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Archive for febbraio 2015

provita7Parole usate come lame di coltello e verità sgozzate come agnelli sacrificali.
Integralismo italico, roba di casa nostra.
Mai vista una campagna contro l’aborto fondata su un così profondo disprezzo per la vita.
Una infinita vergogna. Chi ne ha voglia clicchi: un lampo. Breve ma devastante!

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downloadLa Grecia nel cuore, come in altri cuori trovò posto la Spagna.
La Grecia nel cuore e nella mente col rischio consapevole di prender cantonate, con il bisogno di fare spazio ai sogni per non subire passivamente. Di attesa si muore dentro, ma lo scontro Bruxelles-Atene è tutto, meno che attesa. E’ palestra di rischi, progetto in corso d’opera e reazione all’idea ossessiva – o, se vi pare, alla «follia normale» di una società psichiatrizzata – che tende a convincerci dell’impossibilità del cambiamento. Stiamo zitti e ascoltiamo:

«Il cambiamento non è possibile…
il cambiamento non è possibile…
il cambiamento non è possibile…
il cambiamento non è possibile…».

Cos’è questo delirio che ripete fino all’ossessione un inganno e lo leva alla gloria degli altari come una verità assoluta? Sia quel che sia, per quanto si venda ogni giorno come «salute mentale», è questa l’autentica follia: questa versione popolare della morte della storia e della paralisi del conflitto che spaccia il capitalismo per la forma primigenia di ogni meccanismo economico. Tutto, anche il capitalismo, invece, nasce, cresce e muore. E intanto si lotta, perché è la lotta al fondo delle cose, l’antitesi tra opposti, e tutto cambia a tal punto che, non a torto, Eraclito osservò: «il sole è sempre nuovo di continuo» e «di tutte le cose è padre il conflitto, di tutte è re».
Sia come sia, non ci saremo dannati all’inerzia. La Grecia, così come ce la raccontano Mentana e soci, è una tempesta omerica subita passivamente, è il mare delle sirene che chiama verso gli scogli. Avanti, quindi, cera nelle orecchie e mani ai remi.
Se, come ha dichiarato, il governo greco intende uscire dalla Nato, perché non porre subito il problema che può modificare i rapporti di forza tra il governo eletto e i kapò del nuovo Reich?

«Voi insistete con la troika? Ok. Intanto fate le valigie e smammate. La Baia di Suda è territorio greco e ci faremo entrare chi ci pare. Così per il resto. Basta missili da testare, basi da cui puntare sul Nord Africa, minacce dirette ad Est. Per ora non stiamo con nessuno: chiudiamo con la Nato e aspettiamo. Poi, se il cappio non s’allenta, apriamo a Est. Ne abbiamo pieno e incontestabile diritto. La sovranità di un popolo vale almeno quanto la libertà di satira e sono scelte che non vi riguardano. Non farete cortei a Parigi: sareste così guitti nella tragedia, da far ridere persino gli islamisti».

La risposta giungerebbe durissima, non c’è dubbio, ma probabilmente più isolati di come sono i greci non si troverebbero e guai seri li avrebbero comunque anche gli alfieri delle «democratiche libertà». La Grecia fuori dalla Nato creerebbe gravi problemi strategici e militari e peserebbe in maniera tremenda sugli equilibri geopolitici. La patria di Omero è un Paese economicamente insignificante, ma ha un ruolo di primo piano nello scacchiere militare mediterraneo. Ci sono greci in Afghanistan e nei Balcani e il loro ritiro porrebbe il problema della sostituzione. E’ vero, il cappio già stretto diventerebbe strettissimo, ma chi dice che non servirebbe a nulla far notare quanto costi non solo economicamente la cooperazione militare con Israele e minacciare di abolirla? E, per concludere, quanto ossigeno porterebbe alla Grecia strangolata dalla ferocia neonazista della Troika un’apertura autentica verso Est?
Le conseguenze? Nascerebbe probabilmente una nuova Cuba ma, mentre l’originale ha dimostrato che non sempre il capitalismo è onnipotente, a chi converrebbe crearne una fotocopia in piena Europa? Quanto spazio ci sarebbe per «Alba Dorata» e quanta somiglianza con la Spagna del 1936? Quanto peserebbe una Cuba egea simile alla «Spagna rossa»? Quanto inciderebbe tutto questo sulla politica di aggressione occidentale verso est e quanta divisione seminerebbe?
E’ probabile che non si possa uscire da questo scontro economico senza sfiorare il confronto militare tra potenze di prima grandezza. La guerra, anzi, è già nei fatti e una Grecia assediata agevolerebbe processi di radicalizzazione dell’inevitabile conflitto tra sfruttatori e sfruttati. Guerra e rivoluzione, però, sono spesso parenti e una guerra civile in Grecia rafforzerebbe la resistenza popolare entro e fuori la madre della nostra civiltà, rimanderebbe all’esperienza spagnola e offrirebbe alle minoranze più consapevoli dell’intero Reich – da Lisbona a Madrid – l’opportunità di giocare un ruolo attivo.
Qui da noi, col naturale venir meno dei nonni, la condizione dei giovani sarà presto insostenibile e se ci sono in giro ragazzi di casa nostra che, armi in pugno, lottano per l’Islam, perché non dovrebbero essercene molti di più disposti ad andare a combattere il neonazismo che li affama là dove le contraddizioni esplodono e il ricatto economico del capitale finanziario non lascia scelta tra servitù e conflitto armato?

