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Archive for luglio 2016

085922972-f757b8ab-a33d-42cc-9d9c-c408364f8b82Le cose stanno così: Renzi non parla di Erdogan e se lo fa, ricorda che in fondo «è stato eletto democraticamente». Proprio come Hitler nella Germania del 1933.

Noi ci sdegniamo dei morti innocenti, quando sono morti dell’Occidente. Per tutti gli altri restiamo indifferenti.

Noi ci occupiamo di salvare le banche e non c’importa niente delle nostre bombe esplose sugli ospedali pediatrici. Le bombe le vendiamo a tutti, pazzi, tiranni e killer seriali, possono uccidere quando e come vogliono, perché ci facciamo affari d’oro e quattrini a palate. Il nostro solo, grande problema sono le autobombe, ma stiamo studiando un provvedimento efficace per impedire la concorrenza sleale.

I nostri nemici sono tutti terroristi. Noi, che impediamo a popolazioni inermi, senz’acqua, senza viveri e senza scampo, di uscire dalle loro città martoriate attraverso corridoi umanitari, noi esportiamo democrazia.

I nostri terroristi hanno un nome, un cognome e un indirizzo; si chiamano Merkel, Holland, Renzi e compagnia cantante, ma a loro assegniamo il Nobel per la Pace.
Alla faccia del papa.

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hqdefaultQuindici giorni.  L’estate che non ami, nonostante il felicissimo vento di Otranto che non  ha prezzo, e quaderni con anni di appunti in giro con te, infilati ovunque pensi sia facile tirarli fuori, e tutto il trasportabile – la borsa, il vecchio zainetto acquistato anni fa da una graziosa cinese a Firenze alle spalle di Santa Maria Novella, il borsello nero col quale vivi in simbiosi – tutto quello che potevi l’hai portato come si può ma non si dovrebbe: deformato, pieno zeppo di carte, annotazioni, rimandi a questa o a quella lettera greca, su questo o quel quadernone a pagina ics o a pagina ipsilon.
Quindici giorni di stramaledette vacanze trascorsi a cercare il quadernone con la copertina nera, e la “vespa story 2007”, che ti serve a identificarlo. L’hai cercato ovunque, paralizzato al sesto capitolo, senza potere o chissà, alla fine volere, mettere penna in carta e proseguire. Hai cercato ovunque, ti sei dovuto fermare, ti sei dato  dell’idiota, hai concluso che non c’era dubbio, che l’avevi lasciato a casa, là, sulla scrivania, in quell’inferno di carte. La notte non ci hai dormito e te ne saresti tornato difilato a casa, ma non potevi.
Quindici giorni. Sei tornato, l’inferno di carte era proprio come lo ricordavi, ma del quadernone nero nemmeno l’ombra. Poco fa ti sei reso conto della verità: te lo sei portato appresso per quindici giorni, era lì, nella borsa del pc deformata e stanca di gonfiarsi come un pallone. Lì, dove l’avevi messo, nell’ampia tasca laterale, da cui non è uscita. Dovresti essere contento, diavolo. Non dovrai tornare a Roma per recuperare i mesi di lavoro che parevano persi. Domattina ricomincerai da dove t’eri fermato all’inizio del viaggio. E invece no, non fai festa, non ti ricordi Orazio e non batti i piedi nella danza: nunc est bibendum… No. Stai pensando che ora sai che significa essere vecchi. Essere vecchi significa portarsi appresso un quadernone necessario come un salvavita, credere di averlo lasciato a casa e scoprire di averlo avuto sempre con te, per tutto il tempo che non hai fatto null’altro che cercarlo ovunque, tranne dov’era logico ficcare il naso per sentirlo urlare: ehi, stupido d’uno storico, sono qua, dove vuoi che sia?
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Da alcuni giorni, a seguito del fallito golpe militare in Turchia, il capo di Stato Erdogan sta realizzando una violenta, vendicativa repressione attraverso incarcerazioni di massa, licenziamenti di decine di migliaia di cittadini, in particolare di magistrati, funzionari e impiegati pubblici, presidi e docenti di università e di scuole statali e parificate, giornalisti e militari di ogni grado.
Si tratta della più massiccia repressione di massa degli ultimi settanta anni, poiché sta colpendo l’opposizione laica turca forte, come si evince dalle ultime elezioni, del 49 % della popolazione. Le cifre, spaventosamente elevate, fanno della Turchia – stando alle cifre diffuse dal governo Erdogan, uno Stato-prigione, un immenso campo do concentramento:

  • 9322 arresti tra militari e magistrati;
  • 28332 dipendenti ministririali licenziati;
  • 35000 docenti di scuola sospesi;
  • 1567 sospensioni tra rettori e presidi di università;
  • 370 dipendenti della TV pubblica sotto inchiesta;
  • 35 giornalisti ai quali è stata tolta la tessera professionale;
  • 24 emittenti radio televisive sospese.

