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Archive for luglio 2014

TestacodaQuando il voto è segreto, la maggiominoranza non ha i numeri e le opposizioni – «fuoco nemico» e «fuoco amico» – fanno a pezzi il pupo fiorentino: 154 voti favorevoli, 147 contrari e 2 astenuti. Una macchina che pare perfetta ma è un catorcio che sbanda appena affronta la curva, il pilota scarso che frena puntualmente tardi, e patatrac, Renzi sbatte violentemente contro il muro.
Come un pugile suonato, al primo colpo vero, si affloscia rovinosamente al tappeto e quello che s’era capito diventa evidente: il pugno suscita il rumore caratteristico del vuoto, finisce su un contenitore senza contenuto e inutilmente la fedele Boschi si darà da fare per cercare qualcosa da mettere in quella zucca che il sole d’estate ha già rinsecchito.
Quando il medico lo sveglierà, non basteranno stracci bagnati, borse di giaccio e il bastone di un vecchio arnese che l’età ha salvato dalla galera. Per quanto fresca, l’estate ha fatto male al sindaco fiorentino che ironizzava sulle insolazioni di Grillo. Il colpo di sole è stato micidiale e sotto la sicumera ora si vede chiaro il sangue di Letta colpito a morte. Da oggi e finché durerà l’agonia del riformatore, sarà difficile per Renzi andare in giro in maniche di camicie a gesticolare: il sangue non si lava e dopo il colpo vibrato a Letta, sanguina ora nelle sue mani la Costituzione della Repubblica. Non basteranno chiacchiere e barzellette: Renzi ha finito la recita appena s’è aperto il sipario. Presto toccherà a Giorgio Napolitano.

Uscito su Agoravox il 4 agosto 2014

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giovane-italianaPatrizia Innocenti non so chi sia, non la conosco e in tutta sincerità non ho alcun desidero di conoscerla, ma devo ritenere per forza che sia una militante, un’attivista o quantomeno una convinta simpatizzante  del PD, che sta per “Partito Democratico”.
La democratica renziana, decisa evidentemente a dimostrare l’indiscutibile spessore suo e dei suoi nuovi idoli politici – se di politica si può parlare – commentando un mio articolo, non ha esitato a scrivere con tutta la rabbia di cui è capace:

“Ha ragione MARIA ELENA BOSCHI, voi siete tutti allucinati, dite bugie sapendo di dirle – datevi una calmata e quanto a Giuseppe Aragno (storico dell’antifascismo e socio di LeG) il “PICCOLO BIGNAMI” lo userà regolarmente lui non certo altri ……….. BUFFONE”.

Testuale, compreso le maiuscole per scrivere il nome e il cognome della ministra Boschi e il complimento che mi ha rivolto.
Che dire?
Leggete attentamente il commento e fatevi un’idea di quello che ci attende…

