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Archive for gennaio 2015

downloadIl circo mediatico comincia a suonare la grancassa: nomi, titoli, carriere e mezze verità. Si comincia con un campione della gerontocrazia, un vecchio arnese democristiano, che ha mille responsabilità nello sfascio del paese e un unico merito: ha contrastato Berlusconi, col quale, però, firma patti di alleanza proprio il pupo fiorentino che lo candida.
Vogliamo dirlo chiaro? Nessuna persona perbene, tirata per i capelli in questo grumo purulento, accetterebbe il voto di una banda di nominati, accampati in Parlamento grazie a una legge illegale. Chiunque prenderà il posto di Napolitano, senza dichiarare in anticipo la decisione di sciogliere le Camere che oseranno eleggerlo, sarà un presidente moralmente e politicamente illegittimo.

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70265824859961868Non s’è ancora messo in moto il baraccone, ma siamo prigionieri e non troveremo modo d’evitarlo. Per quanta rabbia potremo mostrare, quale che sia l’insofferenza che opporremo, in qualche modo ci scoveranno e, potete giurarci, in qualche modo ci faranno partecipare e dovremo ascoltarli. Qualcuno premerà un pulsante e, come per incanto, in ogni angolo e piazza, in ogni strada e in ogni casa, da qualunque pulpito e da ogni cattedra, tutti “ricorderemo”: le televisioni ci mostreranno senza interruzione l’orrore dei lager, la tragedia dei camini, la feroce menzogna delle docce, l’invisibile agonia dei gas. Rivedremo, angosciati, cataste di cadaveri ammonticchiati nel bianco e nero cupo dei filmati d’epoca, i liberatori inorriditi (non più sovietici, però, ma americani), i carnefici grigi come la terra asciutta, i lampi di vita ostinata negli occhi dio sa come aperti su volti scheletriti, su mucchi d’ossa infagottati in un pigiama lacero di stoffa a righe. Un pulsante premuto e sarà “memoria” telecomandata.
Un giorno intero, anzi no, qualcosa in più d’un giorno, il tempo che occorre a suscitare il pathos con una pletora spocchiosa di esperti, con fiumi di parole sempre uguali, sempre ovvie e più spesso banali. Parole senza vita vera. Ci sono cose che un professore non può tacere ai suoi studenti: se l’idiozia di questo tempo nostro feroce è stupefacente, disgustosa è l’ipocrisia che ci governa. Per tutto un anno, un popolo di smemorati vive di sensazioni forti e allucinate, vive senza farsi domande una vita virtuale e si lascia convincere che il rumeno stupra, il rom è ladro, l’albanese mafioso e il musulmano terrorista. Per un anno intero ascolta con fede incrollabile la nostra Gestapo che processa nell’immensa piazza Vespa gli ebrei del nostro tempo e passa con noncuranza davanti ai nostri campi di concentramento. Indifferente vive la sua vita come comandano moda e pubblicità, tra ombre sfuggite alla morte silenziosa nel Mediterraneo, tra un dolore che non ha fine, ma non apre brecce nei cuori inebetiti dalle droghe del consumismo. Così è per un anno, ma il 27 c’è il rito della memoria e occorre d’improvviso “ricordare”. Tutto è stato costruito ad arte: si vuole che voi abbiate memoria di tutto il male ch’è stato, ma non riusciate a vedere nulla dell’infinito male che vi circonda. E’ infatti scientificamente provato che una micidiale overdose di antico razzismo ha la forza d’un vaccino: fa di un popolo di senza storia una massa di consumatori di dolore virtuale immuni dall’orrore autentico. Un orrore ben più vivo di quello storico, più diffuso, più ostentato, più sottilmente teorizzato, più modernamente organizzato.
Che può dirvi un vecchio professore che già non v’abbiano detto? Cercate una risposta dentro di voi e per quello che ritenete ingiusto, pretendete giustizia. Pretendetela per voi e per gli altri, strappatela, se occorre, come potrete. E un diritto e vi spetta.
La lezione che potete ricavare dall’inganno del 27 gennaio è amara ma preziosa: gli uomini che amano il bene non possono ubbidire a ordini ingiusti e malvagi. Non c’è legge, regola o convenzione che conti. Urlatelo forte, andatelo a dire tutti insieme a chi occupa illegalmente il Parlamento, a chi parla di civiltà europea mentre sostiene il fascismo ucraino, a chi macella palestinesi, tortura a Guantanamo ed esporta democrazia con bombe al fosforo bianco e uranio depotenziato. Urlatelo il 27 da ogni cattedra, voi che insegnate. Spiegatelo a sedicenti ministri cos’è la scuola. Quella che non conoscono e pretendono di governare.

