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Archive for settembre 2021


Se un padrone che non è in regola con la sicurezza uccide un operaio, teoricamente gli tocca una pena massima di 5 anni. In realtà il peggio che gli può può capitare è una condanna a un anno con la condizionale. La pena di Mimmo Lucano per la sua idea di umanità e solidarietà, equivale, quindi, a quella massima che dovrebbe toccare a un padrone che ha ucciso due o tre lavoratori.
Il punto, però, ora non è se la sentenza sia da considerare “giusta”, perché evidentemente non lo è. Il punto è che il capitalismo riconosce il fascismo come suo modello di organizzazione e governo della società. E’ che il nuovo fascismo, ridotti a carta straccia la Costituzione e a un inutile fastidio il Parlamento, comincia purtroppo a gettare la maschera.

Agoravox, 1 ottobre 2021

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Facciamoci delle domande. E’ vero o no che in qualunque Paese veramente democratico l’arrogante rifiuto opposto da Gaetano Manfredi a ogni pubblico confronto con gli avversari ne avrebbe decretato la sconfitta prima ancora dell’apertura dei seggi? E non è vero che Manfredi si presenta alle elezioni accogliendo tutti gli ex avversari che portano voti?
E’ vero, certo che è vero.
E’ vero o no che in termini di “programma”, questo significa che Manfredi vuole solo vincere, ma non ha, non può avere un sistema di valori cui ispirarsi e  una vaga idea di ciò che farà per la città? Non è così? Sì, è evidentemente così.
Per questo scappa.
Darete la città in mano all’armata Brancaleone che si porta appresso, per offrirla al saccheggio dei lanzichenecchi? Non gliela darete? E che farete? Per sfuggire al gatto correrete in braccio alla volpe? Voterete per Bassolino, l’uomo che vi ha sepolti sotto tonnellate di spazzatura? Andrete a votare per il “Komunista” che, zitto, zitto, si mette d’accordo con gli uomini di Salvini e vi vende al miglior offerente?
Non lo farete? E allora chi voterete?
Mi pare di sentire il coro: “Nessuno. A votare non ci andremo, così questa banda di politicanti imparerà la lezione”!.
E no, cari miei. La lezione la imparerete voi, quando, impotenti, assisterete alla privatizzazione dell’acqua e dei mezzi pubblici, quando vi ridurranno con le pezze al culo, caricandovi di nuovi debiti e distruggendo ciò che resta della Sanità e dello Stato sociale.
Lo so che lo sapete: c’è pure la Clemente. Che farete? Come pesciolini all’amo, abboccherete alle lenze che abilmente vi fanno passare sotto il naso e griderete: “Alessandra Clemente? Ma quella è una  nullità!”.
Avete detto le stesse cose per De Magistris e ora volete punire Alessandra Clemente come fosse lui. Bravi! Vi siete lasciati infinocchiare dai pennivendoli coalizzati e dalle televisioni che sono tutte in mano di chi vi affama.

