Manovra killer.
Pagano i pensionati, la malapolitica e il pubblico impiego! No, paga chi non ha mai pagato… Paga il vicino di casa perché lo può fare! No, paga il Meridione che vive di camorra, pagano gli evasori.
Paghi tu! Pago io?
Chi pagherà alla fine si sa, sarà solo la povera gente. Quello che non sa nessuno e forse nessuno saprà mai è quanti sono i miliardi che stiamo spendendo per tornare a bombardare le colonie come ai tempi del duce. Chiediamolo al Presidente, che tanto l’ha voluta questa guerra: quanto ci costa ogni giorno bombardare la Libia, signor presidente Napolitano?
Archive for agosto 2011
Libia: quanto ci costa ogni giorno la guerra di Napolitano?
Posted in Interventi e riflessioni, tagged camorra, Duce, evasori, Giorgio Napolitano, Libia, malapolitica, manovra killer, Meridione, pensionati, pubblico impiego on 23/08/2011| Leave a Comment »
Sacco, Vanzetti e la grande democrazia…
Posted in Interventi e riflessioni, tagged "civiltà occidentale", democrazia, Sacco, USA, Vanzetti on 23/08/2011| Leave a Comment »
Ho sentito mille volte ripetere che gli Usa sono una grande democrazia.
Lo dicono – e sono miliardi – tutti coloro che sono fermamente convinti che una democrazia sia un regime politico in cui il potere compie i peggiori crimini, poi, quando ammetterlo non costa più nulla e non ci sono prezzi da pagare, è disposto a riconoscere che forse non tutto è andato come voleva la legge…
Ricordare Sacco e Vanzetti messi a morte il 23 agosto 1927 per le eterne menzogne sulla “sicurezza” non significa altro che questo: prendere atto dell’infinita barbarie di quella che siamo soliti chiamare “civiltà occidentale”. La civiltà di Guantanamo e dei “clandestini” annegati nel Mediterraneo. La “civiltà” che paga i disastri causati dai banchieri governati dalla Bicciè, massacrando la povera gente.
Giavazzi: “E’ stata una buona giornata per il capitalismo”… Il fallito cura il fallimento
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Alesino, Biagi, Canossa, capitalismo, dittature, Federal Reserve, forme liberali, Giavazzi, Gotz Aly, Lehman Brothers, Madrid, Mussolini, Olocausto, paralumi in pelle d'ebreo, Pietro Ichino, Roma, Siria, Susanne Heim, Treu, Tunisi, USA on 20/08/2011| 4 Comments »
Parlando di lavoro in anni non sospetti, Pietro Ichino l’ha scritto con onestà che va riconosciuta: “la sicurezza è un bene della vita”. Subito dopo, però, chiamato all’ordine dal feticcio che adora – dio ci scampi dall’integralismo degli economisti! – e sentendo sulla coscienza l’intollerabile peso dell’eresia, come ogni credente peccatore, cosparso il capo di cenere, s’è presentato a Canossa, precisando: “Ma costa, come costano tutte le polizze assicurative. I giovani italiani devono valutare questo costo; e rifiutarsi di pagarlo se è troppo alto”.
Proprio così: rifiutarsi. Come se al giorno d’oggi, cococorizzati, flessibili e precari, come li han voluti la scienza di Treu e di Biagi e il singolare concerto di padroni, politici e grandi sindacati, i giovani potessero dire un sì o un no ed essere ascoltati. Ichino, Giavazzi, Alesino e compagni, presi da ben altri pensieri, non se ne sono accorti, ma i giovani i loro no li dicono da tempo; ovunque, tuttavia, a Roma come a Madrid, a Tunisi come in Siria, ognuno a suo modo, con le nobili forme liberali e quelle ignobili delle dittature che i liberali tengono in piedi, ovunque la sapienza politica del mercato ha dato l’unica risposta che conosce, quando le formule fanno bancarotta e la fame si fa sentire: repressione. Di questo Ichino non si occupa. Altri hanno il compito di por rimedio ai danni prodotti dalle sue teorie; maialino ben pasciuto e sazio, lui chiama a raccolta i benpensanti, gridando al teppismo”, o pretenda la scorta perché si sa: chi protesta è di norma un… terrorista.