Si  tratta di una repressione che si alimenta ogni giorno di nuove cifre riguardanti decine di migliaia di persone perseguitate: è difficile aggiornare i dati di questo spaventoso terrore in atto in Turchia. A ciò vanno aggiunte le notizie, appena trapelate, di donne minacciate di violenza se se viste in giro a testa scoperta
Il clima di terrore sta crescendo nell’indifferenza generale dell’Italia, dell’Unione Europea e dell’ONU. Le immagini di prigionieri, seminudi e in ginocchio nei lager improvvisati, non possono non provocare  forte indignazione verso un regime che, dopo le persecuzioni in corso da anni verso il popolo curdo, sta ora effettuando una efferata vendetta contro ogni forma di reale o presunta opposizione. Il regime turco è diventato una vera e propria dittatura che tuttavia nessuno Stato sta realmente condannando.
Con questo APPELLO invitiamo i cittadini di Napoli a manifestare
mercoledì 27 luglio dalle ore 18 in Piazza Plebiscito
per  far giungere, attraverso la Prefettura di Napoli, un forte monito al governo italiano affinché rompa ogni relazione diplomatica con la Turchia, ritirando l’ambasciatore italiano da Ankara e affinché presenti sia al Parlamento Europeo che all’ONUuna mozione di condanna contro l’efferata repressione del regime dittatoriale di Erdogan, chiedendone le dimissioni, chiedendo siano annullati tutti gli indiscriminati provvedimenti repressivi e che sia la magistratura turca a perseguire – secondo le  norme di uno Stato di diritto – gli organizzatori reali del tentato golpe, coloro che hanno oordinato le sortite dei carri armati nelle strade della Turchia e gli autori degli omicidi, sia dalla parte dei militari golpisti, che della polizia di Stato, verificando i reati commessi durante questo contro-golpe, e proponendo l’indizione di nuove elezioni  sotto il controllo dell’ONU.
E’ importante che proprio da napoli, la prima città europea ad essersi liberata dall’occupazione nazista e dal fascicmo, parta la prima manifestazione europea per liberare le donne e gli uomini della Turchia della dittatura di Erdogan.
Napoli luglio 2016

Francesco Ruotolo
Costanza Boccardi  
Geppino Aragno

*Si invitano tutti coloro che ricevono – o conque leggono – questo APPELLO a diffonderlo a loro volta,  a raccogliere adesioni da far prevenire agli indirizzi di posta elettronica sopra indicati.