Agoravox, 27 gennaio 2015

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Dipinto di Lino D'Antonio

Dipinto di Lino D’Antonio

Presso la sede del Consiglio Comunale di Napoli – Sala Nugnes, Via Verdi 35
Lunedì 26 gennaio 2015 alle ore 17,30
Verrà presentato il libro di Aurelia del Vecchio

Un luogo preciso esistito per davvero – l’Italsider di Bagnoli
Editore Polidoro

Interverranno:

Il sindaco di Napoli dott. Luigi De Magistris

Gli storici prof. Francesco Soverina

e prof. Giuseppe Aragno

Modererà la dott.ssa Giulia Buffardi
Direttrice dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
“Vera Lombardi”

Sarà presente l’autrice

Silvana Iovine leggerà alcuni brani tratti dal libro

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IL CONTRIBUTO DEL MEZZOGIORNO
ALLA LIBERAZIONE D’ITALIA
1943-1945

Napoli 22-23 gennaio 2015-01-21
Castel Nuovo (Maschio Angioino)
Via Vittorio Emanuele II
Società Napoletana di Storia Patria – Biblioteca

Il Convegno è l’esito del progetto di ricerca nazionale “Il contributo del Mezzogiorno alla Liberazione Italiana (1943-1945) promosso dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI) e finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per il 70° anniversario ella Liberazione.
La ricerca ha costituito un importante avanzamento delle conoscenze storiche sul tema e nei lavori del Convegno si offre al dibattito tra storici e alla pubblica coscienza civile.
Il gruppo di lavoro, costituito da storici di rilievo nazionale, ha lavorato su base territoriale, in stretta collaborazione con il presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia, coordinato da Enzo Fimiani, si è avvalso di Isabella Insolvibile e Guido D’Agostino per il Sud; Chiara Donati e Gabriella Gribaudi per il Centro; Toni Rovatta e Luca Baldissara per Nord. Nel convegno sono poi stati coinvolti studiosi in rappresentanza di molte realtà di ricerca italiane.
La questione storica della partecipazione attiva dei meridionali alle varie forme di resistenza appare ancora un nodo irrisolto, anche su piano della memoria civile. I lavori del gruppo di ricerca dell’ANPI si sono inseriti sulla scia di un rinnovamento degli studi sull’argomento, dopo decenni di sottovalutazione, segnando concreti passi in avanti soprattutto per quanto riguarda i numerosi episodi resistenziali nel su, intesi nell’accezione più larga; l’arricchimento documentario; la conoscenza del diretto coinvolgimento di meridionaliin eventi e formazioni partigiane nel centro- nord; l’attenzione verso percorsi biografici esemplari; l’approccio al, momento del “ritorno”; con i fenomeni di riconoscimento/disconoscimento dell’esperienza partigiana nell’Italia della ricostruzione postbellica.

Giovedì 22 gennaio
ore 15.00

Apertura dei Lavori e indirizzo introduttivo
CARLO SMURAGLIA
(Presidente nazionale ANPI)

Saluti
LUIGI DE MAGISTRIS
(sindaco di Napoli )
RENATA DE LORENZO
(presidente Società Napoletana di Storia Patria)
ANTONIO AMORETTI
(presidente Comitato Provinciale ANPI Napoli)

Presiede
GUIDO D’AGOSTINO
(presidente Istituto Campano per la Storia della Resistenza,
dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea “V. L ombardi”
Napoli – INSMLI)

Il progetto di ricerca dell’ANPI:
Ricerca storica e impegno civile
ENZO FIMIANI
(coordinatore delle ricerca)

Meridionali e Resistenza nell’Italia del Sud
ISABELLA INSOLVIBILE

Discussant:
GIUSEPPE ARAGNO, VITO A. LEUZZI,
GIUSEPPE C. MARINO

Venerdì 23 gennaio
ore 9.00

Meridionali e Resistenza nell’Italia del Sud
CHIARA DONATI

Discussant:
GIOVANNI CERCHIA, FELICIO CORVESE

Pausa caffè

Meridionali e Resistenza nell’Italia del Nord
TONI ROVATTI

Discussant:
CARMELO ALBANESE, ROCCO LENTiNI

Il fondo archivistico dell’Ufficio per il servizio riconoscimento
qualifiche e ricompense ai partigiani (Ricompart)
CARLO M. FlORENTlNO
(Archivio Centrale dello Stato, Roma)

Buffet

Venerdì 23 gennaio
ore 14,30

Il contributo dei meridionali alla Resistenza in Piemonte
CLAUDIO DELLAVALLE
(presidente Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “A. Agosti”, Torino)

Discussant:
ALDO BORGHESI, ROSARIO MANGIAMELI,
PANTALEONE SERGI

Tavola rotonda conclusiva
CARLO SMURAGLIA
(presidente nazionale ANPI)
LUCA BALDISSARA
(Università di Pisa)
ALBERTO DE BERNARDi
(vice presidente nazionale lNSMLI, Milano)
GABRIELLA GRIBAUDI
(Università di Napoli Federico II)

