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Archive for novembre 2010

Se n’è andato sicuro e contento, nell’applauso gelido dello studio televisivo, dopo il “colpo di teatro“, avvocato. Se n’è andato e nessuno le ha dato l’insufficienza piena per il profitto scarso di studi improvvisati. Nessuno, né la scuola piegata, né l’università ridotta allo stremo sull’ultima spiaggia, gliel’ha fatto notare: s’è comportato come lo studentello impreparato e presuntuoso che studia sul Bignami e poi gioca d’azzardo. Non so quale malaccorto leghista le scriva gli interventi che recita a memoria come un guitto e, però, chiunque sia, licenzi il pennivendolo e si raccomandi alla Gelmini per un “corso di recupero ministri culturalmente indigenti“. Faccia presto, avvocato: l’Italia si vergogna.
Pacatamente e però fermamente, come si conviene a un professore: le mafie non si combattono solo con la repressione e si favoriscono uccidendo la scuola e l’università come fa il suo governo. In quanto a Salvemni, i suoi articoli sul federalismo, che lei piega a fini separatisti, nacquero per unire. Un pensiero politico ha senso solo se s’inserisce nel contesto in cui si forma e il maestro delle vituperate scuole elementari gliel’ha certo insegnato: è l’abbiccì di chi spiega il presente ricorrendo al passato. Lei fa invece il contrario, avvocato: lei giustifica la vergogna presente con un passato nobile che di solito disprezza. Di federalismo, Salvemini scrisse su “Critica Sociale” di Filippo Turati e Anna Kuliscioff e fu parte integrante della militanza d’un socialista eretico, lontano anni luce dalla ferocia  leghista. La critica s’appuntava sul latifondo assenteista e parassitario del Sud, alleato da sempre – gliel’ha detto Saviano, ma lei non può capire – coi ceti mercantili o più o meno industriali del “mitico” suo Nord, vissuto d’incentivi di Stato fino ad oggi, col sedicente “libero mercato” alla Marchionne. La “Padania” di cui ciancia, avvocato, non esiste. Esistono ceti abbienti che hanno le mani sporche di un patto che pesa su quelli subalterni. E non basta recitare un versetto del Corano per dichiararsi musulmano. Lei non c’entra nulla con Salvemini e col meridionalismo. Salvemini sosteneva che il socialismo, di cui lei rifiuta storia, origini e cultura, non doveva “compromettersi” con le tendenze “economiche” delle oligarchie del Nord, comprese quelle operaie, ma lottare per riforme generali, utili ai settentrionali e vitali per l’affrancamento delle masse contadine meridionali. Salvemini, per capirci, accusava i ceti dirigenti settentrionali di aver sottoscritto un accordo criminale con quelli meridionali, espressione anche delle mafie: agli uni i privilegi della rendita, agli altri la crescita delle organizzazioni economiche padronali e proletarie. E’ andata com’è andata e i meccanismi, quelli sì, i meccanismi lei li conosce bene. Ha avuto per socio al governo Cosentino e, tra i suoi alleati, ci sono gli indagati, i processati e i condannati.
Lei, avvocato, non è solo imprudente. Lei è un ministro dell’interno che reprime con violenza cilena chi difende un diritto, non sa di che parla e le fa difetto l’onestà intellettuale. Dovrebbe saperlo, per gente come quella che forma il governo di cui lei fa parte, Gaetano Salvemini scrisse un celebre opuscolo, oggi più che mai attuale: Il ministro della malavita, si intitolava. Perché non l’ha citato? Non lo conosce? Studi avvocato, lo legga, lo impari a memoria. La finirà di raccontare frottole e dire spropositi.

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S’era svegliato convinto: sono in Cile. Freddo nel sudore e con la gola stretta da una mano invisibile che gli toglieva il fiato e quasi l’uccideva.
Un incubo, pensò, rivedendo la scena: immagini convulse, grida di dolore e un pazzo che strillava in una sorta di spagnolo cileno veloce e concitato:  
– “Lo so. Avete avuto un avvocato di grandisismo valore. Uno che per difendervi trovò le parole del cuore:  
[…] i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano
.
L’avvocato sbagliava, però. Padri e madri voi li avete, si capisce, e figli di qualcuno certo siete. Voi, però, che giocate a guardie e ladri, lo sapete meglio dell’avvocato poeta: il ladro è ladro comunque e non c’è giudice che possa assolverlo, solo perché il papà viveva in periferia, quale che sia, urabana o contadina. Io che vi ho visto all’opera dai tempi della giovinezza – e sono vecchio ormai – io lo so, non è questione di nascita. E’ il mestiere che fate. Voi state al soldo dei padroni: forti coi deboli e deboli coi forti. E siete vili. Mostrate un gran coraggio quando siete molti, organizzati e armati contro chi difende civilmente un diritto e non ha armi. Per tutto il resto, non valete molto. Questo voi siete solo: figli di buone donne!“.  
In cileno spagnolo, veloce e concitato. Tutta la notte immagini. Santiago del Cile, ma pareva Milano.
Prima d’andare a letto, bisognerà che prenda un sedativo la sera“, mormorò nel silenzio. Poi chiuse gli occhi e ritornò a sognare. Un incubo cileno.

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Ciao a Tutte/tutti
mi scuso per il ritardo ma ci sono millanta cose da seguire. Come contributo alla discussione incollo sotto il punto 5 del programma della mia lista al CdL, esso è tratto pari pari nella parte iniziale dalla relazione e nella seconda parte dall’articolato della LIP […]
Così, con grande flemma, con quel tanto di prosopopea che ti dice “guarda come si fa”, un gruppo d’insegnanti discute scambiandosi mail e pensa: sto difendendo la scuola pubblica. Tu non ce la fai più e glielo dici educatamente: d’accordo su tutto. Un solo dubbio. Il solito e, temo, in disperante solitudine: la scuola da sola non ce la fa. O cerca alleanze e costruisce percorsi con tutte le realtà in lotta – prima tra tutte studenti e ricercatori – o non passa. Se ci avessimo creduto di più, quando la protesta studentesca è montata, due anni fa, avremmo lottato con gli studenti e sarebbe stata un’altra musica. E invece nulla. Ma questo è passato. Il problema è oggi: se ci credessimo di più. saremmo con gli studenti e con l’università. Prima i ricercatori hanno lasciato soli noi, oggi noi lasciamo soli loro. Ci hanno chiesto in tutti i modi di schierarci. E noi? Noi discutiamo del CdL e della LIP. Eppure c’è chi lotta. Questo accade oggi nel Paese. Oggi. Noi dove siamo? Io spero di sbagliare, ma domani sarà tardi:

Blitz di studenti a Senato, lancio uova e fumogeni

ROMA – Un gruppo di studenti e’ entrato dentro il portone di Palazzo Madama e lanciano uova contro le vetrate del secondo ingresso della sede del Senato. Le forze dell’ordine stanno cercando di contenere gli studenti. Molti stanno sbattendo i pugni contro la vetrata del secondo ingresso trattenuti dalle forze dell’ordine.

