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Archive for settembre 2023


Uscito oggi su Repubblica, quello che vi invito a leggere è un articolo che, senza mai nominarli, replica a un sottosegretario dalla triste storia, inviato a Napoli da un governo che non si sarebbe trovato mai contro i fascisti. Non glielo ha detto nessuno, nemmeno l’Anpi, e ci ha aiutati a farlo l’ospitalità di “Repubblica”. La firma è mia, ma la narrazione riguarda in qualche modo soprattutto le iscritte e gli iscritti della sezione napoletana dell’ANPI che si chiama “Lenuccia”.
La Sezione studia, scrive e agisce per difendere la memoria delle partigiane e dei partigiani dal revisionismo storico, che da tempo coinvolge purtroppo anche l’ANPI. Forse è la lotta di Davide contro Golia, ma nella politica, come nella ricerca, il lavoro fondato su idee verificate cammina sulle sue gambe e costruisce futuro. L’opportunismo e il revisionismo inquinano il passato, rendono incomprensibile il presente e non hanno futuro.
L’aspetto più negativo della battaglia che ieri si è combattuta a Napoli non riguarda, però, le scialbe e tutto sommato ininfluenti figure raccolte attorno alla dirigenza dell’ANPI. Il vero, grande problema è l’assenza di un qualche collegamento con la generazione militante dei quarantenni e delle quarantenni, quelle su cui dovrebbe cadere il peso maggiore dello scontro. Esse sono invece del tutto assenti nella battaglia delle idee. A loro toccava sostenere, se necessario correggere e superare gli anziani. A loro competeva e compete impedire che il filo della memoria storica sia troncato. Le nostre forze più vive sono state invece completamente assenti.
Per riassumere in due parole la situazione, Gaetano Arfè, un autentico maestro, avrebbe scritto che “c’è stata battaglia, ma non ce ne siamo accorti”.

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Riportiamo il comunicato della sezione anpi di Napoli Lenuccia che si esprime nei confronti della visita del governo in occasione dell’ottantesimo anniversario delle quattro giornate di Napoli.
Il revisionismo storico è una delle piaghe del nostro tempo e condividiamo la preoccupazione del circolo ANPI.
La foto è tratta dal film di Nanni Loy del 1962.
La Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia”, denuncia quanto segue:
a. Ieri, con una scelta inqualificabile, all’inaugurazione delle manifestazioni per l’ottantesimo anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, il govrerno si è fatto rappresentare dal sottosegretario Isabella Rauti, che non ha mai preso le distanze dalla sua militanza in formazioni apertamente fasciste.
b. La presenza della Rauti nella città che ricordava la lotta antifascista e le donne e gli uomini che durante quella lotta sacrificarono la vita per la libertà dalla dittatura e dall’occupazione nazista è una oltraggiosa provocazione.
c. La Sezione “Lenuccia” dell’ANPI di Napoli ha invano chiesto ai suoi dirigenti provinciali di denunciare l’accaduto e di rifiutarsi di partecipare alle manifestazion ancora in programma.
d. Così stando le cose, la Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia”, prende le distanze da quanti, ANPI compresa, si uniscono a vecchi e nuovi fascisti e invita gli antifascisti e le antifasciste napoletane a protestare per l’accaduto e disertare le manifestazioni istituzionali programmate in questi giorni per celebrare l’evento.
Antifascisti sempre.
Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia*

Transform Italia 27 settembre 2023

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Comunicato


COMUNICATO

La Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia”, denuncia quanto segue:

a. Ieri, con una scelta inqualificabile, all’inaugurazione delle manifestazioni per l’ottantesimo anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, il governo si è fatto rappresentare dal sottosegretario Isabella Rauti, che non ha mai preso le distanze dalla sua militanza in formazioni apertamente fasciste. 