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Cicerone_3Davide Lebro pretende un posto. Non chiedetemi chi sia, non lo so. Vuole un posto. Per sé o per uno dei suoi, non è chiaro, ma lo vuole. Scrive belle parole in una lettera brutta, ricaccia tutti, se stesso e noi, nel piccolo mondo antico da cui tentiamo di uscire con coraggio e fatica, ma non se ne importa nulla. Lui vuole un posto e ragiona così: io ti ho portato voti e tu devi darmi qualcosa in cambio. Pare un consiglio: stammi a sentire. Quando però sta zitto tu senti ciò che pensa: è meglio per te.
Il requisito fondamentale, scrive, è che sia «una persona di alto profilo, capace, competente e che sappia fare squadra».
Che farà se non ottiene il posto non è dato sapere, così come non si sa «competenti in che cosa» sarebbero Lebro e il suo uomo. Naturalmente l’autocandidato non lo dice, perché lo sa bene: metti che sia un attaccante e c’è posto per un  difensore, poi che fa? Nemmeno questo dice, ma è chiaro: cambierebbe squadra. Dici che è un ricatto? Lebro lascia tutto nel vago: dovremmo credere che stia proponendo un rappresentante dalle «competenze universali», che in genere significano tutto e sono uguali a niente.
Prendi per caso l’idea che dietro ci sia una di quelle operazioni strane, in cui Ciccio parla di Cola e Cola di Ciccio, ma alla fine dietro c’è «Cicero pro domo sua» e ti trovi davanti un esempio di «competenze universali» che fanno venire la pelle d’oca, perché stringi stringi, le competenze del  pretenzioso Lebro sono a dir poco preoccupanti.
Nella sua giovinezza, il punto qualificante è stata la partecipazione alla vita della Federico II. Stai pensando a un ricercatore di fama, a un’eccellenza della didattica, a un pensatore di quelli che fanno pensare? Levatelo dalla testa. Lebro è stato nel Consiglio di Amministrazione dell’università peggio conciata nel mondo. Quanto ci abbia messo di suo non si sa, ma certo non c’è da stare allegri.
Sarà stato un incidente di percorso, riscattato con un lampo di genio nella stagiona adulta, ti dici, perché non ti manca l’ottimismo della ragione, ma la delusione è dietro l’angolo. Diventato adulto, Lembo non si è dimostrato un’aquila e non ha riscattato un bel nulla. Nel suo curricolo, il lampo di genio è un disastro annunciato e l’uscita dal «travaglio che ha segnato la vita dei partiti di centro nel corso degli anni», vuoi sapere qual è stata? Lebro prima è stato «socio fondatore del CDU di Buttiglione ed, in seguito, Segretario amministrativo provinciale e regionale del CCD». Questo è il suo colpo di genio, che se non sbaglio significa Casini Mastella.
Non faccio il sindaco e non sputo sentenze. In una situazione come questa, con la folla di questuanti pronti all’incasso delle cambiali in bianco, immagino occorra prudenza, anche se si poteva forse provare a vincere con qualche voto e qualche Lebro in meno. Sta di fatto che ormai, comunque vada, ci sarà un problema e meglio sarebbe scaricare zavorra al più presto. Hai ragione, però. Per farlo, bisognerebbe avere a sinistra – dentro e fuori il Palazzo – forze attrezzate per una battaglia in cui si riconosca almeno il nemico vero.
Diciamocelo chiaro e fuori dai denti: si sta facendo un lavoro da preti e parrocchiani, per trasformare in vittoria una sconfitta. Lembo è l’avanguardia che annuncia l’attacco. Inutile fingere di non capirlo, è un attacco che occorre fermare. Poi si conquisteranno gli spazi minacciati dai clerico-conservatori. E’ questa la guerra in corso, anche se i nostri generali sparano tutti sulla Croce Rossa.
Così si giunse una volta all’aprile del 1948, quando si si regalò il Paese in mano alla reazione. Non c’era una via di uscita? C’era e nelle loro note riservate i prefetti la temevano molto: il mondo della sinistra schierato tutto assieme attorno a un progetto. Prevalsero invece le divisioni. Il resto lo sanno tutti, ma a quanto pare non interessa a nessuno.

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FucilatiDue parole, prima di segnalare un articolo di Contropiano sulla reazione targata Alfano.
Intanto un invito: dopo aver letto, aderiamo. Faccio da riferimento. Subito dopo una considerazione: bisogna stare uniti, raccogliere forze, soprattutto uscire dalla solita cerchia dei militanti e parlare alla gente. Non siamo di fronte a un fatto eccezionale, purtroppo, questa è la regola nella tradizone dei nostri legislatori. Dall’unità fino a oggi, le peggiori leggi, quelle più liberticide, sono state sempre presentate inizialmente come strumenti di lotta alla criminalità organizzata. La legge Pica si fece per i “briganti” e colpì la sacrosanta protesta del Sud colonizzato. Non c’è stato mai freno, si è giunti a consentire la discrezionalità nell’uso delle armi e non a caso ci siamo tenuti il Codice del fascista Rocco. Qui da noi la civiltà giuridica pare sovversione: non si fa una legge sulla tortura, non si mette un numero identificativo perché sennò non si possono mettere in piazza impuniti mazzieri. Genova insegna.
La Costituzione, per quel tanto che è stata applicata, si è dimostrata un freno alla deriva autoritaria e neofascista. E’ per questo che la si vuole cambiare. Credo che l’occasione offerta dal referendum sia preziosa e non vada persa. In una campagna forte per il no, ci sono sia l’opportunità di inserire il tema della repressione negli argomenti a difesa della Costituzione sempre più ignorata, sia di contattare quanta più gente possibile. Marcella Raiola, valorosa docente precaria che ha combattuto in questi mesi la battaglia per raccogliere firme a sostegno dei referendum sociali, mi diceva ieri che questo obiettivo l’hanno certamente raggiunto con i loro banchetti.
Su questa linea bisogna muoversi, farlo presto, farlo tutti.
Ecco la denuncia dell’USB

http://www.usb.it/index.php?id=1132&tx_ttnews%5Btt_news%5D=89591&cHash=7b75b741d3