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scansione0001Questo documento apre il misterioso fascicolo che contiene gli atti istruttori di un processo penale a mio carico. Non entro nel merito. Dico solo che non c’è numero di protocollo e i dati copiati dalla mia carta d’identità, non sono esatti. Non abito a quell’indirizzo e sulla mia tessera, il n. 2 non c’è. Se fossi stato identificato col mio documento, il mio indirizzo sarebbe stato un altro: Via Saverio Altamura is. 22. Sono stato io a dire agli agenti che quello sulla tessera era un indirizzo inesatto e così è comparso il n. 2. In quanto alla frase conclusiva del verbale – “A questo punto, presumo, un ufficiale mi invitava a seguirlo per poter procedere a quanto da me chiesto” – non ha senso. uno sa bene, infatti, perché si trova in un ufficio di Polizia Giudiziaria e non avevo nulla da presumere; nessuno mi aveva invitato, costretto o accompagnato. Mi ero presentato per denunciare alcuni vigili che avevano picchiato un extracomunitario. Avrei potuto recarmi tranquillamente dai carabinieri o rivolgermi alla Pubblica Sicurezza. Com’è naturale, durante il processo, chi mi avrebbe condotto dai vigili non è stato interrogato: non si poteva perché non esiste.
E’ vero, il documento reca la mia firma autentica, ma io non l’ho mai firmato così com’è ora. A chi mi ha chiesto come sia possibile una cosa del genere, ho risposto che io saprei farlo. Avendo in mano due firme, si possono avere due documenti falsi con le firme autentiche. La tecnologia oggi fa miracoli. Non potendo provarlo, mi limito a dire che non so come sia andata. Che fine ha fatto la denuncia? Non lo so. L’ufficiale a cui mi rivolsi, una donna, mi chiese di ritirarla o di modificarla nelle sue parti più dure. “La città è difficile, gli agenti hanno famiglia, vuole che passino un guaio?”, insistette. Mi lasciai convincere. Non mi sarebbe piaciuto farla pagare ai figli. “Vorrei che si limitassero a fare il loro dovere”, replicai, ma dettai un’altra denuncia meno dettagliata. Firmai, accettai un caffè, i ringraziamenti, una stretta di mano e via. Le denunce rimasero entrambe in mano agli agenti. Mentre prendevamo il caffè, l’immigrato che avevo visto cadere a terra, investito da schiaffi e pugni, stava rilasciando negli stessi uffici una “spontanea dichiarazione”, (conosceva l’italiano?) scritta a penna, in stampatello in cui, guarda caso, teneva a precisare: “Sono caduto a terra, ma non mi sono fatto niente. Non ho ricevuto schiaffi e pugni”.
Non avevo nemmeno lasciato la signora Tenente e il suo gentile caffè, che già i solerti tutori dell’ordine si erano messi all’opera per denunciarmi alla Procura della Repubblica. Secondo i galantuomini in divisa, per favorire la fuga di alcuni immigrati, avevo guidato una vera e propria sommossa ed ero stato un così abile Masaniello, da costringerli addirittura a chiedere rinforzi! il 5 febbraio il Sostituto Procuratore della Repubblica ordinò: “si iscriva altresì Aragno Giuseppe per il reato di cui agli articoli 110-337 C.P.
Le indagini su fatti che riguardavano me, ma a rigor di logica anche i vigili, non furono affidate alla Pubblica Sicurezza o ai Carabinieri. Il giudice istruttore affidò la faccenda ai… vigili, che indagarono per quasi tre anni, e non sentì mai il bisogno di interrogarmi,. A quanto pare, non si accorse nemmeno che nelle deposizioni dei tre agenti che mi accusavano c’era uno stranissimo errore. Interrogati separatamente, i tre vigili ricordarono nomi e dettagli minimi, ma sbagliarono sempre la data dei fatti che denunciavano. Mistero misterioso, ricordavano tutti l’identica data sbagliata. Lo stesso errore per tutti e tre. Come se avessero concordato una versione inavvertitamente imprecisa, andò a finire che la rivolta da me capitanata non era più avvenuta il tre, come avevano inizialmente denunciato, ma il 4 febbraio. Se si fosse trattato di un omicidio, avrei ucciso due volte la stessa persona!
Il 7 maggio 2009 il Sostituto Procuratore Stefano Capuano mi accusò di avere, in concorso con altri, minacciato gli agenti, inveito contro di loro, intralciato il loro lavoro e favorito la fuga di alcuni delinquenti. Reati che ti possono costare un bel po’ di galera. In tre anni non aveva mai ascoltato la mia versione dei fatti, non mi era stato notificato un avviso di garanzia, non sapevo nulla di nulla delle indagini e ora d’un tratto il signor giudice mi dava 20 giorni di tempo per “presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore ovvero chiedere di essere sottoposto a interrogatorio”. Pensai che non meritasse di incontrarmi.
Ne ero convinto: Il processo non aveva né capo e né coda e l’ho detto chiaro, quando finalmente ho potuto parlare. Dopo la deposizione, l’accusa si è vista costretta a chiedere l’assoluzione dell’imputato. Fosse capitato a me, mi sarei vergognato. Durante l’interrogatorio, ho osservato che sarebbe stato opportuno chiedere spiegazioni ai galantuomini in divisa, ma è stato inutile. Mi sarebbe piaciuto sapere se è vero che gli agenti smemorati hanno fatto una colletta per l’immigrato, dopo averlo malmenato; sapere se hanno l’abitudine di far collette per tutti gli sventurati che acchiappano. Se non è così, perché farla proprio quel giorno?
Il giudice non poteva che assolvermi. Avrebbe forse dovuto accertare l’attendibilità dei testi, ma sarebbe stato chiedere troppo. Ormai è acqua passata, ma la lezione amara che viene oggi da questa penosa vicenda, è ben più triste di quello che appare. Che fine ha fatto l’immigrato picchiato? In quale campo di concentramento l’abbiamo chiuso? Quante angherie impunite ha subito ancora, dopo i pugni e gli schiaffi? Quanto ci odia? Quanto sarebbe facile oggi convincerlo a metterci un coltello alla gola? Parliamo tanto di terrorismo e fanatismo islamico, ma facciamo finta di non sapere che quel fanatismo nasce dallo scontro con un altro, più feroce fanatismo ideologico: quello neoliberista, che cancella diritti e genera leggi e provvedimenti di polizia bestiali.
E’ il neoliberismo la vera fabbrica di morte di questo tempo disumano. Ma come si porta in tribunale un assassino che si chiama mercato?