b. La presenza della Rauti nella città che ricordava la lotta antifascista e le donne e gli uomini che durante quella lotta sacrificarono la vita per la libertà dalla dittatura e dall’occupazione nazista è una oltraggiosa provocazione. 

c. La Sezione “Lenuccia” dell’ANPI di Napoli ha invano chiesto ai suoi dirigenti provinciali di denunciare l’accaduto e di rifiutarsi di partecipare alle manifestazion ancora in programma. 

d. Così stando le cose, la Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia”, prende le distanze da quanti, ANPI compresa, si uniscono a vecchi e nuovi fascisti e invita  gli antifascisti e le antifasciste napoletane a   protestare per l’accaduto e disertare le manifestazioni istituzionali programmate in questi giorni per celebrare l’evento. 

Antifascisti sempre.

Per la Sezione dell’ANPI di Napoli “Lenuccia”, il Presidente, Giuseppe Aragno 

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Leggendo in giro, libri come funghi, le solite storielle  e l’immancabile osservazione confusa di chi guarda lontano e non vede la punta del suo piede: «ottant’anni fa le Quattro Giornate di Napoli. C’è ancora tanto da liberare!»
E non puoi fare a meno di farlo notare: «Prima di tutto c’è da liberare una verità! Si spara dal 9 settembre al primo ottobre e noi continuiamo a ridurre tutto a quattro giornate!»
A dire la sua non manca l’immancabile scienziato di storia di Napoli e dei napoletani: «questa è una popolazione a cui non piace essere libera. Gradisce solo cambiare padrone volta per volta».
Sarebbe ora di smetterla con la solita accusa alla gente che non vuol essere libera e si fa ammazzare solo per cambiare un padrone con un altro.  
Ma quale gente, scusate? A Napoli ci sono napoletani e napoletane; tra noi ci sono poi anche i Napolitano, questo è vero. Però per favore nun scagnate ‘a lana ca seta! E se vi capita l’occasione ricordate che qui da noi, molto avanti nei tempi, nel 1799 c’è stata una rivoluzione repubblicana.
Voi siete purtroppo di memoria corta e parlate sempre di «lazzari» e di «scugnizzi». Quando vi capita, però, per favore, fate un piccolo sforzo e ricordate Eleonora Pimentel Fonseca, Ignazio Ciaja, Domenico Cirillo, Mario Pagano, Gennaro Serra di Cassano, Luisa Sanfelice e un’intera classe dirigente barbaramente giustiziata da un re Borbone traditore, grazie alla fuga dei francesi e alla malafede degli inglesi.

