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Archive for febbraio 2016

banner-antifascistaPer l’assemblea di oggi.
Qualche ricordo, un cenno al recente passato e una testimonianza di Curzio Maltese che racconta pericolose verità e indica responsabilità di cui oggi nessuno parla più.

Campanello di allarme:
Intervista a Erri de Luca su Repubblica del 30 settembre 2009
Scotto di Luzio. I notai della rivoluzione

La polemica. Un uomo che sarà “di governo”:
La risposta a Erri de Luca da parte di Marco Rossi Doria su Repubblica del 2 ottobre
La replica a Marco Rossi Doria da parte di Giuseppe Aragno su Repubblica del 7 ottobre
L’articolo di Marco Rossi Doria su Repubblica del 9 ottobre 
Nuova risposta a Marco Rossi Doria da parte di Giuseppe Aragno sul Manifesto del 15 ottobre

Le coraggiose, ma inutili denunce. E’ venuto il momento di dire  basta

La stampa cosiddetta libera:

I silenzi complici

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frase-celebre-di-italo-calvino-30705Bassolino, per infinocchiare gli elettori e rassicurare padrini e padroni dice che il sindaco di Napoli, De Magistris isola la città e riduce un serio problema politico a una questione di temperamento. Lui, che è uomo di mondo e politico esperto, farà come vuole Roma e i soldi arriveranno. La città finirà in vendita, la gente non vedrà un centesimo e la speculazione farà soldi a palate.
Ho letto da qualche parte – e sono d’accordo – che le prossime elezioni amministrative si svolgeranno in una condizione di “sovranità limitata”, che stringe in una morsa “l’esercizio democratico a qualunque livello espresso, nazionale e/o territoriale, indipendentemente dalla modalità, elettorale piuttosto che legislativa o referendaria”. Patti di stabilità e costituzionalizzazione dell’obbligo del pareggio di bilancio cancellano l’autonomia della politica. Parlo di Napoli, ma potrei dire la stessa di una qualunque città italiana: in queste condizioni il voto rischia di trasformarsi in un rito, in una rappresentazione teatrale farsesca del diritto di decidere che non esiste più.
In questo senso, le prossime elezioni amministrative hanno quindi valore politico e la costituzione di un fronte comune a sinistra richiede che programma e lista partano, a mio avviso, da due punti fermi da riassumere in un una sorta di preambolo. Anzitutto totale chiusura nei confronti del PD, individuato come pilastro di un nascente regime e peggior nemico delle classi popolari. In secondo luogo, rivendicazione netta, forte e inderogabile di un diritto alla “disobbedienza”, che abbia un fondamento giuridico e risponda a una ineludibile necessità economica. Disobbedienza a tutte le leggi approvate dal giorno successivo alla sentenza della Corte Costituzionale, che rende illegittimi moralmente e politicamente Parlamento, Governo e Presidente della Repubblica. Disobbedienza all’UE in assenza di un referendum che non è stato mai fatto e che dovrà sancire la nostra volontà di far parte oppure no di questa Unione antipopolare. Gli uomini delle Istituzioni romane potranno assere considerati interlocutori legittimi solo dopo regolari elezioni politiche svolte con la legge che la Consulta ha indicato. A me pare naturale che, così stando le cose, Consiglio Comunale, Giunta e Sindaco assumano il ruolo di una sorta di governo provvisorio, in attesa che le Istituzioni romane regolarizzino la loro condizione di totale incostituzionalità. La disobbedienza come necessità economica, è la naturale conseguenza della illegittimità delle Istituzioni di Governo e significa rottura con tutti gli obblighi illegittimi, a partire dal patto di stabilità per arrivare alla faccenda di Bagnoli, alla tutela dell’ambiente e della salute, per giungere alla destinazione delle tasse.
Sulla condivisone di questa premessa, che guarda anche ai prossimi referendum sulla scuola e sulle cosiddette riforme istituzionali, si costruiscono un programma e una lista della sinistra che sia quanto più aperta possibile alle realtà territoriali di lotta e lasci ampio spazio alla base.