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Copia di !cid_PART_1467902187146Ieri assistevo in piazza a una sorta di autentico miracolo: un sindaco appena eletto che ascoltava la voglia di cambiamento di una piazza piena di gente.
Che grande strumento si è ritrovata tra le mani la mia città!
La gente però è stata zitta. Parlavano come sempre, uno dietro l’altro, i piccoli capi del niente. La gente era lì che ascoltava e non era facile credere fino in fondo a quello che si vedeva. E’ uno dei grandi problemi che si nascondono spesso come un’insidia mortale dietro le rivoluzioni, le vere, le finte e quelle metà vere e metà finte. Non ci credevo fino in fondo, perché più sentivo parlare, più capivo che tutti vogliono cambiare tutto, nessuno vuol cambiare se stesso. Hai voglia di mettere in cerchio una piazza senza nessuno al centro. Quella si chiama apparenza e tutto poi resta com’è.
Pensare di cambiare gli altri è facile e non costa niente; riuscire a cambiare se stessi è la cosa più difficile che si possa tentare e nessuno ci pensa. Ognuno ritiene di andare bene com’è e qualcuno non lo dice, ma è convinto: meglio di lui non ce n’è.
E però non le cambi le cose, se prima non metti anzitutto in discussione te stesso.

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gemtileschiQueste sono le conseguenze inevitabili della riforma. Non è facile vedere quello che ho visto ieri al “Gentileschi”. Io c’ero. Mi avevano chiesto di esprimere la mia solidarietà ai lavoratori della scuola in lotta e l’ho fatto. Tutto quello che ho visto e ascoltato mi ha confermato nell’idea che ho fatto bene ad andarci. Da troppo tempo ormai la scuola è sola. Naturalmente non sono in grado di entrare nel merito della vertenza, ma so riconoscere la sofferenza acuta di chi si sente calpestato e da vecchio sindacalista una cosa mi pare evidente: anche se avesse più ragioni che torti e sinceramente non mi pare – un dirigente scolastico dovrebbe chiedersi cosa non ha funzionato nel rapporto con i lavoratori e aprire quindi un dialogo urgente, per cercare ogni possibile mediazione

http://www.napolitime.it/86758-video-liceo-gentileschi-di-napoli-e-rivolta-del-personale-ata-e-dei-docenti-indice-puntato-contro-il-preside-padrone.html

