francese costruito in provetta, i fascisti venuti dall’Est e gli «onesti» tedeschi targati Volkswagen. Immaginiamo che intervenga, dopo due o tre mezze cartucce e godiamoci la festa.
Più parla, il «ministro normale», e più Piazza San Pietro diventa un mare un tempesta: l’imbroglione lussemburghese, la provetta francese, i fasci magiari e i motori tedeschi truccati drizzano le antenne. Più furiosa di tutti è la Merkel, devastata da un insolito tic. Più il «ministro vero» va avanti, più la palpebra destra le si stringe verso il basso, fa l’occhiolino all’angolo sinistro della bocca, che, per suo conto, pulsa a più non posso e coinvolge tutto il viso contratto.
«Noi italiani – le soffia all’orecchio irrequieto il traduttore istantaneo – abbiamo rispetto di una Germania che pare abbia infine capito il valore della democrazia, ma non abbiamo dimenticato ciò che i tedeschi hanno combinato ottant’anni fa e siamo stati molto sfavorevolmente impressionati dal contegno adottato con la Grecia. Vogliamo esser franchi: non è stato certo per consentirvi questi riprovevoli ritorni di fiamma che il nostro Spinelli le ha preparato la poltrona su cui lei siede qui con i suoi colleghi, nonostante l’olocausto, signora Merkel».
Il tic assume a questo punto ritmi forsennati, ma il ministro italiano prosegue senza incertezze. «Noi conosciamo bene, l’abbiamo attentamente studiata la sua Costituzione e ci conforta l’idea che abbiate inserito al suo interno un giusto monito: se qualcuno intendesse violarla, la difenderete in tutti i modi e con ogni mezzo. Poiché crediamo che questa decisione ci accomuni, non ci pare nemmeno il caso di ribadirlo: gli italiani hanno un sacro rispetto per i principi espressi dalla loro Costituzione. Quella che state prendendo oggi qui», prosegue, «è una decisione che potrà anche passare nonostante la nostra assoluta contrarietà, ma la vostra scelta non potrà modificare la nostra ed è bene sappiate che in Italia non potrà avere alcun effetto concreto. Non sarà mai attuata. Noi siamo certi, del resto, che voi capirete e concorderete: non ci lasciate scelta».
Nemmeno chi conosce il gelo dei poli può immaginare l’effetto di quelle parole piombate, inattese e improvvise sull’immenso tavolo.
«Noi non mettiamo in discussione l’euro, non minacciamo uscite e non diventiamo antieuropeisti dopo aver insegnato per decenni a tutti voi il significato di Europa unita. Più semplicemente chiediamo se c’è tra i presenti chi, in buona fede, possa sostenere che dalle sue parti il governo può legittimamente imporre una norma contraria allo spirito e alla lettera della Costituzione. Da noi non funziona così e perciò non sottoscriviamo decisioni europee contrarie alla legge fondamentale del nostro Paese. Da noi non c’è norma ordinaria che abbia più valore di quelle costituzionali e questo principio vale anche per ciò che si decide qua, in un organismo multinazionale che non ha saputo o voluto darsi una Costituzione approvata dai popoli. Se qualcuno tra voi pensa che questo sia un problema di poco conto, commette un errore molto grave. Questa questione non avrà soluzione, finché non sarà affrontata con spirito europeista. Se la Germania ha tanto a cuore la Costituzione, ci aspettiamo che non solo sia d’accordo, ma si faccia promotrice di una radicale trasformazione di questa ormai malaticcia Unione. Se lo farà, avrà la piena collaborazione dell’Italia. E’ giunto il tempo che l’Europa si dia una Costituzione votata e approvata dai popoli che ne fanno parte. Senza l’Italia questa Unione non sarebbe mai nata. Oggi è l’Italia a dirvelo; se non vuole morire, l’Unione deve ripartire da dove abbiamo iniziato. Deve ripristinare un principio fondamentale: il primato della politica sull’economia».
Quando manderemo a casa Gentiloni, Minniti Alfano e compagnia cantante, questo discorso non sembrerà più fantapolitica.