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Ho raccolto e conservato un’altra medaglietta. Una di quelle che – uomini e donne di anni irripetibili – ci unirono nell’esercito degli sfruttati che combatteva e combatte gli sfruttatori.
E’ un dolore immenso prendere il testimone. Fa malissimo soprattutto oggi, perché sempre più spesso compagne e compagni di un tempo ormai lontano si fanno da parte, con la stessa, silenziosa dignità con cui hanno saputo vivere e ti senti più solo.
I più giovani tra noi e i turisti della vita non conoscono Gemma Gentile, che poche ora fa se n’è andata. Non la conoscono re non troveranno gli articoli che scrisse per i nostri bellissimi giornali. In quegli anni si scriveva per tutti e nessuno firmava. Non si voleva essere proprietari nemmeno delle idee per cui ci si batteva assieme.
Gemma non firmò, ma fu sempre presente e di lei potrebbero raccontare storie meravigliose Negri, Scalzone, Piperno, i leader d’una stagione irripetibile. Gemma non firmò, ma c’era e se non la trovate tra chi giunse alla lotta armata, non fu certo per questione di coraggio. Fu semplicemente perché ritenne che la scelta fosse sbagliata.
Coraggio ne aveva da vendere e lo sanno bene i duri e puri che la minacciarono invano, quando si faceva causa comune con gli operai e si difendeva il diritto di manifestare per le proprie idee. Intimidire Gemma? Potevi provarci e farti dare una mano perfino dai camorristi, ma non avevi nessuna speranza di riuscirci.
Negli anni del riflusso ha insegnato valori. L’ha fatto dove lo Stato discreditato la lasciava sola e ha coltivato mille intelligenze critiche. Ha vissuto di poco e pagato di persona, ma non s’è mai lamentata.
Me la ricordo valorosa collaboratrice di “Fuoriregistro”, la più bella rivista per la scuola che mai sia esistita e non dimenticherò mai la lucida coerenza degli anni conclusivi, quelli di Potere al Popolo, l’ultima, appassionata militanza.
Mai un accenno a se stessa e a tutto quanto aveva da insegnare. Come tutte le più autentiche figure di militanti fece dell’esempio il suo contributo più grande. Se volete capire quello che abbiamo perso con lei, ricordatevi solo questo: in ogni diritto e conquista che oggi vi stanno togliendo, ci sono state un po’ della sua vita e della sua militanza. Nulla che avete avuto è stato estraneo alla sua vita di lotte.
Ciao Gemma. Non eravamo abituati a salutarci senza un appuntamento e non è facile farlo. Non so se puoi ricordarlo, ma una volta che sei stata male e pareva la fine, ti è capitato di tornare indietro dal coma: era un grande tunnel di luce abbagliante nella quale svaniva il dolore. Tornasti indietro perché l’amore per le tue figlie vinse la sua battaglia con la morte. Stavolta non è andata così, ma se chi ti ha conosciuta saprà ricordarti sorridendo, nonostante il dolore, Gemma, amica mia carissima, ne sono certo: non svanirai mai davvero nella galleria della luce che ti ha portato via.

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Ricordate il Nord secessionista? Si dotò di un Parlamento – quello dell’inesistente Padania – che rappresentava le popolazioni del Nord unite nel Movimento politico Lega Nord.
A quel Parlamento toccava accertare che il contenuto delle norme in discussione o approvate dal Parlamento Nazionale corrispondesse agli interessi delle popolazioni rappresentate dal Parlamento della Padania.
Il progetto fallì, ma, quel delirio, pericoloso e incurabile, oggi è di nuovo tra noi. Si fa chiamare AUTONOMIA DIFFERENZIATA.

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Da giorni un anonimo kapo mi informa: il mio account è stato bloccato perché non avrei rispettato non so quale misteriosa regola.
Di cosa si tratti non posso sapere, perché il guardiano delle regole non me lo dice.
Il kapo dirige un tribunale che non riconosce diritto alla difesa. Un tribunale che di fatto ignora i principi più elementari di una democrazia.
D’accordo, i kapo hanno una storia e il mio misterioso, anonimo giudice se ne sente parte. Forse ha un sogno inconfessabile e si sentirebbe più a suo agio, se potesse lavorare in una baracca di ebrei, ma le aspirazioni non sono un reato.

Poiché pare che i kapo pensino di essere il meglio in fatto di furbizia, il nostro eroe o – perché no? la nostra eroina – ha piazzato sulla mia pagina un capolavoro di astuzia. Mi dice che sono bloccato fino alla data di domani alle 10. E poiché domani alle 10 è una via di mezzo tra una data e un orario, ma non corrisponde a nulla di identificabile sul calendario, il messaggio è di fatto la comunicazione di una condanna a vita.
Qualcosa che il fondatore di Facebook probabilmente ignora e della quale, sono certo, informato, si vergognerebbe.

Poiché non sa nulla e io sono bloccato e questa mia riflessione pacata e civile è condannata a raggiungere pochi lettori. Posso chiedervi di condividerla e farla circolare? Certo, se vi accostate a Facebook, rischiate di essere bloccati con me. Però, scusate, per frequentare questa palude virtuale, siete davvero disposti a piegarvi a chi sogna di lavorare in un campo nazista?