Il fatto è che più gli economisti borghesi fanno le loro analisi, più il loro “mercato” si rivela un tragico “Monopoli”, in cui le previsioni puntualmente sbagliate di Giavazzi e le correzioni rovinose di Alesino mettono in gioco la vita della gente. E’ vero. Tutto può avere logica economica – ce l’aveva persino la pelle d’ebreo, usata per costruire paralumi – ma non ci sono dubbi: se non la governano una filosofia della storia e un sistema di riferimento fondato sui diritti e sulla solidarietà, la legge del mercato ha esiti aberranti. Gli studi di Gotz Aly e Susanne Heim l’hanno dimostrato: anche l’olocausto ebbe ragioni economiche. Ichino ha certamente ragione: “La sicurezza è un bene della vita”. E’ disumano, però, fa dubitare della buona fede e chiama alla mente i paralume degli ebrei, quando, correggendo se stesso, riprende la solfa del mercato e sostiene che il “problema è come conciliarla con la flessibilità del sistema produttivo”.
Nel lucido delirio delle formule su cui si fonda l’analisi di mercato, non esistono uomini e costi umani. Il pianeta è un deserto. C’è un mercato senza mercanti, c’è un prodotto e non ci sono i produttori. Tutto si sacrifica a un astratto fine economico e per il resto vada come vada. E’ la logica di Mussolini che il 10 giungo del ’40 delirava: occorrono alcune migliaia di morti per sedersi da vincitori al tavolo della pace. Preso da quest’idea religiosa del mercato, come Ichino parla di lavoro e ignora i lavoratori, cosi Giavazzi, in trance, vede davanti a sé uno scenario astratto, tutto banche, Tesoro, e Federal Reserve. Questo vede e non s’accorge del macello di sogni, di speranze e vite umane travolte e spente. Tre anni fa, nel settembre 2008, quando i media prezzolati ridussero la tragedia di Lehman Brothers a un via vai di tranquilli impiegati che portavano a casa scatoloni di carta e un licenziamento, Giavazzi scrisse un’apologia del fallimento deciso dall’infallibile mercato: Ieri, sostenne, preso da irrefrenabili contrazioni di piacere “è stata una buona giornata per il capitalismo”. Così: una buona giornata. E si lanciò in un elogio adornate del Tesoro USA che, a suo modo di vedere “con grande coraggio […] ha detto basta. Il costo è stato elevato, il fallimento della terza/quarta banca d’investimento al mondo, ma il mercato ha impiegato meno di cinque minuti a capire”. Il mercato per Giavazzi aveva capito tutto e subito. Lo Stato non era intervenuto più di tanto, liquidi in circolazione ce n’erano ad abudantiam, e di che preoccuparsi? Quando c’è un problema, ci pensa il mercato. E’ come dire la provvidenza divina. Per Giavazzi il settembre del 2008 era “una svolta importante, la vittoria del mercato. Con buona pace di chi ripete che ciò che accade negli Stati Uniti è la prova che il capitalismo è finito.” Oggi sappiamo come sono andate effettivamente le cose: “E’ stata una buona giornata per il capitalismo”. ma le giovani generazioni non hanno futuro e l’intero pianeta s’è imbarbarito.
Parole d’uomini e sassi
Posted in Racconti, tagged Amedeo Maiuri, Fuoriregistro, Sant'Agostino, Settecento, teatro, Vicolo di Mercurio on 03/08/2011| Leave a Comment »
La generosa mano di vernice rosso ocra, passata e ripassata sul velo di cementite e sugli esperti rattoppi di cazzuola all’intonaco steso con cura sui massi di conglomerato ha fatto miracoli. Qua e là s’intuiscono ancora vegetali fossili nell’argilla scavata dal vento e dalla pioggia, ma il lavoro è riuscito. In cassa non c’è un centesimo da spendere, ma i giovani volontari del “campo estivo” gli hanno fatto l’abito nuovo e il muro antico e prezioso è ringiovanito. Come tanto tempo fa, svoltando sulla destra dal Vicolo di Mercurio, sotto un’elegante edicola che subito attira lo sguardo, si conserva, dio solo sa come, l’eterna malinconia che l’ignoto poeta incise con la punta amara d’uno stilo dolente, che il tempo e le sue leggi beffarde si sono incaricati di sconfessare. Chi passa e si ferma all’ombra, cercando ristoro dal sole, non può fare a meno di leggere:
“Nihil durare potest tempore perpetuo.
