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Archive for settembre 2012

La statalistica è scienza e guai a dubitare: il Paese nell’insieme è fatto ormai di “montiani di ferro” e montiana è la stampa che conta. Non si perde occasione per cantarne le lodi. Pochi giorni fa, dopo il lamento d’obbligo sulla nostra scarsa dimestichezza con la lingua inglese, politologi d’ogni colore, editorialisti e osservatori politici sono andati tutti in brodo di giuggiole, perché Monti ha deciso di “invertire la tendenza” e, invece d’investire sulla scuola per potenziare l’insegnamento delle lingue, ha segnato sul calendario della nostra vita politica un nuovo insuperabile record. La svolta è epocale, s’è detto: per la prima volta nella storia degli esecutivi italiani, sul sito web istituzionale è apparso un comunicato stampa nella lingua di quella che fu la “perfida Albione”. Chiunque si prenda la briga di dare uno sguardo rimane stupito: il titolo della prima informativa nella lingua imperiale è affascinante: Italian economy picks up in 2013; structural balance remains on track. Una musica deliziosa per timpani educati. C’è della poesia in questo governo tecnico e davvero non si può negarlo: Monti ha avviato una rivoluzione, anche se, da buon moderato, s’è limitato per ora all’inesplorato campo linguistico.

Come musulmani giunti alla Mecca, in una sorta di trance, i “supermariani” si sono affrettati a spiegarci col solito tempismo che quel comunicato tecnico di due pagine web, pieno zeppo di dati esposti con perizia grammaticale e un lessico di livello superiore, è figlio di una accorta strategia: fornire messaggi subito comprensibili e, ciò che più conta, rassicuranti per gli immancabili investitori esteri. God save Monti! – hanno gridato in estasi i “montiani”. Il progetto è spregiudicato e lungimirante!

 Le ciambelle, però, non riescono tutte col buco, si dice da noi nel provinciale idioma di Dante e Manzoni, e occorre dirlo: non tutto è andato per il verso giusto. In Francia, dove, si sa, gli investitori sono una manica d’ignoranti, non solo non hanno capito un bel niente della nuova “comunicazione istituzionale in Italia” e non hanno colto il grande sforzo di attirare capitali dall’estero, ma in un provincialissimo francese la Fnac ha addirittura manifestato l’intento di lasciare l’Italia.
Che dire? Forse la rivoluzione è stata troppo radicale, forse Monti – God save the king! – avrebbe dovuto scrivere il comunicato anche in francese, perché da quelle parti sono tutti piuttosto nazionalisti. Sta di fatto, però, che a Parigi, abituati forse a leggere in Italiano i nostri comunicati, si sono confusi e ci hanno preso per inglesi. Può darsi, poi, che gli “ombrosi mercati” si siano allarmati: “Ohibò!”, si saranno detti, “ma l’Italia sta messa così male, che il suo governo ha rinunciato a farsi capire dai cittadini e parla esclusivamente agli “investitori esteri!”. In fondo, i mercati non lo sanno che qui da noi i cittadini non contano più nulla…

Va bene, così sostengono i “montiani”: la Fnac se ne va, ma il governo ci ha provato e i “tecnici” sono innovativi. Nulla da spartire coi politici che come sempre rubacchiano e finiscono sui giornali. Quando fanno mariolerie, i tecnici si muovono con discrezione protetti dalla stampa, che intanto spara a zero sui politici mariuoli. Qualcuno s’è accorto che Passera oltre a parlare inglese, è imputato di una italianissima frode fiscale? E c’è chi si ricorda che quel gentleman del sottosegretario Cardinale si porta sull’inglese groppone l’italica accusa di truffa? Nessuno. Nemmeno i giornalisti! La verità è che ormai la faccenda funziona così: nessuno può truffare, tranne i “tecnici”. Loro, però, lo fanno all’inglese.

