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Archive for luglio 2015

imagesOnore al merito! Renzi e i suoi hanno trovato finalmente una sintesi fulminante per eseguire a puntino il programma del governo Draghi-Trichet, che prevede di cancellare dalla spesa pubblica il peso vergognoso dei costi per la salute dei poveri e dei vecchi. Soprattutto di quei cialtroni che, nonostante la Fornero, prendono ancora una maledettissima pensione. Per dire che vuoi mandare al camposanto rapidamente i poveri malati, ora c’è il verbo “efficientare”.

Il governo, infatti, sta efficientando le Asl, i medici di base e il “Soccorso troppo pronto” che hai sotto casa e finisce che poi qualcuno se la cava.

Sia chiaro, l’ASL non ti abbandona al tuo destino! Specchietto, carta e penna non mancheranno e il certificato di morte non costa niente. Tutto il resto, si sa, è uno spreco e se ci tieni a sapere come ti va il colesterolo, vecchio parassita, metti mano alla tasca e paga!

Di buono però c’è l’esempio. Come accade per le siringhe e gli aghi, ci sono pistole e pallottole per ogni tasca e i ragazzini delle babygangs trasformano una pistola giocattolo in un’economica colt a un colpo solo. Il tiratore, s’intende, non deve scialacquare, ma con l’applicazione ci si riesce presto: a ogni colpo, un cavaliere a terra. Il maestro ti detta il tempo: un colpo, un pupo, un colpo un pupo, un colpo un pupo… Di tutti i necessari risparmi, questo sta diventando il più necessario: un colpo un pupo, un colpo un pupo… Poi sarà il turno dei pupari.

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parlamento_illegittimoLa scuola che lotta non è ferma e si discute molto, programmando riunioni persino ad agosto. Non era mai accaduto e non sono gruppi sparuti. Proibito fermarsi. Alla ripresa di settembre, sarebbe necessario che alle riunioni dei comitati partecipassero tutte le realtà di movimento, anche i NO Tav, perché il nemico è uno, la lotta è comune e socialmente trasversale. Il campo di battaglia è il Paese. A settembre dovrà funzionare una rete di riferimenti ampia e differenziata.
Ha ragione chi si preoccupa per la frattura tra gli studenti e quella parte dei docenti che ricorre a pratiche repressive, per impedire le occupazioni. Il problema si riproporrà certamente in termini anche più duri. E’ una situazione da cui uscire, volando alto e trovando un tema unificante per partire dalla scuola e coinvolgere non solo le lotte del lavoro, ma anche e soprattutto i “cittadini”, nel senso più lato possibile della parola.
Inutile negarlo: nelle recenti discussioni sulla scuola c’è qualcosa di non detto. Lasciamo da parte il referendum. Farà la sua lunga via, potrà pure spuntarla, ma difficilmente assicurerà risultati certi, come dimostra la faccenda dell’acqua. Ciò che non si dice perciò va chiarito: a settembre si andrà all’attacco di una legge approvata apparentemente con i crismi della “legalità repubblicana”. Questo vuol dire che – a parte il referendum – sarà facile per la stampa di regime, anche se il movimento si terrà sul terreno delle cose possibili, “scomunicare” le lotte, far passare per “cattivi maestri” i docenti più esposti, disorientare gli incerti e intimidire i “benpensanti”. Il tema di fondo della discussione dovrebbe quindi essere proprio la “legalità”, ma occorrerebbe farlo a parti rovesciate. E’ legale questo governo? E’ legittimo moralmente e politicamente questo Parlamento che cambia la Costituzione, dopo una sentenza della Corte Costituzionale che lo lo ha dichiara eletto con una legge incostituzionale?
Ci fu, nel dibattito sulla Costituente, una proposta di Dossetti – moderatissimo, ma onestissimo e lucido democristiano – che propose di inserire nella Carta il diritto alla ribellione di fronte a leggi incostituzionali. La proposta non passò, ma il tema aveva una sua rilevanza e torna di attualità. E’ su questo problema che va aperto un urgente dibattito, per coprire le spalle a chi lotta. Questo non vuole dire che poi ci si dovrà per forza ribellare; significa solo affermare un principio che da solo fa vacillare le basi del governo. Se ne potrebbe parlare con quelli del Manifesto e, al limite, coi “liberali” del Fatto Quotidiano”; si potrebbe chiedere un incontro con le redazioni, come comitati, spiegare la cosa e vedere se i giornali accettino di fare da cassa di risonanza. Non sarebbe male – avrebbe anzi un valore simbolico altissimo – che si organizzasse una sorta di referendum popolare ufficioso, senza nessuna trafila burocratica, sulla legittimità del governo Renzi; si potrebbe scrivere un “manifesto” delle realtà di lotta – a partire dalla “terra dei fuochi”, per arrivare ai No Mous e no Tav, raccogliere quante più firme possibili e dichiarare Renzi e i suoi decaduti.
Se la raccolta di firme fosse ampia e trasversale, sarebbe una decisione senza valore giuridico, ma di grande impatto politico. Ormai è inutile girarci attorno: è necessario creare un movimento ampio, che al momento la scuola può promuovere e guidare e che potrebbe coinvolgere molta più gente di quanta crediamo, perché la misura è colma e mancano solo parole d’ordine e riferimenti. Anche per i 5 Stelle sarebbe un banco di prova e da qui si potrebbe partire per aprire uno scontro vero.
Cose complicare, certo. Ma complicata e straordinaria è la situazione e non se ne uscirà per le vie ordinarie.