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rivoluzione_o1Caro Daniele, so che sul piano umano ci legano stima, rispetto ed esperienze di lotta lontane di qualche anno, ma vissute assieme, quando ero praticamente l’unico prof. e l’unico vecchio che stava con gli studenti nelle assemblee e nelle piazze. Di quei ragazzi, oggi più o meno adulti, tu, Viola, Giovanni, Diana, Mauro, Eddy, Federica, Luca, Salvatore e Roberto, per me eravate e siete i migliori. Ho seguito le scelte di tutti, senza schierarmi con nessuno. Ai miei occhi siete tutti uguali. Scrivo a te come farei con loro. A voi mi sento unito da sentimenti profondi e credo che, se non altro, anche voi mi riconosciate lealtà e onestà intellettuale.
Non sarò breve, ma non ti annoierò. Esco dal Comitato di lotta per la salute mentale. Ci passerò davanti per il tempo che ho da vivere, ma tirerò diritto. Poche decine di metri e m’infilerò nell’Archivio di Stato, come faccio da sempre. Qualche volta, passando, ricorderò che lì dentro un tempo aveva sede la fascistissima Opera Nazionale Maternità e Infanzia e un “Consultorio”: promesse di farmaci e cure che non aveva e donne ridotte a sguattere di padri e mariti, buone per soddisfare bisogni sessuali e produrre carne da cannone. Come le persone, anche i luoghi si portano dentro il meglio e il peggio della loro vicenda ed è un conflitto perenne.
Lì, in questi ultimi mesi, la bella storia dei disoccupati organizzati mi è sembrata scontrarsi con i fantasmi di un passato atroce, ma i disoccupati non c’entrano nulla con il Comitato. Me ne sono andato, quando ho capito che lì non si combatte la violenza assassina della psichiatria securitaria, ma si replicano meccanismi di esclusione che producono disagio. Il dissenso e ogni rifiuto di stupide verità di fede lì diventano “tradimento” e il colpevole è trattato secondo modalità impregnate di esclusione: un atto di guerra, che genera sofferenza e si traduce in una maggiore e più grave esclusione. E’ un pericoloso paradosso: chi affonda il coltello pretende di curare il dolore della ferita.
Io penso che tutto ci insegni qualcosa e oggi capisco meglio il senso di una storia che nessuno racconta più: quella dei primi socialisti napoletani che ruppero con la liturgia del “muro contro muro” e con la bibbia rivoluzionaria e per la prima volta nella storia della città portarono militanti operai a Palazzo San Giacomo. Anche allora i “puri e duri” gridarono allo scandalo; qualcuno passò per “traditore” e qualche altro fu minacciato o aggredito da chi è sempre più rivoluzionario di tutti e sta nell’ombra, in attesa di un passo falso, pronto a sputare sentenze: io ve l’avevo detto! Quei socialisti aprirono una stagione di crescita collettiva; sindacato, partito, coscienza di classe e sciopero contro il nemico di sempre: la disoccupazione. Fino a qualche decennio fa, al cimitero degli uomini illustri, ogni tanto qualche vecchio operaio lasciava sulla tomba di Arturo Labriola, pro sindaco di Napoli per una breve stagione e Ministro del Lavoro con Giolitti, un piccolo foglio con su scritto: “Grazie”. Il “traditore” Labriola, il figlio di quella stagione felice in cui capimmo che la politica è soprattutto costruzione di alternative che ci chiedono di sporcarci le mani, metterci la faccia, l’anima e il corpo per spostare tutto dalla nostra parte, Labriola assicurò una pensione agli invalidi di guerra. Erano più di mezzo milione. Certo, talvolta sbagliò, ma tu lo sai bene: chi fa può sbagliare, ma chi se ne sta fuori, tanto sa già come finisce, chi tace quando va bene e si prende i vantaggi, però se va male punta il dito, quello sbaglia di certo. E sbaglia più di tutti.
Me ne sono andato dal Comitato di lotta con l’etichetta del “traditore” e poiché non sto al gioco, rompo con consuetudini omertose e porto fuori dal Comitato calunnie, menzogne e minacce. C’è un treno che passa. Porta con sé speranze di cambiamento e non voglio prenderlo. Voglio stare con voi, ragazze e ragazzi, che siete cresciuti e state dando una grande prova di maturità, tutti, nessuno escluso. Io non credo che voi siate “ignari della vostra triste ignoranza”, come pensa il Comitato che lascio.
A Napoli da un po’ c’è un Osservatorio sulla Salute Mentale, preziosa risorsa per la difesa di diritti negati e la tutela di gente che soffre. Finora non ha funzionato; lo hanno impedito alcuni sedicenti rivoluzionari, per ragioni che non hanno nulla da spartire con la rivoluzione. Abbi pazienza e stammi a sentire.