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E’ frutto d’un lavoro collettivo. Indica un modello di sistema formativo del tutto alternativo a ciò che da anni propongono governi incompetenti, espressione d’una visione neoliberista della società, responsabile dello sfascio morale, prima ancora che economico e politico non solo del nostro Paese, ma di un’Europa che, dichaiarandosi unita, ha messo assieme solo i privilegi e s’è costituita in Statoi teocratico la cui divinità si chiama mercato.
E’ vero, si parla più di università che di scuola, ma l’università è interesse specifico del mondo della scuola che nel documento, comunque, un suo ruolo ce l’ha ed è indiscutibilmente migliore di quello che le hanno assegnato, da destra come da sinistra i ministri che se ne sono occupati da Berlinguer a Profumo. Al dibattitto da cui nasce il documento ha partecipato anche “Fuoriregistro”, che ora lo diffonde e lo propone ai docenti. Chi condivide i principi fissati nel testo, può comunicare l’adesione al seguente indirizzo mail: universitachevogliamo@gmail.com.

Uscito su “Fuoriregistro” il 27 setttembre 2012

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Se non l’avete vista, eccola all’opera l’Europa democratica. Se continuate a far finta di non vederlo, eccolo l’Occidente dei diritti, quello in cui la legalità è un inganno costruito apposta per giustificare ogni violenza del potere.
Questi animali possono fare ciò che vedete perché glielo consentiamo. La polizia non c’entra, questi non sono poliziotti. E’ feccia armata e se si comporta così è colpa nostra.
Occorre dirselo: indietro non si torna e presto metteranno mano alle armi. Quando si giunge fino a questo punto, i popoli possono scegliere solo tra due vie: accettare la servitù o restituire tutto, colpo su colpo, nessuno escluso. Ricordiamocelo: siamo piccini solo perché siamo in ginocchio. E’ ora di alzarsi e dire basta. Il tempo stringe e presto sarà tardi. Abbiamo due esempi chiari: la Bastiglia e il Palazzo d’inverno. Non si può manifestare così, contro bestie armate, a mani nude, senza concertare piani d’azione, senza scegliersi il terreno sul quale agire, senza aver chiaro soprattutto che all’ultima spiaggia c’è un solo principio che abbia una  logica e conti: vita tua mors mea.
Un clic, ed eccola all’opera l’Europa democratica!

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I numeri anzitutto: 30.000 operatori fermi (stipendio medio 76mila dollari l’anno), 350-400 mila alunni senza docenti dall’asilo alla high school, 700 scuole chiuse, 114 a orario ridotto: niente scuola a Chicago per sette giorni. Insegnanti in sciopero generale.
Non ce l’hanno detto perché nelle colonie vige il coprifuoco, ma nell’eden della valutazione i docenti hanno bocciato il sindacato – la Chicago Teachers Union – e rifiutato accordi penosi che qui da noi diventano dono della provvidenza. Il bello è che nessuno s’è scandalizzato, neanche i genitori, per i quali lo sciopero è stato una mazzata. Il sogno americano produce incubi e fuori dalle scuole non c’è ragazzo che non rischi di trovarsi nei guai. Senza puntare l’indice, i genitori si sono organizzati e se non s’è trovato dove mandarli, se ne sono stati a casa con i figli.
Intendiamoci, non è stato un gioco e sul fuoco s’è soffiato: “i nostri ragazzi non meritano questo, il loro posto a Chicago è la scuola!“, ha frignato alla Cnn Rham Emanuel, sindaco ed ex capo staff alla Casa Bianca, ma nessuno gli ha dato retta e i giornali non hanno attizzato il qualunquismo. Quando la coscienza sussulta e la gente s’unisce, hai voglia di mentire: se la scuola pubblica ti stava a cuore, ci pensavi prima. Ma a chi interessa ormai la scuola pubblica? La risposta è facile: agli insegnanti bravi. E sono tanti ovunque. Certo, a stare alle leggi, i ribelli rischiavano grosso, ma le cose hanno un senso: coi sindacati scavalcati e la gente disperata, meglio badare a dove metti i piedi.

