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Archive for ottobre 2016

showimg2Riuscirò a terminarlo? Non lo so, non conosciamo quanto tempo ci è dato e un libro prende la parte di te che gli occorre. Se potrò, gli darò ciò che chiede. Oggi non ho scritto. Ho trascorso un’intera giornata a riflettere su pochi righi di quella che a me pare una bellissima scoperta. Scugnizzi, si dice, lazzari che per una volta si sono trovati dalla parte giusta. Ma com’è stato possibile scrivere tante sciocchezze per settant’anni? Un’idea ce l’ho, ma la tengo per me e senza commentare riporto una nota di polizia. Luglio 1945.  In vista del referendum istituzionale, ci si organizza. Qualcuno, dopo lunghe riunioni e attente valutazioni, va dal notaio e registra la nascita di un partito. Sono combattenti delle Quattro Giornate di Napoli, scugnizzi, secondo le chiacchiere spacciate per storia o, per dirla con i tedeschi, protagonisti di una rissa tra prostitute e papponi. I tedeschi non hanno mai spiegato da quale parte stavano loro, ma questo è un dettaglio trascurabile. I fascisti hanno fatto di peggio: per loro non è accaduto nulla, nemmeno la rissa e gli storici repubblicani non sono molto più avanti dell’arroganza tedesca e della malafede fascista. I documenti, che negli archivi attendevano solo di essere letti, raccontano un’altra storia e io sono orgoglioso di essere napoletano. Eccolo qua il documento. Subito dopo il  referendum, a luglio del 1946, la neonata repubblica mostrò la sua parte peggiore – o la sua reale natura? – e la polizia mise a tacere i lazzari, diventati improvvisamente autentici combattenti. Importa poco da che parte fossero.
Questo il nome: «Partito Patriottico Democratico Difesa del Mezzogiorno». Questo il programma:  «Autonomia economico-amministrativa del Mezzogiorno, giusto il vecchio confine dell’ex Regno borbonico, primo passo verso una confederazione italica (Stati Uniti di Italia), da servire a modello di una confederazione europea (Stati Uniti d’Europa). Primi obiettivi: restituzione ai gloriosi Banco di Napoli e Banco di Sicilia delle rispettive loro riserve aure, depredate dal fascismo in pro della Banca d’Italia (nonché la restituzione dell’intero residuo ammontare del ricavato della vendita dei beni demaniali di manomorta dell’ex Regno delle Due Sicilie in £ 4.105.000), in esecuzione della legge Minghetti; lo stanziamento dell’ultimo prestito sottoscritto nel Meridione per la costituzione di un primo fondo destinato alla esclusiva ricostruzione del Mezzogiorno e l’assegnazione dell’intero gettito delle imposte pagate dai contribuenti  meridionali, per sopperire alle esigenze del solo bilancio meridionale; ricostruzione del Sud, piena libertà di scambi interni; libero commercio estero, rinascita dell’industria turistica, tutela per artigianato, agricoltura, industria e commercio; unioni libere di lavoratori e datori di lavoro; riconoscimento e sostegno per i combattenti delle “Quattro Giornate”, assistenza reduci, riforma dell’istruzione, tutela della famiglia, libertà di culto, pensiero, parola, stampa e associazione».

1947. un ignoto archivista della Pubblica sicurezza annota: «Il partito fu sciolto subito dopo il referendum, per provvedimento di polizia». Cercatelo in un libro questo programma e questo partito…
Nei libri ci sono gli scugnizzi, la rabbia, l’esplosione tellurica…

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Telegrafico.
Un Parlamento e un governo illegittimi, squallida fotocopia della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, hanno massacrato la Costituzione.
Ci hanno imposto il Jobs Act contro i lavoratori, la “Buona scuola” contro studenti e docenti, lo “Sblocca Italia”contro l’autonomia dei territori, i tagli alla Sanità, contro la salute di chi non può pagarsi le cure. Contro la pace, abbiamo soldati su tutti i fronti di guerra. La miseria aumenta, gli ospedali chiudono, i giovani non hanno futuro e i lavoratori non hanno diritti.
Fermiamo Renzi, ladro di democrazia, fermiamo Napolitano, vecchio osceno, traditore e spergiuro.

AL REFERENDUM VOTIAMO NO !