Cum bene Sol nituit, redditur Oceano;
decrescit Phoebe, quae modo plena fuit.
Ventorum feritas saepe fit aura levis“.
E’ una musica dolce e struggente:
“Nulla durare può eterno nel tempo,
il sole che splende all’Oceano torna;
cala la luna che or ora fu piena.
Furia di venti alito si fa spesso“.
Un muro è teatro, un muro è memoria e, se tu chiudi gli occhi, si leva il sipario e la vita va in scena. A quel muro poggiò elmo e spada il soldato stanco, reduce dalla ferocia della guerra; lì pianse di gioia la giovane fanciulla per l’amore ritrovato, senza poter sapere che proprio lì, spalle a quel muro, nell’ombra complice delle sue squallide sere, una meretrice vendeva l’innocenza perduta.
Un muro è una pagina di storia sociale: “fate la carità“, ci ha scritto disperato il mendicante, e su quelle sue parole ha sputato sprezzante chi non conobbe il morso della fame. E c’è chi, irriverente, ci ha spruzzato l’esito d’una ubriacatura, c’è chi s’è appoggiato vacillante, mentre rendeva l’anima a Dio in una sera di solitudine disperata, quelle in cui la morte giunge inattesa e uccide a tradimento.
Un muro conserva il segreto che non sai. Ricorda chi per primo, pietra su pietra, l’ha costruito e ormai non c’è più, col suo lavoro di servo ch’è stato tormento; sa di una lite tra vicini in lotta nei tribunali, per rivendicare la sua proprietà: “aura sacra fames“, detestabile avidità di ricchezza! Chi avrà vinto la causa? Nessuno ricorda, ci son leggi che cambiano e mai s’è dato davvero che la giustizia sia stata uguale onestamente per tutti. Un giudice s’è fatto incantare dalle parole alate d’un principe del foro, un altro se l’è comprato l’immancabile corruttore, uno ancora si sarà distratto, preso dagli affari suoi personali. Chi ha perso l’avrà capito a sue spese che legalità e giustizia fanno spesso a pugni. Chiedilo al muro, se passi, e te lo dirà.
Quel muro in guerra s’è bruciato, in pace s’è adornato, s’è salvato dalle ingiurie del tempo, ha subito le offese degli uomini e senza saperlo s’è fatto documento a più strati, sicché sono secoli e secoli che uno ci legge l’evo antico, un altro ci scopre il Settecento delle scoperte archeologiche e c’è persino chi racconta che lì, proprio lì, all’ombra di quel muro, Amedeo Maiuri, il grande archeologo, s’inventò quel suo gesso rivelatore, che dal nulla materializzò le vittime d’una terribile eruzione, colte negli ultimi spasimi dell’agonia. E’ la tragedia cui il muro è scampato, quella che lo “sterminator Vesevo” ha più volte causato, senza distinguere tra l’onesto e il disonesto, sicché il muro saggio ripete a chi ascolta: – “Agostino, smettila una buona volta di voler capire il disegno divino!. Ma Agostino insiste e col suo secchiello cerca di mettere l’Oceano in un piccolo buco scavato sulla riva del mare.
Un muro è un muro. Vive perché così vollero mani d’uomo e parla il muto linguaggio del tempo. Non ha scienza, ma è spesso coscienza. “ Nihil durare potest tempore perpetuo… Nulla durare può eterno nel tempo…” Storia e uomini, uomini e storia. In mezzo, a far da tramite, un cumulo di pietre. Documenti. C’è uno scambio di parole lontane tra uomini e sassi. L’infarto del nostro tempo amaro l’ecocuore lo sente in questo punto vitale: tra i muri crollati e le nostre parole cancellate. Nostre, di uomini e sassi giunti fino a un tempo muto, che non ha parole né per uomini, né per sassi.
Il tempo della fine.
Uscito su “Fuoriregistro” il 2 agosto 2011