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Probabilmente non se n’è accorto nemmeno ma, se gliel’hanno spiegato, il pupo fiorentino non Renziavrà mai il coraggio di confessarlo: il suo sperticato amore per lo Stato d’Israele è sembrato un po’ eccessivo persino agli interlocutori ebrei, tant’è che un diplomatico, una vecchia volpe infastidita dalla raffica di fesserie, in una pausa dei colloqui ufficiali gli ha raccontato una vecchia e irridente storiella popolare israeliana:
«In un’antica città della terra di Palestina», gli ha detto, «un vecchio ebreo se ne va in giro con il nipotino. Giunti all’ombra di un viale alberato, i due si fermano, l’uomo indica al bambino un albero e gli dice con l’aria seriosa: Lo vedi quell’albero, figlio mio? L’ho piantato io, quand’ero giovane.
Ripreso il cammino e giunti a un crocevia, il nonno si ferma di nuovo, punta il dito verso una casa e dice al nipote con aria solenne: Quella casa lì, di fronte a noi, l’ho costruita io con le mia mani, quand’ero ancora giovane e forte!
Vanno avanti e però, quando il nonno si ferma per la terza volta e mostra al bambino un altro prodotto del suo lontano lavoro, il bambino lo guarda stupito e gli fa: Caspita nonno, non sapevo che prima che io nascessi tu eri arabo.».
Il pupo naturalmente non ha capito nulla, si è messo a ridere divertito e come un serafino stupido ha commentato: Questi palestinesi ne sanno una più del diavolo!

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Non so se è una “bufala”, ma finora non sono giunte smentite e la fonte è solitamente rigorosa. Non credo si tratti di un”delirio”, come ritiene l’ottimo “Contropiano“, che ringrazio per il risalto dato alla notizia. Quelli del SAP probabilmente non lo sanno, ma sono nati come allievi di Guido Leto, primo responsabile tecnico della formazione della polizia repubblicana.
Leto era stato capo dell’OVRA, la polizia politica fascista. Queste sono le radici “culturali” dei “tutori dell’ordine” dalla nascita delle “repubblica antifascista”. Fino a qualche anno fa evitavano di scoprirsi. Si muovevano con questo spirito, ma se ne stavano prudentemente zitti.  Ora, nello stato comatoso in cui versa la democrazia, tirano la testa fuori dal sacco. Bisognerà fargliela rimettere, come si fece dal 1943 al 1945. A cose fatte, però, dovremo evitare di commettere due volte lo stesso errore, perché ora si vede chiaro: quando si tratta di certa gente, fare prigionieri è un lusso che non ci si può permettere.

Post Scriptum:
Il segretario del SAP, smentisce.
“Vicenda Bifolco e falso manifesto SAP a Napoli. Smentiamo categoricamente il nostro coinvolgimento nella vicenda (da attribuirsi ad evidente azione contro di noi del partito dell’Antipolizia) e preannunciamo esposto denuncia in Procura contro autori di questa vergognosa diffamazione a nostro danno!”.

Prendo atto, ma penso che non esista un “partito dell’Antipolizia”. La gente vorrebbe solo poliziotti affidabili e riconoscibili, come da tempo chiede l’Europa.
Quand’è che il SAP chiederà i numeri identificativi?