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Dal Blog di Marco Fontana - giornalista

Dal Blog di Marco Fontana – giornalista

«E’ successo quello che non doveva accadere». Così inizia un’intervista di padre Zanotelli sulla vicenda dell’acqua a Napoli. E’ vero, prosegue poi il missionario, De Magistris è il sindaco che «per la prima volta in Italia, ha rispettato e applicato il volere popolare espresso in un referendum», uno che «ha portato l’ABC in azienda speciale», che «ha fatto approvare in Consiglio Comunale uno statuto molto bello», che ha messo in moto «uno dei processi di democratizzazione più alta» e che, per finire, ha lasciato «entrare nell’azienda persone che vengono dalle battaglie e dalle esperienze di lotte sull’acqua libera». Questa esperienza «è stata di per sé una cosa grande».
Dopo queste parole, tutto ti attendi, tranne i funerali di quella «anomalia Napoli», di cui Zanotelli è – o devo dire è stato? – tra i protagonisti. Il missionario non ci pensa due volte: «Quella a Napoli sull’acqua», afferma, «poteva essere una piccola grande goccia», forse «sarebbe annegata nel mondo del profitto e dell’indifferenza», ma poteva anche produrre «un effetto domino». Invece, dice il padre, niente acqua pubblica, niente democrazia, niente di niente. E mette fiori sulla tomba: «peccato aver perso quest’occasione. È stata un’esperienza molto espressiva che ha rafforzato la nostra idea: si scrive acqua si legge democrazia», ma «tutto è stato bruscamente interrotto».
Firmato il certificato di morte, ecco le cause del decesso: «Il motivo per me va sempre ricercato nella maledetta politica, perché il Sindaco in campagna elettorale per essere eletto aveva fatto una promessa in chiave elettorale a 107 operai di San Giovanni di assumerli in ABC». A questo punto il buon sindaco non c’è più. Da un giorno all’altro, c’è un patto scellerato, un meccanismo che non c’entra con la politica e pare piuttosto voto di scambio illegale. Poiché, infatti, soldi non ce ne sono, secondo Zanotelli, i lavoratori saranno assunti alzando le tariffe e mandando in crisi l’ABC. Il resto viene da sé: si privatizza l’acqua e – mi permetto di aggiungere – si rivela un’autentica vocazione al suicidio, perché è inutile girarci attorno: se uno alza la bandiera dei beni comuni, va in giro per il mondo con un fiore all’occhiello poi privatizza, si gioca la faccia e il suo futuro politico.
Mi scuserà, Zanotelli, ma io non credo che De Magistris pensi di privatizzare l’acqua e mi pare assurdo pensare che abbia preso voti che saranno «pagati» dai cittadini. Il Sindaco della bella esperienza napoletana, che il missionario stesso descrive all’inizio dell’intervista, non si è «inventato» difensore dei beni comuni per uno squallido interesse elettorale. L’ha fatto perché ci crede e non è così sprovveduto da non capire che, se privatizzasse, la sua credibilità sarebbe poi pari a zero. Tanto valeva allearsi subito col PD. Avrebbe avuto una vita più tranquilla e una posizione più solida. Col PD, però, non ci è andato.
Il nodo, secondo me, è più serio e molto più difficile da sciogliere. Riguarda la politica, che Zanotelli ritiene una iattura e che invece è una nobile e necessaria attività umana. Per non mettere l’acqua sul mercato, per tenere in piedi le scuole comunali, garantire l’assistenza ai disabili e via dicendo, come in fondo ha fatto e fino a prova contraria prova ancora a fare il sindaco, occorrono risorse, libertà di manovra, una maggioranza forte e coesa e il coraggio di rompere i vincoli imposti dal renzismo e da un europeismo alla rovescia, che sostiene le banche e cancella i diritti. Sperare che la soluzione possa venire da Roma è, a mio avviso, un’illusione pericolosa e qui va cercata la natura reale della questione, che non rientra nella categoria del «tradimento», ma conduce a un problema di fondo. Mentre costruisci una forza capace di andare allo scontro, puoi giostrare tra i capitoli del bilancio e affrontare singoli problemi, mettendo soldi qua e levando là. Ci puoi riuscire, però sai che sposti solo il problema in avanti e non lo risolvi; facendo graduatorie dei diritti, in base ai tre soldi che hai per difenderli, ti metti in contraddizione con te stesso. I diritti, o