Gli studenti che hanno fatto irruzione nell’ingresso di palazzo Madama sono stati allontanati dalle forze dell’ordine, che hanno chiuso il portone del Senato. Durante l’invasione dell’atrio da parte degli studenti una persona ha accusato un malore e poi i ragazzi sono stati trascinati e respinti all’esterno. Fuori da Palazzo Madama lancio di fumogeni e uova contro il portone. Le forze dell’ordine sono schierate davanti all’ingresso del Senato in tenuta antisommossa. Gli studenti urlano ”dimissioni, dimissioni”.

SCONTRI STUDENTI FORZE ORDINE IN CENTRO ROMA – Scontri tra studenti e forze dell’ordine nel centro di Roma. Gli studenti si erano mossi verso Montecitorio tentando di forzare un cordone delle forze dell’ordine e sono stati respinti con i manganelli. I manifestanti hanno lanciato anche un petardo. Gli scontri sono avvenuti in piazza dell’Oratorio tra via del Corso e Montecitorio. Secondo le prime informazioni, un funzionario delle forze dell’ordine sarebbe rimasto colpito da un oggetto. Negli scontri gli studenti hanno lanciato anche pietre. Il corteo e’ stato bloccato da un fitto cordone delle forze dell’ordine e da un blindato dei carabinieri che sbarra via di San Marcello. Secondo quanto si e’ appreso, uno studente che ha partecipato al corteo a Roma contro i tagli all’istruzione, e’ stato fermato dalle forze dell’ordine a seguito dei disordini. Anche per questo motivo, gli studenti hanno deciso di muoversi compatti senza sciogliere ancora il corteo, per evitare, dicono, il rischio che qualche altro manifestante possa essere fermato.
 
UNIVERSITA’: 2000 STUDENTI IN CORTEO BLOCCANO CENTRO DI ROMA– Al grido di ”Bloccheremo questa riforma” studenti medi e universitari hanno paralizzato le strade del centro di Roma manifestando in corteo contro i tagli all’istruzione. Al corteo, di oltre 2.000 persone, erano confluiti diversi studenti che hanno sfilato questa mattina in alcune zone del centro, tra cui Piazza Montecitorio. Al momento il corteo e’ fermo a Piazza Venezia. Gli studenti stanno ancora decidendo dove dirigersi.

FLASH MOB STAMANI IN STILE SAVIANO – Questa mattina gruppi di studenti recintati da una corda, con le mani legate o con il cappio al collo, ma anche ragazzi che improvvisano elenchi-monologo nello stile della trasmissione ‘Vieni via con me’. E’ il flash mob improvvisato dagli studenti medi di Roma in piazza Montecitorio contro i tagli del governo all’istruzione e per chiederne le dimissioni. ”Il governo ci sta stringendo con una corda, ma noi ci libereremo”, hanno spiegato i manifestanti. Gli studenti del liceo classico Montale elencano i motivi per cui sono fieri di essere italiani e i motivi per cui non lo sono. Letti anche ”i punti critici del ddl Gelmini” e ”la scuola che vorremmo”. In piazza sono arrivati anche gli studenti universitari della Sapienza, mentre un corteo di studenti medi si e’ diretto al ministero dell’Istruzione.

FINI, CONTRO SENATO INACCETTABILE VIOLENZA – Un ”inaccettabile episodio di violenza e di intolleranza”: cosi’ Gianfranco Fini in un messaggio di solidarieta’ al presidente del Senato, Renato Schifani, stigmatizza quanto avvenuto oggi a Palazzo Madama ad opera di un gruppo di studenti che protestavano contro il ddl Gelmini sull’Universita’. ”Signor Presidente – scrive Fini – ho appreso con preoccupazione le notizie sui tumulti e gli incidenti avvenuti nel corso di una manifestazione di studenti svoltasi oggi davanti al Senato della Repubblica e che ha anche comportato il ferimento del Dottor Francesco Capelli, addetto alla Sicurezza del Palazzo”. ”Nel condannare con fermezza questo inaccettabile episodio di violenza e di intolleranza, che ha avuto come obiettivo una sede parlamentare, cuore della vita democratica del Paese, e gli uomini che in essa operano, desidero esprimere – conclude il presidente della Camera – la intensa solidarieta’ mia personale e della Camera dei deputati, unitamente agli auguri di pronta guarigione al funzionario coinvolto negli scontri’.

A SIENA STUDENTI UNIVERSITARI OCCUPANO BINARI STAZIONE – Un centinaio di studenti dell’Ateneo e dell’Università per stranieri di Siena ha occupato per circa tre quarti d’ora due binari della stazione senese. Esposto uno striscione con scritto, in italiano e altre sette lingue, ‘No ai tagli all’università”. La protesta è iniziata intorno alle 14.40 e si è conclusa verso le 15.15, dopo l’invito delle forze dell’ordine a lasciare liberi i binari: sul posto sono intervenuti polfer, digos, una volante e carabinieri. Durante l’occupazione il traffico ferroviario è rimasto bloccato su tutti i binari della stazione. Due i treni regionali, della linea Empoli-Siena, cancellati, secondo quanto spiegato dalle Fs.

