Davide Lebro pretende un posto. Non chiedetemi chi sia, non lo so. Vuole un posto. Per sé o per uno dei suoi, non è chiaro, ma lo vuole. Scrive belle parole in una lettera brutta, ricaccia tutti, se stesso e noi, nel piccolo mondo antico da cui tentiamo di uscire con coraggio e fatica, ma non se ne importa nulla. Lui vuole un posto e ragiona così: io ti ho portato voti e tu devi darmi qualcosa in cambio. Pare un consiglio: stammi a sentire. Quando però sta zitto tu senti ciò che pensa: è meglio per te.
Il requisito fondamentale, scrive, è che sia «una persona di alto profilo, capace, competente e che sappia fare squadra».
Che farà se non ottiene il posto non è dato sapere, così come non si sa «competenti in che cosa» sarebbero Lebro e il suo uomo. Naturalmente l’autocandidato non lo dice, perché lo sa bene: metti che sia un attaccante e c’è posto per un difensore, poi che fa? Nemmeno questo dice, ma è chiaro: cambierebbe squadra. Dici che è un ricatto? Lebro lascia tutto nel vago: dovremmo credere che stia proponendo un rappresentante dalle «competenze universali», che in genere significano tutto e sono uguali a niente.
Prendi per caso l’idea che dietro ci sia una di quelle operazioni strane, in cui Ciccio parla di Cola e Cola di Ciccio, ma alla fine dietro c’è «Cicero pro domo sua» e ti trovi davanti un esempio di «competenze universali» che fanno venire la pelle d’oca, perché stringi stringi, le competenze del pretenzioso Lebro sono a dir poco preoccupanti.
Nella sua giovinezza, il punto qualificante è stata la partecipazione alla vita della Federico II. Stai pensando a un ricercatore di fama, a un’eccellenza della didattica, a un pensatore di quelli che fanno pensare? Levatelo dalla testa. Lebro è stato nel Consiglio di Amministrazione dell’università peggio conciata nel mondo. Quanto ci abbia messo di suo non si sa, ma certo non c’è da stare allegri.
Sarà stato un incidente di percorso, riscattato con un lampo di genio nella stagiona adulta, ti dici, perché non ti manca l’ottimismo della ragione, ma la delusione è dietro l’angolo. Diventato adulto, Lembo non si è dimostrato un’aquila e non ha riscattato un bel nulla. Nel suo curricolo, il lampo di genio è un disastro annunciato e l’uscita dal «travaglio che ha segnato la vita dei partiti di centro nel corso degli anni», vuoi sapere qual è stata? Lebro prima è stato «socio fondatore del CDU di Buttiglione ed, in seguito, Segretario amministrativo provinciale e regionale del CCD». Questo è il suo colpo di genio, che se non sbaglio significa Casini Mastella.
Non faccio il sindaco e non sputo sentenze. In una situazione come questa, con la folla di questuanti pronti all’incasso delle cambiali in bianco, immagino occorra prudenza, anche se si poteva forse provare a vincere con qualche voto e qualche Lebro in meno. Sta di fatto che ormai, comunque vada, ci sarà un problema e meglio sarebbe scaricare zavorra al più presto. Hai ragione, però. Per farlo, bisognerebbe avere a sinistra – dentro e fuori il Palazzo – forze attrezzate per una battaglia in cui si riconosca almeno il nemico vero.
Diciamocelo chiaro e fuori dai denti: si sta facendo un lavoro da preti e parrocchiani, per trasformare in vittoria una sconfitta. Lembo è l’avanguardia che annuncia l’attacco. Inutile fingere di non capirlo, è un attacco che occorre fermare. Poi si conquisteranno gli spazi minacciati dai clerico-conservatori. E’ questa la guerra in corso, anche se i nostri generali sparano tutti sulla Croce Rossa.