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images (1)Proviamo a immaginare un ministro, uno vero naturalmente, non un “figlioccio” di Napolitano e nemmeno il servo sciocco di Draghi o un ragioniere del Fondo Monetario; uno che rappresenti un governo nato dal voto di fiducia di un Parlamento legalmente eletto.
Lo so, un ministro così non ce l’abbiamo da quasi dieci anni, però mettiamoci un poco di fantasia, lasciamolo prender posto a un di quei tavoli così grandi, che Piazza San Pietro pare un angiporto in fondo a un vicolo dell’antica Pompei. Non è una bella compagnia, ma è là che deve sederdi, tra un mariuolo lussemburghese, un francese costruito in provetta, i nazifascisti dell’Est e gli “onesti tedeschi” targati Volkswagen. Immaginiamo che parli, dopo due o tre usurai e godiamoci la festa.
Più va avanti, il “ministro normale”, e più Piazza San Pietro diventa un mare in tempesta; l’imbroglione lussemburghese, la provetta francese, i fasci magiari e i motori tedeschi truccati drizzano le antenne e più furiosa di tutti è la Merkel, devastata da un insolito tic, con la palpebra destra che si stringe  verso il basso, fa l’occhiolino all’angolo sinistro della bocca, che per suo conto, pulsa a più non posso e coinvolge il viso contratto.
“Noi, le soffia all’orecchio irrequieto il traduttore istantaneo, abbiamo rispetto di una Germania che sembra infine capire il valore della democrazia, ma non abbiamo dimenticato ciò che i tedeschi hanno combinato settant’anni fa e siamo stati molto sfavorevolmente impressionati dal contegno adottato con la Grecia. Vogliamo esser franchi: non è stato certo per consentirvi questi riprovevoli ritorni di fiamma, che il nostro Spinelli le ha preparato la poltrona su cui siede qui con i suoi colleghi, signora Merkel”.
Il tic assume a questo punto ritmi forsennati, ma il ministro italiano prosegue senza incertezze. “Noi conosciamo bene, l’abbiamo attentamente studiata la sua Costituzione e ci conforta l’idea che abbiate inserito al suo interno un giusto monito: se qualcuno intendesse violarla, la difenderete in tutti i modi e con ogni mezzo. Poiché crediamo che questa decisione accomuni tutti i colleghi presenti rispetto alle loro Costituzioni, non ci pare nemmeno il caso di ribadirlo: gli italiani hanno un sacro rispetto per i principi espressi dalla loro Costituzione. Quella che state prendendo qui oggi, colleghi”, prosegue il ministro “normale”, “è una decisione che passerà nonostante la nostra assoluta contrarietà, ma la vostra scelta non potrà modificare la nostra ed è bene sappiate che in Italia essa non potrà avere alcun effetto concreto. Non sarà mai attuata. Noi siamo certi che voi capirete e concorderete: non ci lasciate scelta”.
Nemmeno chi conosce il gelo dei poli può immaginare l’effetto di quelle parole, piombate inattese e improvvise su Piazza San Pietro.
“Noi non mettiamo in discussione l’Euro, non minacciamo uscite e non diventiamo antieuropeisti dopo aver insegnato per decenni a tutti voi il significato di Europa unita. Più semplicemente chiediamo se c’è tra i presenti chi in buona fede possa sostenere che dalle sue parti il governo può legittimamente imporre una norma contraria allo spirito e alla lettera della Costituzione. Da noi non funziona così e perciò non sottoscriviamo decisioni europee contrarie alla legge fondamentale del nostro Paese. Da noi non c’è legge ordinaria che abbia più valore di quelle costituzionali e questo principio vale anche per ciò che si decide qua, in un organismo multinazionale che non ha saputo o voluto darsi una Costituzione approvata dai popoli. Se qualcuno tra voi pensa che questo sia un problema di poco conto, commette un errore molto grave. Questa questione non avrà soluzione, finché non sarà affrontata con spirito europeista. Se la Germania ha tanto a cuore la sua Costituzione, ci aspettiamo che rispetti la nostra e non solo sia d’accordo, ma si faccia promotrice di una radicale trasformazione di questa ormai malaticcia Unione. Se lo farà, avrà la piena collaborazione dell’Italia. E’ giunto il tempo che l’Europa si dia una Costituzione votata e approvata dai popoli che ne fanno parte. Senza l’Italia, questa Unione non sarebbe mai nata. Oggi è l’Italia a dirvelo; se non vuole morire, l’Unione deve ripartire da dove abbiamo iniziato. Deve ripristinare un principio fondamentale: il primato della sovranità popolare o, se preferite, degli intessei pubblici, sociali e collettivi su quelli individuali e privati”.
Quando avremo un ministro normale, questo discorso non sarà fantapolitica.