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$_35Boschi e Renzi sembrano ignorarlo – il “Piccolo Bignami di Storia Contemporanea” non forma statisti – ma il vituperato ostruzionismo parlamentare ha scritto pagine nobili nella storia della nostra democrazia, firmate da uomini come Giolitti e Zanardelli. Intestando ai due grandi esponenti dell’Italia liberale la tessera del “Partito dei frenatori gufi”, i leader del “nuovo che avanza” dimostrano una povertà culturale che spiega da sola l’abisso in cui precipitiamo.
L’ostruzionismo nasce in Italia nel cuore di una gravissima crisi sociale e politico-istituzionale che, per dirla con Banti, ebbe il suo epicentro “in quel tremendo Far West dei poveri che era diventata la pianura padana tra fine Ottocento e inizio Novecento”; una crisi che riguardava buona parte di un Paese in cui la gente si dannava per trovare un lavoro e sopravvivere agli stenti con poche lire di salario al giorno. Incapaci di dare risposte concrete alla crisi e preoccupati anzitutto di salvaguardare privilegi di classe e interessi economici dell’ala più retriva della borghesia, le classi dirigenti tentarono di far pagare ai ceti subalterni il costo delle crisi, giocando la partita sulla riduzione delle libertà politiche e puntando tutte le loro carte su una riforma dello Stato che rafforzasse i poteri del governo a spese del Parlamento. In rapida successione, sia il governo Rudinì che quello guidato poi dal generale Luigi Pelloux tentarono di far passare leggi di stampo repressivo, ispirate a una concezione autoritaria dello Stato, che mirava soprattutto a contenere le rivendicazioni sociali e le aspirazioni democratiche di cui erano portavoce le opposizioni parlamentari.
Allora come oggi, una legge elettorale iniqua e autoritaria, che produceva squilibri profondi tra governabilità e rappresentanza, aveva generato un Parlamento che restituiva un’immagine deformata della composizione sociale del Paese, ma a Montecitorio autorevoli esponenti della maggioranza mordevano il freno e nel Paese i cattolici, superato lo stallo della “questione romana”, si organizzavano politicamente in un partito che si ispirava alla dottrina sociale della Chiesa.
Come spesso accade, i grandi temi della democrazia – riconoscimento delle libere associazioni dei lavoratori e tutela del lavoro, riduzione delle spese militari, disarmo generale e libertà di stampa – crearono uno schieramento trasversale che andava ben oltre l’Italia piccola e meschina rappresentata in Parlamento. Quando Pelloux, come fa oggi il malaccorto Renzi, scelse la prova di forza, presentando una serie di provvedimenti legislativi che minavano alla radice i principi fondanti dello Stato liberale, le opposizioni parlamentari che, grazie alle legge elettorale, erano minoranza alla Camera e maggioranza nel Paese, reagirono con grande decisione. Per la prima volta nella storia del nostro Parlamento si fece ricorso all’ostruzionismo, cui aderirono senza esitare i gruppi della sinistra liberale, capitanati da Giolitti e Zanardelli. Invano il governo, incurante della crisi economica che strangolava il Paese, inchiodò l’attività politica al suo progetto reazionario, invano tentò d’imporre i suoi provvedimenti, imbavagliando le opposizioni. Non bastarono decreti, appelli all’amor patrio e intimidazioni. Il 18 maggio 1900 Umberto I sciolse le Camere e i cittadini, chiamati al voto nel giugno successivo, nonostante la pessima legge elettorale, liquidarono l’ottusa reazione. Nacque così l’Italia democratica, pugnalata poi alla schiena da Mussolini e risorta, con tutti i suoi i limiti, ma con infinità dignità, sui monti dei partigiani. E’ l’Italia che Renzi e Boschi, un personaggio oscuro mai votato e una “nominata” senza storia, tentano di sacrificare a meschine ambizioni personali e ambigui interessi si parte.
Le opposizioni parlamentari si sono appellate a Giorgio Napolitano, custode della legalità costituzionale. C’è da augurarsi che il Presidente della Repubblica sappia essere all’altezza del re savoiardo. Allora come oggi, in discussione c’è la democrazia.

Uscito su Fuoriregistro e su Libertà e Giustizia il 25 luglio 2014 e su Agoravox il 28 luglio 2014

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E’ allucinante che la ministra boschi cianci di allucinazioni e finga d’ignorare che una inappellabile sentenza della Corte Costituzionale definisce fuorilegge la legge che l’ha condotta in Parlamento.

E’ allucinante che la ministra boschi non sia in grado di distinguere tra la condizione giuridica del deputato eletto e quella di un “nominato”. La boschi non sa che “nominati” erano i suoi colleghi della Camera dei Fasci e delle Corporazioni durante il ventennio mussoliniano?