Così si giunse una volta all’aprile del 1948, quando si si regalò il Paese in mano alla reazione. Non c’era una via di uscita? C’era e nelle loro note riservate i prefetti la temevano molto: il mondo della sinistra schierato tutto assieme attorno a un progetto. Prevalsero invece le divisioni. Il resto lo sanno tutti, ma a quanto pare non interessa a nessuno.
Posts Tagged ‘Casini’
Lebro e le «competenze universali»
Posted in Interventi e riflessioni, tagged 1948, Buttiglione, Casini, CCD, Cicero pro domo sua, Mastella Lebro on 13/07/2016| 3 Comments »
Ma Clini, noi, perché lo paghiamo?
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Alfano, Ambiete, Artico, Berlusconi, Bersani, Casini, Clini, Ghiacci, Ilva, Monti, Napolitano, politica ambientale, Taranto, von Hayek on 28/08/2012| 2 Comments »
Chi può lo avverta, il dottor Clini: le notizie che riguardano il clima sono da choc: “Addio al Polo”, titola oggi “Affari Italiani”. “Entro dieci anni scomparirà il ghiaccio”. Secondo le ultime stime l’Artico potrebbe essere definitivamente sgombero dai ghiacci nel periodo estivo alla fine del XXI secolo, ma estati senza ghiaccio potrebbero verificarsi già entro i prossimi dieci anni”. Non sono chiacchiere da bar. Si tratta di scienziati, quelli veri, non di economisti alla Monti, che si sono inciuchiti, correndo appresso alle pazzie neoliberiste di Friedrich August von Hayek.
Dei poli, del clima, del disastro incombente Clini non sa, o finge di non sapere, com’è accaduto con Taranto, finché un magistrato non l’ha scosso dal suo lungo sonno; non muove un dito, non dice una parola, non prende iniziative politiche, non coinvolge il sedicente governo di cui fa parte. Nulla. A fine mese prende lo stipendio che gli pagano i lavoratori italiani che sta massacrando insieme a Fornero e soci, e se ne sta in panciolle, felice e contento, come se nulla fosse. Chi può, lo avverta: la questione ambientale non c’entra nulla con le bande di speculatori che mettono mano alla tasca e investono per far profitti senza che nessuno gli rompa le scatole con l’inquinamento. E’ precisamente l’opposto.
Chi può, chieda a Clini se lui e il governo di cui fa parte si sono dati una politica ambientale o aspettano che gliela detti l’Ilva. Chi può, per carità, si complimenti con Clini e Monti. In dieci mesi, grazie a Bersani, Casini, Alfano e Napolitano, sono riusciti là dove Berlusconi aveva fallito: hanno finalmente creato il governo dell’azienda Italia che sta sfasciando la Repubblica: aria, acqua, terra e vita umana.
Anche per il suicidio sarà lotta di classe
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Adnkronos, Berlusconi, Bersani, cacciabombradieri, Casini, compagnia di guitti, Costituzione, docenti, Gelmini, Grecia, imposte indirette, Italia, Lucio Magri, Merkell, Monti, Profumo, ricetta anglosassone, Sarkozy, scuola, Tremonti, valutazione on 07/12/2011| Leave a Comment »
Non sa bene di che parli – non è colpa sua e con un po’ d’impegno qualcosa imparerà – tuttavia ne parla. Si limita alle formule della propaganda, ma parla e ogni volta fai fatica a capirlo. L’ultima esternazione la riferisce l’Adnkronos e lascia di stucco: non ci sono soldi per dotare le scuole italiane delle necessarie tecnologie, ha scoperto il neoministro rettore, poi, sibillino ha subito chiosato: “questo non accade solo in Italia“. “Occorrerà chiederle a Sarkozy e alla Merkell, come fa la Grecia“? si son chiesti interdetti i giornalisti, mentre prendevano appunti, pensando alle difficoltà del momento e ai rapporti tesi tra i Paesi europei, ma Profumo non ha consentito riflessioni approfondite e ha continuato deciso, come impone il pugno di ferro nel guanto di velluto o, se preferite, lo stile di questa compagnia di guitti che c’è chi si ostina a chiamare governo. Prima o poi occorrerà ringraziare Berlusconi, Bersani e Casini che fanno il gioco delle tre carte: ieri facevano a gara per distinguersi tra loro in centro, sinistra e destra, oggi cantano a coro le lodi e i peccati “veniali” di un aborto politico che si chiama “salva Italia” e massacra gli italiani. Quelli, s’intende, che da sempre lavorano e pagano. Agli altri garantisce un salvacondotto che grida vendetta: evasori, guerrafondai, speculatori, mercanti d’armi, nullafacenti e mariuoli noti e ignoti, che hanno fatto la storia del debito nel nostro sventurato Paese, sono tutti al sicuro.