Agoravox, 28 febbraio 2016

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leggi_razziali_La_difesa_della_razzaVita e storia non sono realtà separate. Da tempo i pochi metri di strada che separano l’Archivio di Stato di Napoli dal «Centro Sociale Banchi Nuovi», dove si riunisce il «Comitato di Lotta per la Salute Mentale», legano la mia fatica di storico all’impegno di militante e in qualche modo anch’io ho fatto la mia parte, quando il Collettivo dell’«Ex OPG je so’ pazzo» ha portato una vita nuova, che sa di libertà, nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, restituito alla città. E’ naturale perciò che, quando ho avuto tra le mani il fascicolo di Giuseppe De Crecchio, direttore fascista dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli dal 1923, mi è sembrato di avere davanti un inatteso segnale di riscatto e di portare l’irriverente l’animazione dei Centri Sociali e il rumore delle piazze nel silenzio severo dell’Archivio. La «ragion di Stato», ho pensato, non riuscirà mai a coprire col silenzio i suoi inconfessabili segreti. Poi, subito dopo, mi sono chiesto: ma noi sapremo fare buon uso delle armi che possediamo?
Sarà che il caso sa essere beffardo, sarà che gli «armadi della vergogna» sono più numerosi di quel che pensiamo, sta di fatto che il fascicolo di De Crecchio si «trova fuori posto» sin dal novembre del 1943, come annota un funzionario della Questura di Napoli, fascista fino a pochi mesi prima e tuttavia costretta a schedare il camerata direttore del Manicomio, come fosse uno dei sovversivi finiti poi spesso nelle sue gabbie. Consegnato all’Archivio nel 1988 con lo schedario politico dei sovversivi radiati e deceduti, il fascicolo, mai catalogato, di fatto «non esiste». L’ho trovato per caso il 17 febbraio, inserito in un incartamento intestato a Vincenzo Crispino, calzolaio socialista, costretto a convivere suo malgrado con l’odiato nemico.
Nonostante la Resistenza, la Repubblica, nonostante Basaglia, Piro e la legge 180 del 1978, nelle carte malconce, il dottor De Crecchio è una figura ibrida, di angosciante attualità: quella del medico-carceriere, che dovrebbe «imporre una cura» e invece sottopone a tortura «migliaia di ergastolani della follìa». Pur minimizzando scelte che, in fondo, funzionari e agenti hanno condiviso per un ventennio, le note biografiche, prima di parlarci dell’accademico, giunto alla Federico II da Sassari, dove  ha diretto l’Istituto universitario di Medicina Legale, raccontano la storia del «fascista fervente», subito inserito nella vita del regime. Squadrista della prima ora – porta la camicia nera dall’uno dicembre del 1920 – De Crecchio partecipa «alla Marcia su Roma fino a Puccianella, agli ordini del generale Ziti» e si fregia della «sciarpa littoria». Nel 1924, mentre l’omicidio Matteotti suscita lo sdegno nel Paese, «primo in Italia», il medico istituisce un Gruppo Universitario Fascista che diverrà una vera istituzione per l’università del regime. Superata la crisi, il Duce premia i fedelissimi, che hanno messo a tacere la coscienza. Tra il 1925 e il 1926, è un crescendo: Federazione Fascista di Napoli, Direttorio Nazionale della Scuola, in qualità di Ispettore dei Gruppi Universitari e Direttorio Nazionale del Pubblico Impiego. Il De Crecchio ripaga col suo zelo e rafforza l’organizzazione fascista, fondando il «Patronato Nazionale Fascista per l’Assistenza Sociale».
A dar retta alla Questura, l’uomo, approdato alla Direzione del Manicomio Psichiatrico Giudiziario nel 1923 grazie a un concorso, «è apprezzatissimo […] autore di ben sessantadue pubblicazioni scientifiche in vari campi della medicina legale e dell’Antropologia Criminale e Penitenziaria». In realtà, la Questura esagera, per costruire l’immagine di un uomo di scienza dalla funzione neutra, tecnica, più che politica. Il professionista, però, non è per nulla stimato e a giugno del 1944 la Procura Generale del Re presso la Corte d’Appello di Napoli è costretta a smentire la Questura, ricordando che «l’opinione pubblica, specialmente nell’ambiente sanitario, è palesemente ostile al De Crecchio». In effetti, la ricerca dei lavori dello studioso, praticamente assenti nelle biblioteche italiane, conduce a una «produzione scientifica» costituita per lo più da perizie, articoli pubblicati più volte per gonfiare il curriculum e interventi che stanno in bilico tra politica e scienza, usciti su riviste del regime. A ben vedere, gli scritti anteriori al fascismo si inseriscono nel clima da cui nasce la legge del 1904 sui manicomi, pensati soprattutto come istituzioni punitive, con la malattia ridotta a «colpa» e la terapia utilizzata come strumento repressivo. E’ il mondo della contenzione e dell’elettrochoc, il regno delle camicie di forza, delle manette e delle «fascette», che non cura, non aiuta, non dialoga, ma lega, sevizia, calpesta la dignità umana e, attraverso la punizione, mira alla demolizione. Un mondo che non è mai sparito. Col fascismo, l’obiettivo delle pubblicazioni cambia e diventa didattico: occorre adeguare la preparazione di psichiatri, antropologi, biologi criminalisti e giudici dei minori alla legislazione penale del regime.
In realtà, seguendo il percorso del De Crecchio, il successo dello studioso appare figlio soprattutto della militanza politica. Gli anni del cosiddetto «consenso» trovano il Direttore del Manicomio Giudiziario al culmine di una carriera ricca di onori e molto ben remunerata: l’abitazione gratuita nelle strutture dell’OPG, due stipendi pagati dallo Stato – uno per il docente universitario, l’altro per il direttore del manicomio – una fruttuosa collaborazione con le strutture private di Villa Russo a Miano e nel 1933 la nomina a commendatore dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Membro per anni del Direttorio Federale del Partito Nazionale Fascista, il De Crecchio non solo fa parte del Consiglio di Disciplina, delicato organismo del potere fascista, ma nel 1940, di fronte alla tragica scelta della guerra, salda ancora più strettamente la propria sorte a quella del suo duce, accettando l’incarico di Vice Federale.

Come spesso accade nella biografia dei gerarchi fascisti, il crollo del regime e l’arresto di Mussolini rendono più torbida la vicenda umana e politica del De Crecchio. Dopo il 25 luglio, infatti, quando l’aggressività dei tedeschi cresce e i nazisti si muovono in totale autonomia, il comportamento del gerarca diventa così indecifrabile, che le autorità di Pubblica Sicurezza non escludono un’intesa con i nazisti e una loro utilizzazione delle strutture manicomiali, per le quali passano probabilmente prigionieri politici e perseguitati per ragioni razziali. Difficile interpretare diversamente un reticente rapporto in cui la Questura scrive che «non è chiaro se collaborò con la polizia tedesca, perché non si è potuto accertare se detti fermati erano stati colà rinchiusi». Totalmente strumentale e del tutto ininfluente sulla vicenda politica del De Cracchio appare, infine, il fatto che durante le 4 Giornate, a dire della polizia, fulminato sulla via di Damasco, istituisce «un posto di pronto soccorso […] ove furono apprestate cure a 62 patrioti».
Contro il gerarca i partiti della rinascente sinistra non muovono un dito e non è un caso, del resto, se, allo scadere del 31-12-1944, nell’Italia liberata, i provvedimenti di epurazione adottati per ordinanze del Governo militare Alleato siano 2900 contro i 1258 dovuti all’Alto Commissario del governo italiano. Ormai sappiamo che l’esercito occupante non è un monolite reazionario, tant’è che il primo maggio del 1944 ci sono militari Alleati che alzano la bandiera rossa sulle loro camionette. Presi dalle eterne discordie tra rivoluzionari e riformisti, stalinisti e bordighiani, socialisti e comunisti spendono energie preziose in scontri intestini, scissioni e battaglie ideologiche. Una guerra fratricida che consente ai prefetti di registrare il costante indebolimento delle sinistre, le difficoltà dell’epurazione e una forte crescita delle organizzazioni cattoliche. Nessuna meraviglia, quindi, se a chiedere conto al De Crecchio del suo passato siano gli Alleati, che il 30 gennaio 1944 sospendono dalla carica il direttore del Manicomio Psichiatrico Giudiziario. Tutto procede però lentamente e solo a fine giugno la Procura del Re si decide a richiamare l’attenzione delle inerti Autorità di Pubblica Sicurezza «sui gravi precedenti» del De Crecchio, «sull’importanza delle cariche politiche dallo stesso ricoperte durante il decorso ventennio» e chiede un’indagine seria per l’eventuale avocazione dei profitti di regime. Le forze dell’ordine, però, che nel novembre 1943 hanno trovato modo di mettere le manette in città al primo capo partigiano, Eduardo Pansini, non fanno molto per colpire i fascisti e presto centinaia di partigiani del Nord finiranno nelle prigioni e nei manicomi guidati da colleghi del De Crecchio, che nessuno toccherà.
Il 30 novembre del 1944 il fascicolo personale del fascista registra l’ultima annotazione politica: «è stato riassunto, in attesa di giudizio». In realtà, l’uomo non ha mai lasciato la casa che occupa con la famiglia nei locali del manicomio, ha conservato la cattedra all’università ed è diventato addirittura direttore di Villa Russo, dove si spegnerà Renato Grossi, combattente di Spagna, cui il regime ha bruciato il cervello con gli elettrochoc. Se il tempo della vita l’avesse consentito, di lì a poco «l’amnistia di Togliatti» sarebbe giunta in soccorso del gerarca. Quel tempo mancò, perché la morte, nei panni di nemesi, il 27 maggio del 1946 tolse di mezzo il De Crecchio, mentre, impunito e circondato dall’ipocrita deferenza dell’accademia, governava tranquillamente il Manicomio Psichiatrico Giudiziario.