li difendi tutti e fai vivere così concretamente la «città ribelle», la costruisci e pratichi la disobbedienza, o alla fine non ne difendi nessuno. Tertium non datur. La questione non si risolve scegliendo tra due mali: o assumo i lavoratori o difendo l’acqua. L’errore è già nelle parole, in quella «o», in quella congiunzione disgiuntiva che ti conduce a un’alternativa tra due mali e si traduce in una resa: uno dei due lo accetto. Quella che occorre, invece, è una congiunzione che colleghi tra loro i diritti in un’unica logica anticapitalistica e coerente con il programma proposto agli elettori in una competizione elettorale che ha avuto i crismi della legalità costituzionale. Non scelgo e non subisco criteri ultimativi, difendo l’acqua e il lavoro, assumo e metto in mora il governo, aprendo una vertenza forte con un potere che è fuori dalle regole costituzionali ed è illegale persino rispetto a una legalità formale che ignora la giustizia, soprattutto quella sociale. Finora la congiunzione utilizzata è stata quella giusta, ma si fa una fatica crescente a tenere la barra. Mai come oggi, il momento per aprire lo scontro è però favorevole perché, mentre discutiamo di democrazia per un’Amministrazione come quella napoletana, una banda di abusivi mette mano alla Costituzione ed è possibile dare alla vertenza il valore enorme di autentico «contenuto» del no: un no per la Costituzione, certo, ma anche un no per la scuola, un no per il lavoro, un no per la salute, un no contro la guerra. Un no per diritti e principi che Renzi e i suoi trattano come se la Costituzione non esistesse. Sarebbe ribellione? Parlando alla Costituente, Dossetti, cattolico e uomo d’ordine, fu chiarissimo: «quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere dei cittadini».
Va bene trattare per rivendicare, quindi, avendo però fermo il principio: sappiate che non vi riconosco alcuna legittimità morale e politica. I soli, gli autentici clandestini sbarcati dalle nostre parti siete voi, che occupate da anni il Parlamento grazie a un imbroglio, a una legge truffa che la Consulta dichiara illegittima. Altro che Jobs Act, Buona Scuola e Costituzione. Mettetevi in regola e poi se ne parla, perché, se pure vincesse il referendum, siete e restate ladri di democrazia. Le vostre leggi e la vostra «nuova» Costituzione non varranno nulla e non le rispetteremo. Cominciamo dai soldi che non ci date, mentre li sperperate, mandando in giro illegalmente soldati e armi che ci costano un occhio della testa e calpestano la Costituzione: i fondi ce li prendiamo. Roma non manda un euro? Da Napoli non arriva un soldo e le tasse restano tutte qua. Gli accordi con l’Europa? Voi li fate e voi ve li gestite. Noi, no. Non vedo altra via. Naturalmente ci sono mille modi e sulla forma si può discutere. Sulla sostanza no e non sono così cieco da non capire che, per giungere a questo strappo, che ritengo inevitabile, occorre un’autentica unità. Zanotelli ha ragione, quando dice che ci sono troppe divisioni, ma alla fine divide anche lui. Sull’acqua, come su tutto, si sarebbe dovuto discutere fino allo sfinimento, senza parlare di tradimento. Se l’ipotesi di fondo è condivisa, ci si può e ci si deve scontrare sul caso particolare, ma prima di rompere, si dovrebbe essere certi che non si metta così in discussione l’intero progetto.
Avrei preferito tacere e torno nell’ombra. Sto scrivendo un libro e voglio terminarlo, perché non so quanto tempo mi è dato e non mi va di buttare a mare anni di ricerca. D’altra parte, parlo o sto zitto, non cambia nulla. Rappresento me stesso, non ho Comitati, non ho partiti, non ho e non cerco poltrone. Questa idea di una rottura radicale, per la quale ho speso due anni di una vita che  tramonta, è solo mia, so che nessuno la condivide e non provo nemmeno a difenderla, anche se i fatti dicono che non è sbagliata. Il dibattito sull’acqua, assieme alla pessima maniera in cui si fa la campagna referendaria, che di fatto legittima chi non ha alcuna legittimità, annunciano perniciose sconfitte. Insistere non serve – gli dei accecano chi è destinato alla sconfitta – ma lo scrivo a futura memoria: se continua così, ci avviamo a un disastro. E non andrà meglio di come andò con il fascismo.