E’ allucinante che la ministra boschi non si vergogni di aver contribuito alla rielezione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, facendo così carta straccia dello Statuto, solo perché la Costituzione non vieta esplicitamente la rielezione Allucinante, perché si afferma così, di fatto, la correttezza costituzionale di tre, quattro e – perché no? – cinque rielezioni. La Costituzione, infatti, non lo proibisce esplicitamente.

E’ allucinante che la ministra boschi ignori lo sconcio paradosso per cui i “grandi elettori” del Presidente della Repubblica non sono stati eletti da nessuno.

E’ allucinante che la ministra boschi non si accorga che una banda di “nominati”, moralmente e politicamente delegittimati dalla Consulta, non solo pretenda di cambiare quella Costituzione che li invita a togliere il disturbo, ma si rifiuti di restituire la parola al “popolo sovrano” prima di imporre al Paese una legge elettorale più incostituzionale della “legge truffa” che le ha aperto le porte del Parlamento.

E’ allucinante che l’allucinata ministra boschi definisca allucinazioni le fondatissime accuse di deriva autoritaria rivolte al governo e a questo punto la domanda è legittima: che significa la parola autoritarismo per la ministra boschi?

Uscito su Fuoriregistro il 22 luglio 2014 e su Agoravox il 23 luglio 2014

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ghettoGaza noi la conosciamo bene tutti da più di settant’anni: è il terrore di un bambino che un mitra nazista minaccia di morte, è il ghetto di Varsavia con gli ebrei polacchi massacrati dai lanzichenecchi di Hitler, è Napoli messa a ferro e fuoco della divisione Goering, col litorale sgombrato e la popolazione costretta a vivere in condizioni subumane.
Nessuno lo dice, ma lo sappiamo tutti: la tragedia va in scena a ruoli invertiti e c’è una banalità del male di stampo israeliano.

Noi conosciamo bene la verità che l’Europa targata Merkell pretende dai russi: è una verità messa in catene ed è prigioniera di Obama a Guantanamo. La verità che Obama, Cameron e Merkel pretendono da Putin, dopo la Baia dei Porci e l’embargo che ha strangolato Cuba, dopo Pinochet e il Cile violentato, le menzogne sulle armi di distruzione di massa e mezzo milione di iracheni ammazzati, la Jugoslavia fatta a pezzi, la verità la conosciamo tutti: è stuprata ogni giorno nei barconi dei migranti nel Mediterraneo

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Stupore, consensi, proteste e un Paese che va allo sbando, ma non si ferma a pensare: Berlusconi assolto perché il fatto non sussiste. Il concussore non ha un concusso e la minore stuprata nega lo stupro. I processi si fanno sui fatti e le condanne richiedono prove inconfutabili. Ci sono state invece, ma processi non se ne fanno, infamie senza nome, consultazioni con Monti quando il governo di centro destra era solido in Parlamento, la speculazione telecomandata sui titoli di Stato, tre governi illegittimi e in ultimo Renzi, un signor nessuno che stupra la Carta costituzionale e scrive una legge elettorale che nemmeno il fascista Acerbo avrebbe osato proporre. Berlusconi assolto perché il fatto non sussiste. E allora? Molto  probabilmente è vero ma siamo comunque fuori tempo massimo. Tocca badare a se stessi, perché il regime mette radici e non se ne esce senza una nuova Resistenza.
Pensatela come volete, destra, sinistra, centro, nordici, sudici e tutte le varianti della nebulosa pentastellata: c’è un solo problema, grande, gigantesco, decisivo e definitivo. Vive al Quirinale e si chiama Giorgio Napolitano, stalinista ai tempi della tragedia ungherese, liberista nell’Europa di Draghi, sponsor di Renzi ai tempi della democrazia autoritaria.