Di lì a poco, naufragata l’epurazione, l’amnistia firmata dal comunista Togliatti e scritta dal fascista Azzariti, chiude la partita, sicché nel 1960 tutti i 241 vice-prefetti e 62 dei 64 prefetti in attività di servizio provengono dal Ministero degli Interni fascista. In quanto alle forze di polizia, 120 dei 135 questori in servizio hanno fatto parte della polizia di regime e solo 5 dei 139 vice-questori hanno avuto un qualche ruolo nella Guerra di Liberazione. Non c’è posto di comando nei Ministeri chiave della Repubblica in cui non si incontrino fascisti. Perché stupirsi se oggi i fascisti di Casa Pound, coperti come sempre da complicità politiche e istituzionali, ripetono impunemente nelle nostre città le imprese dello squadrista De Crecchio, mentre la sinistra si divide su tutto, persino sul tema dell’antifascismo? Non è vero che la Storia non ci insegna nulla; molto probabilmente non abbiamo l’umiltà che occorre per apprenderne la lezione.

Agoravox, 24 febbraio 2016

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Nuremberg_chronicles_-_f_5vLo trovi dove meno te l’aspetti. Ieri pomeriggio, per dirne una, l’ho incrociato alla Guida Editori; c’ero andato per la presentazione di un volumetto prezioso, l’Elogio della disobbedienza a Dio, firmato dal mio amico Gianni Lamagna, ma la sala era occupata proprio da Bassolino, che vendeva i suoi prodotti a prezzo di liquidazione. Come un disco incantato, l’uomo del passato girava attorno a un ritornello: rifiutando di trattare con Renzi, De Magistris condanna la città all’isolamento e alla morte per fame. La tesi centrale, facile e irrazionale, quella che mira alla pancia della gente è tagliente come una lama di Toledo: un politico vero si siede a tutti i tavoli e qualcosa la porta a casa. Se invece non accetta di trattare, non si lamenti quando i pullman si rompono e non passano, le strade sono piene di buchi e la città va a carte e quarantotto.
Tutti i tavoli, quindi, quali che siano e pazienza se il gioco non ha regole e la partita è truccata. Per vent’anni, ti verrebbe da dire, trucco dopo trucco, tavolo dopo tavolo, regola dopo regola, così ci hai portati al disastro. Il cenno negativo della mia testa bianca, però, non sfugge a una specie di gorilla che mi fulmina, come fossi un provocatore: se non sei d’accordo, te ne puoi anche andare. Sto per rispondergli per le rime, ma mi disarma un tizio che mormora estasiato: non c’è che fare, questo è l’ultimo politico che abbiamo. Gli chiederei se per “ultimo” intende unico o peggiore, ma non faccio in tempo. Dopo una buona mezz’ora sottratta al libro del mio amico, Bassolino se ne va, prontamente incrociato dal sostenitore in estasi che marca la presenza e rende sobriamente il suo omaggio. Un cenno del capo e due parole: “Don Antonio”. Più che saluto, pare segno di rispetto, come s’usa con i “don”.
Mentre la presentazione finalmente comincia, la domanda che non ho potuto rivolgere a “Don Antonio” mi sta sullo stomaco: ma tu che idea hai della politica, Bassolino? Per te, c’è un limite ai compromessi possibili? C’è un segno oltre quale non si va, si rifiuta il ricatto e si dà battaglia, costi quel che costi, o pensi che il politico vero sia quello che regala un quartiere a speculazione e camorra e, per salvare la poltrona, lascia ammazzare la città che governa? E’ stata questa confusione tra interesse personale e destino della gente a produrre il disastro cui hai condotto prima Napoli e poi la Campania. Se avessimo una libera stampa, qualcuno ti chiederebbe in nome di che ti azzardi a giudicare gli altri. Ma una libera stampa non c’è e occorrerà contare sull’intelligenza della popolazione, sulla memoria storica e sulla battaglia nelle vie e nelle piazze, dove la gente è vera e viva e il guardaspalle non ti mette a tacere.
L’ultimo politico, il peggiore di tutti, se n’è appena andato, quando mi decido a occuparmi del libro. E’ un attimo, il tempo di mettere a fuoco i relatori in fondo alla sala e poi sobbalzo. Che mi combini, Gianni, amico e compagno di tante battaglie? Che ci fa lì, seduto al tuo fianco, tra i relatori, l’uomo dell’estasi, amico di Don Antonio? Ma che ne sa di disobbedienza uno che si sarebbe accordato con Renzi e avrebbe consegnato Napoli alla speculazione? Com’è possibile che io venga a sentir parlare dell’elogio della disobbedienza e mi trovi di fronte ai teorici dell’ubbidienza a Renzi e alle sue trame oscure?
Il tuo elogio, caro Giovanni, va ripresentato; occorre dire alla gente che dopo aver creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, nemmeno Dio può chiedergli di essere servo, perché servo sarebbe allora egli stesso. Occorre insistere su questo tema: se Dio non può chiedere all’uomo un’obbedienza servile, come può uno che ha la storia di Bassolino chiedere alla città il voto, in cambio di una cieca obbedienza? E come può la città consegnarsi di nuovo in mano a questa sorta di tirannello? Che peccato, amico mio, che peccato che la tua bella disobbedienza sia finita in mani come queste. Diamoci da fare, su, portiamole in giro queste tue riflessioni. La gente. lo sai, è migliore dei suoi sedicenti leader e di tanti intellettuali che sanno di lucerna, perché vivono chiusi nell’invisibile gabbia del potere.

