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Posts Tagged ‘Grecia’

D’accordo, perdere tempo col calcio è oggi a dir poco eccessivo. Tuttavia, se da piccole vicende è a volta possibile trarre un insegnamento che spiega quelle maggiori, due parole sul «gioco più bello del mondo» vale forse la pena di spenderle. C’è un modo di dire frequente nel linguaggio dei commentatori televisivi, soprattutto di quelli delle reti che fanno profitti milionari col calcio. Per indicare un’eccellenza tecnica e organizzativa o un esempio di moralità sportiva, basta dire «stile Juve» e si è detto tutto. Un po’ come quando, parlando di politica o di economia, si citano come esempio di qualità e moralità il «privato», l’imprenditore, Draghi, Monti e compagnia cantante. Tutti sanno che il meccanismo è omertoso, che dietro ci sono mille magagne, ma nessuno ne parla. Se dici Juve e il presidente Agnelli, o citi Draghi e la Fornero, tutti si tolgono il cappello.
Nel mondo del nostro calcio, che in fondo è un buon ritratto del nostro Paese, un giudice sportivo che stravolge i fatti, condanna il Napoli contro l’evidenza e giunge alla diffamazione, non corre rischi e trova l’unanime consenso dei soliti commentatori: il Napoli non si è presentato a Torino per giocare la sua partita non perché «si è trovato […] nella impossibilità oggettiva di disputare il predetto incontro», ma perché è una società di malfattori che ha invece, fatto carte false per non giocare la partita, «con palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità».
I commentatori sanno che la sentenza è un’infamia e sarebbero stati pronti a gridare allo scandalo, se un giudice sportivo avesse osato dire una cosa simile della Juve. Lo sanno, ma stanno zitti, perché nel calcio italiano corrono milioni a palate e mettersi contro «lo stile Juve» e il sistema che gli gira attorno non è salutare. Quanta Italia di oggi ci sia dietro un meccanismo di questo genere è a dir poco evidente. D’altra parte, dopo che il CONI, costretto dall’evidenza, ha ribaltato il giudizio di due precedenti «processi», nessuno ha messo alla gogna il giudice diffamatore. Il Napoli non poteva effettivamente muoversi dai confini regionali per cause di forza maggiore (l’aveva fermato l’Asl per tutelare la salute pubblica), ma il mondo del calcio non ha stigmatizzato il giudice che l’aveva condannato e le sue parole sono lì e alimentano nell’immaginario collettivo l’infamante sospetto: la Società Calcio Napoli, ha violato i fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità.
Lo «stile» esemplare continuerà a essere quello Juve, che naturalmente aveva trovato giustissima l’ingiustizia e nessuno ricorderà che gli elementi costitutivi dell’osannato «stile Juve» sono nelle sentenza di tribunali sportivi e penali dal 2015, anno in cui tutti i giudici sportivi e ordinari, ritenuta provata l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva, hanno condannato ad anni di carcere alcuni dei suoi dirigenti, revocando alla Juve il titolo di campione d’Italia 2004-2005 e non assegnandole quello del 2005-2006, perché la Juve e il suo stile erano stati retrocessi d’ufficio all’ultimo posto in classifica.
Questa è oggi l’Italia e di «stile Juve» sentiremo parlare ancora, così come ogni volta che si tratterà di tutelare l’interesse dei ricchi a danno dei poveri, nonostante la strage degli esodati, sentiremo invocare la Fornero o quel Mario Draghi, che tra il 2002 e il 2005, come vicepresidente della «Goldman Sachs» per l’Europa, fu incaricato di occuparsi delle «imprese e dei paesi sovrani». Nessuno lo dice, ma in questo ruolo Draghi poté vendere i prodotti finanziari «swap», una pericolosa scommessa che consentì di far sparire quella parte del debito sovrano e truccare i conti greci.

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Orwell-1984

La recente risoluzione che condanna Fascismo e Comunismo pone anzitutto una domanda inquietante: un organismo politico qual è il Parlamento Europeo ha la potestà giuridica di formulare condanne su eventi della storia? Com’è noto, anche lo storico più imparziale, oggettivo ed estraneo agli eventi che ricostruisce, risente delle emozioni, delle passioni e degli interessi suoi e della realtà sociale in cui vive. Immaginiamoci quale intreccio di interessi si celi dietro la condanna storica espressa da organismi politici, i cui rapporti col passato sono in stretta continuità col presente attraverso partiti politici e ideologie in grado di  orientare le forme stesse della percezione delle realtà. *
In calce alla Costituzione della nostra repubblica, alla quale hanno il dovere di essere fedeli tutti i cittadini italiani, c’è la firma di Umberto Terracini. Che faremo domani, stamperemo una nuova copia della nostra legge fondamentale, passando tratti di inchiostro di china indelebile sul suo nome e sulle centinaia di pagine degli Atti della Costituente che contengono gli interventi dei parlamentari comunisti o, come mi pare più giusto, chiederemo le immediate dimissioni dei parlamentari traditori, che col loro voto hanno infangato donne e uomini  comuniste, che hanno contribuito a scrivere la Costituzione?
In quanto alla stucchevole discussione sulla data d’inizio della seconda guerra mondiale, se non fosse accecato dalla miseria morale, il Parlamento dell’Unione avrebbe dovuto partire da Versailles, dalla folle rapacità dei capitalisti vittoriosi, dalla feroce guerra scatenata in Spagna da tedeschi e italiani, complice l’inerzia dei governi occidentali convinti che le armate naziste si sarebbero poi rovesciate contro i bolscevichi.
Dal momento poi che il Parlamento europeo ha scoperto questa sua discutibile vocazione di tribunale della storia, è legittimo domandarsi quando pensa di riunirsi per imporre alla Germania di restituire alla Grecia il frutto delle sue passate e attuali rapine e dichiarare gli Usa criminali di guerra per le bombe nucleari lanciate sull’inerme popolazione giapponese.