Agoravox, 26 febbraio 2105

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Padroni non ne ho.
Vivo come  mi pare,
libero più dell’aria,
e do senso ad un tempo
che mio certo non è.
Però chi me l’ha dato
se  lo riprenderà.
D’un tratto e per sempre.

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verso-la-democrazia-10-638Quando fu sancita l’incostituzionalità della legge elettorale da cui nasce l’attuale Parlamento, un moderato come Zagebrelsky non usò mezzi termini: la Consulta aveva assestato un ceffone alle Camere. Erano giorni di caos. Grillo chiedeva la cacciata degli «abusivi» e c’era chi, non a torto, si interrogava sulla legittimità costituzionale e giuridica di gente che nessuno aveva eletto. Un dato di fatto feriva le coscienze democratiche: dopo aver tenuto in vita il Codice Rocco di mussoliniana memoria, la Repubblica antifascista assisteva ora alla macabra riesumazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, col rischio paradossale che fossero proprio loro a mettere mano alla Costituzione antifascista.
La ferita era profondissima: Il colpo infatti era stato portato direttamente al rapporto tra il «potere delegato» e il «delegante», vale a dire al fondamento della sovranità e alla sua fonte, il popolo cioè, cui essa appartiene per dettato costituzionale. Per uscire dal vicolo cieco in cui ci avevano cacciato l’indigenza culturale, la miseria morale e una buona dose di malafede dei sedicenti «grandi partiti di governo», si cercarono punti fermi ai quali ancorarsi, per evitare un penoso naufragio. Per il «principio di continuità dello Stato» – si disse – la legge elettorale non potrà più essere applicata, ma le leggi volute nel frattempo dagli «abusivi» conservano la loro legittimità. La sopravvivenza dello Stato come Ente necessario sembrò l’unico possibile baluardo contro il caos e si accettò un principio giuridico indiscusso, ma non privo di paradossi: per evitare il caos, era necessario lasciare al loro posto tutti, anche chi l’aveva causato.
Si fece buon viso a cattivo gioco e si prese atto: una sentenza non retroattiva, in una condizione di agonia di quelle Istituzioni, che – osservarono i costituzionalisti d’ogni parte politica e scuola di pensiero – risultavano totalmente discreditate sia sul versante etico, che politico e democratico. Il triste «pannicello caldo» che settant’anni prima, sommandosi a una scellerata amnistia, aveva consentito alla classe dirigente fascista di rifarsi una verginità – la «continuità dello Stato» – poteva e doveva salvarci nell’immediato. Fu subito chiaro, però, che quella soluzione comportava rischi molto seri e poteva diventare addirittura un colpo mortale per la democrazia, se non si fosse poi giunti al rapido scioglimento delle Camere e ad elezioni non solo immediatamente possibili, ma indiscutibilmente doverose. Anche su questo tema non ci furono divisioni tra i costituzionalisti. La legge c’era – si disse – era la proporzionale come veniva fuori chiara dalla sentenza della Consulta e non c’era alcun bisogno che il Parlamento discreditato intervenisse per farne un’altra. Bastava sciogliere le Camere, che rappresentavano solo se stesse, e tornare a votare, anche perché la famigerata «continuità dello Stato», applicata a scelte pregresse, costituiva di fatto una «ferita necessaria» ma, trasformata in passaporto per una «legislatura costituzionale», sarebbe diventata uno strumento di distruzione della legalità repubblicana e un’arma pronta a colpire a tradimento la Costituzione. D’altro canto, se si fosse giunti a tal punto alla nascita della repubblica, i membri dei Fasci e delle Corporazioni, di fatto, avrebbero conservato il loro seggio in Parlamento.
Sembrava impossibile che accadesse, ma è andata invece proprio così. I «nominati», moralmente discreditati e politicamente delegittimati, stanno cambiando la Costituzione e – tutelati da una «continuità dello Stato» trasformata in oscena ipoteca sul futuro – i sedicenti «grandi elettori», che nessuno ha mai eletto, si sono scelti persino un Presidente della Repubblica, la cui legittimità politica e democratica, al di là del valore personale, è pari a quella di chi lo ha mandato al Quirinale.
Dopo Crispi, gli stati d’assedio illegittimi e la tragedia di Adua il tentativo golpista di Rudinì e Pelloux cozzò contro il muro dell’ostruzionismo parlamentare attuato d’intesa dai socialisti e dai «liberali di sinistra» guidati da Zanardelli e Giolitti. Una via parlamentare, quindi, è storicamente esistita, ma l’anemia perniciosa che affligge la rantolante democrazia ha fatto sì che nemmeno l’ostruzionismo fosse più consentito. Il secondo esperimento autoritario della nostra storia, quello fascista, finì come si sa: liquidato da una terribile guerra partigiana. Cosa accadrà stavolta non è facile dire ma, chiusa definitivamente la via parlamentare, la violenza del colpo assestato ai diritti metterebbe i nostri giovani davanti a una tragico dilemma: o una servitù rassegnata o una durissima e orgogliosa disobbedienza. La via d’uscita c’è: sciogliere le Camere, restituire la delega al delegante e consentirgli di esercitare la sovranità nelle forme prescritte dalla Costituzione. Mattarella ha un’occasione irripetibile per tornare alla legalità repubblicana e conquistare una legittimità che questo Parlamento non poteva e non può dargli.