Uscito sa Agoravox il 20 gennaio 2015

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VuotoGiorni opachi e faticosi. Lontano dai miei abituali interessi, ho messo da parte persino una ricerca cui tenevo molto ed era ormai quasi terminata. Scrivo molto lentamente un libro che non sarebbe giusto chiudere in un cassetto, tengo fede agli impegni presi, ma sto attento a non accettarne di nuovi. Il 22 sarò a un convegno sulla Resistenza e il Mezzogiorno, ma non ho preparato interventi; il 26 presenterò un libro di un’amica, poi mi metterò a tacere. A parte la consueta lezione del lunedì all’Humaniter, chiudo bottega. Al Blog è già raro che metta mano e Fuoriregistro mi vede sempre più assente. Una scelta definitiva? Non so. Ora va così. Da tempo non accendo la televisione e di leggere i giornali non se ne parla. Solo per caso ieri, un’amica mi ha parlato della solita buffonata di Renzi: “sul presidente della repubblica non accetto veti!” ha dichiarato. Ho capito così che Giorgio Napolitano s’è dimesso da Presidente della repubblica. A me Napolitano non fa più nemmeno male allo stomaco. Mi chiedo solo come ci si possa dimettere da qualcosa che non c’è più. La repubblica è morta da tempo e Napolitano dovrebbe saperlo. Il colpo di grazia gliel’ha dato lui, accettando di tornare al Quirinale. Doveva andarsene via prima.

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napolitano_comunistaPer difendere al meglio e fino in fondo la “libertà” e il diritto a informare e ad essere informati, la democratica Francia ha impedito ai giornalisti di tutto il mondo di raccontare con le loro immagini dal vivo, con le loro parole di testimoni oculari, con i loro servizi in diretta, l’epilogo di quelle sorta di crollo delle Torri Gemelle che sono stati per gli europei i massacri di Dammartin en Goele e Parigi. Abbiamo filmati in diretta di mille guerre e le immagini di grandi momenti della civiltà occidentale: il golpe cileno, quel delinquente di Colin Powell mentre racconta frottole all’ONU, la foto del misterioso Bin Laden assassinato da un commando Usa in territorio pakistano, registrazioni dell’ultimo discorso di Allende. Abbiamo di tutto, persino lo sbarco sulla luna, ma di questa oscura tragedia non ci testa nulla. Non abbiamo un fotogramma della inevitabile morte dell’intero esercito che ha scatenato la “guerra” contro la Francia; un esercito di tre uomini: due fratelli e un compagno. Tre francesi all’assalto della Francia.
Ritengo l’Occidente l’origine della crisi di civiltà che attraversiamo. In particolare questa Europa razzista e liberticida. Se penso alla tragedia di tanti popoli, vittime di vecchi e nuovi colonialismi, ai milioni di innocenti inermi che gli eserciti occidentali e i mercenari che fanno il lavoro sporco hanno fatto a pezzi dai tempi della guerra del Golfo a oggi, mi viene la nausea.
I fondamentalisti ci ammazzano? Ma chi ci ammazza? I fratelli Kouachi e Amedy Koulibaly non erano francesi? I fondamentalisti ci ammazzano, sì. E noi che abbiamo fatto finora? Gli abbiamo mandato lettere d’amore?