Partito a ruota libera, Profumo, ha voluto aggiungere la sua seconda strabiliante scoperta: a scuola “ci sono però ancora sacche di inefficienza da rivedere“. A scuola, naturalmente, perché il mondo da cui proviene – l’accademia – è un modello d’efficienza, efficiente è la classe politica nella quale s’è andato a rifugiare ed efficientissimo il governo di cui fa parte. Un governo che, dopo aver confermato gli ineccepibili tagli di Gelmini e Tremonti, spara a raffica innovative imposte indirette.
Sempre più tecnico e scientifico, ma sempre più fatalmente politico, Profumo ha esposto ieri la sua idea di uscita dalla crisi. Voi pensate che la via maestra per recuperare fondi da utilizzare per il miglioramento tecnologico di quel moribondo che si chiama scuola siano gli investimenti sottratti all’aeronautica militare, pronta a sperperare trenta miliardi in cacciabombardieri per far guerre ripudiate dalla Costituzione? Se lo pesante, sbagliate. Per aiutare la scuola italiana, ha sostenuto serafico il ministro, occorre “reingegnerizzare le risorse per evitare le inefficienze”. Che dice, che vuol dire? E’ presto detto: Occorre “valorizzare i docenti” e per farlo, si sa, bisogna valutarli. Profumo non sa non sa che Gelmini ne ha fatto un cavallo di battaglia e si lancia nell’apologia della sua nuovissima politica: la “valutazione, centrale in ogni processo di cambiamento, non deve essere vista come un atto sanzionatorio nei confronti dei docenti, ma in funzione di un miglioramento della qualità della scuola, tramite prove strutturate e standardizzate, che consentano confronti tra i risultati”.
Forte di questa batteria di luminose amenità, l’uomo di Monti, ha tirato fuori l’inglese. Quando può, lo fa con piacere. Gli studi glielo consentono, king George glielo consiglia e Monti, si sa, pretende il massimo di internazionalismo: quello borghese. Sia stile o sia ceto, la classe è classe e può colpire profondamente la sprovveduta fantasia dei docenti, depressa dal provincialismo della Gelmini. La ricetta anglosassone, insomma, non poteva mancare e il ministro non ha perso tempo: “attraverso la valutazione” ha sostenuto infatti solennemente “le scuole potranno esprimere pienamente la propria autonomia responsabile tramite la trasparenza del proprio operato, in linea con le migliori esperienze internazionali. Questo processo va inserito in un contesto più ampio, che contempli l’intero orizzonte della ‘smart city’, cioè di una città in cui i servizi ai cittadini siano accessibili, trasparenti, condivisi“. Sarà che non tutti sono all’altezza dell’inglese di Profumo, sarà che stiamo andando alla malora, a qualcuno è sembrato di cogliere nelle parole del ministro un novità davvero decisiva. Il caso Magri ha fatto scuola e il Paese si modernizza. Tra i servizi accessibili e condivisi, ai numerosissimi docenti ormai disperati sarà garantito quello “fine vita“. Così hanno letto, alcuni, le promesse del ministro: gli insegnanti si potranno suicidare tranquillamente. Il Miur darà gli indirizzi necessari e avranno persino facoltà di scelta. Il viaggio all’estero, però, sarà a carico degli aspiranti suicidi. Il governo Monti, si sa, assicura tutti i diritti. Il fatto è che, come le risorse, anche i diritti sono tutti all’estero. E’ consentito accedervi, certo, siamo in democrazia, ma occorrerà pagarsi il viaggio. Anche per il suicidio, sarà lotta di classe.