Da Fuoriregistro, 19 febbraio 2015 e Agoravox, 20 febbraio 2015

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Copia di a

 

 

MERCOLEDÌ CULTURALI
a cura
E.I.P. ITALIA SEZ. CAMPANIA
5° MUNICIPALITA’
presso 5a MUNICIPALITA’ – Sala “F. De Martino”
Via Morghen 34 Napoli
18 Febbraio 2015 ore 17,30

 

 

 

AURELIA DEL VECCHIO
PRESENTA
UN LUOGO PRECISO ESISTITO PER DAVVERO
Editore Polidoro

Aurelia Del Vecchio, ex lavoratrice dell’Italsider di Bagnoli, attivista politica e sindacale, militante straordinaria nel PCI e nella FIOM CGIL degli anni ’70 3 ’80, in questo libro, è voce del proprio tempo e si assume la responsabilità di “ricordare” quello che non si conosce o si vuole cancellare.

Intervengono gli storici
PROF. FRANCESCO SOVERINA, PROF GIUSEPPE ARAGNO
modera
DOTT.SSA GIULIA BUFFARDI

Agli studenti che parteciperanno alle iniziative l’E.I.P. Italia rilascerà un credito formativo ex DM 40/2000 che potrà essere valutato per il triennio delle Suepriori come bonus per l’esame di Stato e ai docenti un credito professionale ex DM 90/2003.

Indirizzo di saluto
Mario Coppeto, Presidente 5a MUNICIPALITA’
Elisa Rampone, Vice Presidente nazionale EIP Italia sez. Campania
Ersilia di Palo. promotrice “Mercoledì culturali” EIP Italia

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ImmagineA parte qualche errore del sarto, i postumi di un infortunio al collo, la solita aria di chi recita male e sa che i fischi verranno, nel suo ultimo look, il sedicente presidente impazza su twitter con le consuete cretinate che passeranno alla storia dei guitti. Questa è l’ultima uscita:
Grazie alla tenacia dei deputati terminati i voti sulla seconda lettura della riforma costituzionale. Un abbraccio a e .
Manca evidentemente una virgola, che in questo caso non è un optional, ma l’omissione di un semianalfabeta e la battuta esatta era un’altra. Diceva così:
Grazie a una legge elettorale incostituzionale, una banda di “nominati” sfascia la Costituzione. Via i #gerarchi e #il pupo fiorentino.

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clip_image002E’ difficile far vivere un’idea di scuola libera in un paese sempre meno libero. Tra mille difficoltà Fuoriregistro con le sue ormai classiche tre scimmiette ci prova da anni e un qualche segno di sé, negli anni, lo ha certamente lasciato. Naturalmente questo non vuol dire che tutti conoscano la rivista. E’ il caso perciò di parlarne e di presentarla.