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Mettetela come meglio vi pare, ma le cose stanno così: in una trattativa i rapporti di forza sono decisivi e si parte proprio da lì. Chi ha il colpo in canna e vuole fare la rivoluzione, non tratta, non si siede e non contratta: spara. E mira diritto, senza pensarci due volte.
Una trattativa si fa così, e non è un’opinione, lo sa bene ogni sindacalista che non ha mai venduto i lavoratori: tu cedi su questo, io convengo su quello, un po’ perdi tu, un po’ perdo io e infine si fa l’accordo. Se non ho stravolto l’anima e la filosofia della mia proposta, è un buon patto.
Che accordo ha fatto il governo di Alexis Tsipras? Ha proposto che l’Iva sia a tre livelli: 6, 13 e 23 %. Poteva proporre aliquote diverse? Certo. Se non fosse stato solo contro tutta l’Europa, poteva provarci. Ma è solo, non ha colpi in canna e non vuole uscire dall’Europa. Doveva volere uscire?I Greci non vogliono e il referendum sarebbe stato battuto, se Tsipras l’avesse proposto. Quindi? Quindi piedi per terra, unghie e denti in azione e sui punti più controversi, prendi tempo, sperando che il fronte si allarghi e i rapporti di forza cambino.
Per difendere quanto più possibile la salute, l’Iva sui medicinali resta al minimo e si impedisce la scelta maligna “mangio, ma resto al buio e non mi difendo dagli attacchi del clima”; sull’energia, infatti, l’Iva è ferma al 6%. Per i prodotti alimentari freschi e i generi alimentari di base, non si è lasciata via libera alla Troika e ci si è accordati per il 13 %. Non è un capolavoro, ma è la linea mediana dell’Unione Europea. La Troika voleva a tutti i costi difendere gli evasori, ma è nato, invece, un organismo autonomo per l’amministrazione fiscale, si sono adottati criteri più rigorosi per valutare le auto-dichiarazioni e per fermare così la valanga di imbrogli e l’esercito di imbroglioni. E’ vero, si andrà in pensione a 67 anni, ma solo dal 2022. Più che di cedimento, si dovrebbe correttamente parlare di tempo guadagnato, mentre si segnano punti. Aumentano, infatti, la tassa di solidarietà, aumenta l’imposta sugli yacht medio – grandi e aumentano le tasse sul lusso. In quanto ai profitti delle società, dal 26 % si sale al 28. Aumenta la fiscalità sugli armatori, che pagano una imposta sul tonnellaggio, e si tagliano le spese militari. Passano l’aumento del salario minimo, che partirà dal prossimo autunno, si aboliscono i licenziamenti collettivi e si torna alla contrattazione nazionale di categoria. Non è quanto si voleva? No, non lo è. ma non c’è trattativa che si concluda con una parte che cede su tutto e un’altra su niente.
Il punto più delicato dell’accordo, però, quello che decide chi vince e chi perde e ti dice se alla fine hai difeso fino il fondo il principio che ti faceva da bussola, è facile da individuare ed è quello decisivo: non si farà nessun accordo, se non si arriverà a un serio taglio del debito. Qui i sacerdoti del neoliberismo non cadono in piedi. Sull’accordo non c’è scritto e ci mancherebbe, ma è passato un principio che cancella un dogma: decidono i popoli e non è vero che il debito non si tocca. Questo peserà molto sul futuro.
Certo, a voler essere rigorosi, duri, puri e rivoluzionarissimi, bisogna prendere atto con dolore che i Greci non hanno nemmeno provato a chiedere la fucilazione della signora Merkel. Una vergogna. Da questo punto vista, non c’è dubbio: Tsipras non solo perde, ma tradisce. Mettiamolo al muro.
Qui da noi Renzi, dopo aver cancellato tutti i diritti dei lavoratori e tutelato con una legge vergognosa la definitiva devastazione del territorio, in questi giorni, proprio durante la battaglia greca, ha ucciso anche la scuola statale. L’hanno difesa solo gli studenti, i docenti e alcuni sindacati di base, questo è vero, però siamo seri e diciamola tutta: è andata così soprattutto per colpa dei Greci. i nostri rivoluzionari, infatti, erano tutti molto impegnati nel totoscommesse: Tsipras sì, Tsipras no. Ora che la Grecia s’è “piegata” e anzi, per qualcuno, si è addirittura “sbracata”, gli italiani, famosi nel mondo per i loro attivi salotti rivoluzionari, faranno vedere ai Greci smidollati come si trattano i ducetti alla Renzi, i boss della Troika e la Germania di Angela Merkel.