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dbai_2Giuseppe Pappalardo mi segnala – e gliene sono grato – le difficoltà della Biblioteca Franco Serantini, che – scrive – “è un punto di riferimento molto importante per tutti quelli che, militanti o storici, vogliono conservare o approfondire la memoria del nostro Novecento visto con gli occhi delle classe subalterne. Sono consultabili gratuitamente on line oltre settemila documenti tra libri, giornali, manifesti, fotografie, biografie.
Di mio aggiungo che la BFS è stata editrice, tra l’altro, del prezioso Dizionario Biografico degli anarchici italiani, del cui Comitato di Redazione ho avuto l’onore di far parte. Una quarantine di biografie porta la mia firma. Ne sono orgoglioso e ve le raccomando. Un mio saggio è anche nel volume intitolato Contro la Chiesa. I moti pro Ferrer del 1909 in Italia, nel quale mi occupai della protesta a Napoli. Del patrimonio della Serantini non si può fare  a meno. Ho un ricordo splendido, delle riunioni pisane e degli uomini che ai primi di questo secolo facevano parte del mondo della Serantini. Ricordo con affetto Gigi Di Lembo, che purtroppo se n’è andato. Con la Serantini pubblicò un bellissimo libro, ormai esaurito: Guerra di classe e lotta umana. Viveva in una barca su un fiume e l’ha tradito un cuore generoso con tutti. Non sapevo delle difficoltà economiche. Contribuirò alla sottoscrizione e chiedo a tutti di dare una mano. Non si chiedono milioni: occorrono 12.000 euro. Ce la si può fare.
La biblioteca da alcuni anni non ha più una propria sede e attualmente è ospitata dall’Università di Pisa, ora più che mai ha bisogno di aiuto e solidarietà per continuare a vivere!
COME FARE PER DEVOLVERE IL VOSTRO 5 PER 1000 ALLA BIBLIOTECA F. SERANTINI
Nell’apposito spazio nel modello CUD, 730 e unico, indica il codice fiscale della Associazione amici della Biblioteca F. Serantini ONLUS: 9 3 0 5 7 6 8 0 5 0 1
Se presentate il Modello 730 o Unico:
• Compilate la scheda sul modello 730 o Unico;
• firmate nel riquadro indicato come “Sostegno del volontariato…”

• indicate nel riquadro il codice fiscale della Associazione amici della Biblioteca F. Serantini ONLUS: 93057680501
Anche se non dovete presentare la dichiarazione dei redditi potete devolvere alla Associazione amici della Biblioteca F. Serantini ONLUS il vostro 5 per 1000:
• Compilate la scheda fornita insieme al CUD dal tuo datore di lavoro o dall’ente erogatore della pensione, firmando nel riquadro indicato come “Sostegno del volontariato…” e indicando il codice fiscale della Associazione amici della Biblioteca F. Serantini ONLUS: 93057680501
• inserite la scheda in una busta chiusa
• scrivete sulla busta “DESTINAZIONE CINQUE PER MILLE IRPEF” e indica il tuo cognome, nome e codice fiscale
• consegnatela a un ufficio postale, a uno sportello bancario – che le ricevono gratuitamente – o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (CAF, commercialisti, ecc.)
Vi ricordo che la scelta di destinazione del 5 per 1000, diversa e non alternativa a quella dell’8 per mille, non comporta alcun esborso per il contribuente in quanto si tratta di “tasse” che verrebbero comunque sottratte.
Portatevi dietro questo volantino e ricordatevi di informare il vostro commercialista e/o il vostro CAF!
Per informazioni rivolgersi a: Associazione amici della Biblioteca Franco Serantini ONLUS
via I. Bargagna, n. 60 – 56124 Pisa. – tel. 331 11 79 799
e-mail: associazione@bfs.it – sito web: http://www.bfs.it
È anche possibile sostenere la Biblioteca con una donazione liberale :
Banco posta: IBAN: IT25 Z076 0114 0000 0006 8037 266 intestato a Associazione «Amici della biblioteca Franco Serantini ONLUS».
DA OLTRE TRENTACINQUE ANNI IN PRIMA FILA PER LA PROMOZIONE CULTURALE E LA RICERCA SCIENTIFICA NEL CAMPO DELLA STORIA SOCIALE E POLITICA
Sostenete la Serantini.

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APPELLO E ASSEMBLEA CONTRO VECCHI E NUOVI FASCISMI
NAPOLI 27 FEBBRAIO 2016

Venerdì 29 gennaio, in un tranquillo quartiere di Napoli, in pieno giorno, tre esponenti di Casa Pound, organizzazione che si richiama esplicitamente al fascismo e a Mussolini, hanno aggredito a colpi di mazze e martelli alcuni studenti che tornavano da scuola, provocandogli loro traumi e gravi ferite al capo. Questo tentato omicidio contro ragazzi che avevano l’unica colpa di essere riconosciuti come “nemici politici”, è solo l’ultimo episodio di un’escalation di barbarie che pochi mesi prima aveva già visto, sempre a Napoli, una ragazza di 17 anni minacciata con un coltello e molestata sessualmente da quattro fascisti solo perché aveva un look “di sinistra”.

In realtà in tutta Italia si susseguono da anni le aggressioni di Casa Pound. Persino il Ministero dell’Interno in una recente interrogazione parlamentare ha dovuto ammettere che dal 2011 a oggi sono stati 106 gli attacchi ad altre realtà politiche, con 20 arresti e 359 denunce fra i militanti di Casa Pound. Una sottostima, quella del Ministero, visto che dal 2011 sono documentabili circa 180 aggressioni di stampo fascista, alcune finite in tragici omicidi, come nel caso di Samb Modou e Diop Mor (uccisi a Firenze da un ex-militante di Casa Pound), o a quello di Ciro Esposito, ucciso a Roma da un noto fascista che era stato persino candidato nelle liste di Alemanno.

Queste aggressioni sono facilitate dalla sostanziale impunità di cui godono questi soggetti, legati a doppio filo alla politica istituzionale, da cui percepiscono fondi e aiuti, e ben visti dagli apparati dello Stato che si sono addirittura spinti, in un’informativa della Direzione Centrale della Polizia, a definire Casa Pound come giovani dallo “stile di militanza fattivo e dinamico”, volto a “sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio”, “nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell’ordine pubblico”.