Per il New York Times, gli insegnanti non sono impazziti. Negli Usa, che da noi vanno per la maggiore, non è come raccontano i Soloni nostrani e la scuola è messa così male, che non è stato difficile raccogliere consensi attorno a una prolungata interruzione del servizio. E’ che ormai non c’è sicurezza del posto di lavoro, manca il personale di supporto alla didattica, i ragazzi in classe sono tanti che non ci stanno e i soliti discorsi sul “merito“, hanno consentito modalità di valutazione degli insegnanti che producono “malascuola“, licenziamenti e precariato. Per chi non l’avesse capito, “merito” e “modernizzazione” hanno partorito una valutazione dei docenti legata in maniera automatica ai risultati dei test standardizzati degli studenti e il tentativo di dare maggiore autorità ai presidi. I riformatori naturalmente giurano che è tutta scienza e non c’entrano nulla manager e banchieri che, dopo aver provocato il disastro con l’incapacità e la corruzione, hanno ottenuto tagli alla formazione e licenziamenti dei docenti per questioni di “merito“. Pare di sentire Profumo i suoi più o meno “alti esperti.”
I docenti – ecco il punto – contestano la valutazione del “merito” perché, dicono, la “riforma totale” della scuola è nata per far fronte a un debito pubblico che qualcuno dovrà pur pagare e il sospetto è fondato: pagherà la povera gente. Non a caso Chicago, che è il terzo polo più grande del sistema formativo a livello nazionale, diventa un laboratorio.

Lo sciopero, a sentire il sindacato, s’è chiuso con “an honest compromise“, un onesto compresso con alcune concessioni sulla valutazione degli insegnanti e sulle condizioni di sicurezza del lavoro, che dovranno superare il vaglio degli scritti. Non è detto che sia finita, però. La pietra dello scandalo è l’imposizione dei test standardizzati che durano sempre di più – dopo i due giorni aggiunti l’anno scorso, ora ne son venuti fuori altri otto – con i docenti che protestano per il tempo sottratto alla formazione di coscienze critiche e sospettano che si stia cancellando la scuola vera, unica, eccezionale opportunità di crescita civile e riscatto sociale, mentre aumentano le società create apposta per far soldi a palate valutando il “merito“.
Di fronte a un sistema che nega i diritti di tutti e produce profitti per pochi, gli studenti e molti genitori si sono uniti ai docenti in lotta per il lavoro, il rispetto e la dignità. Ci sono timori fondati di una Caporetto del sistema formativo, di classi mandate allo sfascio e abusi di un meccanismo che controlla ma non è controllato. Non a caso, da un po’ ottimi docenti sono licenziati in nome di un delirante “giovanilismo“.

Come spesso accade, però, nella lotta emergono verità che da noi la stampa, quasi tutta schierata col governo, si guarda bene dal riferire. In un sondaggio, il 97 % dei genitori ha bocciato la “modernizzazione” e in quanto ai miracoli della decantata “oggettività anglosassone“, in primavera, quando sono venuti fuori i punteggi dei test, le scuole stimate a “basso rendimento” – “scheletri” le definivano tracotanti i gemelli statunitensi dell’Invalsi e dell’Anvur – hanno ottenuto i migliori punteggi e dalla Waterloo dell’alta qualità s’è salvata solo la scuola gestita da amici del sindaco “innovatore“. Nell’eden della valutazione la scuola pubblica licenzia i docenti che godono della maggior fiducia dei genitori, degli studenti e della collettività, perché hanno il grave demerito di pensare e di far pensare.
I nostri americanologi l’hanno fatta sparire in un cono d’ombra, ma esiste un’America in cui i “miracoli” della valutazione sono giunti prima che qui arrivasse il disastro Profumo, un’America in cui i docenti si sono levati in armi per chiedere rispetto ed è necessario che qualcuno la racconti, che qualcuno ci dica come e perché la globalizzazione s’è trasformata in un furto di diritti e la formazione è nell’occhio del ciclone.
Mentono i ministri, quando dicono che il problema è economico e si cerca il merito: il merito non c’entra. Qui si vuol prendere a schiaffi una categoria che, se lavora con dignità, produce dissenso. Si mortificano i docenti, gli si toglie il rispetto, perché una classe docente rispettata ha un costo smisurato per un sistema che vuol produrre servi. E’ per questo che si impongono test standardizzati, perché ignorano pensiero critico e creatività e colpiscono i buoni insegnanti, quelli che agevolano la crescita culturale e sociale di uno studente.