*  Piero Bevilacqua, Storia della politica o uso politico della storia? “Meridiana”, n. 3, 1988,  pp. 172-73.

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Come buona parte della nostra sedicente «classe dirigente», Marco Minniti è troppo analfabeta della democrazia per sapere che non inventa nulla quando mette in campo i suoi strumenti di controllo politico e sociale del territorio. La concezione delle città, intese come focolai esplosivi di rivolta sociale, è così radicata nella storia delle classi, che persino la bella e monumentale Parigi, con le sue larghe vie è figlia della necessità di tenere a bada un popolo che aveva più volte rovesciato regimi. Nell’Italia crispina e poi fascista, per lunghi, lunghissimi anni, le relazioni mensili dei prefetti sullo stato dell’ordine pubblico hanno fatto riferimento a provvedimenti pensati per colpire coloro che in qualche modo deviavano dal «comune sentire» liberale e fascista. Ciò, per non parlare delle infamie repubblicane.
Il 25 marzo, come ai tempi della venuta di Hitler in Italia, gli «europeisti» alla Minniti, ministro di un governo coloniale insediato da Draghi, saluta la Troika in un clima che rinnega in una sola volta Spinelli e lo spirito della Resistenza europea al nazifascismo, da cui nacque l’Unione Europea da tempo pugnalata alla schiena dagli ospiti che si preparano a far festa a Roma.
Com’è sempre accaduto quando un’idea nobile finisce nelle mani ignobili del capitale finanziario, anche stavolta i tutori di un ordine eversivo e violento si preparano a colpire «sovversivi», dissidenti e chiunque canti fuori dal coro dell’integralismo razzista dell’UE, un mostro che ormai non ha nulla da spartire con i popoli che ha sottomesso. La procedura è identica a quella già altre volte sperimentata: ammanettare anche solo l’idea del conflitto sociale, colpire tutto ciò che somigli al pensiero critico, zittire tutti con le buone o con le cattive, innocui mormoratori, personaggi sospetti, poveracci o figure incompatibili con il pensiero ordoliberista. Tutti potremo incappare nella trappola di sanzioni che, per rapidità di procedura, discrezionalità di irrogazione e assenza di sensibilità umana, fanno carta straccia della Costituzione repubblicana e diventano il manganello pronto a colpire e a imporre olio di ricino a volontà, per togliere dalla circolazione «gli elementi manifestatisi pericolosi per la sicurezza pubblica e l’ordine sociale». Le parole sono di un Prefetto fascista, ma vanno benissimo per il progetto del nostro democratico governo europeista.
Minniti non lo sa ma grazie a lui l’idea di «ordine pubblico» che governa la repubblica antifascista è ora una fotocopia della nota n. 1888 del 5 marzo 1932 sulla «disurbanizzazione di immigrati privi di possibilità di lavoro»; una «nota» preziosa per i suoi colleghi fascisti, che «rimpatriavano» famiglie scomode, marito, moglie e persino bambini, rastrellavano «minorenni traviati», prontamente accolti in barbari istituti correzionali, colpivano i braccianti che si ostinavano a non capire le ragioni dei padroni e osavano protestare, i poveri, i vagabondi, gli omosessuali, i dissidenti e persino gli esponenti della Chiesa Battista, quando si azzardavano a far festa attorno all’albero di Natale. Fu la nota 1888, che oggi potremmo ribattezzare «nota Minniti», l’arma che indusse i malcapitati protestanti a occuparsi – pena il confino – di argomenti tesi a «valorizzare il regime» e la sua «superiore civiltà romana». Agli Imam oggi minacciamo l’espulsione, ma in tutta onestà non cambia poi molto.
In questo clima di paura e tensione, qualcuno può davvero sinceramente credere che il 25 marzo Altiero Spinelli festeggerebbe l’Unione Europea di Minniti? Qualche democratico in buona fede può immaginare Ernesto Rossi, esponente della Resistenza romana, ucciso dai fascisti della «Banda Koch», che saluta amichevolmente gli esponenti dell’Unione Europea alleata del fascista Erdogan e azionista di maggioranza del nazismo ucraino? C’è chi può onestamente illudersi che l’antifascista tedesca Ursula Hirschmann e il suo sogno federalista potrebbero convivere con gli assassini dei suoi ideali, in una Unione Europea che nega i diritti e si è ridotta a fortilizio della barbarie capitalista, responsabile del genocidio mediterraneo e della tragedia ucraina?
No. Il 25 Spinelli, Colorni, Ursula Hirschmann ed Ernesto Rossi sarebbero in piazza con la «sinistra populista». Al delirio razzista dell’olandese Dijsselbloem, Rossi opporrebbe la sua fede nell’uomo e la sua concezione della vita. Io, direbbe, trovo «inspiegabile tutto quello che vediamo in questo porco mondo. Crepare un po’ prima o un po’ dopo non ha grande importanza: si tratta di anticipi di infinitesimi, in confronto all’eternità, che non riusciamo neppure ad immaginare. Io ho non ho paura della morte, ma ho sempre avuto timore della ‘cattiva morte’». Così direbbe a chi lo ha definito alcolista e puttaniere, poi sfilerebbe in corteo, sfidando Minniti e quella polizia che, non avendo numeri identificativi e il freno di una legge seria sulla tortura, quando vogliono i ministri «europeisti» si comporta come a Genova nel 2001.
Sabato a Roma i democratici antifascisti saranno nelle piazze proibite. Gli antieuropeisti, invece, gli autentici populisti, se ne staranno eroicamente nascosti dietro le zone rosse presidiate della polizia. A dimostrazione del fatto che gli uomini della Troika non hanno nessuna intenzione di ascoltare i popoli, di rispettare la nostra Costituzione antifascista, di modificare, cancellare e riscrivere trattati imposti con la violenza. La Grecia massacrata, del resto, è sotto gli occhi di tutti.