La verità è che il sindaco su cui puntate il dito ha messo spalle al muro personaggi potenti. e voi l’avete eletto perché vi aveva stupito per il coraggio. Voi lo sapete: in un paese come l’Italia, un magistrato che si mette a indagare su gente che ha potere ha un raro coraggio, rischia di farsi male e chiudere la carriera in malo modo. L’avete eletto per questo e gli affaristi di ogni razza hanno trovato chiusa la porta di Palazzo San Giacomo. A voi pare niente? Questa scelta gli è costata immediatamente l’ostilità di tutti i giornali e tutti i partiti. Non s’era mai visto uno schieramento così compatto.
Poiché la capitale del Sud non si poteva più spolpare, le hanno tagliato l’ossigeno e si sono inventati l’ “autonomia differenziata”. Non sapete cos’è? Un sistema per derubarvi legalmente. Bene, mentre voi dormivate, il sindaco di Napoli è stato l’unico politico del Sud a schierarsi contro l’ ”autonomia differenziata”. L’unica figura con carica istituzionale. Era il 2019. Avete sentito parlare Maresca, Bassolino e Manfredi? No stavano tutti zitti. Lui no. E con lui Alessandra Clemente. 
Naturalmente se dici no a un imbroglio, gli imbroglioni te la fanno pagare. Ed ecco che nasce la favola del “populista”. Populista chi? Chi non si siede al tavolo dei gruppi di potere accampati nei partiti? Vi piaccia o no, ve lo ricordiate o no, Napoli è stata la sola grande città d’Italia in cui l’acqua è pubblica e costa meno che in tutte le altre città. E quando s’è fatto questo autentico miracolo, la Clemente, la “nullità”, era col sindaco. I partiti che oggi si presentano nascosti dietro i candidati, PD in testa, non facevano altro che sabotare. Perché? Perché a loro non interessate. A loro interessano gli affari e gli affaristi e l’acqua è un affare d’oro.
Assieme alla  Clemente, De Magistris vi ha dissepolti. Vi ha trovati sotto la “munnezza” e vi ha recuperati. Aveva tre soldi, ma c’è riuscito. E’ stato un altro colpo agli affari sporchi del neoliberismo. Un colpo alla camorra, che vi aveva seppellito sotto la spazzatura. Voi ve lo ricordate Bassolino? Parlava, parlava e non faceva niente. Che fate? Tornate a votarlo?
De Magistris e la Clemente hanno tolto dalle mani dei privati la torta della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Ora c’è un’azienda comunale, l’Asìa, ci sono 10 isole ecologiche, una per municipalità, e cinque itineranti (per raccogliere mobili ed elettrodomestici che prima finivano per la strada); ci sono nuovi macchinari, c’è – e prima non c’’era – la polizia ecologica, che ha fatto multe in quantità e c’è l’esportazione in Olanda. Il sindaco non ha fatto niente? Ma voi dove siete stati in questi anni? Napoli ha raggiunto il 40% della raccolta differenziata, la raccolta porta a porta è diffusa in quasi tutti i quartieri e la TARI è tra le meno costose del Paese.
La Clemente era con lui quando De Magistris ha ricondotto al potere pubblico la gestione del patrimonio immobiliare della città. Prima – non ve ne ricordate? – prima era in mano a Romeo, che ha avuto poi problemi con la giustizia. Ci voleva coraggio. De Magistris l’ha avuto. E solo un politico di grande coraggio come lui poteva farlo. Gli altri sindaci non si erano azzardati. Romeo è parte di un gruppo finanziario assai potente ed è amico dei Caltagirone, padroni del “Mattino”, che a Napoli conta molto. Voi capite perché il giornale ha fatto guerra e De Magistris e ora la fa alla Clemente? Perché la “nullità” era con lui quando il colpo è stato assestato! Insomma De Magistris sarebbe un fallito e la Clemente è una “nullità” perché non fanno patti con i potenti? Non vendono e non si vendono?
Volete credere ancora all’informazione che ne fa una mezza tacca? Credeteci pure, ma ricordate: vi prendono per i fondelli. Eppure avete sotto gli occhi la trasformazione di quasi tutti gli incroci in rotonde,  centinaia di km di strade rifatte, via Caracciolo in buona parte pedonalizzata, 150 nuovi autobus acquistati, 5 nuove stazioni della Metro. Forse non lo sapete, ma l’azienda pubblica di trasporto, l’ANM, ha di nuovo il bilancio in attivo. A voi pare poco? Avete dimenticato che siamo una città costretta a pagare un debito che risale al terremoto dell’80.
La Clemente è stata con lui nella rigenerazione della Sanità e dei Quartieri Spagnoli, un tempo luoghi pericolosi, oggi “riconquistati”, pieni di osterie e bar, e murales giganteschi conosciuti nel mondo. Napoli è stata la prima città d’Italia a dotarsi di un registro delle unioni civili, che ha permesso il riconoscimento legale a coppie dello stesso sesso e ai loro figli, anche adottivi, esempio poi seguito anche da altre città.
Volete fermare questa macchina e rimettere al volante chi vi ha distrutto? Padronissimi di farlo. Se ci pensate un poco, però, non ci vuole molto a capirlo. Avete una sola speranza: la coalizione della Clemente sostenuta da Potere al Popolo, il meglio della politica che vive in città.

Candidato di Potere al Popolo

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Ho insegnato nelle scuole statali quando coltivavano intelligenze critiche ed erano un’efficace ascensore sociale. Dagli anni Sessanta a oggi ho sempre lottato per un mondo migliore e non ho rincorso sogni. Ho partecipato a lotte che hanno consentito grandi conquiste sociali. Quelle conquiste che, in nome del profitto, il neoliberismo dilagante sta cancellando, assieme all’equilibro dell’ambiente, mettendo a rischio la sopravvivenza del genere umano.
Di mestiere faccio lo storico, che non significa occuparsi del passato, ma fornire chiavi di lettura del presente e quella autonomia di pensiero che consente ai giovani di progettare il futuro.
Mi candido alle imminenti elezioni amministrative, convinto che amministrare Napoli e i suoi quartieri significhi anzitutto fare una scelta politica: rifiutare la logica devastante del neoliberismo e opporsi, se necessario, anche con la più intransigente disobbedienza. E poiché è necessario, noi diremo no.
Mi candido perché intendo contribuire alla sconfitta delle foglie di fico di forze politiche che qui a Napoli fingono di combattersi e a Roma governano con Draghi e dicono sì a leggi che massacrano la povera gente. Questa gente promette che farà il bene di Napoli, ma si è già accordata sull’autonomia differenziata, che assegna incalcolabili risorse al Centro-Nord e lascia Napoli e il Sud nella più nera miseria.
Mi candido con Potere al Popolo, a sostegno della candidata sindaca Alessandra Clemente, perché quando dice città, Potere al popolo non pensa ai salotti buoni di quei ceti sociali che si arricchiscono col lavoro nero e l’evasione fiscale. Pensa anzitutto ai territori in cui decenni le politiche neoliberiste hanno portato miseria, camorra, disoccupazione e disperazione.
Potere al Popolo è una forza politica apertamente antiliberista, non appoggia il tragicomico governo Draghi, rifiuta il devastante progetto di impoverimento di Napoli e del Sud e da anni dimostra coi fatti di avere un modello alternativo a quello che unisce tutti gli altri candidati. Potere al Popolo non promette “miracoli” e non si prepara a distruggere Napoli. Da anni offre gratis a migliaia di persone attività solidali, assistenza legale a lavoratori e immigrati colpiti dalle leggi di Salvini, Draghi e compagnia cantante, da anni fa funzionare doposcuola, ambulatori medici e attività teatrali e sportive e dai tempi del lockdown distribuisce pacchi spesa a chi ne ha bisogno.
Questo è il nostro modello di riferimento e questo faremo se ci voterete. Sarà più facile, perché avremo strumenti più efficaci e una più ampia possibilità di conoscere problemi e intervenire.