A nostro avviso è arrivata l’ora di dire basta! Bisogna fermare queste organizzazioni che hanno lo scopo di fomentare l’odio e la guerra fra poveri e di impedire l’attività di chi prova a trasformare lo stato di cose presenti. Anche perché con l’avanzare della crisi economica, sociale, culturale del paese, queste organizzazioni e le loro idee razziste, omofobe, sessiste, diventano sempre più pericolose…

Per queste ragioni crediamo che sia urgente lanciare una campagna, aperta a tutte le forze politiche e sociali autenticamente democratiche, che chieda:

che vengano smascherate le coperture politiche di tutte le organizzazioni fasciste presenti sul territorio napoletano. Tante volte dietro i fascisti armati ci sono politici e uomini delle istituzioni. Questo non è accettabile, è giunto il momento che chi finanzia e protegge i mazzieri che poi aggrediscono studenti, lavoratori, omosessuali e immigrati venga pubblicamente accusato e interdetto;

che non ci sia spazio per i fascisti nelle liste che correranno per le prossime amministrative. C’è infatti bisogno di una seria vigilanza democratica per impedire che membri di gruppi xenofobi possano addirittura ritrovarsi candidati, come è già successo in passato, e concorrere per un posto nelle istituzioni;

che non venga concesso alcuno spazio pubblico, alcuna sede, alcun finanziamento a chi propaganda idee reazionarie. Bisogna sciogliere, una volta e per sempre, le organizzazioni neofasciste, come prevede già la Costituzione scritta con il sangue dei partigiani, fare in modo che questi nostalgici della dittatura non possano più esercitare la loro violenza.

Per questo invitiamo tutti ad aderire all’appello e a partecipare alla grande assemblea cittadina di Sabato 27 Febbraio, per confrontarci sul problema e decidere insieme come articolare questa campagna di civiltà.

Primi Firmatari:
Giuseppe Aragno, storico; Alessandro Arienzo, Università Federico II; Piero Bevilacqua, università “Sapienza” di Roma; Gianfranco Borrelli, Università Federico II; Aldo Bronzo, storico della Cina contemporanea; Renzo Carlini, ex docente Università Orientale; Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica;  Gemma Teresa Colasanti, ricercatore presso ISSM Centro Nazionale delle Ricerche; Luigi Criscitiello, presidente Assopace Napoli;  Salvatore D’Amico, presidente “Napolinsieme”; Maurizio De Giovanni, scrittore; Aurelia Del Vecchio, scrittrice; Giuseppe Antonio Di Marco, Università Federico II;Gateano Di Vaio, regista; Michele Fatica, ex docente Università Orientale; Giuseppe Ferraro, Università Federico II; Cristiana Fiamingo, Università Statale di Milano; Eleonora Forenza, Europarlamentare; Angelo Genovese, Università Federico II; Sylvia Guzmán Grossi, militante del CNT Madrid; Alexander Höbel, Fondazione Luigi Longo; Alessandra Kersevan, ricercatrice storica; Daniele Maffione, Precario; Carmine Malinconico, Avvocato; Francesco Maranta, Portavoce del Forum Diritti e Salute; Luigi Marsano, I Teatrini; Sergio Moccia, Università Federico II; Tomaso Montanari, storico dell’arte Federico II; Sergio Muzzupappa, ricercatore Università Orientale; 99 PossePaola Nugnes, senatrice; Leonardo Pica Ciamarra, Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno, CNR; Valeria Pinto, Università Federico II; Maria Puddu, Associazione Ciro Vive; Ugo Pugliese – Ludoteca cittadina del Comune di Napoli; Nicola Quatrano, Magistrato; Barbara Pianta LopisMarcella Raiola, Coordinamento Precari Scuola; Francesco Soverina, Istituto Campano per la Storia della Resistenza “Vera Lombardi”; Paola Staccioli, scrittrice; Thomas Straus, astronomo; Sandi Volk, ricercatore storico; Paola Venditti, Università Federico II; Padre Alex Zanotelli.
Mystical PowaAmarilis Gutierrez Graffe, Politologa e diplomatica venezuelana;  Leonardo Pica Ciamarra, Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno, CNR;  Manlio CalafrocampanoCecchino Antonini, giornalista di Popoff quotidiano;  Fabrizio Greco, Dottorando; Paola Venditti, Università Federico II;  Mario Coppeto, Presidente della Municipalità 5 di Napoli; Indira Pineda, Sociologa, Anros-Italia; Daniele Quatrano, Consigliere di municipalità; Mauro Morelli, Consigliere di municipalità; Peppe De Cristofaro, senatore; Mariano Peluso, Consigliere di municipalità; Enrico von Arx, Consigliere di municipalità; Carlo Cerciello, Teatro Elicantropo; Vincenzo Di Costanzo, coordinatore circolo SEL Municipalità 5; Salvatore Ivone, Comitato provinciale ANPI Napoli; Ciro Colonna, Anpi Napoli; Stanislao Balzamo, consigliere comunale Atrani (SA); Giuseppe Cristoforoni, architetto ambientale; Adriano Cotugno, giornalista; Tullio Coppola, RSU Cobas; Vincenza Muto; Dan TarantiniDonato Stefanelli, FIOM-CGIL Puglia; Francesco Brigati, Silvana GiannottiRosario NastiClaudio Cimmino, musicista; Pietro Santangelo, musicista; Riccardo De BiaseVittorio TorreAntonio BarbatoArturo Bonito, precario; Susanna PooleFerdinando GogliaSalvatore FerraroLuciana CalabresePierpaolo d’AmoreMartina MennaLaura Iacomino; Donatella Guarino, docente precaria; Massimiliana PiroAdriana La VolpeMario Visone, Scrittore; Yolanda TugbangDevi Sacchetto, Università degli studi di Padova; Arturo Scotto, capogruppo Sinistra Italiana alla Camera dei Deputati; Pierpaolo Sepe, regista teatrale;  Gianmaria MarraraAntonio PalumboPatrizia Perrone, docente; Angela Attianese, medico;
Roberta SpadacciniEnzo Scandurra, ex- docente La Sapienza; Tobia R. ToscanoUgo M. Olivieri, docente Federico II; Luigi PernaFrancesco Esposito, studente; Ear Injury, duo di musica elettronica;