Alla fine del 2014, il Comitato di lotta per la salute mentale mi chiese di parlare con il sindaco, per ricordargli una pratica aperta: quella dell’Osservatorio per la salute mentale di cui s’erano perse le tracce. A me questi problemi stanno a cuore, perché mia madre ha subito elettrochoc e ricoveri coatti e anche io ho avuto problemi, perciò accettai e mi sembrò chiaro: se ti rivolgi a un sindaco, sai di parlare con un esponente delle Istituzioni. Potrai avere il massimo dell’autonomia, ma questo la sai. Si può fare in altro modo? Certo. C’è sempre una via alternativa, ma è chiaro che nessuno avrebbe riconosciuto un organismo senza un ruolo istituzionale. Ne parlai più volte con De Magistris e con me sono venuti anche componenti del Comitato; il sindaco riconobbe l’utilità dell’iniziativa e fece la sua parte. Nacque così un organismo composto da militanti designati dal Comitato, che sono però nominati formalmente dal sindaco. Non ci sono mai entrato, ma lo ritengo patrimonio di tutti, prezioso per aiutare chi soffre: può chiedere dati sui ricoveri, entrare nelle strutture dove si bada – o si dovrebbe badare – alla salute mentale, osservare e denunciare irregolarità e maltrattamenti. Un organismo istituzionale, certo, ma autonomo, perché la controparte non è il Comune. Il sindaco, infatti è garante della salute dei cittadini, ma le scelte politiche e la gestione delle strutture sono competenza della Regione e delle ASL.
Ottenuta la delibera, sono cominciate le polemiche perché l’Amministrazione non ha ancora provveduto per una sede. Il Comune ha offerto un locale a Sant’Eligio, ma ci vogliono parecchi soldi per ristrutturarlo. Una sistemazione dignitosa in un centro sociale non interessa al Comitato che, però, a ridosso delle elezioni, ha manifestato all’esterno della sede di Sant’Eligio, attaccando il sindaco. Sono mesi che un’arma aguzza, forte del lasciapassare necessariamente istituzionale, invece di mirare alla Regione e all’ASL, è puntata contro il Comune che l’ha fatta nascere e si perde in chiacchiere e polemiche senza capo né coda. Durante la campagna elettorale, un membro del Comitato ha fatto circolare feroci attacchi al sindaco. La guerriglia in atto, che ufficialmente si fa in difesa di un’autonomia mai negata, non ha senso.
Lo scontro frontale è nato per un protocollo d’intesa tra Comune, Tribunale dei minori e Vigili Urbani, che riguardava i ricoveri coatti. Era un pessimo protocollo e l’Osservatorio lo ha contestato. Anche stavolta mi è stato chiesto di contattare il sindaco per una riunione con lui e con l’Assessore Gaeta. L’Amministrazione è stata chiara: avete ragione, ma noi non siamo psichiatri e non sappiamo farne uno migliore; fatelo voi un testo che Tribunale e Vigili possano firmare. Si è scelto di fare così. Il Comitato si è impegnato, nessuno ha fatto obiezioni, nessuno ha contestato, ma nessuno ha riscritto il protocollo. Purtroppo la contraddizione non si risolve: o stai fuori delle Istituzioni – e sai di non poterlo fare – o stai dentro e fai un lavoro politico, come hai concordato. Tertium non datur. Viene la volta nella vita che devi decidere cosa vuoi fare da grande. Poiché la contraddizione è di quelle paralizzanti, tutto si è fermato. Questo comportamento irresponsabile avrà una sola conseguenza: il protocollo passerà com’è e i pazienti pagheranno i capricci di un Comitato che non sa cosa vuole. Da un po’ i colpevoli di questo immobilismo sono stati individuati: siamo due, chi scrive e Raffaele Di Francia, i «complici» di De Magistris.
Credo che ora tu possa capire il senso delle lettere che potrai leggere qui, dopo questa premessa. La prima è di Adriano Coluccia che se la prende con chi non va più al Comitato, poi ce n’è una di De Notaris che è lunghissima. Ne ho estratto il cuore fangoso. Il resto è degno di un rivoluzionario universitario che non vuole avere a che fare con nessuna Istituzione, tranne l’università. Quella più istituzionalizzante. Se vuoi, la trovi cliccando su un link in coda a questa lettera. Io lo ringrazio per l’inatteso regalo: non mi considera “compagno”. Mi preoccuperei del contrario e poiché mi chiede di uscire da un’ombra che lui solo conosce, porto all’unica luce possibile ciò che finora è stato chiuso in un circuito chiuso. Ognuno ha la sua storia. La mia la tengo per me, ma per quanto riguarda il presente, che manda su tutte le furie un rivoluzionario da operetta che mi definisce “agente del partito De Magistris”, dico solo che ho rifiutato candidature e un ruolo. Era presente Michele Franco e può confermare. Da due anni non ho tempo per me stesso; di tempo me ne resta poco e non riesco a terminare un libro che sto scrivendo. Credo che Napoli sia di fronte a un’occasione storica di cambiamento e ho fatto quanto potevo per aprire un dialogo tra sindaco e movimenti, ma ho agito alla luce del sole. Se ho sbagliato, sarò il primo a dolermene, ma non ho chiesto nulla a nessuno, come sempre nella mia vita.
Ora sì, ora puoi leggere le lettere che seguono. Poiché tieni alla dignità, capirai di che si parla.
Un abbraccio.
Geppino Aragno