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caligolaOra la legge consente a Renzi di uccidere la scuola e il fondo è ormai vicino. Lo sappiamo probabilmente sin dal lontano 12 dicembre del 1969, da quando giornali e telegiornali hanno preso a narrarci una storiella sedativa: dopo Piazza Fontana, Pino Pinelli – guarda caso, un anarchico – aprì una finestra della Questura di Milano e si lanciò nel vuoto, annunciando la morte dell’anarchia. Col tempo l’esito delle indagini è diventato verità di fede: si trattò di un «malore attivo». Un malore che non aveva precedenti e non ha avuto poi seguito, perché mai nessuno era morto così e a nessuno è più accaduto dopo. Il circo mediatico, però, storicamente sensibile alle ragioni del potere e geneticamente reticente, ha scelto di portarsi dentro i dubbi mai espressi finché la malattia d’un tratto è esplosa. La diagnosi ormai parla chiaro e la prognosi è disperata: elettroencefalogramma piatto e coma irreversibile.
La stampa italiana di oggi, non vale più di quella fascista ai tempi del Minculpop e dell’«Istituto Luce» di Ezio Maria Gray. Vespa farebbe invidia a Telesio Interlandi, che in gioventù fu la passione del fascista e poi «democratico» Mario Missiroli, Mentana aggiunge quotidianamente la «C» di complicità alle cinque «W» del modello anglosassone, riducendolo così a un WC, Travaglio uccide l’idea di politica e un esercito di pennivendoli e servi sciocchi si fa strada ringhiando ogni giorno come vuole il padrone: l’immigrato «terrorista», invece dell’Europa razzista, il «sangue dei vinti» per far strada ai picchiatori di Casa Pound sponsorizzati da intellettuali alla Rossi Doria, i «fannulloni» a copertura di un feroce sfruttamento e chi più ne ha più ne metta. Ognuno ringhia e morde, così come ai suoi tempi ripetutamente inveiva Ansaldo contro «l’ebreo Morghentau».
A farci la lezione sul merito e sulla valutazione, insomma, c’è una vera e propria fabbrica di menzogne, serva di chi comanda, che «Reporter senza Frontiere» pone generosamente al 73° posto dietro gran parte dell’Europa e molti Paesi dell’Africa e dell’Asia. Persino dietro la Colombia dei narcotrafficanti e dopo quell’Ungheria, che pure si è data apertamente leggi per controllare i mezzi d’informazione e chiudere giornali e programmi televisivi. Da noi non servono. A noi bastano giornalisti intimiditi, aggrediti fisicamente e colpiti nei beni e nelle persone; a noi basta che, come i grandi cartelli della droga, l’Isis e Boko Haram, politici e mafiosi soffochino l’informazione.
Siamo tra gli ultimi per libertà di stampa. La notizia però non «fa notizia» per i nostra media, sicché, quando si parla del massacro mediatico della scuola pubblica, la premessa sulla stampa è d’obbligo, se si vuol capire da quale pulpito viene la predica, quanto valga e dove vada a parare la difesa d’ufficio dei «velinari» al servizio di Confindustria.
Occuparsi di scuola ormai, non significa più discutere di strutture, investimenti, programmi, obiettivi, metodologia, didattica e centralità del rapporto docenti-discenti. All’ordine del giorno ci sono i dogmi della religione neoliberista, i versetti di una Bibbia fondamentalista che, allo scoppio della più grande crisi economica del mondo capitalista, consentì a monsignor Giavazzi di ringraziare il Dio della finanza: «questo – affermò impunemente l’economista – è un grande giorno per il capitalismo». Non l’hanno fatto papa, questo è vero, ma continua a firmare ricette che ammazzano i malati. E’ gente di questa levatura a far da sponda all’analfabetismo di valori che ispira la Riforma Renzi, un Presidente del Consiglio che stenta a parlare un italiano corretto ed è stato eletto solo dal «popolo delle primarie».
Tutti sanno quanto contino poco i referendum abrogativi e basta pensare alla vicenda dell’acqua per capirlo. I manutengoli delle «riforme europee» fingono però di essere preoccupati perché la scuola tenterà quella via. E’ davvero questo che li spaventa? Sono davvero in prima linea perché c’è il rischio di non poter affidare a una banda di kapò il compito di mantenere l’ordine nei campi d’internamento per docenti e studenti progettati da Renzi? Non è possibile che i propagandisti di Confindustria pensino davvero che abbiamo una scuola tutta studi umanistici e docenti attestati a difesa di privilegi corporativi. E non è possibile nemmeno credere che non abbiano letto la proposta di legge di iniziativa popolare ignorata dal Parlamento. Perché allora l’attaccano, ricorrendo a grossolane menzogne e a giudizi stroncativi che non hanno né capo e né coda? Perché non si fermano mai a discutere seriamente le obiezioni di incostituzionalità? Perché citano a casaccio le statistiche sulla scuola, falsificando i dati? Perché ignorano il deficit strutturale della nostra edilizia scolastica rispetto a quell’Europa che ci chiede di investire mentre sono decenni che tagliamo e ci condanna per il barbaro sfruttamento del personale, imponendoci assunzioni ben più consistenti di quelle proposte da Renzi? Si tratta solo di indigenza culturale o c’entra per caso la miseria morale?
In realtà, essi temono ben altro. Hanno paura che la preannunciata disobbedienza civile negli istituti scolastici diventi pubblica e aperta denuncia dell’illegalità su cui fonda il governo Renzi. Temono che la protesta si trasformi in esplicita delegittimazione di un governo che ha moralmente e materialmente usurpato la sovranità popolare. La malafede, insomma, nasce dalla paura che la piazza esploda e si colleghi direttamente alla vicenda greca, che ha dato colpi mortali all’Europa tedesca, di cui Renzi è lo scodinzolante servo sciocco. Sanno – ed è qui il punto – che il governo naviga in rotta di collisione con un’opposizione sociale fortissima e va, pari avanti tutta, verso gli scogli della formazione rischiando il naufragio. Sanno che la vicenda greca alimenta speranze e legittima sogni. Sanno – e perciò tremano – che non si tratta di organizzazioni sindacali o partiti coi quali si scende a patti. E’ il Paese che si sveglia da un incubo, è la gente consapevole di una realtà drammatica: dopo la Grecia toccherà all’Italia e nessuno vuole farsi rappresentare a Bruxelles da un fantoccio che non sa di che parla e dalla banda di incompetenti che Renzi ha portato al governo come cavalli di Caligola.