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Abbiamo la guerra in casa. Così dicono i nostri grandi giornalisti. Non so perché, ma in casa la guerra ci scoppia sempre per motivi che non conosciamo. L’undici settembre del 2001, per esempio, dopo che due aerei civili avevano “attaccato” inspiegabilmente New York e il Pentagono, scoprimmo che a Roma c’era la guerra. Quando una bomba fece una strage in una banca di Milano, nel 1969, non ci fu un americano che pensasse d’avere in casa la guerra; da noi, invece, le guerre scoppiano per qualunque guaio dell’Occidente. Anni fa, per una bomba alla metropolitana di Madrid, gli spagnoli chiusero i conti con un governo di destra, noi allertammo polizia, esercito e guardia forestale. Avevano colpito Madrid, ma la guerra era contro di noi. Ce l’avevamo in casa.
Non so chi li laurei, i grandi nomi della carta stampata e delle televisioni, ma qualcuno dovrebbe dirglielo come scoppiano le guerre e ricordargli che gli attacchi a giornali e giornalisti sono pagine feroci, ma frequenti. Come cerchi ci sbatti il naso. Il 22 luglio 2014, non cento anni fa, “Libero”, raccontando ai lettori la tragedia di Gaza, scrive di “un aereo da combattimento israeliano che ha bombardato l’ultimo piano di una torre residenziale nel Centro di Gaza, dove si trovano la sede di Al-Jazira e gli uffici dell’agenzia di notizie statunitense, Ap”. Naturalmente, racconta il giornale, gli israeliani sostengono che è “stato un errore”, ma ammoniscono i giornalisti: meglio stare alla larga. Se uno non si ferma qui e va avanti, scopre poi una dichiarazione ufficiale israeliana che definisce Al-Jazira “una colonna portante dell’apparato di propaganda di Hamas” e chiede che “le attività dell’emittente vengano bandite in Israele”.
E’ strano, ma così: nessun governo occidentale ha dichiarato in quei giorni che Israele fa “guerra alla democrazia”, nessuno si è scandalizzato per la libertà di stampa attaccata con le armi e la nostra “grande stampa”, che stava dormendo o era stata messa a nanna, non ha suonato l’allarme. La guerra a Gaza non è guerra di casa nostra, noi ci disinteressiamo degli occupati e abbiamo ottimi rapporti con gli occupanti perciò, se giocano a tiro a segno sui giornalisti, pazienza.
Rosa Schiano, che era a Gaza, pochi giorni prima dell’attacco ad Al-Jazira aveva descritto così l’esecuzione di Hamed Shehab, un giornalista che lavorava per Media24 news agency: “Lo scorso 9 luglio, è stato ucciso in un attacco mirato sull’auto che stava guidando in zona centrale nei pressi del parco di Al-Jundi al-Majhul in Gaza City. Il veicolo era contrassegnato dalla scritta “TV”. Il suo corpo è stato ridotto in pezzi dall’esplosione”.
L’Europa, preoccupata per la pazza estate e i rischi per la stagione turistica, era persa dietro i meteorologi e non si accorse di nulla, sicché invano il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi (PJS), affiliato alla Federazione Internazionale, chiese una commissione d’inchiesta indipendente sulla morte degli operatori.
Nel 2012, Reporters Senza Frontiere e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti manifestarono il loro sdegno per l’aggressione israeliana ai media nella Striscia di Gaza e condannarono l’attacco notturno contro la torre dei giornalisti: “Questi attacchi costituiscono un ostacolo alla libertà di informazione – disse allora il segretario generale di Reporters Senza Frontiere, Christophe Deloire, ricordando “alle autorità israeliane che, secondo il diritto internazionale, i media godono della stessa protezione dei civili e non possono essere trattati come target militari”. Deloire chiese infine che i responsabili del bombardamento fossero identificati. Non se ne fece nulla. L’Occidente, che ha creato e tiene in vita l’orrore di Guantanamo, parla molto di civiltà e diritti, ma ricorre alla violenza e alla barbarie ogni volta che si tratta di lavoro, dissenso interno e conquista dei mercati.

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In deroga all’idea da cui nasce questo blog. Senza nulla aggiungere e nulla togliere. Grazie a Giulia Valle per la segnalazione. 

0125-09-sett-2013-dorgali-piazza-caduti-sul-lavoro1Morti sul lavoro nel 2015.
Nessuno ne parla, quindi nel 2015 non ci sono più morti sul lavoro. Il silenzio è complice.

L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro è chiuso al pubblico dal 31 DICEMBRE 2014 a sei anni dall’apertura.
E’ chiuso per ‘INDIFFERENZA”.

L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro è chiuso per protesta al pubblico dal 1°gennaio 2015

(per contatti carlo.soricelli@gmail.com)

Report morti sul lavoro nel 2014 e andamento del fenomeno dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2014