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From: Adriano Coluccia
To:
Sent: Tuesday, June 21, 2016 11:58 AM
Subject: convocazione assemblea osservatorio
Anche io sono perfettamente d’accordo. Ma c’è solo un dubbio: perché nessuno si è espresso subito sulla mia di martedì 14 giugno e su quella di enrico immediatamente dopo. Credo della fine del comitato di lotta per la salute mentale non se ne fotti nessuno (in generale….)!!
Adriano Coluccia

From: Giuseppe Aragno
To:
Sent: Tuesday, June 21, 2016 6:11 PM
Subject: Re: convocazione assemblea osservatorio
Non sono entrato per caso nel Comitato: mia madre era “pazza” e per ben due volte, nonostante le mie convinzioni, ho voluto il suo ricovero coatto. Sono scelte dolorose, forse sbagliate, ma ero stremato e temevo di essere travolto. Voi però lo sapete: queste cose ti segnano e se capitano in momenti di particolare difficoltà non reggi. E’ toccato così anche a me stare male. Nessun ricovero, per fortuna, ma un piccolo calvario sì. La mia salute mentale non è di ferro, i momenti difficili ogni tanto tornano e li devo affrontare.
Nel Comitato pensavo di poter aiutare chi soffre, invece paradossalmente mi sono fatto male e ho sofferto io; anche questa mail non mi fa bene scriverla, ma vi dico quello che penso: se la lotta smette di essere strumento e diventa inconsapevole fine, c’è il rischio che a volte il “nemico” uno se lo inventa. Quando si scrive che del Comitato di lotta non se ne fotte nessuno, un nemico alla fine si è trovato. Qualcuno dirà che non è vero, qualche altro, come sto facendo io, risponderà per spiegare le sue ragioni, ci si dividerà – sei stato tu, no, è stato lui – e il Comitato “lotterà”. Anche quella che da mesi si fa tra compagni del Comitato è una lotta. Sorda, nascosta, negata, ma lotta.
Sono tra quelli che non si esprimono da tempo. La data non me la ricordo, ma il momento in cui ho deciso di stare zitto, quello sì, quello me lo ricordo bene. Era una sera di alcuni mesi fa a Piazza Municipio, dopo un confronto col sindaco e la Gaeta. Durante la riunione, avevo proposto che fosse l’Osservatorio a scrivere un protocollo che a noi non andava giù e l’assessore ammetteva di non saper scrivere. Quando ce ne andammo, i compagni avevano tanta fretta, che mi piantarono in asso nella piazza e se ne andarono senza salutare. Furono generosi, no? E’ il minimo che dei rivoluzionari possano fare a chi contratta con le Istituzioni. Questo peccato io l’ho commesso, lo confesso, ma non mi presento a Canossa con la testa cosparsa di cenere, non chiedo l’assoluzione e non faccio penitenza. Quella sera a me venne in mente il momento della mia vita in cui sono finito al tappeto, quando i lavoratori andavano al macello e, per vincere le lotte – non le loro, di quelle non s’interessava quasi più nessuno – per vincere le lotte interne alla CGIL, non si trovava di meglio che isolate dirigenti e distruggere rapporti umani. Oggi uno dei miei limiti è questo: se si tratta di lottare contro qualcuno che considero davvero un nemico, le mie paure non resuscitano. Una incomprensibile battaglia tra compagni, invece, le richiama in vita, soprattutto se prima è condotta nell’ombra e fatalmente divide, poi, quando non c’è più rimedio, si sceglie di mettere sulle spalle degli altri la responsabilità delle inevitabili conseguenze.
Volete leggere i silenzi come disinteresse? Va bene. Non nego, non fuggo, non rimando. Più semplicemente lo dico chiaro: non m’interessa, anzi, me ne fotto di un Comitato di lotta che, per quanto mi riguarda, ha lottato solo contro la mia salute mentale. Mi spiace, non è eroico, ma è l’unico modo che ho per difendermi dai miei fantasmi che tornano. Ve l’ho detto e ve lo ripeto: a me le azioni scelte in ambito non assembleare fanno male, perché mi dicono che c’è chi ha ridotto il nostro sforzo collettivo a strumento di lotta di gruppi interni al Comitato. Non finisce mai bene. E’ un’esperienza che ho già fatto, mi è costata molto, l’ho pagata cara e non intendo ripeterla.
Mi sono “pronunciato”. Questa è la mia decisione. Unilaterale? Sbagliata? Infondata? Pazienza. Ognuno ha i suoi limiti. Io riconosco i miei e li dichiaro apertamente, perciò sono certo che capirete, se vi chiedo di tenermi fuori dalle vostre discussioni.
Se e quando capiterà, ci vedremo a un presidio o a una manifestazione.
Cari saluti.
Geppino

From: Enrico De Notaris
To:
Sent: Wednesday, June 22, 2016 3:56 PM
Subject: Re: convocazione urgente assemblea
Ho letto con amara compassione la mail di Aragno e ne sono rimasto spiacevolmente colpito, oltre che allarmato […]; ritengo che nessuno dei “nemici” sia pagato dalla CIA […] purtroppo temo si tratti di vicende umane di altra natura. E ben più misera.[…] Aragno […] non ti è mai stato chiesto di contattare a nome nostro l’istituzione, se lo hai fatto come ammetti nella tua mail, ritengo per esclusione che tu l’abbia fatto per tua scelta, non so ovviamente a quale scopo ma questa volta “me ne fotto” altamente io dei tuoi scopi nella circostanza.
E siccome però mi dicono che sei un “compagno” ti ribadisco che, per l’importanza che attribuisco a questa parola (perdonami ma non mi sento di considerarti tale) per me, poiché come te non amo le decisioni prese nell’ombra della non conoscenza ed ignorandone lo scopo, tu hai agito nell’ombra.
[…] Rassicurati Aragno, non ti tiri fuori dalle nostre discussioni per il semplice fatto che, con tutta evidenza, non ci sei mai entrato; ma queste mie riflessioni non le considerare come il volerti tener dentro a qualche cosa, non ti angustiare, anche noi, dopo questa mail, ti terremo fuori dalle nostre discussioni, siine certo.
Enrico De Notaris.