Organizzazioni, partiti, associazioni:
ACT- Napoli; Afro Napoli United; ANPI Napoli; ACT Napoli: Arcigay Napoli; Associazione “Ciro Vive”; CGIL Napoli – Camera del Lavoro; ASD Partizan Matese- squadra di calcio popolare; ASD Atletico Brigante- squadra di calcio popolare; Associazione Illumin’Italia; Assopace Napoli – Associazione per la Pace; Associazione Osservazione; CantoLibre; Casa del Popolo Fuorigrotta; Attac Napoli; Centro DAMM; Centro Miriam Makeba; Cobas; Collettivo Autorganizzato Universitario; Collettivo Insorgenza Musica; Collettivo 48ohm- Pomigliano d’Arco; Collettivo Studentesco Cavese; Comitato Civico Cambiamo Mugnano; Comunità Palestinese Campana; Comunità Senegalese Napoletana Coordinamento Cittadino Possibile; Coordinamento KAOS; Coordinamento Lotta per il Lavoro; Coordinamento Precari Scuola; DemA democraziaautonomia; Donne in Nero – Napoli; Ex Asilo Filagieri; Ex OPG Je so pazzo; Federazione Campana P. CARC; FGCI Campania; FIOM Napoli; Giardino Liberato di Materdei; Giovani Comunisti/e; GliAsini – rivista di educazione e intervento sociale; Gridas- Gruppo Risveglio dal Sonno; Insurgencia; Laboratorio Politico Kamo; Link Napoli; Movimento Lavoratori e Disoccupati Giugliano; Officine Periferiche; Operai Alenia di Nola; Possibile Napoli e provincia; Rete Commons; Rete della Conoscenza Napoli; Rete Kurdistan; Rete Sanità; Rete universitaria nazionale; Rifondazione Comunista; Sinistra classe rivoluzione- Napoli; Sinistra Ecologia Libertà; Sindacato Nazionale Cinese; Sinistra Anticapitalista Napoli; Spazio Pubelo; Studenti Autorganizzati Campani; TILT Napoli; UDS Campania; Unione degli Universitari; 

Per aderire scrivere a bastafascismo@gmail.com





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download1Non so perché, ma è così: ciò che accade all’estero sembra lontano mille miglia da noi e dal nostro mondo, fa notizia, ma non induce a riflettere su di noi e non suscita allarme. Uno dei principali obiettivi della nostra “libera stampa” è quello di indurre il lettore a credere che qui da noi certe cose non accadono e non possono accadere. Ha fato scalpore, per fare un esempio, la notizia di un docente turco trascinato in Tribunale perché, durante un esame, ha posto una domanda sul leader curdo del PKK Öcalan.
Accade così che nessuno si accorga di fatti gravissimi che accadono sotto i nostri occhi. Un esempio? Per il 10 febbraio “Resistenza Storica” e la Sinistra goriziana antifascista organizzano un convegno presso il Palazzo Attems. Tra gli altri ci sarebbero stati gli interventi di Alessandra Kersevan sul ruolo della Decima Mas al confine orientale e di Claudia Cernigoi sul fenomeno delle foibe e gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945. Non se n’è fatto nulla perché il presidente della provincia, Gherghetta, (sedicente Partito Democratico) ha cancellato l’autorizzazione all’uso della sala per “inopportunità politica”. Nessuno sa che c’entri la Storia con i politici e le loro opportunità e – ciò che è peggio – nessuno chiede le dimissioni di Gherghetta e soci, che, con evidente abuso di potere, decidono quali storici possono parlare e quali devono tacere, sicché gli antifascisti sono messi a tacere, mentre, contro lo spirito e la lettera della Costituzione, i labari della Decima Mas e della Repubblica di Salò entrano come ospiti di riguardo nella sala del Consiglio comunale.
In questa sorta di galera senza sbarre che è ormai l’Italia, anni fa un manipolo di storici è finito in una vera e propria lista di proscrizione, comparsa sul “Corriere della Sera”. Il giornale li accusava di “negazionismo” per avere pubblicato una ricerca scientifica rigorosamente documentata sulla cultura della violenza che formò le giovani generazioni nell’Italia fascista e si giunse a mettere all’indice gli studiosi perché ponevano in discussione la verità di Stato sulla vicenda delle foibe. Il nodo ora viene al pettine. Nel silenzio complice della stampa, mentre nelle scuole i militari sono ormai di casa e si prepara una guerra, al Senato è passata una legge che crea un reato nuovo e lo punisce con la galera: il “negazionismo”. Nel dibattito parlamentare è emerso chiaro un obiettivo: mettere a tacere gli studiosi che ancora si azzardano a confutare la versione dei fatti fascista, che ormai si insegna nei manuali di storia e il 10 febbraio si celebra come verità di fede in un Paese istupidito dalla propaganda e dalle chiacchiere televisive.
Presto la legge sarà approvata anche alla Camera e poiché non consente di negare il negazionismo, perché si dà per scontato che esista una verità storica decisa dalla politica e dai giudici, peraltro incompetenti, sarà necessario scegliere tra silenzio e carcere.

Il saggio che segue è scritto in modo semplice e ha uno scopo divulgativo. Lo consiglio a chi vuole sentire una campana che non sia quella di Vespa e del senatore Gasparri. Il lettore scoprirà un mondo cancellato dai libri di testo delle nostre scuole e negato dai fascisti che hanno voluto la festa del 10 febbraio. Il saggio fa parte di un agile volume intitolato Fascismo e Foibe, di cui sono stato il curatore. Il libro, che pubblica gli atti di un convegno tenuto a Napoli nel 2007, ospita un lavoro di Alessandra Kersevan, uno scritto di Alexander Höbel e una presentazione di Spartaco Capogreco. Per il Parlamento dei “nominati”, degni eredi della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, e per il “Corriere della Sera” che oggi fa da cassa risonanza del neofascismo, come ieri lo fu del fascismo storico, il libro è un esempio di quel “negazionismo”, contro il quale il Senato ha approvato una legge che difende con la galera una stupida verità di Stato.
Io non riconosco la legittimità di questo Parlamento, che occupa abusivamente le Camere grazie a una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta e ritengo incostituzionale ogni legge che colpisce la libertà di ricerca e di espressione delle opinioni; pubblico perciò qui per ora il saggio incriminato e prendo un impegno: qualora la Camera dei nominati dovesse approvare  la legge sul “negazionismo”, pubblicherò una nuova edizione del saggio incriminato. Lo farò anche a mie spese, se necessario e se, com’è probabile, stavolta non troverò un editore. Manderò poi una copia del libro ai relatori della legge e li sfiderò a  trascinarmi in tribunale prima e poi in carcere. Dovranno farlo, li costringerà la loro legge e si capirà finalmente quale nuova tragedia sta vivendo l’Italia.

Dall’irrendentismo al fascismo (in Fascismo e foibe)

Questo breve saggio trae origine da una ricerca tutto sommato occasionale, ma intensa, appassionante e, ciò che più conta, ancora ricca di interessanti prospettive. Al centro della sua attenzione sembra collocarsi soprattutto il percorso di un’associazione nata per dar risposte a questioni culturali e politiche di ispirazione tardo risorgimentale, ma scivolata rapidamente – e direi fatalmente – sul terreno melmoso del nazionalismo razzista e dell’imperialismo esasperato e straccione di Mussolini. In realtà, l’interesse è più ampio e, a ben vedere, ciò che emerge dal lavoro sinora svolto non è solo il ruolo che l’irredentismo ebbe nella politica culturale e, per molti aspetti, interna ed estera del regime fino all’aggressione dell’Etiopia, ma anche, e soprattutto, il contesto in cui si collocano, e per tal uni versi si spiegano, le politiche della razza e i crimini di guerra di un paese in cui la stragrande maggioranza della borghesia benpensante, che è in buona parte classe dirigente, non ama fare i conti con la propria storia: moderata e, quando serve, papalina, nata per vocazione «brava gente», oggi lascia processare la Resistenza, come ieri consentì che si processassero gli antifascisti, e – senza indignarsi – sprofondò nel fango delle leggi razziali.