Alla protesta alla stazione, è poi emerso, hanno preso parte studenti dell’Università per stranieri di Siena. Una trentina di studenti dell’Università di Siena, appartenenti al gruppo Link, avevano invece protestato stamani incatenandosi e interrompendo la riunione tra il corpo accademico e il rettore Angelo Riccaboni per chiedere a quest’ultimo di dimettersi dalla Crui, accusata di non aver fatto niente per impedire l’approvazione del ddl Gelmini. “Uscirne? Non sta a me prendere questa decisione né quella di bloccare la didattica – è stata la risposta di Riccaboni agli studenti -. Possiamo però prevedere domani delle assemblee all’interno delle facoltà e per lunedì mattina un Senato accademico straordinario sulle implicazioni del ddl”. Riccaboni, durante il suo discorso al corpo accademico, aveva detto: “La posizione della Crui sull’argomento è stata sempre piuttosto debole. Domattina ci troveremo con i rettori delle Università di Firenze e di Pisa per definire una linea comune, secondo la mia idea allineata a quella degli Atenei sardi, da portare alla riunione della Crui”. Come forma di protesta nei confronti del ddl Gelmini da ieri a Siena gli studenti hanno occupato il Palazzo San Galgano, sede della facoltà di lettere.

STUDENTI E RICERCATORI SUL TETTO A TRIESTE – Alcuni studenti, ricercatori e professori associati sono saliti oggi sul tetto del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trieste, protestando contro la riforma del Governo. I manifestanti – circa una cinquantina, secondo quanto riferito da uno dei ricercatori in protesta – hanno issato alcuni striscioni e intendono seguire direttamente dal tetto del Dipartimento, che fa parte del campus centrale dell’ateneo giuliano, i lavori della Camera. Il rettore dell’Università Francesco Peroni, a Roma per impegni istituzionali, ha contattato i manifestanti e ha espresso loro la propria vicinanza.

Libero.it

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Per una volta, contro ogni regola di questo Blog, ospito un appello. Lo ricevo dalla “Rete 29 aprile” e lo mando in giro. Sarebbe stato meglio se i ricercatori l’avessero capito due anni fa che da soli non si passa, quando toccò alla scuola, ma questo non è il momento delle divisioni. Ora occorre davvero far quadrato, perché siamo alla resa dei conti. Non si può essere tutti là, ma una mano la si dà anche solo facendo girare l’appello. L’opposizione tace, buona parte del Paese è sconcertato e inerte, letteralmente drogato dalla propaganda e dalle televisoni commerciali. Siamo sull’orlo di una catastrofe senza precedenti ed occorre REAGIRE. Ora, subito, in ogni modo possibile. Fini e i suoi giocano una partita personale e sono sempre stati complici di Berlusconi. Questo Parlamento che nessuno di noi ha eletto è illegittimo e sta distruggendo il futuro di intere generazioni di giovani. Non si può più stare a guardare. Ne va dell’avvenire dei figli e dei nipoti. REAGIRE! RESISTERE! Ecco la parola d’ordine che occorre far circolare.
 

PARTECIPIAMO TUTTI UNITI AL PRESIDIO CONTRO IL DDL GELMINI IL 24

NOVEMBRE A PARTIRE DALLE

ORE 10,00 A PIAZZA MONTECITORIO

In Italia è in atto una fase di oscuramento totale. Si sta cercando in ogni modo e con ogni mezzo di ridurre la capacità di reazione delle persone.

I tagli alla Cultura¸, le leggi sulla scuola e sull’Università portate avanti dalla Gelmini, così come il decreto intercettazioni appaiono come il segno di un unico progetto. Vale a dire diminuire l?informazione e, soprattutto, ridurre la possibilità di formare menti pensanti che possano in qualche modo opporsi a questo modo di condurre le cose.

Cultura, Università, scuola e informazione consentono alle persone di pensare.

Perché si vuole annientare tutto questo? Cosa c’è dietro questo disegno?

Siamo Ricercatori della Rete 29 aprile, una rete che coinvolge 40 atenei italiani in lotta contro il DDL Gelmini. Quella che stiamo portando avanti non è una battaglia corporativa, ma è l’estremo tentativo di opporsi a un Disegno di Legge che porterà alla progressiva chiusura dell’università pubblica.

Il 24 e 25 sarà approvato il Disegno di Legge Gelmini.

Se questo avverrà si sancirà di fatto la chiusura dell’Università pubblica.

 

Questo disegno di legge prevede, infatti, l’ingresso dei privati nelle università che potranno decidere anche delle politiche culturali.

Potete immaginare cosa succederà? Chi dei privati avrà interesse a finanziare facoltà che non hanno un immediato ritorno economico?

Il governo dell’Università sarà nelle mani dei privati che potranno decidere dell’apertura e chiusura dei Corsi di Laurea e la vendita dei beni immobili.

Avranno anche il controllo sulle linee di ricerca, quella ricerca di soluzioni nuove di cui Il Paese ha disperato bisogno per invertire la rotta del declino. Un declino che si traduce non solo in impoverimento culturale, ma anche in un crescente deterioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini, dall’università alla scuola, dai teatri alle fabbriche.

I precari che da anni collaborano al funzionamento dell’Università con insegnamenti e ricerche praticamente non avranno più possibilità di accesso. Le persone entreranno solo per chiamata diretta e a decidere il loro ingresso saranno in pochi.

Noi ricercatori siamo dichiarati figura a esaurimento, senza più possibilità di fare ricerca per mancanza di fondi e senza più possibilità di incidere sulle  sorti dell’Università.

Del resto lo stesso Berlusconi ha dichiarato: ?perché dovremmo pagare uno scienziato se L’Italia è famosa nel mondo per vendere scarpe?

Ma soprattutto se questo Disegno di Legge verrà approvato il problema più grande sarà per gli studenti:

–          Le borse di studio sono ridotte del 90%

–          Saranno raddoppiate le tasse scolastiche

–          Verrà introdotto il “prestito d’onore”.

In pratica si dovranno indebitare a vita per frequentare l’Università

–          La riduzione del turn over, inoltre, in un combinato disposto con i tagli proposti da Tremonti, ridurrà progressivamente il corpo docente, con il rischio reale che gli studenti si iscriveranno all’università, ma non avranno assicurata la fine degli studi per mancanza di professori o, al meglio, verranno ammassati tutti insieme in aule super affollate in cui non sarà possibile seguirli adeguatamente.