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Mi scrive un lettoreIl commento è un po’ romanzato ma la sostanza è questa: «La Scuola? Massimo rispetto, per carità, ci metto la maiuscola. Un’importante funzione sociale, un vasto potenziale per numero di addetti, ma»… C’è un ma che hai sentito milioni di volte. Una litania, un ritornello assillante, giornali, televisione, autobus, famiglia, metropolitana: «Oggi, salvo lodevolissime ma rare eccezioni, la scuola è infestata da una classe docente ignorante, parassitaria, conservatrice e indisponibile ad ogni forma di evoluzione».
Altro che maiuscola! Non fai in tempo a replicare che arriva la minuscola:
«Gli insegnanti si muovono solo per protestare in piazza, orientati da un’appartenenza politica che ne fa un tradizionale bacino elettorale. Insomma, una categoria funzionale al mantenimento della “casta”.
Nell’immaginario collettivo è così: gli insegnanti, massacrati dalla politica, sono il solido sostegno dei politici. Salvo lodevolissime ma rare eccezioni, non c’è famiglia in cui i genitori non sentano il bisogno di impartire ai figli studenti la doverosa lezione: «Gli insegnati non li stimiamo. Li conosciamo bene e non li stimiamo. Sono individui “piccoli” e fondamentalmente disonesti».
E’ vero, la prima reazione è un moto di stupore e la risposta è acuta: «Più dei tuoi colleghi, papà?», chiedono, sorpresi e un po’ insospettiti, i ragazzini, che ne sanno ormai di cotte e di crude su tutto e su tutti. La risposta, però, tocca la corda morale e liquida i dubbi:
«No, non più di altre categorie. A loro però è affidata la futura possibilità che i giovani possano inserirsi da cittadini e non da “sudditi furbi” in un mondo nuovo che in altri Paesi, in Europa soprattutto, stanno disegnando».
Una condanna senza appello e un ragionamento che a prima vista non fa una piega: «come esempio, noi facciamo pena, è vero, ma loro, i docenti, stanno lì apposta per rimediare». Cacchio, che fa un insegnante in cinque ore di scuola, se non riesce a ripulire le piaghe purulente d’una società messa ormai veramente male? L’imprenditore evade? L’avvocato e l’architetto danno i numeri? La sanità è un affare da miliardi e non si capisce più chi è la guardia e chi il ladro, sicché la casa crolla? Beh, l’insegnante faccia il suo mestiere, no? Glielo dica ai ragazzi: non fate anche voi così, mi raccomando, non rubate.
Ormai, i panni sporchi non si lavano più in famiglia. E’ la scuola la grande lavandaia d’Italia! La scuola, sì, che tuttavia, guarda caso, non sa che pesci pigliare ed è sempre più a corto di detersivo. Agli insegnanti, d’altra parte, tanti ragazzi non credono più e non hanno torto; papà li ha avvisati: «Sono individui “piccoli” e fondamentalmente disonesti». E’ vero, ci sono i dirigenti scolastici, ma li si vuole “capi” e autoritari e anche per loro non sono rose e fiori. Quando gli va bene, «sono l’espressione relativa dell’attuale classe dirigente italiana e, come tale, agiscono e dirigono il loro piccolo “regno”».
In un paese così ridotto, è facile sognare e ancora più facile scambiare fischi per fiaschi. Quanti siano i fischi e quanti i fiaschi, non è possibile dire, perché sui numeri ormai imbrogliano tutti, ma in queste condizioni, c’è sempre più gente che apertamente dichiara: «credo che Renzi debba “decapitare” l’assetto verticistico della struttura sociale di questo Paese in ogni direzione. Lo so che è brutale e richiede qualche compromesso ma, al momento, non vedo alternativa».