Fuoriregistro, 19 luglio 2015 e Agoravox, 20 luglio 2015

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Era il 1968. Il mondo cambiava e noi facevamo la nostra parte, ma ci piaceva vivere e giocare. Questa non fu una partita come tante. Ci capitarono in sorte i ragazzi del Napoli e ce le suonarono di santa ragione, ma tu gli facesti un goal da levarsi il cappello e salvasti la bandiera. Io ne tolsi dalla porta almeno quanti ne presi e di tutto rimane una foto, scattata un momento prima di mettere palla al centro, al campo del Macello, che ormai non c’è più.
Sulla mia spalla c’è la tua mano.
Ciao, Bruno, lettore attento e appassionato di questo povero Blog che stasera è piegato su se stesso. Ciao, compagno dal cuore immenso. Non fare scherzi e aspetta. che il più l’ho fatto e manca poco ormai. Un po’ di pazienza e mi vedrai arrivare. Gli amici veri non si perdono mai.

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Dopo molte riflessioni, ho maturato una convinzione. Ferma e naturalmente opinabile. La Troika ha inflitto il massimo delle perdite possibili a Tsipras. E’ un fatto. Perché ha cercato la via dell’umiliazione? Credo che il principale obiettivo della sedicente Unione Europea nella terribile vicenda greca sia stato, sin dall’inizio, eminentemente politico: disgregare Syriza e far cadere il governo Tsipras. Se questo accadrà, al di là di chi ha sbagliato o fatto bene, otterrà ciò che voleva.
Saranno naturalmente i compagni greci a decidere e rispetterò le loro scelte, quali che esse siano. Personalmente, però, spero che l’unità più volte sbandierata da tutti, si possa salvare in base a una considerazione di semplice buon senso: se la Troika desidera qualcosa, i Greci dovrebbero fare tutto, tranne che agire in modo che si realizzi.