Se a Chicago la lotta degli insegnanti trova consensi, qui da noi, purtroppo paura indifferenza e quieto vivere rendono muto e complice un Paese che già una volta ha visto morire la democrazia. In questo clima, con ferocia squadrista, il governo strappa a forza dalle disastrate biblioteche scolastiche i docenti addetti a mansioni diverse dall’insegnamento per ragioni di salute, bandisce concorsi a danno di chi concorsi ne ha già vinti per scatenare guerre tra poveri, moltiplica gli alunni nelle aule per abbassare gli organici, creare docenti soprannumerari e mandarli sulle cattedre di chi va in pensione, senza badare a lauree e abilitazioni. E’ in atto un imbarbarimento. Se sei laureato in italiano, si dice, qualcosa di latino la saprai e se gli studi umanistici bastano quasi per tutto – dalla geografia alla filosofia – una laurea in materie scientifiche copre ciò che ancora c’è da sapere.
S’è scatenata una furia che sembra pazzia e viene in mente Macbeth: “qualcosa di sinistro sta per accadere“.
Accade nel silenzio, come sempre quando una tragedia si compie.

Uscito su “Fuoriregistro” il 22 settembre 2012

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Signori, oggi l’Italia ha adottato ufficialmente il linguaggio delle colonie e delle provincie dell’Impero!
Buona lettura. E gli insegnanti sono avvisati: da domani Good mornig…

At the weekly cabinet meeting today, the Italian government has updated its growth and budgetary projections for 2012-2015 (update of the Economic and Financial Document…

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Scusate il disturbo, ma il tema è serio: si tratta di Oronzo… ma pare che non si possa dire. La notizia su oknotizie è stata censurata. Cominciava così: uno stronzo come o…ronzo, c’era una foto di Profumo  e proseguiva tranquillamente, come la leggete, senza la foto e col titolo cambiato:

 Dopo aver letto la domanda della mia cara amica Marcella Raiola, per favore, provate a dare una risposta anche a questo mio angosciante quesito: come hanno fatto i professori a non accorgerci che tra gli alunni avevano anche un o…ronzo come Profumo?

HO VISITATO IL SITO SUL QUALE E’ POSSIBILE SIMULARE IL TEST “PRESELETTIVO” DEL CONCORSO DESTINATO A DOCENTI GIA’ ABILITATI E IN SERVIZIO DA ANNI: ECCO UNO DEI QUIZ:ORONZO STA BEVENDO UNA BIRRA… DA QUESTA AFFERMAZIONE SI DEDUCE CHE:
a) ORONZO E’ COSTRETTO A BERE UNA BIRRA
b) A ORONZO PIACE IL VINO
c) A ORONDO NON PIACE LA BIRRA
d) ORONZO QUALCHE VOLTA BEVE BIRRA…

DIO MIO… COME ABBIAMO POTUTO INSEGNARE, FINORA, SENZA SAPERE COME SI ‘MBRIACA ‘STO STRONZO DI ORONZO??????