Contropiano, 23 marzo 2017

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caligolaOra la legge consente a Renzi di uccidere la scuola e il fondo è ormai vicino. Lo sappiamo probabilmente sin dal lontano 12 dicembre del 1969, da quando giornali e telegiornali hanno preso a narrarci una storiella sedativa: dopo Piazza Fontana, Pino Pinelli – guarda caso, un anarchico – aprì una finestra della Questura di Milano e si lanciò nel vuoto, annunciando la morte dell’anarchia. Col tempo l’esito delle indagini è diventato verità di fede: si trattò di un «malore attivo». Un malore che non aveva precedenti e non ha avuto poi seguito, perché mai nessuno era morto così e a nessuno è più accaduto dopo. Il circo mediatico, però, storicamente sensibile alle ragioni del potere e geneticamente reticente, ha scelto di portarsi dentro i dubbi mai espressi finché la malattia d’un tratto è esplosa. La diagnosi ormai parla chiaro e la prognosi è disperata: elettroencefalogramma piatto e coma irreversibile.
La stampa italiana di oggi, non vale più di quella fascista ai tempi del Minculpop e dell’«Istituto Luce» di Ezio Maria Gray. Vespa farebbe invidia a Telesio Interlandi, che in gioventù fu la passione del fascista e poi «democratico» Mario Missiroli, Mentana aggiunge quotidianamente la «C» di complicità alle cinque «W» del modello anglosassone, riducendolo così a un WC, Travaglio uccide l’idea di politica e un esercito di pennivendoli e servi sciocchi si fa strada ringhiando ogni giorno come vuole il padrone: l’immigrato «terrorista», invece dell’Europa razzista, il «sangue dei vinti» per far strada ai picchiatori di Casa Pound sponsorizzati da intellettuali alla Rossi Doria, i «fannulloni» a copertura di un feroce sfruttamento e chi più ne ha più ne metta. Ognuno ringhia e morde, così come ai suoi tempi ripetutamente inveiva Ansaldo contro «l’ebreo Morghentau».
A farci la lezione sul merito e sulla valutazione, insomma, c’è una vera e propria fabbrica di menzogne, serva di chi comanda, che «Reporter senza Frontiere» pone generosamente al 73° posto dietro gran parte dell’Europa e molti Paesi dell’Africa e dell’Asia. Persino dietro la Colombia dei narcotrafficanti e dopo quell’Ungheria, che pure si è data apertamente leggi per controllare i mezzi d’informazione e chiudere giornali e programmi televisivi. Da noi non servono. A noi bastano giornalisti intimiditi, aggrediti fisicamente e colpiti nei beni e nelle persone; a noi basta che, come i grandi cartelli della droga, l’Isis e Boko Haram, politici e mafiosi soffochino l’informazione.
Siamo tra gli ultimi per libertà di stampa. La notizia però non «fa notizia» per i nostra media, sicché, quando si parla del massacro mediatico della scuola pubblica, la premessa sulla stampa è d’obbligo, se si vuol capire da quale pulpito viene la predica, quanto valga e dove vada a parare la difesa d’ufficio dei «velinari» al servizio di Confindustria.
Occuparsi di scuola ormai, non significa più discutere di strutture, investimenti, programmi, obiettivi, metodologia, didattica e centralità del rapporto docenti-discenti. All’ordine del giorno ci sono i dogmi della religione neoliberista, i versetti di una Bibbia fondamentalista che, allo scoppio della più grande crisi economica del mondo capitalista, consentì a monsignor Giavazzi di ringraziare il Dio della finanza: «questo – affermò impunemente l’economista – è un grande giorno per il capitalismo». Non l’hanno fatto papa, questo è vero, ma continua a firmare ricette che ammazzano i malati. E’ gente di questa levatura a far da sponda all’analfabetismo di valori che ispira la Riforma Renzi, un Presidente del Consiglio che stenta a parlare un italiano corretto ed è stato eletto solo dal «popolo delle primarie».
Tutti sanno quanto contino poco i referendum abrogativi e basta pensare alla vicenda dell’acqua per capirlo. I manutengoli delle «riforme europee» fingono però di essere preoccupati perché la scuola tenterà quella via. E’ davvero questo che li spaventa? Sono davvero in prima linea perché c’è il rischio di non poter affidare a una banda di kapò il compito di mantenere l’ordine nei campi d’internamento per docenti e studenti progettati da Renzi? Non è possibile che i propagandisti di Confindustria pensino davvero che abbiamo una scuola tutta studi umanistici e docenti attestati a difesa di privilegi corporativi. E non è possibile nemmeno credere che non abbiano letto la proposta di legge di iniziativa popolare ignorata dal Parlamento. Perché allora l’attaccano, ricorrendo a grossolane menzogne e a giudizi stroncativi che non hanno né capo e né coda? Perché non si fermano mai a discutere seriamente le obiezioni di incostituzionalità? Perché citano a casaccio le statistiche sulla scuola, falsificando i dati? Perché ignorano il deficit strutturale della nostra edilizia scolastica rispetto a quell’Europa che ci chiede di investire mentre sono decenni che tagliamo e ci condanna per il barbaro sfruttamento del personale, imponendoci assunzioni ben più consistenti di quelle proposte da Renzi? Si tratta solo di indigenza culturale o c’entra per caso la miseria morale?
In realtà, essi temono ben altro. Hanno paura che la preannunciata disobbedienza civile negli istituti scolastici diventi pubblica e aperta denuncia dell’illegalità su cui fonda il governo Renzi. Temono che la protesta si trasformi in esplicita delegittimazione di un governo che ha moralmente e materialmente usurpato la sovranità popolare. La malafede, insomma, nasce dalla paura che la piazza esploda e si colleghi direttamente alla vicenda greca, che ha dato colpi mortali all’Europa tedesca, di cui Renzi è lo scodinzolante servo sciocco. Sanno – ed è qui il punto – che il governo naviga in rotta di collisione con un’opposizione sociale fortissima e va, pari avanti tutta, verso gli scogli della formazione rischiando il naufragio. Sanno che la vicenda greca alimenta speranze e legittima sogni. Sanno – e perciò tremano – che non si tratta di organizzazioni sindacali o partiti coi quali si scende a patti. E’ il Paese che si sveglia da un incubo, è la gente consapevole di una realtà drammatica: dopo la Grecia toccherà all’Italia e nessuno vuole farsi rappresentare a Bruxelles da un fantoccio che non sa di che parla e dalla banda di incompetenti che Renzi ha portato al governo come cavalli di Caligola.