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11750646_687689554671044_4344380400470389329_nGrazie di cuore ai compagni dell’Ex OPG occupato Je so pazzo”. Grazie per la loro lucidità, per l’onestà intellettuale, la rara capacità di tenere i piedi per terra e seguire i difficili fili che legano tra loro presente passato. Mi hanno risparmiato la fatica di un’analisi impopolare e complicata e non posso che essergliene grato, perché non è il mio miglior momento e certe notti lasciano il segno. E’ vero, si. Nazisti. Ieri come oggi. Dietro Schäuble e soci ci sono persino le imprese che vendevano i gas e i materiali per i “camini”…
Stanotte venivano in mente la ferocia di Versailles, Monaco, le vergogne precedenti e le tragedie successive. La “Grande Germania”, un nuovo Reich, senza Hitler, ma con gli stessi fondamenti ideologici. Abbiamo assistito al funerale di una grande idea di progresso e di civiltà, abbiamo visto il Manifesto di Ventotene condannato al rogo da una nuova, terribile Inquisizione. Io ho visto morire definitivamente Antonio Ottaviano, antifascista, federalista, uno dei fondatori dell’ «Europa Unita», imputato davanti al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e infine combattente delle Quattro Giornate di Napoli contro una Germania perennemente nazista. Tutto questo è accaduto, senza che nessuno scendesse in piazza per manifestare la rabbia, il dolore il disprezzo.
Tuttavia, non occorre disperare. Non è importante se Tsipras sembri sconfitto. Rappresenta la sfida di una sinistra nuova che pone problemi enormi al “pensiero unico” e merita il massimo sostegno. Organizziamoci, facciamolo presto e facciamolo bene. Prepariamoci a lottare. Ci servirà. Siamo di fronte a una tragedia immane ed è solo l’inizio. Ma c’è una luce in fondo al tunnell.

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Scusate se insistiamo, ma questa storia ci sta facendo fare capa e muro! cioè ma ci rendiamo conto di quello che è successo stanotte? ci rendiamo conto di quello che hanno fatto i padroni tedeschi e gli euroburocrati alla Grecia? noi odiamo le semplificazioni, ma quest’immagine dice la pura verità!
quell’Unione Europea di libertà e diritti di cui ci hanno parlato a scuola, nelle tv etc, ha apertamente mostrato la sua vera natura di dittatura di classe! questi se ne fottono di qualsiasi tipo di democrazia, persino delle procedure minime, hanno un pensiero liberista-totalitario, credono in razze superiori e inferiori, hanno fatto manovre per un vero colpo di stato… è talmente evidente che lo dicono tutti i giornali, persino quelli borghesi e americani!
oggi Joseph Halevi, un economista di sinistra che non è certo acritico sostenitore di Syriza, parla apertamente di “waterboarding”, una forma di tortura consistente nell’immobilizzare un individuo e soffocarlo con l’acqua… Halevi scrive: “Mi chiedo quanti si rendono conto di ciò che hanno fatto fisicamente e psicologicamente a Tsipras nelle ultime 30 ore […] Gli hanno fatto un pre-waterboarding di alcune ore con Hollande, che avrebbe dovuto proteggerlo, che lo minacciava, passando dopo ad un waterboarding di una quindicina di ore. Lui solo con tutti gli altri contro. Letteralmente un boxeur che ad ondate si vede arrivare addosso prima due pugili infami, poi altri 16 per 17 ore di seguito…”
quanto successo stanotte dimostra che il livello dello scontro è altissimo, che per la prima volta dagli anni ’70 i padroni d’Europa sono stati toccati sul vivo, e hanno reagito con tutta la loro infame forza, cercando di spezzare ogni movimento anti-austerity, ogni nuovo internazionalismo. hanno tagliato la liquidità – ma sapete che significa per una famiglia greca? -, hanno paventato la guerra civile, che avrebbero potuto scatenare grazie ai traditori dei partiti della borghesia ellenica, da bravi mafiosi, come bene ha detto Pablo Iglesias di Podemos, hanno fatto letteralmente cacare sotto Tsipras, che purtroppo non se l’è sentita – perché a certi livelli ci vuole anche la pazzia! – di rompere e saltare verso l’ignoto… quell’ignoto per cui noi che ci sentiamo rivoluzionari saremmo pronti a dare tutto, ma che forse il popolo non è ancora pronto a sostenere… chissà.
di certo da oggi nulla sarà più lo stesso. da oggi bisogna mettersi bene in testa che la politica non è uno scherzo, che non è un hobby o un commento su facebook. questi sono assassini, e come tali – con il loro stesso livello di cattiveria e di organizzazione – vanno combattuti.
comunque oggi ad Atene si manifesta. speriamo con tutto il cuore di essere sorpresi ancora una volta dal popolo greco, speriamo che vinca l’ignoto! perché, come diceva Brecht, questa casa sta bruciando, e qualsiasi fuori è preferibile al dentro!