Fuoriregistro deve a Domenico Starnone e al suo  fortunatissimo romanzo l’idea del titolo e l’ambizione di raccontare la scuola attraverso la cronaca dei fatti, comici o drammatici, minuti o terribili che ne scandiscono l’agire quotidiano, e la libera espressione dei pensieri o delle emozioni che li accompagnano. Passione, sdegno, rabbia, delusione o entusiasmo, vengono condivisi dentro uno spazio che vuole prima di tutto essere d’ascolto e di comprensione delle reciproche ragioni e delle differenti prospettive, alla ricerca di un autentico dialogo. Non ci sono requisiti particolari per la collaborazione, se non il desiderio di costruire una scuola, pubblica, in grado di accogliere tutti e ciascuno e a tutti e a ciascuno offrire una significativa opportunità di crescita e di sviluppo.
Nel suo duplice aspetto di pagina web e newsletter settimanale, la rivista ha ospitato e ospiterà testimonianze personali, informazioni, notizie, comunicati, appelli, proposte didattico-educative, riflessioni sui modelli pedagogici o sociali, giudizi sui percorsi di riforma o sulle scelte politiche da cui traggono origine, tutto quanto, insomma, dentro la scuola costituisce occasione di dibattito e confronto tra le sue componenti, che cercano consapevolezza critica e perseguibili ipotesi di cambiamento.
Nel tempo, la rivista ha cambiato veste e struttura, curando sempre con particolare attenzione l’aspetto partecipativo.

Nelle sezioni dello Spazio aperto chiunque sia interessato può proporre interventi di vario genere: se si tratta di opinioni sulla scuola verranno inserite nella “Galassia” ad essa dedicata, se si tratta di altro in “Grandangolo“.
Nelle rubriche, la rassegna “Notizie dal fronte” offre spunti di riflessione sugli avvenimenti scolastici; la nuova sezione “In classe” è aperta invece ad esperienze più strettamente didattiche, in un’ottica di scambio professionale tra docenti e/o studenti.

In “Bacheca” potrete segnalare eventi, iniziative, proposte o siti di particolare interesse, recensioni di libri, film, mostre o spettacoli.
Noi della Redazione ci riteniamo a nostra volta “lettrici e lettori”, “collaboratrici e collaboratori” e, come tali, ci assumiamo individualmente la piena responsabilità di quanto scriviamo o proponiamo. Il nostro lavoro, pur con i limiti di un impegno volontario, è finalizzato a favorire la libera espressione, lo scambio e la circolazione delle idee, nel rispetto delle normative editoriali e di un comportamento comunicativo corretto.

Tutti i materiali prodotti sono esportabili, purché non apportino modifiche sostanziali, non abbiano scopo di lucro e non dimentichino la citazione della fonte.

I contributi inviati e pubblicati entrano a far parte dello storico della rivista in modo duraturo e incancellabile, proprio per il loro valore di, piccoli o grandi, documenti.

Nell’augurarci che la nuova impaginazione faciliti la navigazione e la scoperta di tutto il sito, vi invitiamo a suggerirci integrazioni o modifiche che ritenete utili a rendere ancor più condivisa questa piccola esperienza di rivoluzione.

Articoli e segnalazioni di ogni genere vanno inviati, preferibilmente, attraverso il “modulo on-line”. Direttore responsabile è Luciano ScateniLa redazione, composta da Giuseppe Aragno, Emanuela Cerutti, Francesco Di Lorenzo e Maurizio Guercio,  risponde all’indirizzo redazione_fuoriregistro@yahoo.it.

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Senza aggiungere una parola:

Stimata Frau Merkel!

Nell’anno del 70° anniversario della vittoria sul nazismo, noi, i reduci di quella terribile guerra ed i partecipanti alla sua battaglia più terribile rileviamo come in Europa ancora una volta vaghi uno spettro

– lo spettro della peste bruna. In questo momento un focolaio del nazismo è diventata l’Ucraina, dove dall’ideologia ultranazionalista, antisemita e dell’odio del genere umano si è passati alla loro pratica – alla violenza fisica, all’eliminazione dei dissidenti, all’omicidio delle persone motivato da odio etnico, dalla negazione della cultura diversa.