La Sinistra Quotidiana e Agoravox, 12 luglio 2015

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Non so chi sia Gigia. In genere mi manda commenti inaccettabili segnalati come spam. Questa sua lettera aperta alla Merkel, che ho trovato per caso già cestinata, non meritava una simile sorte e l’ho nel-2017-uscira-un-film-su-angela-merkelrecuperata, inserendola a commento di un mio articolo. Subito dopo l’ottimo Manlio Padovan mi ha inviato la seguente mail:

“Egregio professor Aragno, come far giungere alla Merkel, via posta ordinaria o elettronica, la stessa lettera da parte di chi lo voglia tra noi e i nostri conoscenti?
Lei può aiutarci?
Grazie”.

Padovan ha ragione, mi son detto, bisogna provarci. Ho cercato i recapiti di Angela Merkell, li ho trovati e mi è sembrato giusto dare alla lettera del mio ignoto interlocutore il risalto che merita. Uno strappo alle regole e la lettera di Gigia entra a buon diritto nel mio Blog e lo fa da protagonista, come credo che le spetti.
Io l’ho già fatto e i miei “manzoniani” lettori, se vogliono, possono sottoscriverla e inviarla alla Merkel al seguente indirizzo:

Bundeskanzleramt
Bundeskanzlerin
Angela Merkel
Willy-Brandt-Straße 1
10557 Berlin

Chi preferisce la posta elettronica può utilizzare il seguente link:
https://www.bundeskanzlerin.de/Webs/BKin/EN/Service/Contact/kontaktform_node.html