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Temo che questa maniera di ragionare non sia figlia del caso e non sia una novità. La conclusione del breve commento offre, di fatto, una sintesi illuminante del rapporto che lega Renzi a quanti si attendono dall’ex sindaco la “rivoluzione” che cambi il Paese: «credo che Renzi debba “decapitare”… in ogni direzione».
Non penso di sbagliare, se dico che questa speranza corrisponde, persino nelle parole, a quella che nell’immediato primo dopoguerra condusse a Roma un avventuriero senza storia. I giornali dell’epoca sono testimoni di quel suicidio della democrazia liberale. Fu un’aspettativa di cambiamento, irrazionale e del tutto infondata, che aprì la via al fascismo, come ricorda il titolo che Renzo De Felice volle dare al primo volume della sua biografia del duce: “Mussolini il rivoluzionario”.
La storia non si ripete, è vero, se non per diventare farsa; il fascismo è ufficialmente morto e chissà  che accadrà domani. E’ singolare, però, l’incoscienza con cui, di fronte a ogni crisi economica, soprattutto se finanziaria, il nostro Paese affronta il tema dei diritti e della democrazia. Renzi è probabilmente il clone meglio riuscito di quella classe dirigente che dovrebbe “decapitare”; lavora gomito a gomito con Berlusconi, ha il consenso indiscusso dei grandi monopoli dell’informazione, gode dell’appoggio dei Monti, dei Casini e degli Alfano e ha per padrini “uomini nuovi” come Giorgio Napolitano, uno che ha messo le tende a Montecitorio nei primi anni cinquanta e – caso unico nella nostra storia – è al secondo mandato da Presidente della repubblica. Renzi ha il compito di fare il boia, questo è vero, ma decapiterà solo i diritti sanciti dalla Costituzione. Non so dove abbiano studiato i ferocissimi critici dei nostri docenti, in quali scuole e in quali università si siano formati e non so nemmeno quanti tra loro pensino per davvero che i loro insegnanti siano stati individui “piccoli” e disonesti. So che su un punto hanno certamente ragione: il nostro sistema formativo ha fallito. Ciò che pensa ormai tanta gente, anche intellettualmente onesta, ne è una prova. Amara ma inconfutabile. Quando in buona fede si scambia l’effetto con la causa, vuol dire che il senso critico è stato davvero messo al bando.
Non c’è nulla di più sconcertante della convinzione ferma, quanto ottusa, che in un Paese molto malato possa esistere una scuola in piena salute. L’Italia ha una febbre da cavallo e nel delirio ha un incubo ricorrente: pensa che la terapia in grado di curarla sia nelle mani di un pupo pronto a usare la scure. Il microscopio, però, non ha dubbi: il virus che ci ammazzerà è proprio l’attesa terapia. In quanto all’Europa che andrebbe disegnando un mondo migliore, non so quale sia quella che suscita speranze disperate; io la vedo all’opera ogni giorno: è quella dei CIE e degli affogamenti nel Canale di Sicilia, quella che appoggia i nazisti ucraini e tace sulla Palestina. L’Europa sempre più razzista che dilaga e ci avverte: non vuole la guerra, ma non la esclude.
In quali riforme speri chi ha scelto Renzi come salutare boia della democrazia non è chiaro a nessuno. Le uniche di cui si ha notizia sono quelle del misterioso “accordo del Nazzareno”. Il patto con Berlusconi. Una strage probabilmente ci sarà, ma non cadranno di certo le teste di coloro che costituiscono “l’assetto verticistico della struttura sociale di questo Paese”. Non s’è mai visto un boia che decapiti se stesso.

Uscito su “Fuoriregistro” il 12 luglio 2014

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Ins_costanti3Mi scrive un lettore:

Libertà di insegnamento: bellissimo concetto, a patto che a recepirlo non sia un travet scolastico, uno di quei docenti che insegnano solo per buscare lo stipendio […]. Anni orsono feci la scelta di mandare i miei figli alla scuola pubblica. […]: per me la scuola è, e deve essere, pubblica. Ora, con un flglio che, dopo una ottima carriera liceale, si è perso dentro una Università evidentemente troppo impegnata in altre cose per seguire, coinvolgere, orientare, le matricole e una figlia al quarto anno di un liceo artistico che di artistico ha poco o nulla, devo dire che mi sono pentito di quella scelta.
Mi è capitato di tutto: dalla maestra elementare anziana e ultrabigotta che si addormentava in classe e spaventava i bambini dicendo che, se non stavano buoni, gli sarebbe spuntata la coda da diavolo. Non si poteva mandarla via perché in Italia vige la libertà di insegnamento. Alla insegnante di inglese di liceo, con la bocciatura facile, i cui allievi sono costretti a prendere lezioni private. All’insegnante di matematica, sempre di liceo, la cui lezione consisteva nel dire ai suoi allievi quali pagine studiare del libro di testo. Alla docente di Storia che ha risolto il problema delle contestazioni dei genitori assicurando il sei politico. All’altro insegnante di matematica che, improvvisamente, parte per l’Africa a raggiungere la moglie lasciando le sue classi alle scarse possibilità di supplenza dell’istituto.
[…] Per insegnanti di questo tipo la libertà di insegnamento è un comodo schermo dietro il quale nascondere la sostanziale libertà di parassitare la cosa pubblica.
[…] Ho incontrato anche ottimi docenti. Ma, forse, li definisco ottimi solo perché fanno con scrupolo e dedizione il loro lavoro.
Questo per dire che la giusta critica verso i reiterati tentativi di svuotare la Scuola italiana di profondità e di reale capacità di innovazione culturale […] va accompagnata dal rifiuto di ogni difesa di casta, dalla volontà di esaminare criticamente anche la qualità e le motivazioni del personale docente, di rimettere in discussione le procedure e i criteri della loro selezione e della valutazione del loro lavoro. Altrimenti la credibilità di certe denunce raggiunge un valore prossimo a zero”
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La libertà di insegnamento non è un “bellissimo concetto” e non c’entra con la qualità dei docenti, la difesa di una inesistente “casta” e i criteri di selezione e valutazione del personale della scuola. Non c’entra nulla nemmeno col caso limite della maestra “anziana e ultrabigotta”, che spaventa i bambini con la coda da diavolo e dorme invece di fare scuola (deve avere un sonno davvero pesante per riuscire a dormire tra una trentina di pargoli abbandonati a se stessi!). La libertà d’insegnamento è il confine tra democrazia e autoritarismo. Metterla in discussione solo perché i docenti hanno i loro limiti, a volte veri, altre volte presunti, sarebbe come dire che l’acqua è troppo cara e perciò non si beve più.
Di “travet”, nella vita, ne ho incontrati tanti. Professori incapaci e presidi fascisti che ignoravano la nascita della Repubblica. Qualche medico ha preso fischi per fiaschi, un funzionario di banca giurava sulla sicurezza dei miei poveri investimenti, mi ha fatto perdere buona parte dei miei miseri risparmi ma continua a fare il suo lavoro per disgrazia della gente. Ho incontrato un giudice istruttore che mi ha rinviato a giudizio dopo aver scavato nella mia vita per tre anni, senza mai sentire il bisogno di interrogarmi e senza inviarmi un avviso di garanzia; il processo si è risolto con l’assoluzione perché il fatto non sussisteva, ma il giudice continua a giocare con la vita della gente. Ho conosciuto giornalisti che si sono inventati interviste mai fatte e direttori di giornale che gridavano allo scandalo per le “leggi-bavaglio”, ma mi hanno sbattuto la porta in faccia quando sono diventato un collaboratore scomodo. Sulla mia strada sono capitati tre criminali in divisa, che hanno concordato una frottola e l’hanno raccontata al giudice sotto giuramento senza finire in manette, come meritavano; l’hanno potuto fare, perché ci sono magistrati togati molto indulgenti con gli uomini in divisa e molto severi con la povera gente. Ho incontrato avvocati che, invece di difendermi, si sono messi d’accordo con la controparte. In quanto ai genitori, sempre disponibili a giudicare i docenti – che, detto tra noi, sono quasi sempre genitori come loro – ho perso il conto di quelli stupidi e incoscienti che hanno fatto ai figli più male di tutto il male che ti può fare una malattia molto grave. Che facciamo, mettiamo sotto processo la “casta” dei genitori? Poniamo mano all’autonomia della Magistratura, licenziamo tutti i funzionari di banca, ammanettiamo tutti i poliziotti, togliamo la parola ai giornalisti e mettiamo da parte gli avvocati? No. Ci diciamo che questa è la vita e questa la natura degli uomini: ci sono i capaci e gli incapaci, gli onesti e i disonesti. Generalizzare non serve. E’ necessario lavorare perché le cose migliorino, mettendo nel conto che la democrazia costa e gli errori, i limiti, le ingiustizie e anche le prepotenze sono parte della vita. Se poi si generalizza per utilizzare disfunzioni e problemi fisiologici, che andrebbero affrontati in sede politica, per farli diventare “patologia”, scatenare campagne di stampa e preparare il terreno a politiche economiche dissennate o, peggio ancora, a strette di freni autoritarie, che dire? Si può farlo, non c’è dubbio. Tocca al nostro senso critico capire se serve a risolvere i problemi reali di una comunità o a fare gli interessi di una minoranza e creare un nuovo, gravissimo problema: la mancanza di democrazia.