Russland, Kesselschlacht StalingradDi fronte a noi immagini note: sfilate di fiaccole, giovani in divisa con distintivi nazisti che alzano il braccio nel saluto nazista, parate fasciste protette dalla polizia statale nel centro di Kiev, dichiarazioni sull’inferiorità di alcuni popoli. Tutto questo lo abbiamo già visto e sappiamo dove ci conduce.
In Ucraina la peste bruna , rinfocolata e riscaldata negli ultimi decenni, è straripata ed ha portato ad una sanguinosa guerra civile. Le formazioni naziste, come “Settore destro”, la cosiddetta “Guardia Nazionale”, numerosi battaglioni informali ma ben armati, tipo “Azov”, con l’appoggio dell’aviazione e dell’artiglieria pesante dell’esercito ucraino sistematicamente sterminano la popolazione dell’Est dell’Ucraina. I civili vengono uccisi solamente perché vogliono parlare la loro lingua madre, perché hanno una diversa opinione sul futuro del loro paese, perché non vogliono vivere in un paese dove governano i sostenitori di Bandera.
Questi ultimi sono i seguaci del cosiddetto “Esercito di liberazione ucraino”, che Le ricordiamo Frau Merkel, combatteva durante la Seconda Guerra Mondiale incluso nella Wehrmacht, così come della Divisione SS “Galizia” partecipando, in particolare, ai massacri degli ebrei sovietici, raggiungendo l’esaltazione dei loro padri e nonni. Con i nomi dei criminali nazisti denominano le strade delle città ucraine! La storia del 20° secolo in Ucraina viene riscritta davanti i nostri occhi! C’è da meravigliarsi come gli attuali sostenitori di Bandera abbiano la luce fanatica negli occhi conosciuta personalmente da noi, veterani sui fronti della Seconda Guerra Mondiale durante la battaglia di Stalingrado, accecati dall’odio chiedono di distruggere il Donbass, bruciare con il napalm l’est del paese. Ci sono le prove documentali che delle persone siano state assassinate solamente perché portavano il nastro di San Giorgio – il simbolo della vittoria sul fascismo.
La verita è, Frau Merkel, che in Ucraina si sta verificando il dilagare su vasta scala del nazismo. Non sono singoli commenti antisemiti nel Parlamento o articoli di ignoranti sulla superiorità di una razza rispetto ad un’altra. Sono crimini sanguinosi, su vasta scala, le cui vittime si contano a centinaia e migliaia. Ma l’Occidente ha una posizione molto strana e noi non la capiamo. Potrebbe essere interpretata come apologia del nazismo ucraino. E’ proprio così che interpretano la posizione dell’Europa in Ucraina ed è così che inizia a percepirlo il popolo russo. E noi vorremmo conoscere che cosa dice il popolo tedesco dall’alto della propria esperienza storica.
Per noi è importante conoscere la Sua opinione, il pensiero di un leader di una grande nazione che si ammalò della malattia bruna una volta ed a costo di orribili perdite riuscì a guarire. Sappiamo come nel vostro paese lottano contro qualsiasi manifestazione del nazismo. E, ci creda, lo apprezziamo. Soprattutto è più difficile per noi capire il motivo ripulendo accuratamente ogni eventuale germe del nazismo nel Suo paese, perché Voi consentiate manifestarlo su larga scala in altre parti d’Europa?
Perché i leader europei marciano a sostegno dei disegnatori francesi uccisi dai terroristi islamici ma non contro il fascismo in Ucraina? Perché a queste marce partecipa il capo dello Stato che ha dato l’ordine di uccidere il proprio popolo? Perché 12 vittime francesi meritano attenzione e le migliaia di russi ed ucraini uccisi no? Sa quanti bambini sono stati uccisi nell’est dell’Ucraina dai teppisti con la svastica nazista sulla divisa? Lo vuole sapere? Le forniremo quest’informazione qualora Le mancasse. Perché i popoli europei osservano serenamente la violenza di massa in Ucraina? O perché di tutto questo semplicemente non parla la Vostra stampa? Dov’è dunque la loro famosa indipendenza? Indipendenza dai fatti? Dalla verità? Qual’é il vero scopo delle Vostre sanzioni economiche? Indebolire la Russia come potenza ? Sostenere il nazismo in Ucraina? O semplicemente svalutare le nostre pensioni che percepiamo come partecipanti alla Seconda Guerra Mondiale?
Stimata Frau Merkel, la storia triste del 20° secolo ci ha insegnato qualche lezione:

1. Riscrivere la storia è una strada diretta verso il nazismo
Con questo sono iniziati tutti i regimi fascisti europei degli anni 20 e 30. Il medesimo percorso è stato intrapreso dall’Ucraina: dalla reiscrizione dei libri scolastici sulla storia alla demolizione dei monumenti sovietici. Il vertice della menzogna è stato raggiunto dalla dichiarazione di Jazenjuk alla stampa tedesca sull’invasione della Germania e dell’Ucraina da parte dell’Unione Sovietica! Vorremmo conoscere la Sua opinione su questo, il parere di un leader di un paese dove per la negazione dell’Olocausto è previsto il carcere.
2. La ricerca dei colpevoli – una manifestazione del nazismo
I regimi fascisti incolpano per il fallimento del proprio paese diversi gruppi: etnici, sociali, religiosi. Negli anni passati in questa veste finirono ebrei e comunisti. Nell’Ucraina attuale la colpa è data ai russi, a tutta la Russia, alla popolazione dell’est del paese.
3. Se il nazismo emerge in un paese, la peste fa il giro del mondo
Non si può promuovere il nazismo in un paese e pensare che rimanga nei suoi confini. L’onda del nazismo arriverà dappertutto scavalcando qualsiasi frontiera. Perciò’ il nazismo è chiamato «la peste bruna». Il nazismo va fermato lontano, in caso contrario arriva anche a casa tua.
4. Il Nazismo non può essere ignorato, può essere solo combattuto
Se qualcuno pensa che dal nazismo ucraino ci si può semplicemente allontanare, ignorarlo, si sbaglia fortemente La natura del nazismo è che persino il trascurarlo lo percepisce come una promozione, una manifestazione della sua potenza. Il nazismo non è locale, può solo crescere e svilupparsi! Per questo l’unica strada per opporsi al nazismo è una lotta brutale ed attiva contro di esso.
5. La più importante arma nella lotta contro il nazismo nelle sue fasi iniziali è la verità
E’ esattamente la verità ciò che sconfigge davvero il nazismo. Mostrando l’essenza del nazismo – l’odio verso il genere umano – espressione della sua ideologia contenuta nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori, in particolare la violenza contro la gente, stiamo combattendo contro il nazismo in quanto tale. La verità storica è il migliore mezzo di profilassi contro il nazismo. Se ai giovani ucraini il loro governo non nascondesse la storia reale del loro paese e del loro popolo, i sostenitori del nazismo in Ucraina sarebbero molti di meno. I moderni mass media hanno un ruolo importante: possono sia plasmare il nazismo sia opporsi ad esso.

Stimata Frau Merkel!
La Russia come successore dell’Unione Sovietica ha una speciale missione storica. 70 anni fa abbiamo eliminato il nazismo dall’Europa subendo le peggiori vittime della guerra. Noi, personalmente, gli abitanti di Stalingrado con sforzi sovrumani abbiamo cambiato il corso della storia. Non solo della nostra storia, ma anche di quella europea e mondiale. Non possiamo ammettere un ripetersi del nazismo. Soprattutto sulla soglia di casa. Abbiamo lottato e lotteremo contro questo male. E Vi invitiamo a combatterlo assieme.
Un personaggio di un film leggendario e da noi amato, che rappresenta il prototipo del capo nazista esistente nella vita reale, secondo la sceneggiatura dice: «Da qualche parte invece di dire “Ciao” diranno “Heil” sapete … lì ci aspettano e da lì inizieremo la nostra grande rinascita».
Frau Merkel, in Ucraina “Heil” si sente dappertutto. Apertamente e quasi con il supporto delle autorità. E’ ora di fermare il male assieme a tutto il mondo europeo! Ci auguriamo che il popolo tedesco, come tutti gli altri popoli dell’Europa, insieme con il popolo russo schiacci il rettile sul nascere! Il fascismo non passerà ! Viva la pace!

Zagorul’ko Maksim Maksimovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica. Cittadino onorario della città eroe Volgograd
Kolotushkin Aleksander Ivanovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica. Partecipante della parata di Vittoria del 1945
Sokolova Marija Vasil’evna
Veterana della battaglia di Stalingrado. Infermiera dell’ospedale 4423
Tereschenco Michail Vasil’evich
Veterano della Grande Guerra Patriottica. Cinque volte decorato con l’Ordine della Stella Rossa, Partecipante alla Parata della Vittoria del 1945
Rogov Egor Fiodorovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica. Veterano della battaglia di Stalingrado. Partecipante alla liberazione della Crimea e dell’Ucraina
Sirotenco Aleksander Jakovlevich
Veterano della Grande Guerra Patriottica. Veterano dello sfondamento dell’Assedio di Leningrado