Fuoriregistro, 19 luglio 2015 e Agoravox, 20 luglio 2015

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Dopo molte riflessioni, ho maturato una convinzione. Ferma e naturalmente opinabile. La Troika ha inflitto il massimo delle perdite possibili a Tsipras. E’ un fatto. Perché ha cercato la via dell’umiliazione? Credo che il principale obiettivo della sedicente Unione Europea nella terribile vicenda greca sia stato, sin dall’inizio, eminentemente politico: disgregare Syriza e far cadere il governo Tsipras. Se questo accadrà, al di là di chi ha sbagliato o fatto bene, otterrà ciò che voleva.
Saranno naturalmente i compagni greci a decidere e rispetterò le loro scelte, quali che esse siano. Personalmente, però, spero che l’unità più volte sbandierata da tutti, si possa salvare in base a una considerazione di semplice buon senso: se la Troika desidera qualcosa, i Greci dovrebbero fare tutto, tranne che agire in modo che si realizzi.

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Immagine aLa regina è nuda. Angela Merkel non governa più il suo governo e non sa come affrontare in Europa la tempesta scatenata dai venti che a lungo ha seminato.
Mentre i commentatori trovavano peggiorativo il nuovo piano greco e la sinistra muoveva aspre critiche a Tsipras, Schäuble, il pericoloso ministro tedesco, cancellava dalla scena l’ottusa Merkel e definiva inattendibile la proposta greca. Un ultimatum, di fronte al quale sedicenti politici e mediocri tecnocrati non sapevano più che pesci pigliare. Un diktat che ha una violenta logica politica e non c’entra nulla con l’economia.
Intanto, consapevole del peso di Schäuble sulle scelte tedesche, Yanis Varoufakis, l’ex ministro greco, aveva preceduto tutti, dichiarando che la Germania semina il panico perché non vuole accordi.
Ecco ciò che ha scritto sul suo Blog.