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Scusate il disturbo, ma il tema è serio: si tratta di Oronzo… Dopo aver letto la domanda della mia cara amica Marcella Raiola, per favore, provate a dare una risposta anche a questo mio angosciante questito: come hanno fatto i professori a non accorgerci che tra gli alunni avevano anche un o…ronzo come Profumo?
 
HO VISITATO IL SITO SUL QUALE E’ POSSIBILE SIMULARE IL TEST “PRESELETTIVO” DEL CONCORSO DESTINATO A DOCENTI GIA’ ABILITATI E IN SERVIZIO DA ANNI: ECCO UNO DEI QUIZ:ORONZO STA BEVENDO UNA BIRRA… DA QUESTA AFFERMAZIONE SI DEDUCE CHE:
a) ORONZO E’ COSTRETTO A BERE UNA BIRRA
b) A ORONZO PIACE IL VINO
c) A ORONDO NON PIACE LA BIRRA
d) ORONZO QUALCHE VOLTA BEVE BIRRA…

DIO MIO… COME ABBIAMO POTUTO INSEGNARE, FINORA, SENZA SAPERE COME SI ‘MBRIACA ‘STO STRONZO DI ORONZO??????

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La crisi non abita in Costa Smeralda. Proprietà privata più che repubblica nata dalla Resistenza, Porto Cervo è un groviglio di ville e prepotenti divieti; è cemento con velleità di architetti in un mondo di “case fotocopia”. Non c’è storia, non ci sono radici, si vive secondo logiche da “usa e getta”, come insegna la filosofia del mercato, ma nel suo genere è un capolavoro: un nulla riempito di milioni.
Porto Rotondo, per sfida, tiene all’ancora uno squalo nero, un lungo siluro con la bocca vorace e gli occhi sottili che promettono pazzie; in Piazza Quadra persino una platinata ottantenne s’è rifatta le labbra visibilmente crucciate per “Fabrizio, poverino, che stasera non sarà dei nostri, ma che vuoi che ti dica? Una volta i giovani sfidavano la vita e la lotta era bella”.
E’ un rimpianto risentito, da vita sprecata, questo della vecchia, da vita per se stessa vissuta, vita per cui non conta un altro tempo, il tempo degli altri coi suoi giovani e le sue sfide.
Davanti a “Fisico”, la boutique ch’è tutta un programma, hanno sfidato la vita a loro modo – ma questa è storia antica –  anche gli occhi vagamente smarriti d’una ragazzina bruna e formosa che non ha età, fasciata in mezzo metro di stoffa trasparente, mano nella mano d’un vecchio cadente, che fa il paio con l’amica di Fabrizio. Uno che s’è rifatto anche lui, ma cosa non si sa.
I giovani, cara mia, basta saperli prendere e, a scegliere tra chi serve e chi è servito, sfide e lotte ne trovi. In forma più moderna, la sfida alla vita che Fabrizio s’è evitato, qui riguarda ogni giorno i “giovani dello stage”, studenti e studentesse che ti servono al tavolo la sera, al bar o al ristorante, quelli che conquisti se gli apri il cuore e gli parli di un figlio che ha le sue sfide e le sue lotte. E’ un dialogo breve e circospetto, un parlottare da spie:
Qui mi ha mandato la scuola. Ci son venuta per perfezionarmi in cucina, ma non imparo niente. Sto ai tavoli, prendo ordini, porto pietanze avanti e indietro per la sala e spesso lavo piatti. Tre turni, colazione, pranzo e cena, pensione completa. In cambio mi danno crediti per il diploma che prenderò l’anno prossimo.
L’anno prossimo, dice. E ti si stringe il cuore.
L’anno prossimo la scuola manderà i suoi gioielli, l’impresa marcerà bene, col lavoro a costo zero, altri studenti impareranno l’arte degli sfruttati e di occupazione retribuita chi parlerà? Si mangia, si beve, in Costa Smeralda, e si fa l’amore a ogni età. E’ questione di soldi. Qui l’invisibile confine tra sfruttatori e sfruttati si chiama crisi; gli fanno da guardia armata i governi e il loro fiore all’occhiello, che ancora si chiama formazione.
Quante cose sa dire in due parole la ragazza, mentre poggia uno sull’altro sopra l’avambraccio i suoi piatti sporchi.
– Quest’autunno ho in programma la lotta, confessa, e in poche parole, tra un primo e un secondo, racconta la storia passata, presente e probabilmente futura. Se non t’avesse preso una improvvisa malinconia, l’avresti interrogata: ma tu che intendi per lotta? Invece te ne sei stato zitto, come capita a volte, quando la tristezza ti chiude la bocca e ti ricaccia in gola le parole. Nel silenzio improvviso s’inserisce, aggressivo, l’immancabile mezzobusto televisivo che annuncia come se ci credesse:
Disoccupazione giovanile. Oggi se n’è parlato al Consiglio dei Ministri che è pronto a presentare un “pacchetto” al Parlamento…
E’ un teatro la vita, un palcoscenico su cui vanno in scena sogni legittimi e disperati e menzogne che sembrano grandi verità. Capita a volte, però, che un corto circuito interrompe lo spettacolo e tutto diventa buio. Una notte improvvisa, il sonno della ragione, un ritorno ad antiche barbarie. Durerà quanto deve durare, poi si ricomincia. Anche la storia ha i suoi inverni, ma nulla v’è al mondo che in eterno duri e d’una cosa si può essere certi: la primavera torna.