Si è detto che è stata finanziata l’Università in realtà il Miliardo sbandierato è a fronte di un taglio di un Miliardo e mezzo di Euro.

QUINDI, IN REALTA’E’ STATO FATTO UN TAGLIO DI MEZZO MILIARDO DI EURO A FRONTE DI UN FINANZIAMENTO DATO AI  PRIVATI.

QUESTO NON è Più UN PROBLEMA SOLO DEGLI UNIVERSITARI, MA DI TUTTI COLORO CHE CREDONO NEL FUTURO DI QUESTO PAESE DI TUTTI COLORO CHE HANNO FIGLI O NIPOTI A CUI SARA’ PRECLUSO L’ACCESSO ALL’ISTRUZIONE.

 

Si calcola che il figlio di un impiegato non potrà più accedere all’Università, non solo il figlio di un operaio. Del resto un ministro di questo Governo ha recentemente dichiarato che abbiamo troppi laureati.

IL Governo vuole approvare questo Disegno di Legge ad ogni costo.

Venerdì, violando i regolamenti della Camera, sono arrivati addirittura a ritirare loro emendamenti, cancellando finanziamenti e introducendo elementi che hanno evidenti principi di incostituzionalità.

SIAMO QUI PER FARE UN APPELLO A TUTTI VOI

IL 24 NOVEMBRE ALLE ORE 10,00 INIZIA UN PRESIDIO A MONTECITORIO CHE PROSEGUIRA’

FINO AL 25

NOI RICERCATORI SIAMO DISPOSTI A TUTTO PERCHE’ QUESTO DISEGNO DI LEGGE NON PASSI, ANCHE AD AZIONI ECLATANTI.

CHIEDIAMO IL VOSTRO SOSTEGNO E LA VOSTRA PARTECIPAZIONE ATTIVA IN QUESTA BATTAGLIA AIUTATECI A FERMARE QUESTO DISEGNO DI LEGGE IN NOME DELLA CULTURA, DELL’EGUAGLIANZA E DEI DIRITTI, SOPRATTUTTO DEL DIRITTO ALLO STUDIO

PERCHE’ L’UNIVERSITA’ NON SIA SOLO UNA COSA PER RICCHI E A SERVIZIO DELLE AZIENDE PERCHE’ RIMANGA LIBERA, PUBBLICA E APERTA A TUTTI

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Qualcosa di attuale? Direi di sì. Basta leggere:

«Siccome la stampa è un elemento prezioso, in ragione di questa funzione altissima bisogna creare anche i doveri e la disciplina relativi. Quando si pensa che per gelosie editoriali e per miserabili insuccessi di vendita, all’infuori dell’odio di parte, si possono gettare in discussione le cose più delicate della nostra vita politica, e dare le notizie assurde, fantastiche, sensazionali, che creano allarmi e danneggiano il credito, non la sospensione ma la condanna di un tribunale e la fustigazione sarebbero le punizioni adeguate».

Di chi è? Non è facile dirlo, perché da tempo capita spesso di leggere o ascoltare interventi di questo tipo su argomenti così delicati e, a ben vedere, la riflessione non giunge certo nuova. Nel cliché del conduttore televisivo moderato, attento agli equilibri politici, all’audience e alle sue decisive ragioni, l’articolo è solo un “tentativo serio e onesto di ragionare sull’informazione senza noiose ingessature ideologiche del Novecento“. E non ci sono dubbi: pochi dissenzienti. Non dico tutti, ma il nuovo che finalmente avanza ce lo vedranno in molti e non mancherà la nota polemica di chi da tempo invita a smetterla di maledire il tempo nostro “incolto”. Chi è? Inutile insistere, per ora. Più che sull’autore, la gente si ferma giustamente sui contenuti: Quale ruolo per la stampa oggi? Quali i poteri e i limiti di chi “fa opinione“? Non son cose da poco e non è il caso di levar gli scudi per “lesa maestà“. Il tema è complesso – la libertà di stampa – però diciamolo: ce ne riempiamo la bocca ogni giorno, s’è fatto un gran parlare di “bavaglio” a giornali e televisioni, ma è chiaro che occorre regolare la discussione. Inutile insistere su una libertà astratta senza approfondire il concetto. Cos’è la libertà? Occorrerà pur darne una definizione. Una “penna felice” e, per suo conto, nota s’è già posto il problema e una risposta l’ha tentata. Senza arroccarci come giacobini integralisti del pensiero liberale, leggiamo e vediamo che dice. Può darsi che una lettura attenta riveli la firma:

«Ma che cos’è questa libertà? Esiste la libertà? In fondo è una categoria filosofico-morale. Ci sono le libertà: la libertà non è mai esistita» e un Governo ha «il diritto di difendersi».

Brunetta, Sacconi, o il capo in persona, Berlusconi? Lasciamolo da parte l’autore. Piaccia o no, prima dell’inevitabile discussione, c’è un dato inoppugnabile che conta forse anche più dell’autore. Buona parte del Paese vota per un governo che lo dice chiaro: regolamentare la stampa non è una misura eccezionale. Chi è che non ha letto cose di questo tipo negli ultimi tempi e non ha trovato pronto il salotto buono che, sotto l’occhio vigile delle solite telecamere ne ha discusso, senza scatenare mai un insanabile scontro politico? Ci sono contributi d’ogni tipo, basta scegliere a caso e poi se ne discute. L’autore, la matrice ideologica? Ma quale ideologia? Poi vedremo l’autore. Conta, per ora, la grande attualità delle critiche e, pur nei toni decisamente aspri, la modernità delle soluzioni individuate:

«Mentre in questi ultimi mesi tutto è cambiato in Italia, una parte di quel giornalismo che in mille occasioni ha dimostrato di non meritare la sconfinata libertà concessa a molte delle sue penne criminose, è rimasto quello che era. Giornalismo da macchia e da libelli torbido e tortuoso. Ed è questo il giornalismo che oggi sbraita e si scandalizza […]. Ubriaco, invasato della inverosimile potenza della sua penna senza scrupoli, questo giornalismo crede oggi con l’agitarsi, di poter commuovere l’opinione pubblica […] per permettere il perpetuarsi delle campagne tendenziose, delle diffamatorie congiure a danno della buona fede delle masse che non hanno nessun mezzo di controllo. Il Governo ha il dovere di salvaguardare la tranquillità di queste masse».