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Desidero ringraziare “La Repubblica”, che mi riconosce diritto di parola. Da tempo i “compagni” preferiscono che stia zitto…

La Repubblica Napoli, 26 settembre 2021

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Manfredi, ex rettore dell’Università Federico II, è uomo d’onore e gli si deve credere. Se dice che non sapeva nulla della brutta faccenda del Comitato elettorale creato per lui da alcuni docenti dell’Università Federico II, è così: non ne sapeva nulla. Non sapeva che Bruno Amato, docente della Federico II,candidato al Comune di Napoli in una delle lista che lo sostengono, aveva avuto la sciagurata idea di scrivere ai colleghi domandando una foto, l’identificazione attraverso la posizione accademica e il numero dei voti che pensava di assicurare all’ex rettore. Lo scopo della raccolta  dati? Semplice e sconcertante: «Facciamo un fascicolo e lo consegniamo a Manfredi».
L’ex rettore non ne sa nulla, finché l’iniziativa non diventa di pubblico dominio. A quel punto ti aspetti la condanna e l’immediata, indignata presa di distanza. Aspetti invano. Il serafico candidato sindaco di Napoli non fa una piega e chiamato a esprimere la sua opinione, minimizza il caso indecente e lo riduce a «una ingenuità nata dai relativi, diciamo così, tempi veloci con i quali sono stato coinvolto in questa campagna elettorale». Una dichiarazione sconcertante, che consente al coordinatore cittadino di Forza Italia, Fulvio Martusciello, di reagire indignato: «L’idea di schedare i professori universitari secondo le loro idee politiche è l’antitesi dell’Università che vogliamo ».
Solo quando lo scandalo monta, Manfredi fa marcia indietro, riconosce l’errore ma continua a minimizzare : «E’ stata una grande leggerezza, ha chiesto scusa […] Può succedere che si sbaglia, quando poi si è candidati per la prima volta». Manfredi non lo sa, ma Amato invece è già stato candidato con Lettieri.
Quale Università vorrebbe Martusciello c’interessa poco. A noi piacerebbe sapere che idea abbia del tempio napoletano dell’alta cultura, il suo ex sconcertante rettore, che, minimizzando, sembra non aver colto la gravità di un’iniziativa che ignora le norme sulla privacy, è estranea alla cultura della democrazia e ha mille affinità con una schedatura politica.
Riducendo tutto a una ingenuità, giustificata dai tempi ristretti che ha avuto per candidarsi, Manfredi dimostra di non rendersi conto della gravità di un’iniziativa, che si inserisce purtroppo a buon diritto nel crescente, pericoloso degrado della politica, nella scarsa sensibilità democratica della cosiddetta società civile, ormai indifferente ai modi in cui si svolge una campagna elettorale, caratterizzata dalla difficoltà di marcare il confine tra il lecito e l’illecito.
Qualcuno dirà che in fondo si tratta di un evento marginale. Per noi invece è una brutta faccenda, significativa e per molti versi rivelatrice, che pone una domanda chiara e inquietante: Manfredi è davvero l’uomo a cui affidare le sorti di Napoli?
Basta riflettere con onestà intellettuale per capire che la risposta è no. C’è bisogno di altro e di meglio. Esclusi Bassolino con la sua triste storia e Maresca, candidato di Salvini, c’è Alessandra Clemente, una donna che vale, onesta, capace, che ha un programma credibile ed è sostenuta da Potere al Popolo!, una formazione giovane che ha restituito dignità alla sinistra e ai suoi valori.