Uscito su “Fuoriregistro” il 13 settembre 2012

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Poche note su scuola formazione e ricerca, a margine di un dibattito che sconcerta, partendo da un principio: non è vero che la storia non insegna nulla. Nel cuore di una crisi che sembra economica ma riguarda anzitutto la democrazia, va sempre così e non aveva certamente torto Robespierre: in una fase di transizione, gli uomini che cercano soprattutto il bene pubblico sono le prime vittime di coloro che cercano solo se stessi. Diciamolo chiaro: c’è un nuovo dio, la valutazione. Governa la formazione con l’ambizione di una rivoluzione etica e gioca la sua partita tra verità e finzione. La buona novella ha un nome che incanta: si chiama merito e in un tempo buio non fatica a trovare credenti. In guardia, quindi, e teniamolo in conto ciò che la storia c’insegna: non c’è nulla di più ingannevole di una finzione che si mescoli alla verità. E’ un metodo antico. Lo usarono i grandi legislatori, Licurgo, Solone e persino il filosofo del pensiero critico; Socrate, infatti, per dar forza alla sua riflessione, non disdegnò di raccontare che essa era ispirata da una divinità. Qui però non si tratta di Licurgo e Solone e men che mai di Socrate e della maieutica. La verità di fede qui la predica Profumo e il vecchio e nuovo testamento sono misteri davvero poco gloriosi; si chiamano Anvur e Invalsi: tra fasce che separano le riviste buone da quelle cattive, tra provincialismi alla rovescia su citazioni anglosassoni acquistate nelle frequentazioni di convegno costosi che nove volte su dieci lasciano il mondo com’era, finisce che dieci righi ben piazzati nel feudo giusto al momento giusto, fanno più scienza di monografie costate anni di ricerca. Non basta. Il confine impalpabile tra verità e finzione sta nell’idea stessa di un merito che si assegna seguendo tutte le strade di questo mondo, tranne che una: la lettura del testo.
“Premiamo il merito”, si sente dire, e chi negherebbe che occorre farlo? Si dà il caso, però, che da quando il mondo è mondo la cultura alternativa circola su binari che non passano mai per il salotto buono. E’ il destino di chi non s’allinea. Gianni Bosio, che qualcuno tra noi ricorderà, non entrò – o, se volete, non si chiuse – nei circuiti a senso unico dell’accademia e non ebbe grandi editori. Per reagire a un’ortodossia da guerra fredda, che ridusse l’egemonia culturale della sinistra a un atto di fede nelle sacre scritture, fondò riviste come “Mondo Operaio” e diede vita a piccole e meritorie iniziative editoriali, quali la Biblioteca Socialista e la collana che chiamò “condizione operaia in Italia“. Non si trattò di cose d’alto bordo ma, se non fossero nate, oggi ci mancherebbe non poco della cultura e della storia del nostro socialismo. Che fine farebbe tutto questo oggi, che conta solo chi si piega alla nuova fede? Non è difficile dirlo: senza degnarsi nemmeno di leggere, i sacrdoti del merito collocherebbero tutto in ultima fascia. Escludo nella maniera più assoluta che Bosio si sarebbe ridotto a fare i conti con l’Invalsi, l’Anvur e le mediane e, tuttavia, l’avesse fatto, non ci sono dubbi: sarebbe risultato inesorabilmente ultimo. Così, in politica, accade al Manifesto, che ha vissuto e vive della sua irriducibile alterità e non a caso, per questo governo, non ha cittadinanza: racconta un pianeta che non deve esistere. Nella religione del merito, non c’è posto per chi ha il merito di non allinearsi.
Non lasciamoci ingannare dalla strumentale magia delle formule. Non è la ricerca del merito che ha prodotto i quiz, le fasce e le mediane. E’ il potere che ha bisogno di amministrare senza fastidi la “sua giustizia”, qui sistemando i suoi uomini, lì mortificando i docenti e la loro funzione di baluardi della democrazia. La qualità di un lavoro non può dipendere dal nome dell’editore, dalla testata o da parametri astratti che prescindono dalla lettura. Non fu Laterza a fare grande Croce. Gli editori e le riviste, piccoli o grandi che siano, quando non sono solo commercianti, hanno di certo orientamenti politici, come, del resto, gli autori. Laterza e Croce erano entrambi antifascisti. E non è un caso. Dividere in fasce, è il nuovo credo. Senza criteri politici, mi chiedo? E senza che il peso accademico di direttori di collane, comitati scientifici e soci diventi determinante? Ma è davvero questo quello che vogliamo e, soprattutto, quello di cui abbiamo bisogno?