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Da giorni non esco – le dolorose conseguenze di un intervento non me lo consentono – e non lo sapevo. Ringrazio Aristide Donadio, un amico carissimo che con grande sensibilità, me l’ha segnalato. Il “Mattino” di stamattina mi dedica poche, ma significative parole: «la narrazione delle Quattro Giornate di Napoli», scrive il giornale, «purtroppo, anche da parte degli stessi napoletani, è sempre la stessa: un moto spontaneo, un ‘episodio’: ben lontana dalla realtà documentata da lavori come quello di Storici come Giuseppe Aragno: ‘Le Quattro Giornate di Napoli. Storie di antifascisti’ edizioni Intramoenia».
Consentitemi di ringraziare anche l’antico e attento giornale napoletano, che non ha subito sollecitazioni e scrive con grande libertà ciò che pensa. Ed è vero. Il mio libro racconta, senza mai cedere al tentazioni folcloristiche e allo stereotipo della «città di plebe», Napoli sotto le bombe, tra macerie, terrore e morte. Una città che oscilla e sbanda, ma che reagisce. Con giovani combattenti per la libertà, sia civili che militari, uomini, donne, persino bambini in armi che dal 27 al 30 settembre 1943, ottant’anni fa esatti, liberarono l’ex capitale del Sud dall’occupazione nazista prima dell’arrivo degli Alleati.
La “propaganda” delle Edizioni Intra Moenia non va altre, perché Attilio Wanderlingh è un editore di valore e sa che i libri buoni si muovono sulle loro gambe. Anche se, nell’orgia presenzialista che si scatena ogni anno in occasione di commemorazioni inevitabilmente di maniera, pochi ve lo diranno, ma di una cosa potete essere certi: ancora una volta il volto politico dell’insurrezione sarà coperto da quelli di sedicenti studiosi e studiose, relatori e relatrici abituati ad attaccare i cavalli al carro dei padroni.
Non lo dirà nessuno e io mi limito qui a poche note che vi spineranno a leggere il libro e a cercare nelle sue 344 pagine le ragioni per cui ho scritto il breve intervento che segue:

«Ai responsabili napoletani delle opposizioni al governo Meloni.
Mattarella il 27 è a Napoli per gli 80 anni delle Quattro Giornate. Organizza l’Orientale.
Proposta: presidio e contestazione, mediante uno o due striscioni:
“Mattarella, fuori l’Italia dalla guerra. A Napoli Antonio Ottaviano e i federalisti lottarono per un’Europa di Pace!”.
Che fate, decidete di protestare assieme, o cominciate subito coi distinguo e i pregiudizi?
Ci arrestano? E per quale reato?
».

