Testimoni
Liberale si definisce il nostro Parlamento nel suo insieme. Questo tornare al vecchio è segno distintivo dei nostri tempi nuovi. Fatta l’Italia, abbiamo finalmente gli italiani: cattolici, socialisti e comunisti all’ombra di Smith, del Fondo Monetario e delle guerre infinite e umanitarie. Imperando il mercato, non siamo più lavoratori produttori, ma clienti consumatori e, d’altro canto, come non esultare? Liberale fu Crispi con le sue leggi speciali, il suo colonialismo di retroguardia che ci condusse al disastro di Adua, e liberali, uno dopo l’altro, furono Rudinì e Pelloux con gli stati d’assedio e le leggi liberticide, liberale fu Bava Beccaris, decorato per il fuoco a mitraglia aperto su inermi morti di fame, liberali furono i giudici che seppellirono sotto secoli di galera e domicilio coatto socialisti e libertari. Liberale fu l’Italia delle stragi proletarie, l’Italia della Libia aggredita e della grande guerra, coi carabinieri che sparavano nella schiena ai combattenti e i centomila nostri soldati finiti in mano nemica e lasciati morire di stenti dal nostro governo perché la resa divenne diserzione. Tutti così moderati, borghesi e progressisiti, che val la pena ricordare ai neofiti del capitale la sorte dei dissidenti ai tempi dell’Italia liberale verso la quale stiamo ritornando.
Anarchica
Clotilde Peani nasce a Torino il 18 aprile del 18731, da una modesta famiglia di lavoratori, messa in ginocchio dalla crisi che investe l’economia europea, sconvolge il corso della moneta, frena bruscamente la “crescita” – araba fenice dei sacerdoti del “laissez faire” – ma non intacca l’incrollabile fede borghese nel mercato e nelle leggi del profitto. E’ in nome di questo credo che Marco Minghetti, deciso a colmare il disavanzo dello Stato senza rinunciare alle immancabili spese militari, come comanda la religione liberista, non trova di meglio che seppellire i lavoratori sotto una marea di tributi, esazioni e balzelli approvati da un Parlamento che ignota le imposte dirette, rappresenta esclusivamente se stesso e le classi agiate e si accinge a bocciare Scialoja e l’obbligo scolastico2.
Il destino ha leggi sue intangibili e, a rigor di logica, Clotilde, non ha scelta: figlia di povera gente, le tocca in sorte un futuro classista da sartina, che l’oleografia borghese vorrebbe “signorinella pallida,” rassegnata e persa nei ricordi di un vecchio “notaro”. A scuola dura poco, appena il tempo di imparare a leggere, scrivere e a far di conto, poi la miseria la conduce in fabbrica, dove cresce rapidamente. E’ poco più che adolescente, quando prende a frequentare i socialisti libertari e a diffondere volantini, giornali e opuscoli “sovversivi”, che legge avidamente, imparando ben presto a cogliere gli interessi nascosti dietro le belle parole dell’amor patrio3.
“L’era democratica non è a priori favorevole alle donne”, è stato scritto. E non a torto4. Mentre le utopie socialiste sembrano collocarsi ancora fuori della storia, “il lavoro delle donne è un luogo tanto di supersfruttamento quanto di emancipazione” e “la società politica uno di esclusione e di riconoscimento”5. Clotilde lo impara presto a sue spese. “Nubile, anarchica” e naturalmente “di cattiva condotta morale”, secondo le formule burocratiche e la concezione “reazionaria” della vita, tipica dei questurini nella “liberale” età di Giolitti, la giovane donna si sottrae, consapevolmente al cliché della “moglie fedele” e della “buona madre di figli”, ma anche in questo caso non ha scelta e fa “vita irregolare”: ha opinioni politiche che portano il segno del pensiero di Bakunin Merlino e Malatesta ed è fumo negli occhi per una società ingessata nei formalismi borghesi, che si proclama liberale, ma chiude in gabbia il dissenso e si lascia tentare dalle aberrazioni lombrosiane; un società che mostra di vivere la “Belle époque” con l’aria dissacrante del “café chantant”, ma diffida del sesso femminile, escluso dalla cosa pubblica e circoscritto nel limbo delle mura domestiche, e se ipocritamente ha per sante le madri e le sorelle, intimidisce le mogli e riduce le donne libere al rango di prostitute e cocottes. Né, d’altra parte, la libertà sessuale suscita entusiasmo tra i compagni di lotta: i rari casi di “amore libero” si sono risolti in maniera amara con le donne che si sono autoemarginate, “forse perché i compagni ne disprezzavano il corpo”, o hanno fatto scelte borghesi, sposando i loro compagni, sicché i libertari hanno trovato “nelle loro donne, che ne temono la perdizione, i primi avversari e sono perciò con esse sempre in contrasto”6.