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Dall’irrendentismo al fascismo in Fascismo e foibe…

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Nuova immagine (42) copiaI fatti, per ora. Se necessario verranno poi i nomi.
Un docente che ha – purtroppo per lui – una storia di militanza in uno di quei fastidiosi sindacati di base, presenta un documento in Segreteria da consegnare al Capo d’Istituto. La legge glielo consente e obbliga l’Ufficio a protocollarlo. Gli si dà un numero a voce, ma si sa, è potere del Capo d’Istituto valutare se occorra far ricorso al protocollo riservato del Dirigente Scolastico. Un foglio scritto, perciò, non gli viene rilasciato. E’ vero, sì. Un protocollo particolare, istituito, guarda caso , in età fascista, con gli articoli 11 e 85 del R.D. n.965 del 1924 esiste ancora e invano lo Stato repubblicano ha provato a liquidare questa eredità dell’Italia nera, approvando il D.L. n.112 del 2008 che ne prevede l’abrogazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 24 e del n. 224 dell’allegato A.
Non avendo voglia di far storie, al docente va bene così. Decida il Dirigente se conservare personalmente il documento che sta consegnando. Si appella solo però – ed è un suo diritto – alle norme per la gestione del protocollo, che non lasciano spazio ai dubbi; il Dirigente prenda pure visione delle carte che consegna, ma si ricordi l’obbligo di legge, prescritto dall’articolo 53 del D.P.R. 445 datato 328 dicembre 2000. Consenta, cioè, “la produzione del registro giornaliero di protocollo, costituito dall’elenco delle informazioni inserite con l’operazione di registrazione di protocollo nell’arco di uno stesso giorno”. Insomma, se non subito, ha diritto a veder protocollata in giornata la busta che ha consegnato e l’Amministrazione non può dirgli di no: ometterebbe un atto d’ufficio.
Per quieto vivere lascia l’ufficio e aspetta. Passano i giorni, torna in segreteria, chiede di conoscere il numero di protocollo, ma non ottiene nulla. Farla lunga non serve. Al momento le cose stanno così: ha chiamato la polizia che è venuta a scuola solo per dar ragione al capo d’Istituto. Inutile chiedere in virtù di quale legge o regolamento. Forse perché il Capo ha di nuovo sempre ragione. Poiché, però, non ha dimostrato di credere, obbedire e combattere, il docente, com’era prevedibile, invece del numero di protocollo ha ricevuto una lettera d’addebito che prelude a provvedimenti disciplinari. Mentre il collega si prepara a difendersi, il Capo d’Istituto continua a calpestare la legge e invano il docente attende non dico il numero di protocollo, che ormai somiglia all’araba fenice, ma una volgare scartoffia attestante, se non altro, che su un modulo prestampato per le ricevute, sia segnata la data e l’ora di ricezione del suo documento, il suo oggetto e il nominativo della persona che lo ha presentato, chiuso dalla sigla dell’impiegato che l’ha ricevuto.
Certo, il collega non può giurarci, ma ne è sicurissimo e probabilmente non ha torto: da qualche parte, in uno schedario politico, ben ordinato e molto efficiente, esiste ora un fascicolo personale che porta il suo nome e contiene documenti riservati con data, oggetto e numero di protocollo particolare, in cui è definito “sospetto in linea politica, probabilmente ostile al governo nazionale e pericoloso per l’ordine pubblico”. Sembrerà strano, ma è invece perfettamente logico: il fascismo storico, che nei testi scolastici studiosi compiacenti presentato agli studenti come “regime “inclusivo”, è tornato alla grande sul palcoscenico della storia. E non ci sono dubbi: la scuola è il suo autentico laboratorio sperimentale.