PS: quando diciamo che su quest’Europa c’è l’ombra nazista non scherziamo affatto! un anno fa iniziammo un’accurata ricerca, doveva essere il seguito di “Dove sono i nostri” (il libro che abbiamo scritto di inchiesta sulla classe oggi). volevamo capire “Dove sono loro”, ovvero come è strutturata oggi la borghesia a livello continentale. ci mettemmo a studiare la struttura societaria delle multinazionali, le lobby più influenti, i fondi di investimento più importanti… sapete che scoprimmo, e che siamo in grado di dimostrare con i dati? che il capitale tedesco è passato quasi indenne dall’epoca nazista a oggi. i padroni sono gli stessi, persino nei cognomi, sono le stesse famiglie, forse con gli stessi scopi politici…”.

Ex OPG occupato Je so pazzo

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Immagine aLa regina è nuda. Angela Merkel non governa più il suo governo e non sa come affrontare in Europa la tempesta scatenata dai venti che a lungo ha seminato.
Mentre i commentatori trovavano peggiorativo il nuovo piano greco e la sinistra muoveva aspre critiche a Tsipras, Schäuble, il pericoloso ministro tedesco, cancellava dalla scena l’ottusa Merkel e definiva inattendibile la proposta greca. Un ultimatum, di fronte al quale sedicenti politici e mediocri tecnocrati non sapevano più che pesci pigliare. Un diktat che ha una violenta logica politica e non c’entra nulla con l’economia.
Intanto, consapevole del peso di Schäuble sulle scelte tedesche, Yanis Varoufakis, l’ex ministro greco, aveva preceduto tutti, dichiarando che la Germania semina il panico perché non vuole accordi.
Ecco ciò che ha scritto sul suo Blog.