LETTERA APERTA ALLA CANCELLIERA MERKEL

Gent.ma Signora Cancelliera, Angela Merkel,
La storia della Germania, che i media raccontano al buon popolo, recita:
La Germania usci dalla guerra divisa in due Nazioni, Est ed Ovest con le ossa rotte, molte città quasi rase al suolo, alcune proprio rase al suolo,le industrie e la rete ferroviaria e stradale, distrutte.
La sua popolazione era traumatizzata ed grande parte composta da Milioni di vedove ed orfani, un disastro.
E non parliamo della sua immagine a quei tempi.
E… Guardate oggi, il miracolo compiuto dai pragmatici tedeschi, la Germania è riunificata, ha la rete di autostrade e la rete ferroviaria più complete d’Europa. Le maggiori industrie,in quasi tutti i rami, le maggiori banche europee, essa è leader indiscusso e la Prima potenza economica d’Europa.
Senza mettere in discussione le capacità tedesche, il loro saper fare, conviene chiedersi come un simile miracolo sia stato possibile. Su che cosa si è appoggiata per compierlo?
Qual è stato il un punto d’appoggio, che permise alla Germania di risollevare il… suo mondo,cambiare del tutto le sue sorti.
Signora Cancelliera, mi permetta di ricordarLe che il punto d’appoggio, miracoloso per la Germania e, potremmo dire, il primo mattone per la costruzione della casa Europa, è anche firmato dai Greci.
Infatti la Grecia fu uno dei firmatari, insieme ad altri 20, dell’accordo di Londra del 27 Febbraio 1953, accordo che permise alla RFA d’annullare 60% del suo debito contratto prima e dopo guerra.
Quel giorno i creditori della RFA, fra i quali la Grecia, la Francia, la più parte dei paesi europei,Svizzera, Stati Uniti, Il Canada, L’Iran, L’Africa del Sud, la Yugoslavia decisero di aiutare la Germania de l’Ovest,allora in situazione di “default” di pagamento.
I prestiti rinegoziati riguardavano sia le obbligazioni risultanti dal trattato di Versailles della prima guerra mondiale mai onorati, i prestiti sottoscritti dalla Repubblica di Weimar dei quali il pagamento degli interessi era stato sospeso a l’inizio degli anni 30 e i prestiti contratti dopo guerra presso gli alleati. L’accordo di Londra permise alla Repubblica federale di ridurre il montante iniziale del suo debito di prima e dopo guerra da circa 38 miliardi di marchi tedeschi – con gli interessi – a circa 14 miliardi, annullando così il 62% dei suoi debiti. Una moratoria di 5 anni sul pagamento e dei termini di pagamento di 30 anni per rimborsarlo furono concessi come pure una riduzione degli interessi.
Infine, il rapporto tra servizio del debito e dei ricavi di esportazione non doveva superare il 5%.In altri termini,la RFA non deve consacrare più di un ventesimo dei suoi ricavi d’esportazione al pagamento del debito. Così i creditori autorizzarono la sospensione dei pagamenti in caso di cattiva congiuntura.
Ora io le chiedo Signora Cancelliera, Angela Merkel, che cosa avevano fatto di straordinario i tedeschi, a parte il fatto di avere scatenato due guerre mondiali che hanno provocato la morte di decine e decine di milioni di persone,con l’aggravante dell’olocausto, per meritarsi un simile trattamento di favore?
In realta i tedeschi non avevano alcun merito da far valere, ma esattamente il contrario, si erano meritati la peggior punizione possibile.
Il 7 Luglio 2015, Lei, Signora Cancelliera Merkel, ha dichiarato che non c’erano le condizioni per un negoziato con la Grecia.
Prendendo a pretesto il fatto che i greci non si sono presentati alla riunione con un piano dettagliato.
Signora Cancelliera, Merkel, mi permetta di dirLe che il contrario sarebbe stato stupefacente e assolutamente non serio, da parte di un Ministro nominato il giorno prima. Non c’erano i tempi tecnici e questo Lei lo sa, dunque perchè mettere in campo pretesti se non per far fallire le trattative?
Mi permetta altresì di aggiungere che Lei il piano necessario in simile caso,lo possiede e la Germania lo ha approvato e firmato in passato, appunto il 27 Febbraio 1953.
Signora Cancelliera, di quali crimini, ai suoi occhi, si è macchiato il popolo greco, più gravi di quelli commessi dal suo popolo, per indurLa a combattere perché sia loro rifiutato lo stesso beneficio del piano che fu accordato alla Germania nel 1953?
Molti osservatori sono arrivati alla conclusione che Lei come pure i suoi falchi, pretendete che il popolo Greco sia punito per avere osato dire di no alla vostra politica, ad un’accordo che di fatto non risolve niente.
Molti sono convinti che per la Germania questo è ritenuto un crimine di lesa maestà.
La scongiuro, finché è ancora tempo applichi al malato, la Grecia, la stessa medicina che fu applicata alla Germania nel 1953, questo lo deve al popolo Greco ed alle altre Nazioni delle quali, malgrado tutto, voi tedeschi, restate debitori,malgrado la loro clemenza. Ne prenda atto.
Grazie.
gigia