Giuseppe Aragno, candidato di Potere al Popolo

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Vi domanderete perché, discutendo di elezioni amministrative, chiami in causa l’articolo 116 della Costituzione, che riguarda le regioni e la loro autonomia. Un po’ di pazienza e mi direte poi se l’argomento entra legittimamente nella discussione.
Prima che Massimo D’Alema ci regalasse la sciagurata riforma del Titolo V, sulle Regioni a Statuto speciale, la Costituzione era chiarissima: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali». Meuccio Ruini, antifascista, perseguitato politico e padre Costituente, aveva chiarito i motivi della scelta nella sua relazione al progetto di Costituzione. Poche, ma fondamentali parole: «la Regione non sorge federalisticamente. Anche quando adotta con una legge lo statuto di una Regione, lo Stato fa atto di propria sovranità». Pur non potendo nemmeno lontanamente immaginare che qualche decennio dopo avremmo dovuto fare i conti con le folli richieste leghiste, le donne e gli uomini che  scrissero lo Statuto posero così  un limite insormontabile agli egoismo locali e all’avventurismo di gente come Salvini.
Ignorando questa impostazione che aveva radici profonde nella storia di un Paese ridotto a «una espressione geografica» dalla lunga vicenda degli Stati regionali, la miopia di D’Alema e degli uomini che oggi formano il PD, violentarono l’articolo 116, sicché oggi basta una legge ordinaria per accordare alle Regioni «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Unico limite – di fatto formale – un’intesa fra Stato e Regione. Com’era scontato, quando le verità di fede del neoliberismo hanno scatenato la crisi disgregante che attraversiamo, le Regioni che dall’Unità a oggi più hanno preso e meno hanno dato a un processo di armonica crescita economica e sociale della Repubblica, hanno messo in campo iniziative incompatibili con lo spirito Costituente esposta da Ruini all’inizio della storia repubblicana.  
E qui il nesso tra elezioni amministrative di Napoli e cosiddetta «autonomia differenziata» si fa chiarissimo. Allo stato attuale delle cose, tranne Alessandra Clemente, che ha dichiarato la sua netta avversione allo scellerato cambiamento, i candidati a sindaco che dicono di «amare Napoli» provengono tutti, o sono sostenuti, da aree politiche, partiti e liste che sono invece apertamente favorevoli. A parole promettono uno splendido futuro alla città; sanno però che alla resa dei conti chi li presenta e li sostiene non glielo consentirà.
Maresca, per esempio, tutto cuore e passione partenopea, è sostenuto dalla Lega di Matteo Salvini e di Luca Zaia, così attento alla sorte dei napoletani, del Sud e in generale dell’Italia, che nel 2014 ha tentato di indire un referendum che la Consulta dichiarò illegittimo. Qual era l’obiettivo? Voleva l’indipendenza del Veneto, di cui è Presidente. Sì, avete capito: l’indipendenza. Sempre con Napoli nel cuore, Zaia è tornato alla carica nel 2017 con un referendum rivelatore dei rapporti che i ricchi autonomisti intendono instaurare con i poveri napoletani: Zaia vuole tenere per il Veneto una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai suoi cittadini all’amministrazione centrale, per poterli utilizzare in termini di beni e servizi per la sua Regione; non contento, vuole che il Vento tenga per sé l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale. Per Zaia, infine, il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non deve essere soggetto a vincoli di destinazione.
Gli amici di Maresca, quindi, vogliono uno Stato che non possa e non debba attuare il principio costituzionale che consente di destinare risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico di territori bisognosi a fini di coesione e solidarietà sociale. L’esercizio concreto dei diritti della persona? Gli squilibri economici e sociali? La salute? La formazione? Sono questioni che al Veneto e alla Lombardia, che ha seguito a ruota Zaia, non interessano. Di fatto, i sostenitori di Maresca con la loro «autonomia differenziata» dichiarano guerra a Napoli e al Sud.
Si può sperare sull’ex ministro Gaetano Manfredi? Nulla da fare. Il PD di Manfredi canta a coro con la Lega di Salvini e non ha fatto nemmeno il referendum. In Emilia Romagna, infatti, sono stati più sbrigativi e l’Assemblea legislativa ha dato mandato al Presidente della Regione Stefano Bonaccini, di avviare  trattative con il Governo. Bonaccini, passato da Bersani a Renzi, uomo della destra del PD, il partito che è probabilmente il principale responsabile dello sfascio del Paese e del Sud in particolare. Non ho parlato di Bassolino? No. Ma lui fa parte a buon diritto e storicamente del gruppo dei distruttori.
Alessandra Clemente e la sua coalizione hanno, com’è noto, una posizione completamente diversa, ma invano chiedono ai candidati avversari di prendere posizione sul tema: Manfredi, Maresca e Bassolino hanno cambiato idea e sono contrari? Se è così, possono spiegarci per favore perché si fanno sostenere da forze che sono invece tutte favorevoli?