From: Teresa Capacchione
To:
Sent: Friday, June 24, 2016 3:51 PM
Subject: Re: [Nuovamente-listainterna] convocazione urgente assemblea
Caro Enrico,
condivido molte delle cose che hai scritto nella tua mail. […] Su una cosa però dissento. Giuseppe Aragno si offrì di contattare De Magistris, quando della delibera dell’osservatorio si erano perse le tracce, su nostra richiesta. E questo è avvenuto più di una volta. Non ritengo che egli abbia interessi personali in questa vicenda, tant’è che non ha mai chiesto di entrare nell’osservatorio, e fummo noi piuttosto a pensare che potesse divenirne parte attiva. Non voglio entrare nel merito di questioni che dovrebbe essere lo stesso Aragno a chiarire, ma per amore di verità sentivo di dover intervenire su questo punto.
Teresa

From: Adriano Coluccia
To:
Sent: Friday, June 24, 2016 11:50 PM
Subject: [Nuovamente-listainterna] FINITELA DI FARE GLI STRONZI!!!
Adesso basta. è il colmo. finitela voi AGENTI DEL PARTITO DE MAGISTRIS. ve la volete vedere con me? sono ADRIANO COLUCCIA militante comunista rivoluzionario. non ho mai, dico mai parteggiato per le istituzioni. voi rinnegati di classe sotto mentite spoglie di un sociale antagonista meriterete la fine che farete solo quando finalmente LA CLASSE PROLETARIA farà il suo bagno di sangue. tu professore non nasconderti dietro i giovani ignari della loro triste ignoranza…e tu falso familiare in sofferenza ricordati solo del “DOPO DI NOI” e cioè di tuo figlio!!!
La nostra crisi finalmente svela il ruolo di chi non sta dalla parte delle masse anche se esse sono dormienti, drogate proprio da voi AGENTI DEL PARTITO DE MAGISTRIS. la cosa finirà, siamo alla stretta finale: il movimento anche se contraddittoriamente verrà finalmente sotto i palazzi del potere: e voi da che parte starete in quel momento? finitela…il COMITATO è BANCHI NUOVI: MISURATEVI CON NOI allora e poi si vedrà. INTESI? siete merda e come merda sarete spiaccicati. nell’ora in cui le cambiali e i nodi verranno al pettine, la vostra FALSA UMILTA’, la vostra tracotanza assetata di potere avrà la giusta risposta!!!

NON CI FATE RIDERE. IATEVENNE. ANDATE ALLA MENSA DEL VOSTRO PADRONE: siete cani e qualche avanzo lo mangerete!!!

ADRIANO COLUCCIA
membro del “Collettivo Banchi Nuovi”.

From: Giuseppe Aragno
To:
Sent: Saturday, June 25, 2016 12:53 AM
Subject: Re: convocazione urgente assemblea
Vi invio, per conoscenza, la mail che oggi ho scritto a Teresa Capacchione.
Due parole al fascista Coluccia: non mi nascondo dietro nessuno. Se uno vuole, mi trova. Se è più grosso e più giovane di me, mi farà male. Pazienza. Coluccia, non mi fai paura.
Ora è tardi e voglio riposare. Domani decido se rendere pubblici i capolavori epistolari tuoi e del tuo amico Enrico, che in ogni caso manderò a tutti i compagni che conosco. Io lo so. Voi siete tre, ma il terzo, quello che manovra gli altri due, se ne sta zitto. E’ il più coraggioso.
Un’ultima cosa: visto che non volete togliermi dalla mailing list, vi metto nello spam, la posta indesiderata, che non leggo.
Da questo momento non esistete più.
Giuseppe Aragno

Cara Teresa,
ti ringrazio per l’intervento. Infine giunge. Doveroso e incredibilmente solo.
Scrivi ciò che tutti sappiamo e nessuno ha avuto il coraggio di dire: “Giuseppe Aragno si offrì di contattare De Magistris, quando della delibera dell’osservatorio si erano perse le tracce, su nostra richiesta. E questo è avvenuto più di una volta”.
C’è una piccola sbavatura: Aragno non si offrì, accettò il vostro ripetuto invito e conserva ancora molti messaggi. Sono dettagli, però. La verità l’hai detta e non c’è altro da chiarire.
Scusami, ma non leggerò nemmeno stavolta la mail di Enrico, che mi fai avere in coda al tuo intervento. A me non interessa ciò che ha scritto. Tu confermi che ha mentito, io aggiungo che sapeva di farlo. Il resto vale quanto la sua credibilità: zero. Questo dovrebbe disgustarti.
Ti lascio due domande:
1) Perché Enrico mente?
2) Perché sta distruggendo il Comitato e l’Osservatorio?
La risposta è scritta chiara nelle mail del Comitato, ma è Enrico che deve dartela. Enrico, sì, prima di fare le valigie, come chiunque al suo posto. In quanto a me, lascio perdere le considerazioni, che pure mi sembrano necessarie, su provocatori e violenza di psichiatri.
Cari saluti.
Geppino

Ho letto con amara compassione la mail di Aragno

CantoLibreContropiano, 3 luglio 2016

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