Un’aggressione non è mai un episodio edificante. Quando è vile, come quella di stamattina agli studenti di Lettere, a Napoli, è per sua natura fascista. Non per una questione di idee politiche, che non c’entrano nulla, ma per ragioni banali di natura lessicale. Vile è, infatti, sinonimo di fascista e stamattina se n’è avuta l’ennesima conferma. Tutto quello che c’è da dire l’hanno già detto gli uomini della Resistenza. Eccone uno, che in tribunale parla ai giudici fascisti. E’ Ferruccio Parri, il futuro partigiano “Maurizio”, che con Longo e Cadorna diventerà poi vice comandate del Corpo Volontari della Libertà, guida militare dei partigiani, davanti ai giudici fascisti.
«Non mi hanno guidato ragioni di personale rancore contro il regime: non ambizioni o delusioni o vendette da soddisfare: insisto nel definire moventi strettamente secondari lo stesso sdegno del momento e la sollecitudine per l’uomo nobilissimo minacciato […]. Contro il fascismo non ho che una ragione di avversione: ma quest’ultima perentoria e irriducibile, perché è avversione morale: e, meglio, integrale negazione del clima fascista. Né son solo. Il mio antifascismo non è fermentazione di solitaria acidità. Le mie idee sono di mille altri giovani, generosi combattenti ieri, nemici oggi del traffico di benemerenze e del baccanale di rettorica che contrassegnano e colorano l’ora fascista.
Indenni di responsabilità recenti, intransigenti perché disinteressati, intransigenti verso il fascismo perché intransigenti con la loro coscienza, sono questi giovani i più veri antagonisti del regime come quelli che hanno immacolato diritto ad erigersene giudici. Ad essi il fascismo deve, e dovrà, rendere strettissimo conto delle lacrime e dell’odio di cui gronda la sua storia, dei beni morali devastati, della dignità nazionale lacerata.
Il regime li può colpire, perseguitare, disperdere, ma non potrà mai avere ragione della loro opposizione, perché non si può estirpare un istinto morale. Consapevoli custodi essi sanno che alla loro coscienza è affidata per le speranze dell’avvenire la tradizione del passato.
Questa tradizione è nella aspirazione perenne della nostra storia migliore, alla libertà e alla giustizia, ragione ideale del nostro risorgimento, ragione domani, ancora, della nostra storia, della storia del mondo.
Chi, come il fascismo ha fatto, oblia e cieco rinnega questa eredità ideale, perduti insieme freno e timore, fatalmente degrada il suo dominio politico a sopraffazione: menzogna e ipocrisia si fanno strumenti di governo e ragioni di corruzione e corrosione, cade ogni norma e limite di moralità pubblica, è consentita ogni offesa alla dignità personale, si disfrena, serva padrona dei potenti, la bestialità umana.
Perché questa buia parentesi di cattività sia chiusa ed espiata occorre che l’esperimento fascista, percorso tutto l’arco del suo sviluppo secondo la logica del suo impulso e del suo peso, abbia maturato nella coscienza del popolo tutti i suoi frutti amari e salutari, restituendogli ansiosa sete dei beni perduti, ferma volontà di riconquista e ferma volontà di difesa. Secondo risorgimento di popolo – non più di sole avanguardie – che solo potrà riallacciare il passato al!’ avvenire.
È in noi la certezza che libertà e giustizia, idee inintelligibili e mute solo ai tempi di supina servitù, ma non periture e non corruttibili perché radicate nel più intimo spirito dell’uomo, che questi due valori civili primi debbano immutabilmente sostanziare ogni sforzo di liberazione e di ascensione di classe e di popolo.
Nella fede in queste idee noi ci riconosciamo, nel dispregio di queste idee riconosciamo il fascismo. Contro le nostre persone esso ha bastone e manette; contro la nostra fede è inane. Non ha invero che i sofismi dei suoi retori e servi»*.
*Da Piero Calamandrei, Scritti e discorsi politici, v. I, tomo II, La Nuova Italia, 1966, pp. 69-71.