Candidato di Potere al Popolo

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E’ vero, è un accademico. E che fai, non lo voti per questo?  Sarebbe una scelta discutibile, perché non sono molti, ma esistono anche quelli non compromessi con l’andazzo dei concorsi pilotati, dei posti ereditati e delle cattedre moltiplicate come i pani e i pesci.
D’accordo, sì, è diventato ministro perché ha accettato di governare l’Università dopo il rifiuto di Lorenzo Fioramonti, indignato per il trattamento da Cenerentola toccato alla formazione.
Manfredi non s’indignò.
Non fu una bella scelta, questo è vero, ma qualcuno doveva pur farlo…
Non c’è dubbio, come ministro è stato un autentico fantasma, però per fare il sindaco, s’è impuntato: voglio i fondi che avete negato a De Magistris. Di fatto perciò, dopo aver sparato a zero sul sindaco uscente, ha riconosciuto che contro di lui si sono fatte scelte scorrette e vergognose.
Questo comportamento è un punto a suo favore o la dimostrazione di una sconcertante ambiguità?
I soldi li avrà?
Se potrà battere moneta, probabilmente sì. Sta di fatto che non solo è un neoliberista convinto, ma a sostenerlo c’è anzitutto il PD, pilastro del pensiero unico e, come tutti sanno, cieco sostenitore della cosiddetta «autonomia differenziata». Forze politiche per le quali il Sud è sostanzialmente una colonia.
Non sai cos’è l’autonomia differenziata? E’ la scelta feroce che unisce tutti i candidati sindaco contro Napoli e contro la Clemente, la sola che rifiuta di vendere la città al Nord, come sono pronti a fare il PD, la Meloni, i 5Stelle, l’innocente nullatenente e patetico Antonio Bassolino e Catello Maresca, dietro il quale si nascondono Salvini e la «Lega Nord per l’Indipendenza della Padania».
Proprio così, «Lega Nord per l’indipendenza della Padania»…!!!!
Stringi stringi, se pensi di votare Manfredi due domande te le devi porre. Solo due, ma decisive:

  1. Quale credibilità può avere Manfredi, che un giorno accusa De Magistris e un altro fa il suo avvocato d’ufficio?
  2. Da napoletano, sei disponibile a votare un candidato sostenuto da un partito proto a pugnalarti nella schiena?  

    Candidato di Potere al Popolo! 
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La scuola apre con tre suicidi. Stanno massacrando la popolazione, soprattutto i giovani. E non parlo dei talebani asiatici, ma di quelli nostrani: i neoliberisti. A cominciare da candidati sindaco tipo Bassolino, Maresca e Manfredi, tutti in varia misura sacerdoti del pensiero unico e dalla sua Bibbia, l’austerità. Tutti sostenitori di un governo che dovrebbe togliere velocemente il disturbo!


«Non parliamo di cose, parliamo di persone. Sono le persone in carne ed ossa a costruire le gallerie, sono loro a guidare i treni, sono loro a fare sacrifici tutti i giorni per i cittadini. Come il lavoratore napoletano che ha perso la vita nel cantiere della metropolitana. A lui […] ho rivolto un pensiero commosso».

Così scrive su Facebook Gaetano Manfredi, candidato sindaco di Napoli.
 
Il fatto è, caro Manfredi, che le persone prima o poi se ne vanno, mentre le cose restano. Resta, per esempio questa «cosa»: lei è candidato di un partito che nel corso degli ultimi anni ha firmato le leggi peggiori per i lavoratori. Vuol parlare di «cose»? Eccone una su cui lei tace, forse perché il PD che la candida sostiene Draghi persino quando, come ha fatto quest’anno, mette in bilancio una spesa di 25 miliardi per armi di ogni genere e un misero miliardo per la Sanità. Lei può anche tacere, tuttavia questa è una «cosa» che la chiama in causa direttamente, perché non ha speso una parola per condannare una scelta così scellerata.
Sa quali sono le conseguenze di questa «cosa» che lei preferisce ignorare? Stia a sentire e capirà.