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download (1)Nella nostra storia ci sono anche le foibe, vicenda minore di scarso significato, che ha radici nella «grande guerra», tragedia ben più grave, in cui su seicentomila «caduti», centomila li fecero la fame e il governo, che li lasciò al loro destino, prigionieri di Germania e Austria che non potevano alimentarli. Perché? Solo perché la resa fu ritenuta diserzione. Giovanna Procacci lo ha dimostrato documenti alla mano ed è strano che il Parlamento non li ricordi e «dimentichi» i prigionieri dei tedeschi, lasciati morire di stenti a migliaia, complice Salò, perché non aderirono alla Repubblica Sociale.
Radici lontane, quindi, nate dalla rottura del fronte interventista, quando i fascisti appiopparono a Bissolati il titolo di «croato onorario» e Salvemini divenne «Slavemini». Ciò che facemmo agli slavi fu vera barbarie. Si dirà che la violenza fascista non assolve la reazione, ed è vero, però la spiega ed è questo il compito della storia. Ciò che non si spiega, invece, è la speculazione politica che usa la memoria storica delle foibe per rovesciarne il senso, processare l’antifascismo e fare dei capi della Resistenza i protagonisti di una «congiura del silenzio» in un Paese in cui altri e ben più gravi e reali silenzi pesano sulla coscienza collettiva.
Per anni Gasparri e i suoi camerati hanno chiesto alla sinistra di dire fino in fondo la verità sulla nostra storia, ma non hanno mai incluso tra le verità da svelare le bombe di Piazza Fontana, Brescia, Bologna e quelle esplose nei treni e nelle piazze funestate dai neofascisti. Verità e silenzio sono temi obbligati quando si parla di foibe, ma non è chiaro chi avrebbe taciuto. A sinistra c’è una tradizione critica del comunismo che va da Malatesta a Salvemini, ma si finge d’ignorarlo. Galli Della Loggia e Giuliano Ferrara strepitano per i presunti silenzi, ma stanno zitti sul fatto che per decenni la grande stampa, tutta borghese e figlia del capitale, non diede spazio a chi aveva in tasca tessere rosse e solo di rado chi era di sinistra vinceva concorsi nella scuola, negli archivi e nelle biblioteche. Chi avrebbe taciuto, quindi, se l’editoria era in mano a borghesi, se Laterza era dominio di Croce e la Feltrinelli non era nata? Einaudi, da solo, fu il silenzio d’Italia?
Tacquero i politici. E quali? Quelli dell’area “atlantica” sì, perché vedevano di buon occhio il Tito antistalinista. Per la sinistra di classe, ministro degli esteri nel Governi Parri e poi in quello De Gasperi, fu Pietro Nenni, ex interventista, che sentì con forza il problema dei confini orientali e si batté per impedire che l’Italia subisse gli accordi di Malta tra Roosevelt e Churchill del febbraio del ’45, poi formalizzati da una proposta francese per la creazione di un territorio libero di Trieste. Nenni peregrinò per le cancellerie europee – Oslo, Amsterdam, Londra, Parigi – ma ottenne solo impegni generici. Fu lucido, chiese trattative dirette con la Jugoslavia e capì che dalla soluzione della questione non dipendevano solo i rapporti con Tito, ma anche la possibilità di autonomia da Mosca e dagli Occidentali. Quando si rese conto che il confine non sarebbe mai passato per la linea etnica, chiese che il territorio libero di Trieste comprendesse Parenzo e Pola e che i punti più delicati fossero risolti da referendum. Fu Nenni, ancora lui, per la sinistra, che, firmata la pace nel febbraio 1947, domandò a De Gasperi di attendere che l’Urss approvasse il trattato prima di chiederne la ratifica al Parlamento. Eravamo, però, un Paese vinto e il contesto internazionale non ammetteva scelte. Anche a Tito, che chiese infine trattative bilaterali, si oppose un rifiuto. Il piano Marshall, la crisi di governo voluta da De Gasperi e la guerra fredda chiusero la partita.
Verità e silenzio. Ma chi avrebbe taciuto e cosa? Gli storici di sinistra? Cortesi, Arfè, che non furono certo teneri con Togliatti, per non dire di Merli e Bosio, avevano davanti milioni e milioni di morti e l’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale. Era impensabile cominciare a scrivere di storia, partendo dalla classifica degli orrori; l’orrore era stato tema dominante della guerra: Coventry, Dresda, le città fucilate, le fosse di Katin, i lager, la Shoa, Hiroshima, Nagasaki Nessuno volle fare elenchi – e le foibe sarebbero comunque sparite nel mare di sangue causato dai nazifascisti. A tutti sembrò più serio e urgente ricostruire la storia stravolta dalla lettura fascista. E non a caso si partì da studiosi che non provenivano dall’accademia, compromessa col regime – la scuola di Croce, Salvemini, archivisti come Arfé – e si tornò a maestri come Gramsci, Gobetti e Rosselli. Per gli orrori bastava la nausea. Intanto occorreva capire com’era stato possibile cadere nell’abisso e conoscere l’Italia dei partiti, del movimento operaio, dell’antifascismo e della Resistenza. Nessun silenzio voluto.
La storiografia però è revisione continua e c’è sempre chi torna a Cesare e alla Repubblica romana. Il bisogno di approfondire e rivedere il quadro complessivo, tuttavia, incappò nel berlusconismo e nella crisi politica divenne propaganda. C’erano mille verità non dette cui sarebbe stato necessario dar rilievo: i gas sugli etiopi, i massacri libici, l’ignominia jugoslava e buon ultime quelle foibe, su cui le destre battono per presentare conti a croati e sloveni – senza badare a quelli ben più salati che loro potrebbero presentarci – e riesumare un anticomunismo grottesco, anacronistico, postumo, col metodo Goebbles: ingigantire i fatti e insistere sulla menzogna, perché diventi verità.
Come si è giunti all’uso politico di una vicenda storica secondaria? Ha ragione Gianpasquale Santomassimo: per un secolo la politica ha cercato legittimazione nella storia, vantando radici nel passato. Mussolini creò il mito della romanità, la sinistra, a giusta ragione, rivendicò le lotte del movimento operaio e l’antifascismo. Poi sono venuti l’89, il crollo del socialismo reale e il ’92 con Tangentopoli; a qualcuno il passato è parso ingombrante e il processo s’è capovolto. Ora nessuno cerca legittimità nella storia, perché essa è vergogna, lutto, dolore, violenza e c’è bisogno del «nuovo» che processi la storia e la separi dalla politica. I fascisti non sono più mussoliniani, il Pci si è autosciolto e i cattolici non sono più democristiani. Per non essere invischiati nel passato, i partiti prima hanno cercato casa al mercato ortofrutticolo, con largo spreco di rose nel pugno, garofani, ulivi e margherite – poi hanno preso nome dai leader e, infine, dopo la «Cosa», partito dei «senza storia» ecco quello “Nazionale” di Renzi. Su tutto si leva, comoda, la categoria del totalitarismo, che esalta le affinità a danno della differenze, come comanda il pensiero unico. Orwell aveva ragione: chi controlla il passato governa il futuro e chi controlla il presente gestisce il passato. Quello che conta è avere in mano il giorno che vivi.
Questo però non è fare storia.