Tremonti e compagni: il suicidio è di massa
Posted in Interventi e riflessioni, tagged "giovani indignati", Alì, Armando Diaz, Asburgo, attacco alla cultura, Berlusconi, berlusconismo, Bersani, Bologna, Bossi, Canal di Sicilia, Carlo Galli, Casini, D'Alema, Fini, Fuoriregistro, Garagnani, Gasparri, Gelmini, La Russa, Lampedusa, leggi razziali, Madrid, Maroni, Merola, Milano, Napoli, Napolitano, NordAfrica, primavera della storia, Puerta del Sol, rivoluzione dei ciclamini, scuole, segregazionismo, Tremonti, Turco, università, Veltroni, vento del Nord, Vittorio Veneto on 20/05/2011| Leave a Comment »
Quando lo capiranno sarà tardi. E’ un territorio vasto e incontrollato. Naufragano tra gli scogli di Lampedusa, il Canal di Sicilia e le aule delle scuole e delle università di tutto il Paese. Li batte la cultura e non lo sanno. E’ la storia già scritta che decide, i fatti già avvenuti e i crimini consumati, contro i quali non c’è forza che tenga. Berlusconi, Bossi, La Russa, Gasparri, Tremonti, D’Alema, Veltroni, Casini. Non si tratta solo della paccottiglia plastificata del berlusconismo. E’ un suicidio di massa. Muore di leggi razziali l’abbozzo di genocidio tentato da Maroni, si spegne per rigetto il segregazionismo di Fini, Turco e Napolitano. Cede di schianto la pretesa che una banda di mercanti formi un Parlamento, che la libera coscienza dei popoli si sottometta agli interessi di un potere che pretende di decidere persino sulla vita e sulla morte.
Se ne sono sentite tante in questi giorni, che non ci sono dubbi. La partita contro la cultura e la formazione, aperta dai tagli di Gelmini e Tremonti è stata la Waterloo di un regime fondato sull’ignoranza. Carlo Galli, politologo e “opinionista” di quelli che vanno per la maggiore, ha sputato, nel consenziente silenzio degli “intellettuali” presenti la storica sentenza: “è il vento del Nord che si leva a Milano, là dove cominciò la Resistenza“! Una bestialità che fa il pari solo con la miseria morale e l’ignoranza mostrate in Emilia dal prof. Tremonti: “Quando sono venuto a Bologna tempo fa mi hanno detto che c’erano state le primarie e che aveva vinto Merola. Pensavo di essere a Napoli e invece ero a Bologna. Se continua così, a Bologna, il prossimo sindaco si chiamerà Alì. E i babà se li porterà via Merola“.
Ovunque nel Paese, tra scuola e università, l’attacco alla cultura urta contro focolai di resistenza e in cattedra ci sono ancora professori antifascisti che, per nulla intimoriti da Bossi, Garagnani e i minacciati provvedimenti fascio-leghisti, ricordano ai giovani il valore della libertà conquistata sui monti partigiani. A Napoli, che ha così risposto a Tremonti, alle amministrative hanno perso assieme Berlusconi e Bersani e, comunque vada, emerge la dignità della gente libera. Fu un napoletano di cui Tremonti ignora persino l’esistenza, Armando Diaz, a decretare la fine degli Asburgo: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo – affermò dopo Vittorio Veneto – risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Era ed è antica e immutabile legge: quando un potere non ha più funzione storica, non c’è forza che tenga. E’ per questo che la vittoria del “napoletano” Merola, a Bologna, fa di Tremonti il simbolo d’un regime che implode. E così lo consegna alla storia: tragicomica marionetta dai fili spezzati.