Poiché da anni chi ci governa regala miliardi a chi vende armi,  il Centro di salute mentale della V Municipalità non ha un quattrino e taglia servizi. Orari notturni aboliti, psicoterapia praticamente cancellata. Chi sta male di notte non trova soccorso ed è solo coi suoi guai. Di giorno, poi, si può star male dal lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica no, perché il Centro chiude il venerdì sera e riapre il lunedì mattina. Se tutto va bene, nelle ore in cui è aperto, il Centro offre solo un soccorso farmacologico. Pensionata la psicoterapia, chi non sta bene può solo sperare di trovare un dottore misericordioso che gli riveli una sorta di segreto: provi a portare la sua sofferenza a Via Adriano. Lì, se l’accolgono, una mano forse la trova. Da buon migrante della salute, però, a Via Adriano il poverino scopre che prima di ricevere cure deve pagare un ticket presso uno sportello aperto solo la mattina a Via Scherillo.
Acqua, vento, solleone, benché bisognoso di assistenza, il migrante porta a Via Scherillo la sua anima in pena, ma è comunque un fortunato: finalmente può sperare di non doversi imbottire di psicofarmaci e non dover fare i conti con l’assuefazione. Può sperare, insomma, che sia terminato il suo calvario di involontario drogato. Naturalmente, come ogni migrante, deve rassegnarsi alle angherie di leggi, circolari e funzionari che fanno il bello e il cattivo tempo. In questi giorni, per esempio, uno sventurato sofferente mi ha raccontato la sua esperienza di cittadino di serie b.
Tutto è cominciato con un medico di base che non gli ha potuto fare la richiesta dei colloqui, perché gli è scaduto il contratto! Ha letto bene: abbiamo bombe a volontà e scarseggiano i medici, sui quali risparmiamo per acquistare cacciabombardieri. Senza medico di base, il povero migrante non ha avuto scelte. Si è imbarcato su un gommone malsicuro e ha iniziato la traversata, sperando di sbarcare a Lampedusa. Male come stava da giorni, nonostante gli anni, il malessere e l’avvilimento, ha allontanato la tentazione del suicidio, s’è fatto forza, è riuscito ad avere la richiesta e ad approdare all’ufficio ticket. Lì, però, si è trovato contro un muro: i migranti della salute, infatti, non pagano più il ticket a via Scherillo. Dove lo pagano? L’impiegato non lo sapeva gli ha consigliato di chiedere a Via Adriano.
Ricacciata in gola la voglia di piangere, in preda a una crisi di panico, l’uomo per fortuna ha scelto la vita. Ripreso il gommone, ha raggiunto boccheggiante Via Adriano, ma lì ha scoperto che i napoletani migranti, se sono fortunati, possono curarsi a Via Adriano, ma il ticket devono pagarlo in patria. Originario del Vomero, lo sventurato ha capito che la sua patria è la Municipalità Vomero-Arenella; una patria che non ha chi gli faccia la psicoterapia, perché i soldi se ne sono andati tutti per armi, munizioni e guerre umanitarie, ma prende gli euro per o colloqui che non fa. Cittadino del terzo mondo, il paziente ha affrontato i rischi di una nuova traversata sul solito gommone e come Dio ha voluto è sbarcato stremato a via Mario Fiore.
Accatastati come in un treno piombato per Auschwitz, senza regole di distanziamento, lì ha scoperto che assieme a lui erano sbarcati un centinaio di malati di tutti i mali. Che fare? Nonostante l’agitazione, s’è messo in fila ad aspettare. Attorno a lui, nel girone infernale, una umanità che riesce a essere ancora solidale. Un ammalato che cedeva il passo a una vecchina novantenne più malata di lui, un altro che scovata una sedia la dava a un uomo molto anziano cui non bastava il bastone e un giovane settantenne che trovava la forza per spingere nel labirinto di uffici e corridoi la carrozzella d’una paralitica in difficoltà. A mezzogiorno l’ufficio ha chiuso. Il migrante sopravvissuto a lunghe traversate  ha trascinato il suo malessere fino a casa con una speranza cui aggrapparsi: se le notti eterne dell’ansia e la fatica di vivere lo consentiranno, il 13 settembre farà il suo colloquio. Intanto droga a volontà!
Glielo dico senza far polemiche, Manfredi. Discuto di «cose». Se lei e il suo partito dovessero mettere di nuovo le mani sulla città, per Napoli questa sarebbe una «cosa» catastrofica.