Uscito su FuoriregistroAgoravox il 10 febbraio 2015

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1549497_1564135247161829_2775798583555018969_nMi inviano una petizione con la richiesta di diffonderla. Lo faccio, dopo avere firmato. Va bene sì. Petizioni, presidi e manifestazioni, occorrono e bisogna farli. Lasciatami dire, però fino in fondo qual è la mia opinione e non pensate che sia impazzito: da questa tragedia non usciremo così. La sola via possibile è la lotta dei popoli armati. Bisogna che ce lo diciamo e che lavoriamo per organizzarla. Tempo per aspettare, però, non ce n’è e le destre sono pronte a fare qui quello che stanno facendo in Ucraina. Non so lì come vada e chi lotti contro i nazifascisti finanziati dall’Europa e dagli USA. Non so se ci sia un partito, ma so che se i macellai del capitale passano in Ucraina e schiacciano la Grecia subito, tutto diventerà così difficile da essere poi quasi impossibile.
L’UE non ha una Costituzione democratica, approvata dai popoli ed è guidata da delinquenti che nessuno elegge e non rispondono al Parlamento. Quella che si è scatenata con l’unificazione della Germania è una guerra di classe dei ceti dirigenti, guerra dall’alto che non è condotta solo con le parole o le misure economiche. Le armi sparano ormai da tempo e tutto si tiene. Con la riunificazione della Germania il capitalismo ha gettato la maschera, tornando al nazifascismo. Questo è e da qui occorre partire. Cremaschi ha ragione: occorre insorgere e combattere con ogni mezzo. Cosa vuol dire insorgere? Per me significa organizzare la lotta dei popoli armati contro il capitalismo nazifascista risorto con la riunificazione tedesca. Dovrebbero muoversi anzitutto proprio i lavoratori tedeschi ai quali idealmente invio questo messaggio.

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Ecco la petizione diretta a Cittadini Europei.

“Questa petizione sarà consegnata a:Cittadini Europei
Diffondere una Campagna europea a sostegno della Grecia e del suo governo democratico nella difficile negoziazione per il ripristino dei diritti del popolo greco e dei popoli europei

E’ importantissimo far sentire in questi giorni, la voce dei cittadini europei a favore delle posizioni del legittimo e democratico governo greco che si sta battendo per una revisione e del debito. Un debito che è nato privato ed è diventato “pubblico” solo per salvare banche e istituzioni finanziarie (nord europee) che hanno speculato e giocato col fuoco dei derivati.

La battaglia della Grecia è la battaglia di tutti i cittadini europei contro le elites nazionali e internazionali dell’1-10% che negli anni della crisi si sono arricchiti oltre ogni limite a danno dei lavoratori, dei precari dei disoccupati.

L’Europa avrà un futuro solo se sarà ripristinato un equilibrio sostenibile tra paesi del nord e paesi del sud, solo se la ricchezza sarà ridistribuita all’interno dei singoli paesi, solo se le istituzioni finanziarie torneranno a rispondere ai governi democratici.

Lanciamo e diffondiamo una campagna europea a sostegno del governo greco. Dagli esiti della negoziazione in corso, dipenderà il futuro del nostro continente e delle generazioni future”.

Rodolfo Ricci

Per aderire, clicca sul link.

Uscito su Contropiano, 7 febbrai

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