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Markus Antokolski - Socrate morente

Markus Antokolski – Socrate morente

Premessa: Com’era giusto, ho mandato questo articolo al sig. Roberto Reggi. Lo sfascista renziano, sottogretario di Stato al Miur per meriti ignoti in un governo afflitto da un grave analfabetismo di valori democratici, non ci ha pensato due volte e l’ha cancellato dalla sua pagina facebook. Ecco un esempio classico di pidiota con marchio d’origine controllata…

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Parliamoci chiaro. Il problema della scuola che Renzi, buon ultimo, mette in ginocchio dopo anni di attacchi devastanti, non può ridursi ora a un orario di lavoro che aumenta a parità di retribuzione, alle strutture fatiscenti fino all’inagibilità, al trattamento economico e giuridico dei lavoratori, ai tagli, alla precarietà, al potere sconosciuto e pericoloso di dirigenti scolastici che decideranno a chi dare i bonus stipendiali e alla rapina degli scarsissimi investimenti pubblici, utilizzati per foraggiare il privato. Ognuno di questi problemi è di per sé gravissimo, ma sarebbe facile per i “riformisti” battere la grancassa sul “corporativismo” dei “docenti conservatori” e scatenare i pennivendoli nella caccia all’untore. Di fronte all’analfabetismo di valori di Renzi, la questione centrale e inquietante è anzitutto una: la legittimità democratica di un governo che esercita il potere in modo così autoritario e, di conseguenza, il diritto-dovere alla disobbedienza e all’obiezione di chi è chiamato a eseguirne gli ordini. Diritto-dovere legato sia al valore costituzionale e al ruolo sociale della funzione docente, sia al tema storico di una Repubblica che nasce e si costituisce giuridicamente come risposta a una tragica esperienza autoritaria e non può, quindi, chiedere a nessun cittadino un’obbedienza che comporti la negazione delle sue stesse ragioni fondanti. Mentre si annuncia l’ennesima riforma liberticida, non si tratta più di orari di lavoro e retribuzioni; prima c’è da affrontare la questione cruciale della compatibilità tra coscienza democratica e legalità, avendo ben presente che, se giuridicamente “legali” furono vent’anni di regime totalitario, moralmente e politicamente legittima fu l’illegalità antifascista. In quanto al dato storico, il governo fascista “legalmente costituito” e i giudici che condannarono gli oppositori del regime oggi, a giusta ragione, sono reputati volgari criminali; Gramsci, Pertini e i loro compagni di lotta, invece, sono maestri dei nostri giovani e vanto del Paese. Renzi giura che tutto andrà bene e non ci sarà battaglia, ma sbaglia di grosso. Ci sarà e sarà molto più dura di quanto creda. Più che l’effetto disastroso dei suoi provvedimenti – gli ennesimi volti a colpire la dignità della scuola repubblicana – agli insegnanti interessano ora i motivi che spingono il governo a un inaccettabile autoritarismo e la legittimità democratica delle firme in calce alle proposte di riforma. Una legittimità che o esiste e ci impedisce di rifiutare l’obbedienza, o non esiste e ci autorizza a contestare, legittima l’obiezione e di questo