C’è un motivo per cui Il dramma finanziario della Grecia è al centro dell’attenzione nei titoli dei giornali: l’ostinato rifiuto dei nostri creditori ad accettare una significativa riduzione del debito. Perché, contro il buon senso, contro il verdetto del FMI e contro le pratiche quotidiane dei banchieri di fronte a debitori stressati, rifiutano una ristrutturazione del debito? E’ inutile chiedere una risposta all’economia, perché essa risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.
Nel 2010, lo Stato greco è diventato insolvente. Due opzioni si presentavano. Due opzioni compatibili con il fatto di continuare a essere membri della zona euro: 1) quella sensibile, che ogni banchiere decente consiglierebbe – ristrutturazione del debito e riformare l’economia; 2) l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che resti solvibile.
L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della vitalità socio-economica della Grecia.
Una ristrutturazione del debito avrebbe perdite implicite per i banchieri nelle loro quote del debito greco. Decisi a non confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto finanziare ancora le banche con nuovi, insostenibili prestiti, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello Stato greco come l’esito di una mancanza di liquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci.
Per “impacchettare” a dovere il cinico trasferimento di perdite irreparabili ma private, scaricandolo sulle spalle dei contribuenti, come un esercizio di “amore duro”, una austerità mai vista prima è stata imposta alla Grecia, che a sua volta doveva rimborsare nuovi e vecchi debiti, mentre il suo reddito nazionale diminuiva di oltre un quarto.
Basta l’esperienza matematica di un bimbo di otto anni per capire che il processo non poteva finire bene.
Completata questa sporca manovra, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per non voler discutere la ristrutturazione del debito: avrebbe ora colpito le tasche dei cittadini europei! E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è costantemente cresciuto, costringendo i creditori a dare altri prestiti in cambio di una crescente austerità.
Il nostro governo è stato eletto su un mandato chiaro: uscire da questo circolo vizioso. La gente lo ha votato per chiedere la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerità che è sinonimo di paralisi. I negoziati sono giunti all’impasse – molto chiacchierata sui giornali per una semplice ragione: i nostri creditori continuano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur affermando che il nostro debito impagabile sarà rimborsato “in modo parametrico” da parte dei greci più poveri, dei loro figli e dei loro nipoti.
Nella mia prima settimana come ministro delle finanze mi ha fatto visita Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo. Allora mi sottopose un aut aut: accettare la “logica” del piano di salvataggio e rinunciare alla richiesta di ristrutturazione del debito o l’accordo per il prestito avrebbe fatto “crash”; la ripercussione non detta era che le banche della Grecia sarebbero state chiuse.
Seguirono cinque mesi di trattative in condizioni di asfissia monetaria e di assalto indotto agli sportelli bancari. Trattative supervisionate e gestite dalla Banca centrale europea. La scritta era sul muro: o capitolate o presto sarete di fronte a controlli sui capitali, bancomat quasi-funzionanti, una prolungata chiusura festiva delle banche e, in ultima analisi, alla Grexit.
La minaccia della Grexit ha avuto una breve storia da montagne russe. Nel 2010 hanno deciso di incutere timore, il timore di Dio nel cuore e nella mente dei finanzieri poiché le loro banche erano piene di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, decise che i costi della Grexit erano un “investimento” utile, come strumento per disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva ha continuato a spaventare a morte quasi tutti.
I Greci, a ragione, tremano al pensiero della amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come troncare un piolo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantò sotto la doccia la mattina che la sterlina usciva dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui piolo con l’euro può essere tagliato. Ha l’euro – una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.
Per uscire, dovremmo creare da zero una nuova moneta. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha richiesto quasi un anno, venti o più Boeing 747, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion. In assenza di tale sostegno, la Grexit sarebbe l’equivalente d una grande svalutazione annunciata con più di 18 mesi in anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile.
Con la Grexit che rafforza la corsa agli sportelli indotta dalla Bce, i nostri tentativi di porre la ristrutturazione del debito di nuovo sul tavolo dei negoziati è caduto nel vuoto.
Di volta in volta ci hanno detto che si trattava di una questione da affrontare in un futuro non specificato ma successivo al “successo nel completamento del programma” – uno stupendo Comma 22 dal momento che il “programma” non avrebbe mai potuto avere successo senza una ristrutturazione del debito.
Questo fine settimana segna il culmine dei colloqui quando Euclide Tsakalotos, il mio successore, si sforza, ancora una volta, di mettere il cavallo davanti al carro, per convincere un ostile Eurogruppo che la ristrutturazione del debito è un prerequisito del successo nel riformare la Grecia, non un premio ex-post per questo. Perché è così difficile da far capire? Vedo tre ragioni.
Uno è che l’inerzia istituzionale è difficile da battere. Un secondo, che il debito insostenibile dà ai creditori immenso potere sui debitori – e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. Ma è il terzo a sembrarmi più pertinente e, anzi, più interessante.
L’euro è un ibrido di un regime di tassi di cambio fissi, come l’ERM degli anni ’80, o il gold standard degli anni ’30, e una moneta di stato. Il primo si basa sulla paura dell’espulsione per tenere insieme, mentre il denaro statale comporta meccanismi per riciclare eccedenze tra gli Stati membri (per esempio, un bilancio federale, obbligazioni comuni).
La zona euro cade fra questi sgabelli – è più di un regime di tassi di cambio e meno di uno Stato.
E qui sta il problema.
Dopo la crisi del 2008-2009, l’Europa non sapeva come rispondere. Preparare il terreno per almeno una espulsione (cioè, la Grexit) e rafforzare la disciplina? Passare a una federazione? Finora non ha fatto né l’una né l’altra cosa e la sua angoscia esistenziale cresce. Schäuble è convinto che, allo stato attuale, ci sia bisogno di una Grexit per pulire l’aria. In un modo o nell’altro è questa la scelta forzata. D’un tratto, il debito pubblico greco senza il quale il rischio di Grexit sarebbe svanito, ha acquisito una nuova utilità per il ministro delle finanze tedesco.
Cosa voglio dire con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per incutere il timore di Dio anche nei francesi e far loro accettare il suo modello di euro zona inflessibile.
Yanis Varoufakis”.

Non c’è nulla da aggiungere. Il fondo non l’abbiamo toccato ma, grazie al coraggio dei Greci, la dittatura gioca ormai a carte scoperte.