In Spagna, intanto, a Madrid, i “giovani indignati” occupano la Puerta del Sol e la rivoluzione del Nord Africa sbarca in Europa. Ciclamini, minimizzano pennivendoli e burattini, ma sono terrorizzati. Potrebbe essere una nuova primavera della storia. Fosse così, e tutto induce a sperare, c’è da giurarci: presto i giovani vorranno saldare i conti.
Uscito su “Fuoriregistro” il 19 maggio 2011.
Berlusconi: lo scoglio, nauseato, non vuole la cozza
Posted in Interventi e riflessioni, tagged "Dante Alighieri", Allah, angeli, arcangeli, augh, beati, Berlusconi, Bersani, Brunetta, Bruto, Buddha, Capezzone, Carfagna, Casini, Cassio, Cesare Augusto, Cicchitto, Confucio, fannullone, Feltri, Fini, forzisti, Gelmini, Giulio Cesare, inferno, Leghisti, manitù, Marc'Antonio, miniduce, Napolitano, Padania, paradiso, Pdreterno, Plasil, Sacconi, San Gennaro, San Tommaso, Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, santi, sciopero generale, Trinità, vomito on 14/08/2010| Leave a Comment »
C’è puzza di bruciato: Leghisti e forzisti rispondono a Napolitano a muso duro perché hanno paura, sono terrorizzati e un animale impaurito è molto pericoloso. Per carità, intendiamoci. Nessuno s’illude che Bersani, Fini e Casini siano diventati d’un tratto seri statisti. Il fatto è che la stragrande maggioranza della gente, costretta ad affrontare una crisi economica senza precedenti, non regge più Cicchitto Capezzone, Feltri e compagnia cantante. Non è una questione politica, che pure sarebbe sacrosanta. Forse è peggio. E’ un problema di stomaco: il vomito è continuo, inarrestabile e resiste anche al classico Plasil. Nella sinistra che non c’è, in quell’ectoplasma di irresponsabili che ora si definiscono “area della responsabilità”, credono in pochi, ma la banda di puttanieri, mignotte, mariuoli e pennivendoli che minaccia la piazza ha disgustato poveri e ricchi, cristiani, musulmani e persino domineddio, che non vuole aver nulla a che spartire con una sorta di aborto che non avrebbe voluto creare. Putroppo anche un padreterno può sbagliare: l’aborto gli è sfuggito di mano e lo sputtana nei consessi celesti, tra divinità e profeti. Siamo al punto che Buddha, Confucio e Allah non gli rivolgono più nemmeno la parola e Manitù, sdeganto, dopo tre “augh“, s’è ritirato infuriato tra i bisonti. In paradiso è crisi di regime: il padre contro il figlio, lo spirito, non più santo, contro padre e figlio. Pare che Sant’Ambrogio rifiuti la cittadinnaza della Padania e San Gennaro minacci di sospendere il celebre miracolo. E c’è pure chi teme un golpe di San Pietro.