Nel 2014 sono morti sui luoghi di lavoro 660 lavoratori, tutti documentati in appositi file. Se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere si superano i 1350 morti. L’aumento dei morti sui luoghi di lavoro rispetto al 2013 è dell’12,5%. In questi sei anni di monitoraggio sono stati registrati 4282 lavoratori morti sui luoghi di lavoro e oltre 9000 (stime realistiche ma è impossibile avere dati certi dei lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere) se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Intere categorie non sono monitorate dalle statistiche ufficiali, oltre 700 di queste vittime sono morte in modo atroce, schiacciate dai trattori che guidavano. E senza che si sia fatto concretamente niente, nonostante i continui appelli che l’Osservatorio ha fatto nel corso di questi anni alle Istituzioni locali e nazionali, ultimo il 28 febbraio scorso a Renzi, Poletti e Martina. E’ quindi incredibile che in questi anni si siano fatte leggi per “attenuare” la burocrazia sul lavoro in base a questi cali inesistenti. Le normative sulla Sicurezza dei lavoratori trattate come tali dalla politica e da chi ci governa. Tra l’altro, il terremoto del 2012 in Emilia ha messo in luce un aspetto drammatico, che tantissimi capannoni industriali e non solo (si consiglia un controllo anche dei supermercati costruiti con le stesse caratteristiche dei capannoni industriali), costruiti prima delle normative antisismiche, sono come castelli di sabbia, e che un terremoto che si verifichi di giorno e non di notte, può provocare tantissimi morti tra chi ci lavora sotto come operai e impiegati. E gravissimo che non si faccia niente per fare mettere in Sicurezza i capannoni costruiti prima delle leggi antisismiche del 2005. La cosa che sgomenta di più è che parlano sempre di cali incredibili tutti gli anni, mentre non è affatto vero, se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro che ricordiamo ancora una volta non sono solo quelle monitorate dall’INAIL istituto dello Stato che registra solo i propri assicurati, e in tantissimi non lo sono. In concreto nonostante l’opinione pubblica pensi il contrario a causa della propaganda di chi si è succeduto nel corso di questi anni al governo del paese. I morti sul lavoro non sono mai calati, e questo nonostante si siano persi per la crisi milioni di posti di lavoro. Le vittime si sono spostate da un lavoro che dispone di un’assicurazione vera a un altro che è in nero, partita iva individuale o precario. Registriamo tra l’altro un aumento dell’ 1,9 anche rispetto al 2008 e in tutti gli anni che seguono, a parte una riduzione dello 0,7 registrata nel 2011. Mi ero impegnato, dopo la tragedia della ThyssenKrupp a monitorare i morti sul lavoro, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma è stato un lavoro inutile, nonostante le centinaia di migliaia di visitatori del blog i morti sono addirittura aumentati. Questo perché in Parlamento non ci sono lavoratori dipendenti che s’interessino di queste tragedie e che sanno cosa vuol dire svolgere lavori pericolosi. Situazioni che difficilmente toccano i parlamentari e i loro famigliari. Un muro invalicabile fatto d’indifferenza e di sudditanza ai poteri forti che controllano la politica. Nel 2014 l’agricoltura con il 34,2 % del totale risulta anche quest’anno la categoria con più vittime. In questo comparto il 65,5 % sono morti in un modo drammatico: schiacciati dal trattore che guidavano. Gli agricoltori morti schiacciati dal trattore sono il 23% di tutti morti sui luoghi di lavoro. Nel 2014 sono stati ben 152 e 142 da quando il 28 febbraio ho mandato una mail a Renzi, Martina e Poletti, avvertendoli dell’imminente strage che di lì a pochi giorni sarebbe ricominciata col ribaltamento dei trattori e lo schiacciamento del conducente. E’ così tutti gli anni. Chiedevo loro di fare una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo e di proporre una legge sulla messa in sicurezza delle cabine di questo mezzo che uccide così facilmente. Inutile scrivere che non si sono mai degnati di rispondere e che il loro impegno è tutto dedicato a fare selfie, cinguettare, a mangiare gelati e a legiferare per togliere i diritti a chi lavora. Mentre per la vita di questi lavoratori che muoiono così drammaticamente non si fa niente, non spendono neppure un minuto del loro prezioso tempo per sensibilizzarli. In edilizia i morti sui luoghi di lavoro sono il 19,8 % del totale, con le solite cadute dall’alto che provocano tantissime morti. Nell’industria il 9,1 %, l’8,18 % nell’autotrasporto. Poi ci sono tutti i lavoratori morti nei vari servizi alle imprese. Percentualmente le morti sul lavoro sono distribuite in eguale misura in tutte le fasce d’età, a parte l’agricoltura, dove le vittime hanno un’età mediamente più alta. Gli stranieri morti sui luoghi di lavoro sono quest’anno il 10,1% sul totale e i romeni sono sempre i più numerosi. Le altre morti sono da ricercarsi nelle diverse attività, principalmente nel terziario.
Se si analizzano con obbiettività questa raccolta dati si evidenzia un’Incredibile mattanza, che fa comprendere come opera chi ci sta governando e che ci ha governati in questi ultimi anni. Se è vero che l’INAIL registra costantemente dei cali delle morti tra i propri assicurati, e questo lo scrivo ormai da diversi anni, ed è una verità molto scomoda, e se l’Osservatorio Indipendente di Bologna invece può dimostrare dati alla mano che praticamente da quando è stato aperto il 1° gennaio 2008 i morti sui luoghi di lavoro sono addirittura aumentati? Che sono calati gli occupati in posti tutelati e con assicurazioni degne di questo nome.Che le vittime sul lavoro si sono solo spostate da lavori a tempo indeterminato a lavori precari, in nero e grigio. Che la mancanza di tutele per le Partite IVA Individuali e altre importanti categorie di lavoratori, oltre a quelli che lavorano in nero e in grigio, provocano un aumento degli infortuni, anche mortali. Ricordiamo che il Sindacato svolge una funzione determinante per la Sicurezza dei lavoratori: dove sono presenti in modo organizzato le morti sul lavoro sono quasi inesistenti. Ed è per questo che l’Osservatorio non diffonderà più i dati raccolti, se non su richiesta di persone interessate veramente al problema, per la totale indifferenza verso queste tragedia da parte di chi ci governa. Sono semplici verità che la nostra classe dirigente fa finta di non vedere. Le tragedie delle morti sul lavoro sono un fenomeno complesso, che tocca tutte le varie articolazioni dello Stato a cominciare dai controlli sul rispetto delle normative. Aziende, soprattutto piccole, che utilizzano lavoratori senza preparazione o addirittura in nero che poi fanno una concorrenza sleale a chi le regole le rispetta. Ma non c’è solo questo. Pressapochismo, superficialità di chi commissiona il lavoro a persone non qualificate e non assicurate, che spesso sono amici e conoscenti. Le persone che muoiono lavorando sono a volte gli stessi che svolgono, senza avere la preparazione adeguata improvvisandosi muratori, elettricisti, fontanieri, agricoltori ecc…Queste tragedie sono soprattutto un problema di conoscenza e di corretta informazione. Ed è per questo che i media hanno un’importanza determinante per attenuare il fenomeno, ma si occupano sostanzialmente dei morti sul lavoro solo quando ci sono casi di morti eclatanti e collettive. La mancanza di tutele introdotte con il Jobs act istituzionalizza la precarietà per chi lavora che è già a livelli intollerabili per un paese civile. Abolire l’unico baluardo che era rimasto per la tutela dei lavoratori, l’ormai famigerato articolo 18, padre di tutti i mali italiani, che tra l’altro era già di fatto abolito con la legge Fornero è aberrante. Si deve sapere che dal 2015 gli italiani non avranno più un lavoro “buono” cioè a tempo indeterminato ma solo un indennizzo con una piccola monetizzazione crescente, ma solo stipendi da fame, calpestio dei diritti e inSicurezza sul lavoro. E questo provocherà un danno enorme non solo per i lavoratori ma per tutti il sistema produttivo e un ulteriore calo della natalità. Io non ci sto e protesto chiudendo di fatto alla politica l’Osservatorio, tanto per chi la fa le morti sul lavoro sono solo un impiccio burocratico.