C’è un motivo per cui Il dramma finanziario della Grecia è al centro dell’attenzione nei titoli dei giornali: l’ostinato rifiuto dei nostri creditori ad accettare una significativa riduzione del debito. Perché, contro il buon senso, contro il verdetto del FMI e contro le pratiche quotidiane dei banchieri di fronte a debitori stressati, rifiutano una ristrutturazione del debito? E’ inutile chiedere una risposta all’economia, perché essa risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.
Nel 2010, lo Stato greco è diventato insolvente. Due opzioni si presentavano. Due opzioni compatibili con il fatto di continuare a essere membri della zona euro: 1) quella sensibile, che ogni banchiere decente consiglierebbe – ristrutturazione del debito e riformare l’economia; 2) l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che resti solvibile.
L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della vitalità socio-economica della Grecia.
Una ristrutturazione del debito avrebbe perdite implicite per i banchieri nelle loro quote del debito greco. Decisi a non confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto finanziare ancora le banche con nuovi, insostenibili prestiti, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello Stato greco come l’esito di una mancanza di liquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci.
Per “impacchettare” a dovere il cinico trasferimento di perdite irreparabili ma private, scaricandolo sulle spalle dei contribuenti, come un esercizio di “amore duro”, una austerità mai vista prima è stata imposta alla Grecia, che a sua volta doveva rimborsare nuovi e vecchi debiti, mentre il suo reddito nazionale diminuiva di oltre un quarto.
Basta l’esperienza matematica di un bimbo di otto anni per capire che il processo non poteva finire bene.
Completata questa sporca manovra, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per non voler discutere la ristrutturazione del debito: avrebbe ora colpito le tasche dei cittadini europei! E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è costantemente cresciuto, costringendo i creditori a dare altri prestiti in cambio di una crescente austerità.
Il nostro governo è stato eletto su un mandato chiaro: uscire da questo circolo vizioso. La gente lo ha votato per chiedere la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerità che è sinonimo di paralisi. I negoziati sono giunti all’impasse – molto chiacchierata sui giornali per una semplice ragione: i nostri creditori continuano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur affermando che il nostro debito impagabile sarà rimborsato “in modo parametrico” da parte dei greci più poveri, dei loro figli e dei loro nipoti.
Nella mia prima settimana come ministro delle finanze mi ha fatto visita Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo. Allora mi sottopose un aut aut: accettare la “logica” del piano di salvataggio e rinunciare alla richiesta di ristrutturazione del debito o l’accordo per il prestito avrebbe fatto “crash”; la ripercussione non detta era che le banche della Grecia sarebbero state chiuse.
Seguirono cinque mesi di trattative in condizioni di asfissia monetaria e di assalto indotto agli sportelli bancari. Trattative supervisionate e gestite dalla Banca centrale europea. La scritta era sul muro: o capitolate o presto sarete di fronte a controlli sui capitali, bancomat quasi-funzionanti, una prolungata chiusura festiva delle banche e, in ultima analisi, alla Grexit.
La minaccia della Grexit ha avuto una breve storia da montagne russe. Nel 2010 hanno deciso di incutere timore, il timore di Dio nel cuore e nella mente dei finanzieri poiché le loro banche erano piene di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, decise che i costi della Grexit erano un “investimento” utile, come strumento per disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva ha continuato a spaventare a morte quasi tutti.
I Greci, a ragione, tremano al pensiero della amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come troncare un piolo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantò sotto la doccia la mattina che la sterlina usciva dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui piolo con l’euro può essere tagliato. Ha l’euro – una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.
Per uscire, dovremmo creare da zero una nuova moneta. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha richiesto quasi un anno, venti o più Boeing 747, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion. In assenza di tale sostegno, la Grexit sarebbe l’equivalente d una grande svalutazione annunciata con più di 18 mesi in anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile.
Con la Grexit che rafforza la corsa agli sportelli indotta dalla Bce, i nostri tentativi di porre la ristrutturazione del debito di nuovo sul tavolo dei negoziati è caduto nel vuoto.
Di volta in volta ci hanno detto che si trattava di una questione da affrontare in un futuro non specificato ma successivo al “successo nel completamento del programma” – uno stupendo Comma 22 dal momento che il “programma” non avrebbe mai potuto avere successo senza una ristrutturazione del debito.
Questo fine settimana segna il culmine dei colloqui quando Euclide Tsakalotos, il mio successore, si sforza, ancora una volta, di mettere il cavallo davanti al carro, per convincere un ostile Eurogruppo che la ristrutturazione del debito è un prerequisito del successo nel riformare la Grecia, non un premio ex-post per questo. Perché è così difficile da far capire? Vedo tre ragioni.
Uno è che l’inerzia istituzionale è difficile da battere. Un secondo, che il debito insostenibile dà ai creditori immenso potere sui debitori – e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. Ma è il terzo a sembrarmi più pertinente e, anzi, più interessante.
L’euro è un ibrido di un regime di tassi di cambio fissi, come l’ERM degli anni ’80, o il gold standard degli anni ’30, e una moneta di stato. Il primo si basa sulla paura dell’espulsione per tenere insieme, mentre il denaro statale comporta meccanismi per riciclare eccedenze tra gli Stati membri (per esempio, un bilancio federale, obbligazioni comuni).
La zona euro cade fra questi sgabelli – è più di un regime di tassi di cambio e meno di uno Stato.
E qui sta il problema.
Dopo la crisi del 2008-2009, l’Europa non sapeva come rispondere. Preparare il terreno per almeno una espulsione (cioè, la Grexit) e rafforzare la disciplina? Passare a una federazione? Finora non ha fatto né l’una né l’altra cosa e la sua angoscia esistenziale cresce. Schäuble è convinto che, allo stato attuale, ci sia bisogno di una Grexit per pulire l’aria. In un modo o nell’altro è questa la scelta forzata. D’un tratto, il debito pubblico greco senza il quale il rischio di Grexit sarebbe svanito, ha acquisito una nuova utilità per il ministro delle finanze tedesco.
Cosa voglio dire con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per incutere il timore di Dio anche nei francesi e far loro accettare il suo modello di euro zona inflessibile.
Yanis Varoufakis”.

Non c’è nulla da aggiungere. Il fondo non l’abbiamo toccato ma, grazie al coraggio dei Greci, la dittatura gioca ormai a carte scoperte.

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Non so chi sia Gigia. In genere mi manda commenti inaccettabili segnalati come spam. Questa sua lettera aperta alla Merkel, che ho trovato per caso già cestinata, non meritava una simile sorte e l’ho nel-2017-uscira-un-film-su-angela-merkelrecuperata, inserendola a commento di un mio articolo. Subito dopo l’ottimo Manlio Padovan mi ha inviato la seguente mail:

“Egregio professor Aragno, come far giungere alla Merkel, via posta ordinaria o elettronica, la stessa lettera da parte di chi lo voglia tra noi e i nostri conoscenti?
Lei può aiutarci?
Grazie”.