Il padreterno, mormorano i santi, è un modello perfetto di “fannullone” brunettiano. Se nella sola settimana di lavoro vero che ha vissuto in tutta sua eterna vita di creatore non avesse scelto il sabato fascista – “il settimo giorno riposò” dicono le scritture – avrebbe avuto tempo per riparare i guasti e oggi non sarebbe il disastro. Figlio di quel malaccorto riposo, giurano con filosofiche ragioni Agostino e Tommaso, sono senza dubbio Bossi, Maroni e la Padania razzista e sconsacrata. Fosse stato attento, li avrebbe certamente fulminati. E non è tutto. Figli naturali del suo divino fannullonismo, mormorano angeli, arcangeli, santi e beati, sono Brunetta, Gelmini, Sacconi e la Carfagna e ognuno si lagna. In quel fatidico “settimo giorno” vissuto da scioperato, il Signore Celeste ha dato vita più o meno eterna al venditore di tappeti alloggiato nel miniparadiso di Arcore. Stanco senza ragione – un vero sfaticato, sostiene il demonio che è molto interessato alla faccenda – per godersi l’eterno riposo del “settimo giorno”, quando la morte, sua figlia prediletta, gli ha portato finito il verde Bossi, ha dovuto mollarlo: il padreterno non aveva voglia di giudicarlo e il diavolo se l’è visto sfuggire dalle grinfie. Com’è naturale, l’inferno è in sciopero generale e qui a terra siamo a questo: mancano all’Italia – nel delirio del riposo non li ha messi al mondo – personaggi irrinunciabili. E’ incredibile, si trova tutto, anche se costa un occhio della testa, non viene fuori un Cassio nemmeno se lo cerchi col lanternino e non trovi Bruto neanche a pagarlo a peso d’oro. Li avesse creati, potrebbero coronare il sogno di Berlusconi: avere finalmente qualcosa in comune con Giulio Cesare. Allora sì, allora i nostri tempi sarebbero degni della grande storia romana e il miniduce potrebbe stare alla pari col grande Cesare almeno in una cosa: le classiche trentatre pugnalate finali. Voi ve li immaginate Capezzone e Cicchitto nei panni di Ottaviano e Marco Antonio?
Il padreterno però s’è riposato e l’Italia rimane purtroppo quella che Dante conosceva bene: “Non donna di provincie ma bordello”.
Scuola d’ignoranza
Posted in Interventi e riflessioni, tagged anni di piombo, Antonio Labriola, Berlusconi, Bersani, bestiame votante, Casini, complotto, democrazia autoritaria, Fini, Giovanni Gentile, giustizialismo, grande vecchio, ipergarantismo, Maria Pia Garavaglia, meritocrazia, Riforma Gelmini, riforma Gentile on 06/02/2010| 1 Comment »
Come ogni regime, anche la nascente “democrazia autoritaria” è alle prese con la costruzione del consenso e il tema vitale della gestione dell’informazione. Al confronto, tuttavia, occorre dirlo, il “fascismo classico” ebbe un compito tutto sommato semplice: imbavagliare socialisti, anarchici e comunisti e piegare gli strumenti della comunicazione di massa al ferreo controllo dell’apparato. E’ vero, inizialmente ci fu anche una contrapposizione fra la maschera “legalitaria” del “mussolinismo” e lo squadrismo “rivoluzionario” e “movimentista“, ma la frattura fu presto composta e, in ogni caso, non si trattò di una questione “strutturale”. L’esistenza del regime e il suo volto “ufficiale” non furono mai strettamente legati all’esistenza formale di una vera opposizione istituzionale. Oggi, le cose non stanno così. Su temi marginali il sistema politico ha tutto l’interesse a far passare per “visione alternativa” le periodiche convulsioni dipietriste, le contorsioni autonomistiche di Casini, il “dissenso” sterile su questioni di principio, astratte e senza prospettiva politica, di cui si fa portavoce Gianfranco Fini e, ciò che più conta, le chiusure formali e le sostanziali aperture di Bersani: è il volto “democratico” di un sistema che usa come un volgare “specchietto per le allodole” il polverone levato ad arte nei “salotti televisivi“, per “coprire” così la natura reazionaria di provvedimenti politici che riscrivono nei fatti le regole del gioco, Senza il respiro “democratico” di un’opposizione di facciata, il rovescio autoritario del “sistema” verrebbe allo scoperto e prima o poi un campanello d’allarme agiterebbe le acque della palude qualunquista puntualmente divisa in “colpevolisti” e “innocentisti” sull’immancabile caso di cronaca nera, sulle indecenti vicende personali di questo o quel personaggio politico, sull’insolubile dilemma tra il giustizialismo forcaiolo e l’ipergarantismo, sulla sorte di una magistratura storicamente legata ai giochi di potere, sull’eterno complotto che assolve o condanna Craxi, spiega senza spiegare gli “anni di piombo” e cerca perennemente il “grande vecchio” che tiene i fili della tela segreta che, da Cavour a Berlusconi, fa la storia d’Italia e la fortuna del pennivendolo di turno. E’ un gioco di prestigio: chi ne ha piange tutte le lacrime per il tempo andato e non bada alla tragedia del presente, da cui si sente fuori, tratto ad arte lontano dalla forza schiacciante della disinformazione.