Carlo Soricelli curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO NEL 2014 NELLE PROVINCE ITALIANE (vanno almeno raddoppiati se si aggiungo i morti sulle strade e in itinere.)
Valle d’Aosta (2 morti) Aosta 2; Piemonte (50 morti) Torino 20, Alessandria 9, Asti 4, Biella 1, Cuneo 10, Novara 3, Verbano-Cusio-Ossola 1, Vercelli 2. Liguria (10 morti) Genova 6, Imperia 1, La Spezia 1, Savona 2.Lombardia (76 morti) Milano 7, Bergamo 5, Brescia 16, Como 3, Cremona 10, Lecco 0, Lodi 2, Mantova 13, Monza 3, Brianza 1, Pavia 8, Sondrio 4, Varese 5.Trentino-Alto Adige (18 morti)Trento 6, Bolzano 12,Veneto (59 morti)Venezia 10, Belluno 5, Padova‎ 6, Rovigo 4, Treviso 9, Verona 14, Vicenza 8. Friuli-Venezia Giulia (12 morti) Trieste 2, Gorizia 0, Pordenone 4, Udine 6. Emilia-Romagna (52 morti)Bologna 5. Forlì-Cesena 7, Ferrara 6, Modena 6, Parma 7, Piacenza 6, Ravenna 9, Reggio Emilia 3, Rimini 3.Toscana (28 morti) Firenze 2, Arezzo 8, Grosseto 3, Livorno 1, Lucca 3, Massa Carrara 1, Pisa‎ 6, Pistoia 2, Prato 0, Siena 1.Umbria (13 morti)Perugia 8, Terni 5.Marche (25 morti)Ancona 4, Ascoli Piceno 8(compresi i 4 piloti del Tornado), Fermo 3, Macerata 5, Pesaro-Urbino 5.Lazio (42 morti)Roma 16, Frosinone 4, Latina 4, Rieti 8, Viterbo 10.Abruzzo (28 morti)L’Aquila 9, Chieti 9, Pescara 2, Teramo 8.Molise (9 morti)Campobasso 5, Isernia 4,Campania (45 morti) Napoli 12, Avellino 8, Benevento 6, Caserta 7, Salerno 12,Puglia (39 morti)Bari 15, BAT 3, Brindisi 2, Foggia 4, Lecce 9, Taranto 6.Basilicata (7 morti)Potenza 6, Matera 1. Calabria ( 17 morti) Catanzaro 3, Cosenza 5, Crotone 1, Reggio Calabria 1, Vibo Valentia 7.Sicilia(49 morti) Palermo 13, Agrigento 5, Caltanissetta 6, Catania 3, Enna 2, Messina 6, Ragusa 3, Siracusa 5, Trapani‎ 6.Sardegna (17 morti) Cagliari 4, Carbonia-Iglesias 2, Medio Campidano 1, Nuoro 4, Ogliastra 1, Olbia-Tempio 0, Oristano 4, Sassari‎ 0.

Quando leggete questa terribile sequenza ricordatevi sempre che se si aggiungono anche i morti sulle strade e in itinere i morti sul lavoro sono almeno il doppio e tante vittime sulle strade muoiono per turni dove si dovrebbe dormire, per orari prolungati e stanchezza accumulata, per lunghi percorsi per andare e tornare dal lavoro. Non sono segnalati a carico delle province le morti di autotrasportatori sulle autostrade.
Per ulteriori notizie ecco il link: Caduti sul lavoro.