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Giorgio Napolitano è morto.
Quando si ricorda qualcuno che non c’è più bisogna aver rispetto per la morte, per i fatti di cui fu protagonista e di conseguenza rispetto per i vivi. Seguirò il principio dettato da un maestro: ciò che dirò sarà «vergin di servo encomio / e di codardo oltraggio». E se mai a qualcuno sembrerà oltraggio, dovrà prendersela con la nuda verità dai fatti.
Per quanto biografi di corte abbiano inventato un giovanile antifascismo, nessun poliziotto fascista ebbe a lamentarsi della sua fedeltà al regime. Si limitò a far la fronda incoraggiata dal regime. A settembre del 1943, durante l’insurrezione di Napoli, se ne stette a casa, né partecipò in alcun modo alla guerra di Liberazione. Nel 1945 entrò nel Partito Comunista e a soli vent’anni, senza una storia di militanza, fu nominato da Togliatti, amico del padre, segretario federale di Napoli e Caserta. In conseguenza di questa nomina, numerosi perseguitati politici lasciarono il PCI.
Grazie al sostegno ricevuto da Togliatti, nel 1953 fu eletto deputato e da allora ottenne un seggio nel nostro Parlamento o in quello Europeo fino al 2004, quando fu mandato a casa dagli elettori.
Ignorando la chiara volontà espressa dai cittadini, poco dopo, nel 2005, Ciampi lo nominò Senatore a vita per meriti ignoti. Di lui si potevano ricordare la partecipazione al «Gruppo Gramsci», con Gaetani Arfè, Gerardo Marotta, Guido Piegari e Ugo Feliziani, gruppo che abbandonò al suo destino nel 1956, per salvare la sua carriera politica, che Giorgio Amendola aveva minacciato di distruggere; degno di nota era stato in quel 1956 l’appoggio incondizionato all’invasione sovietica dell’Ungheria.
Burocrate d’alto bordo del PCI, fu particolarmente abile nel non crearsi nemici potenti entro e fuori il partito; nel 1974 mentre l’Unione Sovietica decideva l’espulsione di Aleksandr Solzenicyn, Napolitano attaccava lo scrittore, sostenendo che danneggiava lo stato sovietico, ma consigliava tolleranza al Partito Comunista dell’URSS perché l’espulsione avrebbe aiutato i nemici dei sovietici. Tenendosi costantemente in piedi con abile ambiguità, nel 1978 – unico comunista dei suoi tempi – conquistò, grazie a Giulio Andreotti, un visto che lo condusse negli USA e la possibilità di tenere conferenze in alcune prestigiose Università americane. Era diventato così, il «comunista preferito» di Kissinger.
Della sua attività politica non c’è molto da ricordare e quello che si rammenta è sconcertante: la legge Turco-Napolitano, per esempio, che nelle 1998 istituisce i centri d’accoglienza per immigrati clandestini, la cancellazione, ottenuta da Presidente della Repubblica, di alcune intercettazioni riguardanti i rapporti tra lo Stato e la Mafia di cui non conosceremo mai il contenuto e – dulcis in fundo – la rielezione al Quirinale, Pochi giorni prima che avvenisse, il «bipresidente» aveva affermato: «Non mi convinceranno mai, la mia rielezione sfiorerebbe il ridicolo; poi, come aveva sempre fatto durante la sua carriera politica, cambiò opinione. A giustificarla un’affermazione surreale: la Costituzione non lo proibisce, che, in pratica, rende possibile anche una terza e – perché no? – un’ennesima rielezione. Un principato, insomma. Un autentico difensore della Costituzione.

Ogni evento qui riferito è figlio di documenti e grande stampa e si ritrova persino in Wikipedia.

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Facebook è un luogo virtuale che si è dato regole a dir poco strane. Un politico di estrema destra, per esempio, può tranquillamente scrivere post sui rischi della «sostituzione etnica», senza che nessuno pensi di bloccargli l’account. Sulla pagina di Francesco Lollobrigida c’è scritto che “non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada”.
Basta informarsi per scoprire che, senza andare troppo lontano nel tempo, ciò che scrive il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste è quanto sostiene Gerd Honsik, in un libro intitolato Addio, Europa. Il Piano Kalergi. Honsik – e questo Facebook non può ignorarlo – è stato condannato due volte – a un anno e 6 mesi di carcere prima, poi a 5 anni – per aver negato l’Olocausto del popolo ebraico voluto da Hitler e dalla Germania nazista.
Quando Lollobrigida parla si sostituzione etnica, quindi, intende dire che le migrazioni di massa sarebbero uno strumento progettato a freddo dalle élite europee, ebree e liberali, per far fuori il governo del popolo e la razza bianca, sostituendola con una razza meticcia facilmente dominabile.
Si tratta insomma della teoria di un complotto razzista, secondo cui esisterebbe una cospirazione globale per sostituire i bianchi con persone di altre etnie.
Per Facebook, quando Lollobrigida sbandiera ai quattro venti il suo delirio, non c’è nulla da eccepire: va tutto bene madama la marchesa.
Se qualcuno osserva, però, che Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste è razzista, apriti cielo: Facebook gli blocca immediatamente l’account.

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