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Mettetela come meglio vi pare, ma le cose stanno così: in una trattativa i rapporti di forza sono decisivi e si parte proprio da lì. Chi ha il colpo in canna e vuole fare la rivoluzione, non tratta, non si siede e non contratta: spara. E mira diritto, senza pensarci due volte.
Una trattativa si fa così, e non è un’opinione, lo sa bene ogni sindacalista che non ha mai venduto i lavoratori: tu cedi su questo, io convengo su quello, un po’ perdi tu, un po’ perdo io e infine si fa l’accordo. Se non ho stravolto l’anima e la filosofia della mia proposta, è un buon patto.
Che accordo ha fatto il governo di Alexis Tsipras? Ha proposto che l’Iva sia a tre livelli: 6, 13 e 23 %. Poteva proporre aliquote diverse? Certo. Se non fosse stato solo contro tutta l’Europa, poteva provarci. Ma è solo, non ha colpi in canna e non vuole uscire dall’Europa. Doveva volere uscire?I Greci non vogliono e il referendum sarebbe stato battuto, se Tsipras l’avesse proposto. Quindi? Quindi piedi per terra, unghie e denti in azione e sui punti più controversi, prendi tempo, sperando che il fronte si allarghi e i rapporti di forza cambino.
Per difendere quanto più possibile la salute, l’Iva sui medicinali resta al minimo e si impedisce la scelta maligna “mangio, ma resto al buio e non mi difendo dagli attacchi del clima”; sull’energia, infatti, l’Iva è ferma al 6%. Per i prodotti alimentari freschi e i generi alimentari di base, non si è lasciata via libera alla Troika e ci si è accordati per il 13 %. Non è un capolavoro, ma è la linea mediana dell’Unione Europea. La Troika voleva a tutti i costi difendere gli evasori, ma è nato, invece, un organismo autonomo per l’amministrazione fiscale, si sono adottati criteri più rigorosi per valutare le auto-dichiarazioni e per fermare così la valanga di imbrogli e l’esercito di imbroglioni. E’ vero, si andrà in pensione a 67 anni, ma solo dal 2022. Più che di cedimento, si dovrebbe correttamente parlare di tempo guadagnato, mentre si segnano punti. Aumentano, infatti, la tassa di solidarietà, aumenta l’imposta sugli yacht medio – grandi e aumentano le tasse sul lusso. In quanto ai profitti delle società, dal 26 % si sale al 28. Aumenta la fiscalità sugli armatori, che pagano una imposta sul tonnellaggio, e si tagliano le spese militari. Passano l’aumento del salario minimo, che partirà dal prossimo autunno, si aboliscono i licenziamenti collettivi e si torna alla contrattazione nazionale di categoria. Non è quanto si voleva? No, non lo è. ma non c’è trattativa che si concluda con una parte che cede su tutto e un’altra su niente.
Il punto più delicato dell’accordo, però, quello che decide chi vince e chi perde e ti dice se alla fine hai difeso fino il fondo il principio che ti faceva da bussola, è facile da individuare ed è quello decisivo: non si farà nessun accordo, se non si arriverà a un serio taglio del debito. Qui i sacerdoti del neoliberismo non cadono in piedi. Sull’accordo non c’è scritto e ci mancherebbe, ma è passato un principio che cancella un dogma: decidono i popoli e non è vero che il debito non si tocca. Questo peserà molto sul futuro.
Certo, a voler essere rigorosi, duri, puri e rivoluzionarissimi, bisogna prendere atto con dolore che i Greci non hanno nemmeno provato a chiedere la fucilazione della signora Merkel. Una vergogna. Da questo punto vista, non c’è dubbio: Tsipras non solo perde, ma tradisce. Mettiamolo al muro.
Qui da noi Renzi, dopo aver cancellato tutti i diritti dei lavoratori e tutelato con una legge vergognosa la definitiva devastazione del territorio, in questi giorni, proprio durante la battaglia greca, ha ucciso anche la scuola statale. L’hanno difesa solo gli studenti, i docenti e alcuni sindacati di base, questo è vero, però siamo seri e diciamola tutta: è andata così soprattutto per colpa dei Greci. i nostri rivoluzionari, infatti, erano tutti molto impegnati nel totoscommesse: Tsipras sì, Tsipras no. Ora che la Grecia s’è “piegata” e anzi, per qualcuno, si è addirittura “sbracata”, gli italiani, famosi nel mondo per i loro attivi salotti rivoluzionari, faranno vedere ai Greci smidollati come si trattano i ducetti alla Renzi, i boss della Troika e la Germania di Angela Merkel.

La Sinistra Quotidiana e Agoravox, 12 luglio 2015

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