E si potrebbe andare avanti senza fermarsi. Tutto s’è detto così, toni e parole, in questi ultimi, drammatici due anni. Tutto. Nel consenso vittorioso delle urne. Tutto riguarda il presente. Che importa ai lettori se il giornale è “Il Popolo d’Italia” e l’autore degli articoli è Benito Mussolini? [1]? Era l’Italia fascista del 1923. Noi che c’entriamo? Qui regna la democrazia.

1) La stampa e la sua libertà, “Il Popolo d’Italia”, 15 luglio 1923; La fiducia al Governo con 303 voti, “Il Popolo d’Italia”, 17 luglio 1923; Battaglia di una minoranza di giornalisti contro il decreto sulla stampa, “Il Popolo d’Italia”, 22 luglio 1923.

Uscito su “Fuoriregistro” il 23 novembre 2010

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Quando l’Europa delle banche, livida e sguaiata, vorrà “rifarsi il look” per meglio raccontare frottole alla gente, la premiata ditta “Trichet-Constâncio & CC“. verrà a copiarci pari pari questo governo di spettri e sepolcri imbiancati. Noi siamo così: perfezionisti. E si sa, il made in Italy esporta fantasia. Intanto, finché la tecnocrazia che ispira il gioco del capitale non ci dà quel che è nostro, riconoscendo il merito, noi, più o meno sedicenti “cittadini“, consoliamoci sin d’ora col primato indiscusso che ci assegna la storia: in centocinquant’anni di vita, dal Regno alla Repubblica, tredici li abbiamo vissuti a sperimentar le strade dei tiranni col celebre trio Crispi, Rudinì e Pelloux, venti si sono persi nel tragicomico con Mussolini e sedici, se qui ci fermeremo, recano il segno del primo esperimento riuscito di democrazia autoritaria. Un terzo della nostra vicenda è follia autoritaria e miseria morale. Gli altri due terzi li abbiamo spesi per una inesausta fatica in una sorta di “fabbrica di San Pietro“, dove una minoranza di gente onesta si strema per riparare oggi, quello che ieri e domani cialtroni e delinquenti guastarono e guasteranno.
Siamo maestri esportatori di un umorismo rozzo ma insuperabile. In un Paese in cui tutto è precario per definizione, una legge di “stabilità” mette al sicuro i conti benestanti. La presenta un governo privo di maggioranza, l’approva il Parlamento d’una repubblica antifascista, fascisticamente formato solo da “nominati“. Gente che nessuno ha eletto. Precario tra i precari, l’avvocato Gelmini, diventato ministro per un mistero glorioso, s’è dichiarato soddisfatto: la scuola dello Stato non ha avuto un centesimo, ma quella papalina, apostolica e romana ha visto salire a 245 milioni il fondo per le scuole private. In tutt’altre faccende affaccendato, l’avvocato ha tenuto a comunicare a studenti e docenti la buona novella: “Sono prive di fondamento le notizie legate ad una uscita del ministro Carfagna dal Governo e dal Pdl. Mara Carfagna è un ottimo ministro e la sua lealtà nei confronti del presidente Berlusconi non può essere messa in discussione, come ha anche sottolineato in questi giorni il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini“‘. Diffusa la sua nota, s’è preparata al week end.
Tutto va come le hanno suggerito le veline: la scuola primaria è colpita a morte, la Conferenza dei rettori ha barattato potere e scampoli di finanziamento con un testo di riforma passato al Ministero, più o meno sottobanco, dal suo presidente, prof. Decleva, il ministro vive la sua giornata impolitica e, oplà, eccola impegnata nella “prova-fedeltà” a Berlusconi, che salta agilmente nel cerchio di fuoco e poi dichiara:
I continui attacchi che il ministro Carfagna ha subito sono ingiustificati e dannosi per tutto il governo. Basta con il fuoco amico. Questo e’ il momento in cui invece – avverte – è necessaria l’unità del partito attorno al presidente Berlusconi“.
Tutto come da copione. la Finanziaria vestita da legge di stabilità col voto favorevole di Bocchino e soci, il “quasi compagno” Fini che modifica sua sponte il calendario dei lavori per consentire così che, dopo la scuola, il colpo del killer centri anche l’università e si ricostituisca ancora una volta la vecchia maggioranza, sia pure divisa in tre spezzoni: leghisti, “libertari berlusconiani” e “futuristi“.
Il 14 dicembre, dopo l’attacco criminale all’istruzione pubblica, il voto di fiducia. Come finirà non è dato sapere, ma qualcosa forse ce la sta già dicendo: fiducia o sfiducia, il Paese non cambierà in questo Parlamento. C’è chi si consola: “è una linea di tendenza planetaria, c’è poco da fare“. E sarà vero, com’è vero che in ciò che accade ci sono una filosofia della storia e un modello di società. Una società che esalta l’individualismo e la preminenza del privato sul pubblico e pretende la più sfrenata libertà del mercato, per farne un grimaldello che destrutturi le basi fondanti della convivenza civile e consenta di ristrutturarle come comanda la globalizzazione.
A cosa punta tutto questo? Siamo certi che la conquista del “mercato-istruzione” sia un obiettivo economico? La subordinazione delle intelligenze vale molto più che la compravendita di merci. In gioco c’è altro. Si intende manomettere il concetto di “umanità“, disarticolare gli strumenti critici come fondamento del conflitto, trasformare la partecipazione in “militanza della tastiera“, in una “virtualizzazione” dell’opposizione che vanifichi la ribellione. Siamo ben oltre il mito borghese dell’uomo che “si fa da sé“: è l’asservimento consenziente a una servitù che passa per la robotificazione dell’uomo o, se si vuole, per la sua disumanizzazione. La sinistra, ferma alla percezione di una “privatizzazione selvaggia” o si “autonormalizza“, come fa il PD, scende in campo e diventa maestra della privatizzazione, o si esalta di fronte ai milioni di appelli per la salvezza della povera Sakiné. Ci portano dove vogliono. Salviamo, orgogliosi, le Sakiné che fanno comodo a chi comanda il gioco e ci lasciamo “suicidare“. In questo contesto, l’avvocato Gelmini è un “grande ministro“: non pensa, esegue ordini. Noi, noi che pensiamo di pensare, noi non ci accorgiamo che non si tratta dei centesimi della privatizzazione. In gioco è una “rivoluzione preventiva. Non si cerca un mercato. Qui si vuole l’uomo.