Padovan ha ragione, mi son detto, bisogna provarci. Ho cercato i recapiti di Angela Merkell, li ho trovati e mi è sembrato giusto dare alla lettera del mio ignoto interlocutore il risalto che merita. Uno strappo alle regole e la lettera di Gigia entra a buon diritto nel mio Blog e lo fa da protagonista, come credo che le spetti.
Io l’ho già fatto e i miei “manzoniani” lettori, se vogliono, possono sottoscriverla e inviarla alla Merkel al seguente indirizzo:

Bundeskanzleramt
Bundeskanzlerin
Angela Merkel
Willy-Brandt-Straße 1
10557 Berlin

Chi preferisce la posta elettronica può utilizzare il seguente link:
https://www.bundeskanzlerin.de/Webs/BKin/EN/Service/Contact/kontaktform_node.html

LETTERA APERTA ALLA CANCELLIERA MERKEL

Gent.ma Signora Cancelliera, Angela Merkel,
La storia della Germania, che i media raccontano al buon popolo, recita:
La Germania usci dalla guerra divisa in due Nazioni, Est ed Ovest con le ossa rotte, molte città quasi rase al suolo, alcune proprio rase al suolo,le industrie e la rete ferroviaria e stradale, distrutte.
La sua popolazione era traumatizzata ed grande parte composta da Milioni di vedove ed orfani, un disastro.
E non parliamo della sua immagine a quei tempi.
E… Guardate oggi, il miracolo compiuto dai pragmatici tedeschi, la Germania è riunificata, ha la rete di autostrade e la rete ferroviaria più complete d’Europa. Le maggiori industrie,in quasi tutti i rami, le maggiori banche europee, essa è leader indiscusso e la Prima potenza economica d’Europa.
Senza mettere in discussione le capacità tedesche, il loro saper fare, conviene chiedersi come un simile miracolo sia stato possibile. Su che cosa si è appoggiata per compierlo?
Qual è stato il un punto d’appoggio, che permise alla Germania di risollevare il… suo mondo,cambiare del tutto le sue sorti.
Signora Cancelliera, mi permetta di ricordarLe che il punto d’appoggio, miracoloso per la Germania e, potremmo dire, il primo mattone per la costruzione della casa Europa, è anche firmato dai Greci.
Infatti la Grecia fu uno dei firmatari, insieme ad altri 20, dell’accordo di Londra del 27 Febbraio 1953, accordo che permise alla RFA d’annullare 60% del suo debito contratto prima e dopo guerra.
Quel giorno i creditori della RFA, fra i quali la Grecia, la Francia, la più parte dei paesi europei,Svizzera, Stati Uniti, Il Canada, L’Iran, L’Africa del Sud, la Yugoslavia decisero di aiutare la Germania de l’Ovest,allora in situazione di “default” di pagamento.
I prestiti rinegoziati riguardavano sia le obbligazioni risultanti dal trattato di Versailles della prima guerra mondiale mai onorati, i prestiti sottoscritti dalla Repubblica di Weimar dei quali il pagamento degli interessi era stato sospeso a l’inizio degli anni 30 e i prestiti contratti dopo guerra presso gli alleati. L’accordo di Londra permise alla Repubblica federale di ridurre il montante iniziale del suo debito di prima e dopo guerra da circa 38 miliardi di marchi tedeschi – con gli interessi – a circa 14 miliardi, annullando così il 62% dei suoi debiti. Una moratoria di 5 anni sul pagamento e dei termini di pagamento di 30 anni per rimborsarlo furono concessi come pure una riduzione degli interessi.
Infine, il rapporto tra servizio del debito e dei ricavi di esportazione non doveva superare il 5%.In altri termini,la RFA non deve consacrare più di un ventesimo dei suoi ricavi d’esportazione al pagamento del debito. Così i creditori autorizzarono la sospensione dei pagamenti in caso di cattiva congiuntura.
Ora io le chiedo Signora Cancelliera, Angela Merkel, che cosa avevano fatto di straordinario i tedeschi, a parte il fatto di avere scatenato due guerre mondiali che hanno provocato la morte di decine e decine di milioni di persone,con l’aggravante dell’olocausto, per meritarsi un simile trattamento di favore?
In realta i tedeschi non avevano alcun merito da far valere, ma esattamente il contrario, si erano meritati la peggior punizione possibile.
Il 7 Luglio 2015, Lei, Signora Cancelliera Merkel, ha dichiarato che non c’erano le condizioni per un negoziato con la Grecia.
Prendendo a pretesto il fatto che i greci non si sono presentati alla riunione con un piano dettagliato.
Signora Cancelliera, Merkel, mi permetta di dirLe che il contrario sarebbe stato stupefacente e assolutamente non serio, da parte di un Ministro nominato il giorno prima. Non c’erano i tempi tecnici e questo Lei lo sa, dunque perchè mettere in campo pretesti se non per far fallire le trattative?
Mi permetta altresì di aggiungere che Lei il piano necessario in simile caso,lo possiede e la Germania lo ha approvato e firmato in passato, appunto il 27 Febbraio 1953.
Signora Cancelliera, di quali crimini, ai suoi occhi, si è macchiato il popolo greco, più gravi di quelli commessi dal suo popolo, per indurLa a combattere perché sia loro rifiutato lo stesso beneficio del piano che fu accordato alla Germania nel 1953?
Molti osservatori sono arrivati alla conclusione che Lei come pure i suoi falchi, pretendete che il popolo Greco sia punito per avere osato dire di no alla vostra politica, ad un’accordo che di fatto non risolve niente.
Molti sono convinti che per la Germania questo è ritenuto un crimine di lesa maestà.
La scongiuro, finché è ancora tempo applichi al malato, la Grecia, la stessa medicina che fu applicata alla Germania nel 1953, questo lo deve al popolo Greco ed alle altre Nazioni delle quali, malgrado tutto, voi tedeschi, restate debitori,malgrado la loro clemenza. Ne prenda atto.
Grazie.
gigia