Innamorata dell’anarchico romagnolo Dionigio Malagoli, va a vivere con lui “more uxorio”, come scrivono con aperto disprezzo i rapporti di polizia, poi lo lascia per il napoletano Giuseppe Di Domizio, un cartolaio anarchico conosciuto da tutte le questure del regno per le sue idee libertarie, e si stabilisce con lui a Londra7. Nella metropoli inglese, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento l’animo ribelle di Clotilde nasce a nuova vita tra i fermenti più avanzati dell’anarchismo internazionale, cui l’accostano la breve ma intensa amicizia che la unisce a Roberto D’Angiò e Giuseppe Ciancabilla, entrambi legati all’élite del movimento libertario francese e all’autorevole “Les Temps Nouveaux” diretto da Jean Grave8.
La donna che lascia la capitale inglese nel 1905 col falso nome di Angela Angeli ha intelligenza brillante e parola convincente, è una militante appassionata, una convinta antimilitarista e, soprattutto, è incompatibile con gli schemi della morale puritana e maschilista dell’Italia liberale e borghese. Passa abilmente tra le maglie strette del controllo poliziesco, fa giri di propaganda e si fa notare per le affollate conferenze, la passione libertaria e gli stretti rapporti che intrattiene col fior fiore del “sovversivismo” toscano. Fermata a Livorno e spedita con foglio di via a Napoli, dove l’attende Malagoli col quale s’è riconciliata, nel 1906 è già tornata alla militanza politica9. Coperta da un falso nome – ora si chiama Angiola Mallarini – è segnalata al circolo “Germinal” di Pisa, a Roma, Milano, Londra e Parigi, e ovunque prende contatti con nuovi compagni, ovunque contrasta sterili ribellismi, sostenendo la necessità di rispettare le decisioni adottate ai congressi, ovunque fa circolare stampa antimilitarista. “Come donna” – riferisce a Roma un questurino – “è pericolosa, perché suscita eccitamento tra la folla e con la sua audacia può trascinare i compagni”.
In realtà, non è facile fermarla, sicché a poco a poco la mancata sartina percorre per intero il cursus honorum dei più temuti compagni, sicché, a dicembre del 1910 si merita l’etichetta di sovversiva pericolosa.10.
I colpi prendono a giungerle ora violenti, uno dietro l’altro. Non ha ancora cinquant’anni, quando, in rapida successione, la stretta repressiva causata dalla guerra e il fascismo, che allunga ormai la sua ombra implacabile e nera sul paese prostrato, la costringono a fare “vita ritirata”. Non è ancora una resa incondizionata se, nel 1925, tuttavia, il regime, che va perfezionando il sistema repressivo ereditato dallo stato “liberale”, è costretto a prendere atto: la donna, benché “tormentata da seri problemi di salute che spesso la tengono a letto”, non “dà segni di attività politica”, ma “resta fedele all’anarchia”11. A quel punto, poiché l’oppressiva sorveglianza e le ripetute e intimidatorie perquisizioni domiciliari non bastano a piegarla, giungono “provvidenziali” – tra i sovversivi è ormai un’epidemia – i “segni di squilibrio mentale” che chiudono la dolorosa partita col fascismo e aprono a Clotilde le pesantissime porte dell’ospedale psichiatrico provinciale di Napoli12. Nel calvario inatteso che l’attende, la donna non sarà sola. Come per una misteriosa predisposizione, un inspiegabile legame tra pazzia e sovversione, la donna incontrerà compagni di fede e di sventura e qualche smarrito “oppositore occasionale”, sepolto a vita per una frase sfuggita nel vino e nell’ira. Teresa Ravanello, che giungerà anni dopo, è solo la tenutaria d’un bordello. Ascoltando Mussolini parlare alla radio e minacciare guerre, non ha saputo frenare l’invettiva: “Parla, lui parla, fa i discorsi ma siamo noi che paghiamo le tasse”. Un anno di confino fatto di ribellioni, prepotenze e un feroce repressione, poi, com’è accaduto a Clotilde, come accade a molti di quelli che non si piegano, l’ha presa una follia inopinata, “un delirio cronico d’interpretazione” che non si spiega con le nozioni della scienza medica; come talvolta accade, è una pazzia che cova proditoria nell’ombra, senza dar segno della sua esistenza e d’un tratto cresce ed esplode. Il passaggio obbligato, però, sta nelle pieghe buie d’un regime che non sopporta asimmetrie, non accetta “sbandati” e “irregolari”, non tollera dissensi e conduce fino all’estrema disperazione chi prova ad opporsi. In quei tragici corridoi si aggireranno con la Peani Tommaso Serino, un disoccupato sorpreso a far propaganda contro il regime e improvvisamente “impazzito”, e il sellaio Salvatore Masucci, socialista libertario, che ha affrontato armi in pugno i fascisti e non ha avuto scampo: dopo anni di confino, carcere e fughe all’estero, è finito al manicomio civile e ci ha trovato la morte civile. Assieme a loro l’anarchico Vincenzo Guerriero, un irriducibile, passato per Ustica, Tremiti, Ventotene, Pantelleria e Santo Stefano, uno che la polizia liberale ha sbattuto in galera e manicomio con Crispi, Rudinì e Giolitti, ma non s’è arreso finché stenti, fatica e solitudine non l’hanno schiantato e ormai – scrivono i questurini – non è “più in grado di concepire e manifestare qualsiasi idea e tanto meno di natura politica”13.