Uscito su “Fuoriregistro” il 20 novembre 2010

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Ho parlato allo specchio con me stesso.
M’ha risposto l’immagine riflessa.
Chi dei due fosse il vecchio
tra noi, non m’interessa:
so che il tempo è un inganno.
Sei come loro tu,
come i tuoi vecchi,
ragazzo, che ora pensi d’esser nuovo,
fatto di belle chiome, barba incolta,
occhi lucenti rapidi,
parlare senza incanti, senza miti.
Com’erano i tuoi vecchi al tempo loro
degli occhi rapidi e le belle chiome.

Sei com’è sempre un vecchio,
m’ha risposto lo specchio
e ora chiami saggezza
quella che un tempo fu rassegnazione.
Qui è caduto il silenzio
Non l’ho detto, l’ho voluto tacere,
ma lo specchio lo sa:
E’ il succo amaro dei sogni al tramonto.
Vivere non si può
facilmente senza le mille cose
che rinneghi e farai.
E pare tradimento.
Un soffio, per saluto:
tu sei com’ero ed io come sarai,
ho solo sussurrato.
Guardati da te stesso.
E ricorda che spesso
il nemico ce lo portiamo dentro,
prigionieri e prigione di noi stessi,
così liberi, noi,
nei nostri grandi sogni.

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E’ uscito su “Fuoriregistro” tempo fa. Non è “fresco di stampa” ma potrebbe “rinfrescarci” la memoria. Nessuno la pronuncia più l’orribile parola: “bipartisan”. Pare non sia esistita e non trovi un cane disposto a riproporla. Eppure, fino a poco tempo fa, l’uso sfiorava l’abuso e c’era l’inflazione. Nel clima torbido da “resa dei conti”, tra congiure di palazzo, dossier e verità mediatiche, ognuno può presentarsi come meglio crede e molti sono i “vecchi” che si dicono “nuovi” e “duri” e “puri”… Andiamoci cauti, quantomeno. E vigiliamo. Il cenno sarà improprio, ma un senso ce l’ha. Il fascista Gaetano Azzariti, uno che fu Presidente del Tribunale della razza, scrisse con Togliatti la legge sull’epurazione dei suoi camerati e, dulcis in fundo, divenne poi Presidente della Corte Costituzionale! Quanti Azzariti si stanno sistemando tra padri e padrini della “Terza repubblica”? E c’è chi ricordi che i genitori “nobili” dell’ignobile lavoro della Gelmini sono stati tutti democraticissimi come Berlinguer e Fioroni. Dove sono? Che fanno? Non è che in tanta smania di “rinnovamento”, ce li ritroviamo di nuovo ministri?

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Le piaccia o meno, ministro Gelmini, a sentirla parlare è facile capirlo: lei s’è formata nella nostra scuola, ha respirato l’aria che abbiamo respirato, ha pregi e limiti dei nostri studenti e può capitare: lei sbaglia bersaglio. Dietro le sue ragioni, dietro la novità del maestro unico, la riscoperta delle miracolose virtù terapeutiche del grembiulino, dietro la favola della meritocrazia, non ci sono, come forse lei crede davvero, i quarant’anni che ci separano dal Sessantotto, ma i vent’anni che dalla sua adolescenza scivolano in malo modo sino a noi e ci precipitano addosso come una valanga.

Le piaccia o meno, ministro Gelmini, la ragione con cui spiega le sue ragioni le dà torto: non è stato il Sessantotto a rovinare la scuola, ma ciò che di oscuro gli si è contrapposto in un Paese che lei ha trovato libero nascendo e il governo di cui fa parte pensa di asservire.
Le piaccia o meno, ministro Gelmini, il progetto che intende realizzare non è suo. Lei chiude un cerchio aperto da altri negli anni della sua prima giovinezza. Dietro di lei ci sono l’autonomia scolastica e le mille deroghe alle norme un tempo vigenti in materia di contabilità dello Stato; dietro di lei ci sono le funzioni vitali dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione affidate a istituzioni scolastiche ferite a morte da quella feroce ristrutturazione aziendale che furono i “piani di dimensionamento“.

Le piaccia o meno, ministro Gelmini, dietro di lei, che forse non ricorda, ci sono la flessibilità, i criteri puramente aziendali di ottimizzazione delle risorse umane, la privatizzazione dei rapporti di lavoro, l’inflazione di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi, la subordinazione delle istanze formative a quelle della Confindustria e del mercato del lavoro, un bilancio che tiene più in conto i cannoni che le scuole, i capi d’Istituto svincolati dalla didattica, lo scempio delle risorse economiche trasferite dal pubblico al privato, la mortificazione retributiva e la precarizzazione del personale docente.

Le piaccia o meno, ministro Gelmini, lei giunge a governare istituzioni scolastiche brutalmente sacrificate a cieche ragioni di bilancio e poste di fronte a una feroce alternativa: sopravvivere, a danno della “concorrenza” in una lotta senza quartiere per la difesa dei “requisiti dimensionali“, o perire sull’altare del risanamento di una spesa pubblica che continua ad accollarsi i costi inaccettabili della politica e i debiti e le disfunzioni di un capitalismo straccione. Un capitalismo malato, tanto più avido e parassita, quanto più apparentemente vittorioso dopo il crollo del muro di Berlino e la bancarotta della sinistra passata armi e bagagli nel campo delle destre. Il suo campo, Ministro.

Le piaccia o no, dietro di lei, ministro Gelmini, ci sono l’effimero trionfo della legge del profitto e il mito dell’età dell’oro, che avrebbe dovuto segnare la vittoria del “bene borghese” sul “male socialista“.