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In inglese, che, com’è noto, da novembre è la lingua ufficiale del governo italiano, si dice “spending review“. Non è una novità del tecnici. Sta per l’ormai politicamente scorretta “razionalizzazione” e nel linguaggio corrente di chi non conosce gli agi della “Bocconi” e l’oro di Banca Intesa, significa semplicemente “tagli”. Per l’ex ministro Gelmini – che delle sforbiciate di Tremonti fu la spietata esecutrice, la scuola non è in grado di sostenerne di nuovi, ma il governo è di parere contrario. Trincerandosi dietro cortine fumogene e miserevoli giochi di parole, dichiara di voler “valorizzare le risorse”, ma si prepara di fatto a tagliare, dimenticando la sbandierata “centralità dell’istruzione”.
Nessuno è in grado di prevedere quanto ancora durerà la paralisi dell’intelligenza critica causata dall’uscita di scena di Berlusconi, ma il quadro è sempre più allarmante. Celebrati i mesti funerali della Sanità pubblica, un Paese in lutto assiste impotente ai ripetuti suicidi di disperati senza futuro, mentre il governo si accinge ad assestare il colpo di grazia alla scuola. Tra i cacciabombardieri e la formazione della nostra gioventù la banda Monti, sostenuta dall’inedito trio Alfano – Bersani – Casini, non dimostra incertezze e riduce nuovamente i fondi per la scuola, rivelando così le nascoste finalità del suo programma: garantire il profitto e cancellare i diritti.
Non bastassero tasse, balzelli, pensioni ridotte a un miraggio, figli eternamente sfruttati o disoccupati da aiutare, a piegare la debole resistenza dei docenti pensano l’umiliazione di stipendi da fame, la prussiana bandiera di un efficientismo quantitativo, sterile quanto mortificante, lo strapotere dei dirigenti, la pagella per i docenti, la congerie di sterili adempimenti burocratici e, dulcis in fundo, l’Invalsi e la valutazione immediata di quell’investimento sul futuro che si chiama insegnamento, di cui, intanto, si sta cancellando la libertà.
La democrazia è a rischio. E’ tempo di prenderne atto, cogliendo i segnali deboli, ma univoci che ci vengono dall’Europa. Dopo il voto, i giornali del potere propongono un’analisi strumentale e irrazionale degli avvenimenti greci, francesi e tedeschi, per farci temere il rischio incombente di una neonata opposizione degli estremi, per indurci a credere che uscito di scena Sarkozy, indebolita la triade che strangola la Grecia e la Merkel che perde ovunque i tedeschi votino, insomma, battuta l’Europa iperliberista, ci attendono il caos, la valanga antisistema, il trionfo dell’antipolitica. E’ una menzogna da cui guardarsi e la scuola può avere in questa decisiva battaglia un ruolo fondamentale. Portiamo in classe i giornali, confrontiamone le analisi con la lezione che viene dalla storia, dalla Carta Costituzionale, dal Manifesto di Ventotene, dagli obiettivi della Resistenza europea al nazifascismo, leggiamo loro la legge Bolkestein e paragoniamola allo Statuto dei lavoratori. Abbiamo mille strumenti didattici per spiegare ai nostri giovani che il voto degli elettori europei non alimenta una pericolosa forza antisistema, che fa paura e distrugge speranze e vite umane. E’ il contrario: quel voto mette in discussione l’illegittimo potere della finanza come espressione di un pensiero unico, dice no a chi ci terrorizza con un debito che non abbiamo contratto e dovremmo pagare, mette in crisi quel tanto di democrazia conquistato col sangue nella lotta di liberazione dal nazifascismo. Spieghiamo loro cos’era l’Europa dei popoli, così che capiscano che quello di ieri è stato un voto europeista contro populismo e autoritarismo. Francesi, greci e tedeschi, non chiedono nuove frontiere e divisioni, ma un’Europa veramente unita, che sottometta la finanza ai diritti dei cittadini. Deve essere chiaro soprattutto che quando diciamo finanza, diciamo destra estrema e non di rado fascismo. Il voto di ieri, perciò, non va contro l’Unione Europea, ne chiede semplicemente un’altra. Quella vera: l’Europa dei popoli.