Fuoriregistro, 6 febbraio 2016 e Agoravox, 8 febbraio 2016

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NEWS_133533-400x266Del “primo Bassolino”, quello “miracoloso” del ’94, ho ricordi diretti e precisi e trovo singolare che il “Corriere del Mezzogiorno” non abbia nulla da obiettare, quando l’ex ministro sostiene che con la sua elezione a sindaco Napoli, ridotta al buio, si illuminò di lampi improvvisi, ritrovò la stella polare e uscì dalla sua eterna mezzanotte.
“Ci fu una rivalutazione e tanti ragazzi cominciarono a tornare per strada”, afferma il giornale, ed è vero, sì, i ragazzi si riversarono in strada, ma ce li portò, in realtà, un movimento di protesta esploso a buon diritto contro una delle mille riforme confindustriali della scuola e dell’università. Il 14 novembre del 1994, però, il movimento si scontrò con la vocazione autoritaria e repressiva del neo sindaco, la stella polare sparì, il buio divenne pesto e l’esito fu disastroso e premonitore. Ricordo come fosse oggi la sirena della Camera del Lavoro che allertava i dirigenti e l’inutile corsa verso il corteo di studenti degli istituti superiori di Napoli e Provincia: la Questura non ascoltò ragioni e all’altezza di via Medina si scatenò. Il bilancio fu pesantissimo. Un giovane investito da una volante della polizia, decine di studenti fermati e soprattutto un segnale chiaro: Bassolino non gradiva.
Ignorando arrogantemente le ragioni dei manifestanti, la Napoli-Museo mostrava così sin dall’inizio di rifiutare la vita e di volersi chiudere nella campana di vetro di un artificio. Invano Jean Nöel Schifano, acuto osservatore di uomini e cose, osservò che l’idea del salotto buono conteneva in sé un germe reazionario; Napoli, scrisse, “è una città di carne, una città di vita, la sola città in tutta Italia in cui la gente è in simbiosi con le pietre, con le statue, i quadri. Se questa città si museificasse, sarebbe una città-mummia”. Mai, aggiunse, “mai i napoletani vorrebbero essere […] mummie, dunque la città museo no”. Bassolino, però, non ascoltò. A lui della gente non interessava nulla. Preferiva le mummie.
Dopo le cariche e gli inseguimenti, dopo che uno studente, trattato peggio di una bestia, fu trascinato per i capelli in Questura, i ragazzi sparirono dalle strade. E non solo i ragazzi. Per il sindaco il “nuovo rinascimento napoletano” era incompatibile con tutto ciò che si muoveva. I movimenti guastavano l’immagine e non consentivano di vendere fumo. Bisognava mummificare e non a caso Francesco Festa ha potuto scrivere che “la filosofia delle istituzioni locali nei confronti dei movimenti antagonisti era mutata radicalmente: “Bassolino conosce bene i movimenti di lotta, avendo una formazione comunista; non concede nulla ai movimenti, in questo modo smorza qualsiasi forza antagonista, delegando alla Questura la gestione dei rapporti con i disoccupati”, con gli studenti e, in genere, con le forze alternative. E’ la via che condurrà difilato alle violenze del 2001 che, non a caso, ebbero il loro laboratorio sperimentale nella Napoli dell’ex funzionario comunista.
Sindaco o Presidente di Regione, Bassolino ha incarnato più di chiunque altro il berlusconismo di sinistra, quella mutazione genetica che ha prodotto una prassi perniciosa: sottrarsi a ogni tipo di mediazione con quei movimenti che pure erano e sono espressione di bisogni reali dei ceti subalterni. Il rifiuto di incontrare gli esponenti del dissenso non fu solo un colpo mortale alla partecipazione democratica. Contribuì a produrre una caligine densa, che avvolgeva e copriva i processi di deindustrializzazione, promettendo a Bagnoli turismo al posto dell’acciaio, e aprendo così la via che conduceva i bisogni della povera gente verso l’unico canale possibile: quello delle logiche clientelari, anticamera delle pratiche camorristiche. In questo senso, la tragedia della spazzatura non è stato un incidente di percorso, ma l’esito fatale di una scelta politica, che conteneva in sé le ragioni e i valori fondanti della peggiore destra. Non ha torto chi scrive che «Bassolino ha lasciato inevasa tutta una domanda sociale proveniente dai ceti più bassi». Non ne ricava, però, la logica conclusione: egli l’ha spinta così in braccio alla camorra.
Piaccia o no, questo disastro è caduto sulle spalle di De Magistris, che l’ha affrontato al meglio, tornando a dialogare con i movimenti. La proposta di riportare Napoli al ’93 non è solo anacronistica. E’ fuori dalla storia, è reazionaria e costituisce un oltraggio a cui occorre dare risposta, rifiutando la tentazione di non votare. In discussione ci sono dignità e futuro.

Agoravox, 7 febbraio 2016
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Dopo aver ricordato a chi compete la necessità di difendere i nostri studenti, Luigi De Magistris ha espresso al liceo “Vittorini”, colpito dall’ennesimo raid degli squadristi di Casa Pound, la sua solidarietà maddalena-cerasuolopersonale e quella della città che amministra. L’ha fatto senza esitare e a testa alta, com’è naturale per un sindaco legittimato dal voto di quella che Mussolini definì la capitale dell’antifascismo.
Preoccupati dalle conseguenze di scelte discutibili, fino ad apparire insensate, gli uomini del PD, invece, sono sulla graticola. Da anni ormai nessun dirigente “democratico” chiede alla Questura com’è che la forza pubblica carichi e manganelli quotidianamente studenti e lavoratori, ma manchi puntualmente all’appuntamento, quando la piazza è in mano a Casa Pound. Il PD ha forse paura che il Questore, chiamato direttamente in causa, sia costretto a puntare il dito? Che può fare un Questore, infatti, se la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione – che dipende dall’ineffabile Alfano – presenta i neofascisti come bravi ragazzi il cui «impegno primario» è volto alla «tutela delle fasce deboli»? E, d’altro canto, che mai potrebbe chiedere al “suo Prefetto” il PD, se, alla resa dei conti, il funzionario rappresenta un governo di cui il partito di Renzi è la trave portante? Messo alle strette, il Prefetto finirebbe col dire ciò che tutti sanno da tempo: suo malgrado, il prefetto rappresenta un governo la cui legittimità costituzionale è praticamente inesistente.
E’ inutile girarci attorno. Il PD è un partito che non ha radici nella nostra storia e lavora soprattutto per distruggere la scuola, l’università e il sistema formativo e creare un popolo di “senzastoria”, un “bestiame votante” di cui servirsi per piazzare patacche sul mercato dei ferri vecchi. Quel mercato in cui a buon diritto rientra ormai quanto sopravvive della nostra democrazia. Non a caso ha espulso dai suoi ranghi persino Maddalena Cerasuolo, partigiana decorata e combattente delle Quattro Giornate, cui era intitolata la sede del partito che si trova alla Cesarea. Una sede che ha cancellato il nome glorioso dell’antifascista. Perché stupirsi? Un partito antifascista non può contare sui voti delle destre e non può governare con gli Alfano, i Verdini e i Berlusconi, l’alleato del Patto del Nazareno. A questa gente il PD doveva regalare per forza il massacro della Costituzione antifascista e il peggioramento del Codice Rocco.
Tutto sbagliato? Beh, basterebbe smentire coi fatti, chiedere conto al Questore di amnesie da anni Venti e restituire alla mortificata sezione il nome cancellato. Maddalena Cerasuolo non va più bene, perché troppo comunista per un partito di senzastoria? Ma Napoli è un campionario di antifascisti e per il PD c’è solo l’imbarazzo della scelta: tra i combattenti antifascisti ci furono liberali come Alfredo Parente e Alberto Bouché, repubblicani come Pansini ed Ezio Murolo, socialisti come Zvab e persino democristiani come Gustavo Troisi. Non sono i nomi che mancano purtroppo. E’ mancata e mancherà la volontà politica. I voti delle attuali destre, infatti, quali che siano e comunque camuffate, persino quelle infarcite di padrini e patroni del neofascismo, si pagano a caro prezzo e non puoi tenerli assieme alla città antifascista e alla sua storia di lotte per la democrazia. Poiché il piatto piange e gli affari di un tempo sono solo un ricordo, se vuoi tentare il colpo disperato e tentare di vincere al ballottaggio, costruendo un’ammucchiata contro l’odiato De Magistris, devi rassicurare i futuri alleati. Tutti, anche quelli impresentabili, come gli sponsor di Casa Pound.
I conti torneranno? Per carità, tutto è possibile e chi vivrà vedrà. Intanto, però, mentre Casa Pound si muove indisturbata, la scommessa è sempre più azzardata e i segnali sono chiari: Napoli è più sveglia che mai e i napoletani non sono in vendita.

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