Questa è la storia. E lei lo sa, la storia non finisce. Le piaccia o meno, la storia siamo noi.

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Capita spesso, avvocato, lo so, la memoria difetta, e non è solo questione di età. La malafede può fare la sua parte. Lei ha “promesso certo ed è venuta meno sicuro“, s’usa dire dalle mie parti, e, non si lamenti, ché del merito s’è fatta impropriamente una bandiera: le va meglio di quanto ha meritato. Prima di andare in frantumi con plastica evidenza, travolto dalle macerie d’un delitto infame come il crollo della Schola Armatorum dell’antica Pompei, il suo governo è stato una gigantesca fabbrica di bolle di sapone. Per questo passerà alla storia. Ora che palle e palline sono scoppiate, in alto il cuore, sursum corda, madame. Mentre fa le valigie, l’accompagni il poeta e le sia lieve il viaggio: “O campana, campana, campana / la mia favola breve è finita / la breve mia favola vana…” E’ Arturo Graf, maestro nell’evocare il pathos di vite tragiche, con un tetro ma musicale simbolismo. Le calza a pennello e si rallegri. Senza il vituperato Sessantotto e quel tanto di rivoluzione femminile che n’è derivato, la sua progettata “rivoluzione del merito” la inchioderebbe a un futuro da “Berta filava” e chissà che in questo almeno non abbia avuto ragione: noi fummo forse troppo egualitari.
Finisce in gloria, ma rimarrà immortale la sua meravigliosa prima bolla, l’aquilone variopinto che lanciò nel cielo del sistema formativo e che ora le cade rovinosamente in testa, come la disgraziata Pompei, come le mille nostre plaghe dissestate e l’intero Paese che paga il disastro del suo tragicomico governo. Era l’estate del 2008. Lei, avvocato, era ancora un’illustre sconosciuta e non s’era “fatto un nome” col massacro del sistema formativo. Presentando alla Commissione Istruzione della Camera le linee generali del suo “programma per la scuola” dimostrava saggezza: “il Paese non intende più subire inutili visioni ideologiche: ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola“. Una parte mal appresa e recitata peggio sul palcoscenico della storia. Ideologico, dall’inizio alla fine, è stata poi, di fatto, il suo governo del sistema formativo e, grazie a lei, la peggior politica s’è accampata nelle aule scolastiche cadenti. Lei ha volutamente ignorato i principi fondanti della scuola disegnata dalla Costituzione e s’è scagliata con furia integralista – Dio lo vuole! – contro i presunti albigesi. Peggio del peggior dettato tridentino che, tradotto per gli abissi della sua cultura, produsse il disastro che prede il nome di Controriforma. La Chiesa, tuttavia, avvocato, che di politica s’intende, sapeva che non si va alla guerra contro i propri soldati e si adoperò con ogni mezzo per premiare chi la difendeva. Legga avvocato. Non le farà male. Pochi libri, ma buoni. Imparerà che non è saggia politica quella che riconosce un problema, promette di affrontarlo e poi si studia di aggravarlo. Gli stipendi degli insegnanti impediscono di applicare criteri di merito al loro lavoro. “Questa legislatura – lei promise – deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse“. Ed era vero. Al momento, aggiunse, “sono sotto tale media. […] Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. Fosse in Germania ne guadagnerebbe 20 mila in più, in Finlandia 16 mila in più. La media Ocse è superiore ai 40 mila euro l’anno“. Tutti sanno com’è andata. Lei e il suo governo hanno perseguito con tenacia degna di miglior causa la dottrina del “fannullonismo”. Non un voltafaccia, ma un tradimento. Lei, avvocato, non sa di che parla, non lo sapeva, non lo sa e non vuole impararlo. Lei ha creato precari, ma è nata precaria della politica e svanirà nel crollo del mondo di cui fa parte.
Le hanno messo in bocca improvvidamente parole che Gramsci ebbe a scrivere nel tormento della galera fascista e lei le ha ripetute: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza“. Bene, signora. Hanno dimenticato di dirle che il grande pensatore sardo era uno di quei comunisti che lei attacca ferocemente. Come attacca gli insegnanti, che ha voluto penalizzare e disprezzare perché le hanno opposto resistenza.
Non lo sa, non sa nulla di scuola, avvocato, e la sua nomina a ministro è anomala. Lei non è un deputato della Repubblica, perché nessun cittadino l’ha delegata e rappresenta un governo zoppo, cui mancano la fiducia e il controllo che nella nostra democrazia parlamentare esercitano Camere liberamente elette formate da rappresentanti votati dal popolo. Camere che oggi non esistono. Lo dica al suo collega Maroni: voi siete i veri e più pericolosi clandestini che circolano per il Paese. E’ nostro diritto dirlo. Ovunque, anche in quella scuola che lei ha sgovernato. In una democrazia la scuola ha natura unica e incoercibile. Non è riconducibile a “funzione d’impresa“. Dal personale amministrativo a quello direttivo, o tutto è finalizzato alla funzione docente o nulla ha ragion d’essere. Ministri compresi, avvocato, perché un ministro deve sapere che un assetto normativo non ha senso se non rafforza questa funzione. Lei, da dilettante qual è, ha fatto il contrario. Ha creduto di trasformarci in grigi travet pronti a servire, a trasmettere senza fiatare la cultura del potere dominante. La scuola, avvocato, è altro. Insegna ad imparare, produce valutazione e non può essere valutata dal governo di turno. Meno che mai dal suo, che non ha radici nella nostra Costituzione. La scuola sceglie da sola, nella più perfetta autonomia, strategie e metodi di un processo che impropriamente lei chiama “di istruzione” ed è invece di ampia educazione, quindi, “di formazione“. Occorre, se mai un Consiglio Superiore, come per i magistrati. Tutto questo le è stato sin dall’inizio estraneo e non lo capisce nemmeno ora che si accinge a sbaraccare.
Lei non lascia segni. Il nostro compito, invece, noi l’abbiamo svolto e lo svolgeremo ancora, Qualora, malauguratamente, dovesse sopravvivere politicamente alla responsabilità che ha in solido col governo per la tragedia di Pompei, che sconvolge il mondo della cultura nell’intero pianeta, bene, si prepari allo scontro. Noi andremo avanti per la nostra strada. Lei ha paura della cultura e del senso critico e fa bene. Noi la sfidiamo. Ci cacci dalle aule se ne ha la forza. Faremo scuola per strada e nelle piazze. Occupi le scuole e le piazze e vedrà nascere scuole ovunque sia possibile, nelle nostre case se necessario. Croce lo fece in pieno fascismo, scuole aprirono Bordiga e il “suo” Gramsci nelle isole del confino e scuole attivarono sulle montagne le bande partigiane, dove i giovani, cresciuti alle menzogne del regime, scoprirono la storia d’Italia manomessa dal fascismo. Faccia quel che vuole avvocato. Noi l’abbiamo avvertita: la partita è persa.