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39965Tra le pesanti eredità che ci lascia l’esperienza politica “straordinaria” compiuta ai vertici della Repubblica da Giorgio Napolitano, ci sono la privatizzazione strisciante della scuola statale e l’amara sorte del corpo docente. Dell’una e dell’altra, il Presidente, rieletto contro una prassi consolidata, non ha mai colto la portata e le conseguenze per il futuro del Paese, dimostrando così allo stesso tempo una impressionante distanza culturale da un problema scottante e una grave inadeguatezza nel ruolo di garante dei principi fondanti della legalità repubblicana. A ben vedere, però, non poteva andare diversamente. La concezione aziendalistica della scuola è figlia naturale del progressivo processo di asservimento della politica agli oscuri interessi del potere economico-finanziario.
Quando Enrico Berlinguer pose l’accento sulla “questione morale”, a guidare l’opposizione interna al segretario del PCI fu proprio Napolitano, che lo accusò di rinunciare a fare politica, riducendo gli altri partiti a “macchine di potere e clientele”. Per Napolitano, Berlinguer tradiva così la lezione di Togliatti e riduceva la politica a “vuote invettive” e “pure contrapposizioni verbali”. Quanto sia costata al Paese l’opposizione di Napolitano è apparso chiaro anni dopo, quando i vertici di partiti politici, ridotti ormai a comitati d’affari, come il PSI di Craxi, che Napolitano sponsorizzava, furono decapitati per via giudiziaria e l’irrisolta “questione morale” aprì la strada a Berlusconi. E’ lì che vanno cercate le radici di Renzi, del Patto del Nazareno e della rielezione di Napolitano, garante di un nuovo equilibrio, eminenza grigia che ha un ruolo decisivo nella nascita dei tre governi – Monti, Letta e Renzi – che hanno avviato la liquidazione della Costituzione del 1948, inaugurando la stagione della postdemocrazia con un drammatico esperimento di “autoritarismo democratico”.
In questo groviglio d’interessi, nelle acque torbide della corruzione dilagante e di una evidente miseria morale, ha faticosamente navigato la navicella della formazione, approdata al disastro con Renzi e l’annunciata riforma Giannini. Un dato colpisce subito chi guarda agli insegnanti oggi senza la lente deformante dei pregiudizi: il cliché del docente-missionario, del lavoratore protetto, della casta privilegiata che lavora poco e sta sempre in vacanza è entrato in crisi. Lo smentiscono purtroppo un dato accertato, sebbene mai seriamente quantificato: il lavoro nelle “classi pollaio”, il prepotere dei dirigenti, il discredito sociale hanno determinato condizioni di stress che incidono pesantemente sul sistema delle difese immunitarie, causando patologie tumorali e problemi psichiatrici talvolta anche gravi.
La medicina del lavoro pone da tempo domande che non trovano adeguate risposte e non abbiamo studi approfonditi, ma non c’è dubbio: le malattie del sistema nervoso, che ai primi del Novecento, secondo le relazioni dei medici delle Società di Mutuo Soccorso, attaccavano anzitutto serve, lavoratori domestici, sarti, guardie e tipografi, colpiscono oggi pesantemente i docenti: il 70% dei lavoratori della scuola inidonei hanno problemi psichiatrici e fanno parte perciò a pieno titolo di quello che Marx giustamente definì “genocidio pacifico”. Non a caso si “gioca” ormai con le ore di servizio e si finge d’ignorare lo “specifico” dell’insegnamento. Come in ogni azienda, infatti, anche a scuola i docenti sono forza lavoro da consumare indiscriminatamente per sfruttare al massimo il “tempo di produzione” entro parametri temporali dati, senza tenere in alcun conto limiti fisici, soddisfazione morale e, in ultima analisi, la “tenuta” del lavoratore.
La maestra della penna rossa rischiava la tisi e il pericolo giungeva dal rischio di contagio. Oggi la scuola-azienda o, se si vuole, lo Stato padrone, espone il docente ad altri e più sottili pericoli. Ciò che conta è il bilancio e per farlo quadrare, si bloccano le paghe e si allungano gli anni che dividono dalla pensione, senza curarsi di quanto tutto questo costi in termini di salute. La malattia professionale, come si definisce oggi la “malattia da profitto” con una definizione ingannevole che ignora l’influenza dell’ambiente, è figlia delle logiche feroci della produttività, del profitto e dello sfruttamento, coperte per lo più da astrazioni quali la valutazione, il merito e la sua incentivazione (pagata peraltro coi soldi sottratti ai lavoratori “meno bravi” e di norma più indocili). Una ferocia cui si sommano gli effetti devastanti sul piano psicofisico e su quello della fatica mentale, della precarietà e dell’incertezza del posto di lavoro.
Napolitano se ne va, dopo che la scuola gli è morta tra le mani e non se n’è accorto. La sua sola preoccupazione è stata un’astrazione chiamata mercato. In concreto, i mercanti.

Da Fuoriregistro, 2 gennaio 2015, Contropiano e Agoravox, 5 gennaio 2015

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