Candidato di Potere al Popolo!

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Del Bassolino «miracoloso» – quello del ’94 – ho esperienza diretta e trovo singolare che la stampa stia zitta quando l’ex sindaco afferma che con la sua elezione la città ridotta al buio si illuminò di lampi inattesi, intercettò la stella polare e uscì dalla sua eterna mezzanotte. Cantando a coro, gli immancabili adulatori ricorrono alle solite mezze verità: la luce ritrovata fece tornare ben presto per le strade deserte i ragazzi che s’erano rintanati. Ed è vero, sì, me lo ricordo anch’io: i ragazzi riempirono le strade, ma non ce li portò Sant’Antonio Bassolino. Si ritrovarono in piazza, spinti da un moto di protesta esploso a buon diritto contro una delle mille riforme confindustriali della scuola e dell’università.
Il coro di adulatori smemorati non ricorda più che i ragazzi, appena tornati in strada, si trovarono a fare i conti con la vocazione autoritaria e repressiva del sindaco «miracoloso», sicché il 14 novembre 1994, la stella polare sparì, tornammo al buio pesto e si giunse allo scontro violento e premonitore. Ricordo con angoscia la sirena della Camera del Lavoro allertare i dirigenti e l’affannosa e inutile corsa verso gli studenti degli istituti superiori di Napoli e Provincia, riuniti in corteo. Giungemmo in tempo, ma la Questura non sentì ragioni e a via Medina si scatenò. Un attimo e il bilancio divenne pesantissimo: un giovane travolto da una volante, studenti fermati in massa e un messaggio che emergeva chiaro: Bassolino non gradiva.
Rifiutato l’ascolto ai ragazzi tornati in strada e respinti con la violenza, dietro il «Rinascimento» si intravide così il rifiuto della vita democratica e la volontà di trincerarsi nell’immagine artificiosa di una  campana di vetro. Invano Jean Nöel Schifano, acuto interprete della natura di uomini e cose, lacerò il manto conformista degli elogi e individuò precocemente le radici del fallimento: l’idea del «salotto buono» conteneva in sé germi reazionari. Napoli, ebbe a dire, «è una città di carne, una città di vita, la sola città in tutta Italia in cui la gente è in simbiosi con le pietre, con le statue, i quadri. Se questa città si museificasse, sarebbe una città-mummia. Mai i napoletani vorrebbero essere […] mummie, dunque la città museo no».
Bassolino lo ignorò. Lui non voleva la gente. Preferiva le mummie.
Dopo il delirio di cariche e inseguimenti, dopo che uno studente, colpevole di essere tornato in strada, fini in Questura trascinato per i capelli come una bestia, dalle vie sparirono i ragazzi. E non solo loro. Per Bassolino il «rinascimento napoletano» era incompatibile con ciò che si muoveva. I movimenti sociali rendevano smossa l’immagine e non permettevano di vendere fumo. Occorreva perciò mummificare, sicché Francesco Festa ha potuto poi scrivere che «la filosofia delle istituzioni locali nei confronti dei movimenti antagonisti era mutata radicalmente». Avendo una formazione comunista deteriore, «Bassolino conosce bene i movimenti di lotta», e gli toglie l’ossigeno per respirare. Il sedicente democratico «smorza qualsiasi forza antagonista, delegando alla Questura la gestione dei rapporti con i disoccupati», con gli studenti e, in genere, con le forze alternative. Di fatto, imbocca così la via che conduce difilato alle violenze del 2001, che, non a caso, ebbero il loro più autentico laboratorio sperimentale nella città di un «Rinascimento» scivolato progressivamente e inesorabilmente nelle sabbie mobili di una nuova «Restaurazione».
Alla tragedia spazzatura non si giunse per caso. Nelle diverse tappe della sua carriera politica nessuno ha saputo incarnare meglio di Bassolino il berlusconismo di sinistra, la mutazione genetica da cui è nata una prassi perniciosa: sottrarsi a ogni tipo di mediazione con quei movimenti che erano e sono l’autentica espressione dei bisogni reali dei ceti subalterni. Rifiutando il colloquio con gli esponenti del dissenso popolare, Bassolino non solo colpì duramente la partecipazione democratica, ma produsse la caligine densa che avvolse e coprì i processi di deindustrializzazione. Grazie a quella nebbia impenetrabile, fu possibile promettere a Bagnoli turismo al posto dell’acciaio e aprire la strada che incanalava i bisogni della povera gente verso l’unico sbocco possibile: quello delle logiche clientelari, anticamera delle pratiche camorristiche.
Inserita in questo contesto, al di là delle inadeguate verità giudiziarie, la vicenda della spazzatura non fu un incidente di percorso, ma l’esito inevitabile di una scelta politica, che aveva fatto propri i disvalori della peggiore destra; non basta scrivere perciò che «Bassolino ha lasciato inevasa tutta una domanda sociale proveniente dai ceti più bassi». Occorre ricavarne la logica conclusione: quella domanda è stata spinta così in braccio alla camorra.
Piaccia o no, questo disastro cadde sulle spalle di De Magistris, che, per quanto possibile, provò a girare pagina, tornando a dialogare con i movimenti. Una scelta che scavò un abisso tra le due esperienze. Non mi avventuro sul terreno di una comparazione, ma una cosa la dico: l’ennesima candidatura di Bassolino, che riporta Napoli al 1993. non solo è anacronistica e fuori dalla storia, ma ripropone formule reazionarie. E’ perciò una sfida pericolosa, cui occorre rispondere rifiutando la tentazione di non votare. La sinistra quella, vera, è oggi rappresentata da Potere al Popolo che non a caso si presenta in una coalizione che sostiene la candidatura a sindaco di Alessandra Clemente. La sfida vera infatti è questa: dignità e futuro contro passato e reazione, contro un blocco di potere in cui tutti fanno il gioco delle tre carte: a Napoli sono avversari e a Roma alleati nell’inaccettabile governo Draghi.