Agoravox, Contropiano e Canto Libre, 23 ottobre 2016.

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Liceo Sannazzaro: Adolfo Pansini

Liceo Sannazzaro: Adolfo Pansini

Tutto si tiene. Il Parlamento dei nominati, la Costituzione di Trichet, la ministra che nella vita ha fatto solo la Madonna nel presepe vivente e il pupo analfabeta che si atteggia a statista. Poteva mai mancare la dirigente che scambia la scuola per un’azienda privata e vieta la commemorazione delle Quattro Giornate? Non poteva mancare, come non mancano i silenzi omertosi e gli avvocati d’ufficio. I tempi sono questi, il capo ha sempre ragione e la regola d’oro consiglia: schiena flessibile e tira a campare.
Tutto si tiene, ma siamo ben oltre i confini della decenza. Il liceo classico “Jacopo Sannazaro” non fu solo un posto di comando partigiano durante l’insurrezione contro il fascismo che torna. Fu camera ardente per i combattenti uccisi e luogo simbolo della Resistenza e della guerra di liberazione che da lì iniziarono il sanguinoso cammino verso la Repubblica e quella Costituzione che si vorrebbe cancellare in nome del profitto e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Tutto si tiene e il no della Dirigente scolastica si inserisce alla perfezione nel clima di crescente violenza istituzionale, di sovversivismo delle classi dirigenti, per cui si ignorano le sentenze della Consulta, si espellono i richiedenti asilo, si confinano gli immigrati e si uccide la scuola. Il no della dirigente scolastica del Sannazaro ha un obiettivo chiaro e tutto politico: impedire che la memoria storica rafforzi la coscienza critica degli studenti.
Non ci vuole molta immaginazione ed è facile capire che scuola avremo se al referendum dovesse vincere la premeditata ferocia delle banche. Quello che è veramente difficile da capire è la posizione scelta dagli esponenti del fronte del no, che hanno accettato il discorso sulla necessità di “entrare nel merito” di una riforma golpista, mettendo così in ombra il solo dato di fatto che conta: la legittimità morale e politica dei “riformatori”.
E’ Renzi il responsabile di quello che è accaduto al Sannazzaro. Renzi e la banda di abusivi che ha trasformato il Parlamento in una nuova Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Bisogna avere il coraggio di scriverlo in un documento e poi comportarsi di conseguenza: noi non riconosciamo la legittimità di questo Parlamento e di questo governo e non accetteremo il verdetto del Referendum.

Agoravox e Contropiano, 13 ottobre 2016

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La legge delle cose è il conflitto