Uscito su “Fuoriregistro” il 7 maggio 2012 e su “Paese Sera” l’otto maggio 2012

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Tragicommedia. Non poteva che finir così. C’è davvero l’Italia di oggi nei cori sprezzanti dei tifosi contrapposti, nei cortei che si schierano davanti ai palazzi d’un potere sempre più estraneo, come fedeli davanti agli altari, in attesa dell’immancabile “miracolo”. Nell’incredibile confusione tra “liberazione” e “rito liberatorio“, c’è la comica tragedia d’un Paese che non s’è mai veramente “liberato“. Che il fascismo sia stato, come scrisse lucido Gobetti, l’autobiografia degli italiani, ora sì, ora si vede chiaro in questo surrogato di “liberazione“, che ci fa più servi in un inevitabile crepuscolo della democrazia. E’ vero, Berlusconi cade – e questo fa certamente bene – ma a chi torna ai ritmi del poeta latino – “nunc est bibendum” – il vino va alla testa e tutto si confonde nel gioco delle parti. Cade, sì, ma per mano di lanzichenecchi della finanza e di squallidi capitani di ventura, suoi pari, come Sarkozy e la Merkel, che l’hanno detto chiari e minacciosi a Papandreu: se si rompe il giocattolo, si torna all’Europa dei conflitti. Cade e l’Italia fa festa o protesta; in piazza c’è chi l’ha combattuto per anni, impotente, inascoltato e tradito da opposizioni complici che non l’hanno mai inchiodato al conflitto d’interesse, e chi l’ha liberamente eletto, esaltato e spesso idolatrato; strati sociali così vasti e così variamente connotati, che parlare ancora di “società civile” pare non abbia più senso. Brinda, fa festa o protesta, l’Italia, ma è un’Italia avvilita che non trova rappresentanza politica e cerca invano una classe dirìgente capace di arrossire, che mostri senso del pudore e quella capacità critica che distingue gli uomini liberi dai servi sciocchi. Canti, cori, dirette televisive e l’eterno salotto buono, con Di Pietro, folgorato sulla via di Damasco, che non parla più di “macelleria sociale“, Concita De Gregorio, pronta a sostener la tesi insostenibile che è stato il governo a scatenare la crisi economica nata negli Usa, Casini berlusconiano per due e più lustri, Fini capobanda fino all’anno scorso e il solito Floris con una batteria di servizi terroristici sui bancomat in tilt e i soldi sequestrati in banca per effetto del fallimento. Un polverone sollevato ad arte per coprire la miseria morale di una “uscita” dalla crisi di governo che, da qualunque parte la si guardi, non va d’accordo coi principi della democrazia e, quand’anche fosse l’unica, amara e necessaria medicina, non meriterebbe certo una festosa accoglienza.
Morto il re, viva il re, ma operai e docenti stiano allerta. Il “nuovo che avanza” ha già detto basta alla nefasta influenza marxista e al suo “arcaico stile di rivendicazione che è un grosso ostacolo alle riforme” e “finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati“. La ricetta è il solito veleno – il “vincolo della competitività” – e quanto sia efficace s’è “visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili“.
In fabbrica, quindi, flessibilità e mano libera al signor padrone e, in quanto alla formazione, basta col valore legale del titolo di studio e via con l’incubo americano: il figlio del ricco borghese che studia a Milano vale il doppio del cocciuto figlio di poveracci che va a scuola a Canicattì. Che ci va a fare? Lo studente non conta niente, vale il “nome” dell’istituto. Ci sono lauree e pezzi di carta in un mondo in cui chi ha i quattrini per farlo si costruisce la scuola e l’università. Chi decide è il mercato…
Così, Mario Monti, sul Corriere della Sera del 2 gennaio scorso. Altro che nuovo! Monti al governo – un “governo tecnico“, s’intende, di colpo di Stato non si parla più – è una fucilata sparata a bruciapelo sulla democrazia! Lo sanno tutti, Napolitano, gli “scamiciati” del Governo di Unità Nazionale, il rosso Vendola con la formula diplomatica del “Governo di scopo“, Bersani e i suoi, stretti attorno alla bandiera tricolore di un “Governo di transizione” che ci porta difilato al patibolo della Bicciè. Lo sanno tutti, ma fingono di non sapere: dopo un lungo scontro, c’è una resa incondizionata e tutto avviene nello stesso campo: la trincea è quella del peggior capitalismo. Nulla a che vedere coi diritti e la fatica della povera gente, costretta con un colpo di mano a pagare il prezzo d’una crisi per cui Monti è responsabile più o meno quanto Berlusconi. Monti, sì, che, guarda caso, è stato International Advisor della “Goldman Sachs“, ha libero acceso al chiuso “Gruppo Bildeberg, è membro stimato della “Commissione Trilaterale” creata da Zbigniew Brzezinski e Rockefeller e ha partecipato in prima linea, come Commissario europeo per l’economia, alla creazione del mostriciattolo che ci si ostina a chiamare “Unione Europea”.