passo ci obbliga alla resistenza. Se la riforma della scuola si pone fuori dalla legalità costituzionale, alla scuola di Renzi e Giannini non può bastare il consenso di un Parlamento che, a sua volta, nasce da una legge dichiarata fuorilegge e trasformato ufficialmente, complice Napolitano, in un’accozzaglia di nominati, pericolosa per la salute della Repubblica. E’ questo lo scontro che si prepara, perché dubbi non ce ne sono: allo stato delle cose, non esiste nessuna condizione minima di legalità che imponga l’ubbidienza. I docenti antifascisti, infatti, quelli che sacrificarono la libertà e la vita affinché nascesse la scuola della Repubblica, ci hanno lasciato in eredità un testamento spirituale, passato così come fu scritto nella nostra Costituzione. In un foglio clandestino, stampato alla macchia sui monti dei partigiani, i docenti in armi contro il regime scrissero col sangue – e non è retorica – quale scuola voleva l’antifascismo per l’Italia nuova. Ogni regime autoritario, osservarono, sa bene che “l’istruzione è la vera liberatrice dello spirito umano, che eleva l’uomo e lo rende conscio dei doveri, dei diritti, delle sue fondamentali rivendicazioni”; ogni regime antidemocratico, che teme il popolo, quindi, “vuole il gregge, la massa, la folla” e perciò “tarpa le ali all’insegnamento libero, lo soggioga, lo vuole domare e dirigere per costituire una società fondata unicamente sulla potenza del denaro”. Di qui, aggiungevano, “l’insegnante asservito e domato con la miseria e col bisogno diuturno, l’insegnante ridotto a una vita grama e stentata che mortifica e immiserisce anche i più arditi”; di qui una “professione angusta, che si fa conformismo e infine rinunzia”. Di qui, una gioventù “formata a principi falsi, di qui la catastrofe e l’ineluttabile”. Il gioco si ripete: carriere in mano a burocrati legati al carrozzone governativo, docenti affamati, umiliati e costretti a scegliere tra sopravvivenza e libertà d’insegnamento. Tutto questo, per mano di un governo sostenuto da parlamentari mai eletti ma nominati grazie a una legge ufficialmente illegale; parlamentari che, non bastasse, manomettono la Costituzione antifascista. Tornano alla mente Turati, per il quale certe riforme sono “il manganello applicato alla scuola”; torna in mente Matteotti, che accusò Gentile di voler “assoggettare la scuola a un pesante controllo politico”. e Rodolfo Mondolfo, che apertamente invitò alla disobbedienza perché, diceva, è chiaro a tutti che, quando si colpiscono i docenti a tradimento e si accresce l’autorità delle gerarchie scolastiche, si cancella la scuola come fucina di coscienza critica e si abolisce, di fatto, la libertà d’insegnamento. I docenti, quindi, non possono tacere, né obbedire, ma devono opporsi – scriveva Mondolfo – perché nessun insegnante democratico può subire in silenzio una riforma che non vuole cambiare la scuola, ma modificare i rapporti tra Stato e cittadini.

Uscito su Fuoriregistro il 3 luglio 2014 e su AgoraVox il 7 luglio 2014 e su Libertà e Giustizia il 10 luglio 2014 col titolo La scuola pubblica messa in ginocchio.

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