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Più l’impasto di trasformismo e opportunismo che sostiene Manfredi e Maresca sconcerta gli elettori, più Antonio Bassolino trova spazio e diventa addirittura una «novità». D’altra parte, perché stupirsi? Se Manfredi mette il diavolo con l’acqua santa e dietro Maresca c’è Salvini, il gioco di Bassolino diventa facile. In una società che non ha memoria storica basta vendere all’elettore i pregi dell’«usato sicuro» e il gioco è fatto. Il suo messaggio, tuttavia, è semplice, chiaro ma, come vedremo, fuorviante. Dopo anni di delusioni – dice ammiccante il nuovo che avanza – sognate un uomo che abbia alle spalle una vita vissuta a sinistra? Bene. Io sono di sinistra e vengo dal PCI. Quella sinistra che vantava la sua «diversità» morale. E, a proposito di «morale», reduce come sono da sedici processi e sedici assoluzioni, non temo smentite: sono stato perseguitato.
Com’è noto, quando i concetti si riducono a slogan e sembrano quasi verità di fede, è necessario controllare. E’ vero, negli anni Settanta Bassolino fu un dirigente del PCI, ma ne rappresentò l’ala destra, fu per il massimo del centralismo e non tollerò dissensi. Un comunista «normalizzatore», mille miglia lontano dalla gente di sinistra, che non si oppose alla liquidazione proposta da Occhetto e lavorò soprattutto per convincere chi non voleva chiudere bottega. Fu così che divenne dirigente di primo piano di quel Partito Democratico della Sinistra che iniziò il disastroso viaggio verso il PD. Alla prova dei fatti, questa è la storia del «comunista» Bassolino.
Quanto ai processi, eviterei di parlarne, ma come tacere se l’«amministratore innocente»fu la condannato per colpa grave della sezione di Appello della Corte dei Conti per una vicenda che riguardava Bassolino come Commissario per l’emergenza idrogeologica? E non basta. Contando sui vuoti di memoria di un mondo che vive alla giornata e sui silenzi inspiegabili dell’informazione, Bassolino tace su un dato significativo: pur essendo personaggio politico di primo piano – sindaco, ex ministro, ex Presidente di Regione – sottoposto a procedimento giudiziario che comportava il rischio di dover metter mano alla tasca, risultò nullatenente. Qui la politica cede il passo alla morale e l’innocenza si colloca in un quadro di valori estraneo alla «diversità» comunista.
E veniamo alla propaganda tranquillizzante del sindaco «usato sicuro», cui la memoria corta del tempo che viviamo consente racconti a dir poco spericolati. La larghezza di mezzi che consentì a Bassolino i primi, effimeri successi è legata a filo doppio all’arrivo nella casse del Comune di cospicui finanziamenti straordinari legati allo svolgimento del G7 a Napoli. Soldi che consentirono interventi di miglioramento urbano e contribuirono a creare il mito del «Risorgimento napoletano». Di fatto, l’amministrazione vera della città iniziò dopo il G7 e fu segnata da operazioni che portano il segno del liberismo e rappresentano i primi esempi di «privatizzazioni».
Vale la pena ricordare, citando a memoria, l’emissione dei BOC, i Buoni Comunali Ordinari, ai quali dobbiamo una parte del debito che soffoca la città. La gente ormai non se ne ricorda più, ma la città produceva a prezzo popolare un alimento essenziale come il latte. Grazie a Bassolino, la Centrale del latte non esiste più. In nome delle politiche liberiste, il «comunista» ex sindaco aprì il porto a multinazionali le cui attività inquinanti fanno danni gravi all’ambiente, realizzano scempi architettonici e urbanistici e diventano uno dei primi esempi di un modello di organizzazione del lavoro fondato su due pilastri negativi: da un lato la nebulosa delle finte cooperative, degli appalti e dei subappalti, dall’altro un lavoro «malato» fatto di cottimo e paghe da fame. Primo esempio in Italia di privatizzazione di una infrastruttura di rilevo strategico, la Napoli di Bassolino cedette a una multinazionale l’Aeroporto Capodichino.
Mentre queste scelte liberiste causavano i primi tagli del welfare, la logica dell’aziendalizzazione in funzione capitalista dell’organizzazione e del funzionamento del Comune, comportava fatalmente la torbida crescita di spartizioni e logiche clientelari; erano i primi segnali dell’affermazione del pensiero unico, in cui un ruolo fondamentale rivestono la subordinazione del pubblico al privato, i tagli e l’impoverimento del sistema formativo e della Sanità. Senza fermarsi oltre sui limiti e le responsabilità di un’esperienza che si concluse con un naufragio personale e politico, val la pena di ricordare che persino i più stretti collaboratori di Bassolino hanno poi riconosciuto il disastro. Significativo, in questo senso, ciò che ebbe a scrivere sul «Corriere del Mezzogiorno» del 21 settembre 2008, Isaia Sales:
«È inutile negarlo, non ce l’abbiamo fatta a migliorare strutturalmente la città di Napoli, non ce l’abbiamo fatta a trasformare la Regione in un’istituzione autorevole e competitiva nei confronti delle migliori esperienze regionali, non ce l’abbiamo fatta a far vincere un modello alternativo alla pratica discrezionale di governo, relegando la clientela ad una eccezione e non ad una prassi corrente e abituale, non ce l’abbiamo fatta a rendere la politica e i partiti strumenti di grandi passioni civili dopo la fine di quelle ideologiche».
Di fronte allo sfascio finale, del resto, è stato Bassolino stesso a riconoscere il fallimento, quando ha ripetutamente vantato il solo suo grande «successo»: non ha mai ceduto il governo della Campania e della città al centro destra. La verità è che a Napoli per anni il vero centro destra sono stati Bassolino, i suoi uomini e le sue politiche.
Naturalmente la propaganda elettorale non lo dice, ma l’«usato sicuro» di un falso comunista e di un autentico liberista regalò alla Campania una serie di numeri negativi, che non sarà male ricordare: quasi sempre agli ultimi posti nelle classifiche regionali, il PIL, in decrescita costante rispetto alle altre regioni, crollò a livelli negativi ben prima del fatale 2008; un’anemia perniciosa che mise in ginocchio il tessuto produttivo, aggravando l’annoso problema della disoccupazione, consentendo delocalizzazioni devastanti, riducendo gli investimenti a speculazione ed elemosina. Di scuola e formazione, meglio non parlare. Alla fine, i cumuli di immondizia, prova tangibile d’un degrado inenarrabile, chiusero il cerchio.
Poiché con questa storia alle spalle Bassolino vorrebbe tornare a Palazzo San Giacomo, la domanda sorge spontanea: la sua candidatura è la giusta ambizione di un vecchio politico, o una prova d’arroganza che diventa uno schiaffo alla città?

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