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0301_alexis-tsipras_1260Oggi, mentre la presenza di Tsipras a Strasburgo consente ai cittadini dell’UE di scoprire che esiste un Parlamento europeo, non mi va di affrontare ragionamenti lunghi e complicati. M’interessa solo riflettere brevemente sul principio etico di cui si è fatto paladino il ministro e neofilosofo Schäuble, uno dei più riusciti prodotti di laboratorio della cultura autoritaria espressa dal capitale finanziario tedesco.
Secondo il ministro di Angela Merkell, esiste una ragione morale per cui non si deve tagliare il debito alla Grecia: chi sbaglia e s’indebita, afferma infatti il sacerdote dell’etica neoliberista, deve pagare altrimenti prima o poi continuerà a spillare quattrini.
Occorre immaginare che l’asceta tedesco non sia così ottuso da negare che, adottato per una banale questione di debiti, il suo “principio morale” sia tanto più valido, quanto più efferato è il crimine da condannare.  Egli, quindi, dovrebbe riconoscere che la Germania avrebbe dovuto pagare per intero le riparazioni per i suoi atroci crimini, dopo la guerra scatenata contro l’umanità. E non basta. Dal momento che il suo contegno al tavolo delle trattative dimostra oggi senza possibilità di dubbio che la grazia ottenuta ha impedito ai tedeschi di imparare la lezione, sicché la ferocia teutonica torna da protagonista sul palcoscenico della storia, il signor Schäuble dovrebbe mettersi anzitutto d’accordo con se stesso. Dovrebbe – ecco una questione di autentica morale! – provare a spiegare a tutti noi come fa a parlare di morale ai Greci, dopo che la Germania, senza scomodare l’etica, ha chiesto e ottenuto nel 1953 e poi al momento dell’unificazione ciò che ora nega ai Greci per una questione… morale.