Uscito su “Fuoriregistro” il 6 settembre 2012 e sul “Manifesto” il 7 settembre 2012

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Via Fracchia, 24 marzo 1980  completa i ricordi degli smemorati. Si fa tanto parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma c’è chi, a sentirlo nominare, pensa soprattutto a un corridoio stretto e a verità mai dette.
Quando sento parlare di Carlo Alberto Dalla Chiesa penso a 4 cadaveri in fila”, scrive Baruda. “Giustiziati”.
Storia della repubblica, anche questa, ma si sa: ai giovani danno da studiare l’antico libriccino con le sacre vite dei santi, il “Martirologio Romano secondo la nuova forma del calendario e la verità dell’ecclesiastica historia, aggiunto di tutti i nuovi canonizati fino al presente giorno”.
Storia della repubblica, ci dicono, con le sue date, i suoi riti e le sue ricorrenze, ma lo sanno bene: ci sono capitoli che mancano, pagine e pagine che non sono state mai scritte.
Storia della repubblica, vorrebbero farci credere, firmando i loro capolavori, come se non sapessimo che nelle accademie fiutano il vento del potere e le carriere sono riservate ai chierici specializzati nell’agiografia.
Fate come credete, prendetela come vi pare, però sia ben chiaro, storici di corte e velinari travestiti da giornalisti: non venite a farci la lezione ogni volta che c’è un anniversario. All’amo, noi, non abbocchiamo, e lo sappiamo bene, l’abbiamo imparato: la vostra legalità è un maledetto imbroglio, scientificamente pensato e studiato apposta per soffocare la giustizia sociale.

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