Uscito su “Fuoriregistro” il 9 novembre 2010

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Un modello di scuola è un’idea politica e, in quanto tale non nasce per partenogenesi. E’ figlio di un tempo della storia fecondato – e talvolta paradossalmente isterilito – da un sistema di valori. Un ethos politico direbbe Croce.
Per quelli della mia generazione che militarono a sinistra, l’idea di scuola nella quale incappammo era figlia di un modo di produzione, dell’intreccio inestricabile tra le ragioni del mercato e quelle dell’educazione, di un modello egemonico di classe, armato di filosofia economica e di scienza sociale.
Un modello strutturato secondo i criteri della selezione alla base.
Parlo di tempi in cui osavamo ancora pensare alla democrazia come ad un processo, a percorsi originali che si esprimono in modelli perfettibili e da perfezionare e, senza provare sensi di colpa, ragionavamo di “democrazia borghese“.
E se il mondo nel quale eravamo cresciuti fatalmente ci condizionava, noi rispondevamo decisi a condizionare.
Avevamo identità ben definite e sentivamo di essere inconciliabilmente alternativi: noi alla destra, la destra a noi. C’erano di mezzo barriere ideali – “ideologie” si dice oggi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti – e non si facevano sconti a nessuno. Qui non importa sapere chi avesse torto e chi invece ragione. La discriminante era di una evidenza solare: i valori dell’antifascismo e una Carta costituzionale che rendeva nobile la parola mediazione.

C’era un sistema di valori condiviso. L’esercito clerico-moderato non tirava addosso allo “Stato gestore” e sui grandi temi si incontrava con l’armata dei ribelli giacobini. Potrei dire della guerra, della legislazione sociale, del lavoro e della sua tutela, ma mi fermo alla scuola che qui più interessa.
Almeno sul piano delle finalità e degli obiettivi, il principio era comune: la formazione del cittadino, si diceva, è compito della collettività, cioè dello Stato “il quale ha per missione di realizzare il bene comune ed è giustamente investito di un’autorità per assumere la salvaguardia delle Istituzioni, far rispettare i diritti inviolabili della persona assicurare che la famiglia e i corpi intermedi compiano i loro doveri a questo scopo: formare i ragazzi al rispetto della legge costituzionalmente costituita“. La famiglia, quindi, cedeva il posto allo Stato inteso come sintesi dell’interesse collettivo espresso dal “patto sociale” e come tutela dagli interessi particolari dei suoi contraenti.
Provate ad affermarlo oggi un principio di questo genere e spingerete in campo aperto l’armamentario ideologico di pseudo liberal-liberisti pronti all’anatema e di sedicenti riformisti, che hanno completamente perso la nozione originaria – ed originale – della riforma come momento di lotta verso la costruzione di uno Stato socialista.
La riforma di Turati, che non fu certo un rivoluzionario.

Questa concezione dello Stato, che negli anni Sessanta del secolo scorso non fu del bolscevico Zinoviev, ma del cattolico Ufficio Internazionale per l’Infanzia, e l’idea politica di scuola che da essa deriva, appartengono ad un mondo che non esiste più. E qui non mette conto capire perché.
Per la destra come per la sinistra la repubblica nata dalla Resistenza oggi non c’è più. Ci siamo inventati la seconda repubblica e il terreno d’intesa è diventato quello della revisione. Troppo Stato dichiarano a destra ed a sinistra. Le scuole e gli ospedali sono diventate aziende, i servizi sono piegati al profitto. La sinistra ha governato coi voti del razzismo padano ed io, insegnante napoletano in una zona di violenza camorrista, non ho mai saputo spiegare a miei studenti come si conciliassero il mio sbandierato rispetto delle regole, il mio Stato costituzionale nemico della violenza, con i nostri aerei abbattuti in volo dalla difesa irachena ai tempi della prima guerra del Golfo.
Siamo ancora lì, nel Golfo, siamo in Afganistan, siamo nei Balcani che abbiamo bombardato, siamo per le missioni Arcobaleno e per le armi all’uranio depotenziato, siamo per la scuola azienda, per le primarie, per le Regioni coi Governatori, per il lavoro in prestito e interinale, per le riforme del sistema pensionistico, per i tagli allo stato sociale, siamo con la Costituzione europea e fuori della nostra Carta costituzionale.
Per farla breve, siamo nella logica della destra.

Non si sciolgono certi nodi solo decidendo da che parte stare rispetto ad una riforma, e nemmeno, provando semplicisticamente a risolvere il rebus che tanto ci appassiona: abrogare oppure no una legge sulla scuola. Il nodo è ben più intricato e complesso del “che fare?” di bolscevica memoria.
E’ il “chi siamo?” cui occorre dar risposta. Chi siamo, per sapere che vogliamo e cosa faremo per averlo. E’ per questo che non basta una maggioranza e non servono i numeri della “democrazia perfetta“, che un tempo dicevamo borghese. Lo vediamo ogni giorno che essa è un inganno impotente.
La battaglia grande, quella vera – e va detto perché la verità non è mai retorica – la battaglia in cui si gioca il futuro del paese, si combatte su questo terreno. Il terreno dei valori, che ci riconducono alla nostra storia ed al nostro passato. Per questa via si costruisce una scuola e si pensa una riforma. Fuori di questo terreno c’è un nuovo e più terribile fascismo.

Uscito su “Fuoriregistro” l’1 ottobre 2005

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