Fuoriregistro“, 9 luglio 2015 e “Agoravox“, 8 luglio 2015

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Provo a mettere insieme i dati taciuti e ne tiro fuori l’insegnamento. Lo faccio ora, prima dell’esito di un bassorilievoreferendum che, comunque vada, segna la vittoria dei popoli sugli egoismi nazionali, le spinte autoritarie e l’Unione Bancaria Europea.
Che la tragedia greca non sia un banale fallimento economico, ma una battaglia di democrazia, condotta contro organismi economici che recitano ruoli politici impropri, diventa chiaro il 4 febbraio scorso, quando Draghi esclude i bond greci dai titoli utilizzabili dalle banche come “collaterale”. Il governo Tspiras è in carica solo da nove giorni e senza un motivo “tecnico” che giustifichi l’intervento Draghi lo costringe a dipendere totalmente dalla liquidità di emergenza fornita dal contagocce della BCE.
In gergo mafioso si dice “incaprettare”.
Com’è facile prevedere, la decisione è un colpo di pistola da starter che fa partire la fuga di capitali. Non contento, per stringere meglio il cappio, Draghi fissa un tetto per le banche greche in tema di acquisto di titoli di Stato. E’ trascorso così poco tempo dal passaggio di consegne destra-sinistra, la situazione è così uguale a se stessa, che lo strangolamento progressivo ha una sola possibile spiegazione: la BCE intende mandare a gambe all’aria il governo di sinistra, che rivendica il diritto di governare la crisi e oppone le sue proposte all’ukase dell’Europa. Un contegno che riduce l’Europa a una dittatura economica di organismi mai eletti, decisi a ridurre la Grecia al rango di colonia e ad impedire al governo Tsipras di prendere misure economiche a tutela degli strati più deboli e provati del Paese. Si è andati avanti così fino alla fine della trattativa e non aveva torto Grifone, quando sostenne che il regime politico del capitale finanziario è l’autoritarismo di stampo fascista.
Per quanto il circo mediatico abbia provato a fare da cassa di risonanza delle menzogne padronali, dal 4 febbraio la questione è diventata apertamente politica e ormai non c’è dubbio: la lotta per la sopravvivenza dei greci è anzitutto scontro per la democrazia in Europa. La scelta di Draghi è gravissima e si configura come il deliberato tentativo di un organismo di natura economica di alterare a fini politici la situazione finanziaria di un Paese sovrano. Fatte le debite proporzioni, si prepara così un golpe di tipo cileno, che non ha bisogno, però, di metter mano alle armi. Bastano i bancomat. Per vie traverse e meno scopertamente, si vuole fare a Tsipras e ai greci ciò che fu fatto a Salvador Allende e ai cileni.
Con questa pesantissima ipoteca si sono aperte e sono andate avanti le trattative tra l’Unione delle Banche Europee e la Grecia di Tsipras, che ha posto subito e invano un problema: la presenza al tavolo del Fondo Monetario Internazionale, che ha fatto la sua apparizione al livello politico solo da qualche anno – fu imposta dalla Germania nel 2010 – era ed è una contraddizione in termini. Il FMI, infatti, non ha nulla da spartire con l’Europa, è una “banca” mondiale, non ha dignità e legittimazione democratica per sedere a un tavolo politico e, particolare non del tutto marginale, è creditore di 32 miliardi contro i 300 degli Stati dell’Unione, ma risulta spesso decisivo.
Invano Tsipras ha prodotto un documento firmato nel 2012, in cui i creditori si impegnavano a ristrutturare il debito in cambio del conseguimento di un obiettivo che la Grecia ha centrato: 1.300 milioni di avanzo primario nel 2013. Per i creditori, l’accordo firmato è solo carta straccia. Invano si sono opposte controproposte a proposte ferocemente ultimative. Il 12% sui redditi superiori al milione di euro, un consistente aumento di tasse per le imprese, una forte sforbiciata alle spese militari, insomma otto miliardi di tagli in due anni – il 4,4 % del Pil – aggiunti a un rialzo dell’Iva, non sono bastati. La signora Lagarde è stata irremovibile. Ex serva sciocca di Sarkozy, giunta alla testa del Fondo Monetario Internazionale dopo il misterioso siluramento di Strauss-Kahn, che, si disse, allungava le zampe sulle cameriere d’albergo, è un disco incantato: tagli delle pensioni e degli stipendi. Tagli, per un Paese in cui il 60 % della popolazione supera o si accinge a superare la soglia di povertà e la mortalità infantile è salita a percentuali da Medio Evo.
Nessun creditore nega che cinque anni fa gli “scienziati” delle banche giuravano che il Pil greco si sarebbe contratto del 5% in conseguenza del salasso imposto alla culla della civiltà europea. Siamo ormai a una contrazione del 25%, la medicina sta uccidendo il malato, ma il medico è lì e pretende di imporre ancora la sua ricetta: tagli di salario, pensioni ridotte all’elemosina, privatizzazioni selvagge, aumenti  indiscriminati di tasse e cancellazione di ciò che resta del welfare.
Se chiedete a Renzi cosa sia andato ad approvare a Bruxelles, non lo sa. I negoziati sono sempre stati in mano a tecnici non eletti e i ministri hanno firmato documenti di cui ignorano i particolari. Renzi, d’altra parte, nessuno l’ha eletto. Si è giunti al punto che il ministro d’Irlanda ha denunciato scandalizzato di non aver nemmeno potuto leggere la proposta presentata alla Grecia. L’avesse fatto, vi avrebbe trovato solo un esempio istruttivo di neonazismo economico: la paranoia di Schauble sulla sostenibilità del debito.
Per mesi le banche hanno creduto ottusamente nel loro potere d’intimidazione, ma gli è andata male. La forza superiore non spegne il conflitto e il greco Eraclito insegnò: “Avvengono le cose secondo contesa […]. Per l’anima morte è divenire acqua, per l’acqua morte il divenire terra, ma dalla terra vien l’acqua, dell’acqua l’anima”. L’unno Schauble non poteva capirlo: la parola è passata al popolo, che in queste ore sta decidendo. Non è retorica. E’ una stupenda pagina di storia e ancora una volta la potentissima flotta imperiale, che sognava il trionfo sulla piccola Atene, è intrappolata a Salamina. Uno a uno i grandi e impotenti vascelli colano a picco sotto l’urto delle agili imbarcazioni della democrazia. E’ una costante della storia: la forza delle ragioni sconfigge le ragioni della forza.

Fuoriregistro e Agoravox, 6 luglio 2015

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liberta-pensieroComunque vada, Tsipras ha dimostrato che la sedicente “classe dominante” è forte ormai solo di armi e barbarie e non ha un’idea degna di questo nome per evitare anzitutto a se stessa il baratro verso cui pensava di spingere le classi che ritiene “dominate”. I cosiddetti “poteri forti” si sentono ormai tremendamente deboli e percepiscono i primi, seri sintomi di uno stato confusionale. Più che sapere che intendono fare, d’un tratto sentono che le armi e i mercenari non sono sufficienti e intuiscono che la spinta giungerà, invisibile, dal basso, da un terremoto che si annuncia sotto i piedi sempre più incerti dei sedicenti “grandi”, violentissima e inattesa. Oggi, domani, nel futuro immediato, ma certo quando meno se l’aspettano e dove non sanno. Se la “classe dominante”, sempre più dominata dal panico, dovesse azzardarsi a forzare ulteriormente la mano, la Grecia potrebbe diventare la Spagna del tempo nostro. Gli immigrati più colti, preparati e ribelli ormai ce l’hanno chiaro e la saldatura delle lotte tra giovani sfruttati di tutte le razze, qui, nel cuore dell’Europa non è una possibilità remota o il sogno degli illusi: è l’alternativa concreta all’unione delle banche. I sedicenti grandi sono sostanzialmente degli ignoranti, sanno qualcosa d’economia, ma disprezzano la filosofia e ignorano la storia, altrimenti non sarebbero andati in giro a celebrarne l’impossibile “morte” e ne avrebbero temuto il monito: contro la dignità dei greci è già cozzato invano un immenso impero e s’è perso. La violenza impotente delle banche ci rende ormai tutti greci e presto la scena potrebbe cambiare. Vivrò quanto basta per vedere un centro sociale interrazziale accampato con armi e masserizie nei locali dell’ex BCE.

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