Il caso Scuola/Gelmini – o forse meglio la riduzione in servitù della scuola pubblica in un Paese che mostra sempre più chiari i sintomi dell’asfissia – ha, in questo senso un valore emblematico. Se si fa eccezione per gli “addetti ai lavori“, messi però sistematicamente a tacere ovunque si parli di formazione, i sedicenti leaders politici, gli immancabili esperti, i tuttologi, i velinari e i maestri della disinformazione sono tutti sintonizzati su un’unica lunghezza d’onda: il nodo cruciale della discussione è, di fatto, il filosofo fascista Giovanni Gentile.
Se il paragone stia in piedi, non interessa a nessuno. Se il gelminiano “più matematica, più scienze e più lingue straniere” abbia qualcosa a che vedere col filosofo che riconduce a unità nella coscienza spirito e natura, è problema del tutto secondario. La verità è una, categorica, imperativa e non si discute: la “rivoluzione didattica” del giovane avvocato, che riduce a una questione quantitativa il tema cruciale della “formazione” – “gli studenti italiani sono quelli che passano più tempo in aula con i risultati più scarsi” – basta e avanza perché gli “autoritari” vantino il loro primato – è la prima riforma organica dopo Gentile – e i sedicenti “democratici” insorgano quasi in difesa del teorico del fascismo: “è una riforma Gentile in versione ridotta“, urla scandalizzata Maria Pia Garavaglia, che non contenta aggiunge: “avesse anche solo la quarta parte dell’impianto gentiliano, la riforma Gelmini avrebbe già centrato l’obiettivo“.
Novant’anni dopo – Gentile sorriderebbe – il Parlamento d’una repubblica costruita sul rifiuto della sua dottrina finge d’accapigliarsi sul tema della formazione, ma condivide in ogni suo settore la concezione di una scuola che chiama “meritocrazia” il principio della selezione di classe e impone ai cittadini il possesso di una concezione religiosa. E non serve dirlo: quella cattolica, che è la religione delle classi dominanti.
Garavaglia non se n’è accorta, Gelmini non è in grado di cogliere – parlano per lei i consiglieri papalini e la sinistra neocodina – ma la “democrazia” condivide ora col fascismo un disprezzo profondo per i principi della pedagogia e una sottovalutazione ottusa degli aspetti psicologici dell’insegnamento. Partendo dal ruolo “centrale” del “maestro” tornato non a caso “unico“, si è passati per la “sottomissione” dello studente attraverso il “cinque in condotta” e si approda infine alla religione dei contenuti, al predominio della nozione, alla manomissione e alla confusione tra discipline e materie. Rimane sullo sfondo, non detto, ma più pericoloso dei “tagli” e, se possibile, più insidioso della privatizzazione strisciante, l’attacco alla formazione del cittadino e della sua coscienza critica. Quella che si disegna è una fabbrica di disciplinati soldatini del capitale, la produzione in serie di quel “bestiame votante“, per usare le parole di Antonio Labriola, che è pronto a servire un governo autoritario seguendo stupidamente tutti i precetti della democrazia borghese.
Uscito su “Fuoriregistro” il 6 febbraio 2010