Uscito su “Fuoriregistro” il 14 novemente 2011 e sul “Manifesto” del 15 novembre 2011 col titolo “Il nuovo avanza ma il capitalismo è sempre lo stesso”.

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Il governo è caduto all’estero, per mano straniera, in uno scontro tra capitalismi, ma l’opposizione fa festa. “Credevo che ci fosse un limite a tutto“, ha scritto giorni fa, con sconsolato e stupefatto realismo Rossanda Rossanda, sotto un titolo che era un capolavoro ‘ironica amarezza: “Perché non sciogliere il popolo?” La risposta l’ha data Napolitano, incoronando Monti che s’è portato in Senato il programma di governo dettato dalle banche. Il programma che fuori dal Parlamento non troverebbe un cane disposto a votarlo. Il popolo non si scioglie, cara Rossanda, ha spiegato così il presidente, lo si porta legato mani e piedi al macello e si dice che questa è democrazia. Questa: un presidente bocciato dagli elettori e ricondotto in Parlamento come senatore a vita, nessuno sa bene per quali meriti speciali, un economista che l’ex parlamentare rifiutato dagli elettori porta in Senato, benché sia notoriamente e profondamente compromesso nel tragico fallimento morale e politico dell’Unione Europea, e un “governo tecnico” di macellai stile Grecia, per il quale l’opposizione “responsabile” si offre di fare da lama affilata pronta a colpire alla schiena il “popolo sovrano“. Non li ha votati nessuno, ma questa tragica farsa è la democrazia.

Le elezioni verranno, occorre aver fiducia. I popoli possono e devono votare, nessuno s’azzarda a negarlo, ma lo fanno quando e come decidono banche, padroni e sedicenti “grandi“, se converrà a monsieur Brunì, macellaio di Libia, un misto di grandeur e xenofobia incalzato da madame Le Pin, e Angela Dorothea Merkel la “donna più potente del mondo“, erede diretta della grande scuola di democrazia germanica. I popoli voteranno, ma si tratta di un rito che non ha più valore di scelta politica. Anni fa, quando s’è deciso di far votare un testo ambiguo, contrabbandato per “Costituzione europea“, il voto c’è stato. Era il 2005. La risposta dei popoli di Francia e dei Paesi Bassi è stata secca, tagliente e sprezzante: no, hanno detto i “popoli sovrani“, questa miserevole pagliacciata che copre sporchi accordi noi non la vogliamo. Questa rapina che chiamate Costituzione, fatta su misura per imbrogli di banche, banchieri, sfruttatori e negrieri, noi non la vogliamo.

Come ladri colti sul fatto, gli esponenti della “grande democrazia occidentale“, hanno subito provveduto. Dove s’è potuto, una burocratica ratifica parlamentare ha “silenziato” il “popolo sovrano”. Repubblica Ceka, Danimarca, Irlanda, Polonia, Portogallo e Regno Unito, dove i referendum erano stati indetti e il Parlamento non poteva più pronunciarsi, hanno chiuso la bocca ai cittadini e si sono annullate le consultazioni. Di soppiatto, poi, il primo dicembre del 2009, un trattato firmato a Lisbona ha tagliato la testa al toro e di Costituzione non s’è più parlato.
La democrazia, in nome della quale bombardiamo dovunque ce lo chiedano” – scrive Rossanda e le rubo le parole perché meglio non so dirlo – la democrazia “non conta là dove si tratta di soldi. Sui soldi si decide da soli, fra i più forti, in separata sede. Davanti ai soldi la democrazia è un optional“. Prendiamone atto e ricordiamo: i popoli non hanno bisogno di studiare Montesquieu per saperlo: “può avvenire che la Costituzione sia libera e che il cittadino non lo sia“. Quando accade, non bastano Monti o la Merkel, non serve Sarkozy: lo Stato che non sa cambiare correggendo si corrompe. E’ così che comincia la fine.

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