La legge delle cose è il conflitto

Leggo con amarezza le considerazioni di Ilaria Cucchi, la sorella del povero ragazzo ucciso dalla polizia, dopo che i giudici hanno nuovamente assolto gli imputati per la morte del fratello.
“C’è qualcuno che può spiegarmi tutto questo?”, chiede la donna, dopo che in tribunale il fratello è stato nuovamente ucciso. Per carità, chi lo nega? I giudici hanno deciso in base a una perizia, i periti in nome della scienza, le carte sono in regola e ci mancherebbe che non lo fossero. Il fatto è che storicamente il circolo vizioso che condanna le vittime e assolve i carnefici, l’associazione a delinquere che si chiama «potere costituto» e si difende con l’insieme di comportamenti omertosi e criminali che si definiscono “ragion di Stato”, sono un problema politico. Non puoi sperare di risolverlo nei palazzi della Giustizia di classe e nei tribunali dove la legge non è mai uguale per tutti.
Secondo i periti, Cucchi era moribondo già molto tempo prima che fosse arrestato. Gli scienziati non spiegano come facesse a vivere e a frequentare persino la palestra: nella perizia non c’è scritto, ma gli scienziati credono evidentemente che i miracoli possano accadere. I giudici, a loro volta, credono ai periti, alla loro scienza e ai loro miracoli. La loro scienza – quella dei giudici e quella dei periti – produce la sentenza che è un esempio perfetto di legalità senza giustizia. Una legalità rispettabile come lo furono ai loro tempi il Sant’Uffizio, i giudici che mandarono al rogo Giordano Bruno, i tribunali fascisti e gli scienziati della razza. Di riflessioni su queste cose la nostra scuola un tempo le faceva e non si trattava solo di programmi. Di queste riflessioni la scuola viveva. Ora no. La “buona scuola” di questo governo illegittimo e criminale costruisce servi e bestiame votante. Non accende intelligenze, le spegne. Ora ha un “capo” con potere ricattatorio, ha scomunicato Eraclito, bandito il conflitto e incarcerato il dissenso. Ha trasformato in scienza dell’educazione il più reazionario dei messaggi di Cristo: se ti danno uno schiaffo, porgi l’altra guancia. La scuola oggi prepara alla assegnazione e non distingue i partigiani dai terroristi.
Perché stupirsi della sentenza dei giudici? La Magistratura e la polizia hanno la loro storia. Mi spaventa piuttosto l’indifferenza della gente e forse la risposta alla domanda dolente di Ilaria Cucchi è tutta lì, in quella indifferenza. Sentenze come questa sono possibili perché chi le pronuncia sa che poi non accade nulla, che la gente non si ferma per protesta, le piazze non si riempiono per manifestare dissenso. Ognuno continua a vivere la propria vita come se nulla fosse accaduto. Vi immaginate che accadrebbe se, dopo una sentenza come questa, nessuno andasse a lavorare e si fermassero i treni, gli aerei, la distribuzione? Oggi, domani, dopodomani. A tempo indeterminato. Sindacato o no, fino al licenziamento degli autori dello scempio. Lo so, non accadrà mai, ma io mi ricordo anni in cui ci si è andati vicini. Anni in cui i lavoratori difendevano le scuole e le università e gli studenti sostenevano le fabbriche e i lavoratori. Insieme, studenti e lavoratori, erano il baluardo dei diritti. In quegli anni la scuola insegnava a ragionare con la propria testa e i lavoratori conoscevano il valore della solidarietà e la storia dei diritti.
Se ci penso, una risposta la trovo: la polizia può uccidere Cucchi quante volte vuole perché da anni i governi capitalisti hanno ucciso la scuola e le università. E glielo abbiamo lasciato fare. E allora sì, è vero, non sono stati solo poliziotti, giudici e periti a uccidere Cucchi e non sono i padroni i soli e forse i veri colpevoli della infinita sequela di lavoratori uccisi dal lavoro. Sono colpevole anch’io. Ho consentito che tutto questo accadesse.

Fuoriregistro, 8 ottobre 2016

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abc-720x300.jpgCondivido la posizione di “Contropiano“. Il giornale ha un merito che può anche sfuggire: riconduce la questione particolare dell’acqua pubblica al contesto più ampio e generale, suggerendo di aprire una vertenza-Napoli. Intendiamoci: non lo dico per rivendicare inutili primogeniture, ma sono ormai due anni che insisto su questo tema: l’esperienza De Magistris e l’anomalia Napoli possono costituire una svolta a condizione che una vertenza finalmente si apra, partendo da una premessa ineludibile sulla legittimità delle regole che ci stanno imponendo e su quella di chi vuole imporcele. In questo senso, il referendum è un’occasione preziosa e, ahimè, finora non sfruttata.
Solo quando tutti assieme, movimenti, sindacati conflittuali e Amministrazione, sapranno passare dalla denuncia dell’illegalità istituzionale in cui ci muoviamo, alla disobbedienza motivata, dichiarata e concreta, la “città ribelle” uscirà dalle virgolette e sarà davvero una realtà. Se soldi non ce ne mandano e quelli che noi inviamo a Roma servono per pagare un debito che non abbiamo mai contratto, bene, a ciascuno il suo. I soldi nostri, noi ce li teniamo e lo diciamo chiaro e per iscritto: questo Parlamento è nato da una legge illegittima. Non è un nostro capriccio e non si tratta dei “soliti estremisti”, lo dice una sentenza inappellabile della Consulta, che non può essere sospettata di bolscevismo. Ne conseguono alcuni inoppugnabili dati di fatto: moralmente e politicamente illegittima è la maggioranza che vota la fiducia a questo Governo che non doveva e non poteva nascere. Idem per l’elezione del sedicente Presidente della Repubblica. Con tutte le conseguenze del caso.
Se questa è la premessa, la rottura meditata, costruita, prudente ma inevitabile, non può essere che radicale: noi non vi riconosciamo. Mettetevi in regola con le leggi, che invocate solo quando conviene a voi, poi ne riparliamo.
Giusto andare a Roma, giusto parlare di cambiamento radicale e addirittura di rivoluzione, ma viene il tempo in cui o le parole diventano fatti, o i fatti ti travolgono.

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