E’ il 1930: Parigi, Londra, le conferenze, la stampa libertaria, tutto per Clotilde Peani si è fatto incredibilmente lontano e a poco a poco si spengono l’intelligenza brillante e la passione militante. L’Italia è un paese guerriero e i liberali, passati in massa nelle file fasciste, hanno bisogno di libertà di manovra sicché, dove non sono bastati il manganello e l’olio di ricino, tornano utilissimi il manicomio, la camicia di forza e i farmaci convulsivanti.
L’ultima notizia certa su Clotilde Peani risale all’agosto del 1942: è ancora ricoverata e tutto lascia credere che abbia chiuso i suoi giorni in manicomio14. A Napoli, a Port’Alba, dove a lungo trascorse i suoi giorni, né un fiore né un marmo ricordano ai giovani che passano il suo nome e il suo impegno per un mondo migliore.
Note
1] Achivio Centrale dello Stato di Roma, Casellario Politico Centrale, (d’ora in avanti ACS, CPC) busta (di questo momento b.) 3797, fascicolo (d’ora in poi f.) “Clotilde Peani”, cenno biografico al 24-3-1905.
2] Sulla politica economica di Minghetti e sul suo ruolo di uomo di governo della Destra, Raffaella Gherardi, L’arte del compromesso. La politica della mediazione nell’Italia liberale, Il Mulino, Bologna, 1993; Aldo Berselli, Il governo della Destra. Italia legale e Italia reale dopo l’Unità, Bologna, Il Mulino, 1997. Massimo M. Augello e Marco E. Laura Guidi, Gli economisti in Parlamento 1861-1922. Una storia dell’economia politica dell’Italia liberale, Franco Angeli, Milano, 2003. Antonio Scjaloia ministro dell’Istruzione Pubblica nel governo Lanza dall’agosto del 1972, fu confermato nel secondo Ministero Minghetti, ma si dimise il 6 febbraio 1874 per la mancata approvazione del suo progetto sull’istruzione elementare obbligatoria. Costituì una commissione d’inchiesta sulla scuola che raccolse una preziosa mole di documenti, oggi conservati nel l’Archivio centrale dello Stato. In proposito si veda Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Fonti per la storia della scuola, IV, L’inchiesta Scialoja sulla istruzione secondaria maschile e femminile (1872-1875), a cura di Luisa Montevecchi e Marino Raicchi, Roma 1995. Sulle politiche scolastiche dell’Italia postunitaria si veda Francesco Cormino e Giuseppe Aragno, Il giacimento in fondo allo stivale, Scuola e cultura nel Sud, Laterza, Roma-Bari, 1997.
3] ACS, CPC, b. 3797, f. “Clotilde Peani”, cenno biografico, cit.
4] Geneviève Fraisse e Micelle Perrot , Storia delle donne in Occidente. L’Ottocento, Economica Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 4.
5] Ivi.
6] Archivio di Stato di Napoli, Questura, Gabinetto, II Serie, 1881-1901, b. 128, f. “Associazioni sovversive”, nata n. 2887 del 15-6-1894.
7] ACS, CPC., b. 3797, f. “Clotilde Peani”, cenno biografico, cit.; ACS, CPC, b. 2946, f. “Malagoli Dionigio” e b. 1781, f. “Di Domizio Giuseppe”
8] Ivi, b. 3797, f. “Clotilde Peani”, cenno biografico, cit., b. 1612, f. “D’Angiò Roberto”. Su Giuseppe Ciancabilla e Roberto D’Angiò, si vedano Nunzio Dell’Erba, Giornali e gruppi anarchici in Italia 1892-1900, Franco Angeli, Torino, 1983, passim e le schede curate rispettivamente da Alessandro Luparini e Mario Mapelli per il Dizionario biografico degli anarchici italiani, Biblioteca Serantini, I, Pisa 2003, diretto da Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Iuso, pp. 393-396 e 489-490.
9] ACS, CPC., b. 3797, f. “Clotilde Peani”, cenno biografico, cit.
10] Ivi, nota senza numero del 21-12-1910 da Prefetto di Napoli a MI.
11] Ibidem, nota senza numero del 4-12-1925, da Prefetto di Napoli a MI.
12] Ibidem, nota n. 12365 del 27-11-1930 da Prefetto di Napoli a MI.
13] Per la vicenda della Ravanello e di Masucci, Guerriero e Serino, si vedano Archivio di Stato di Napoli, Prefettura, Gabinetto, II versamento, b. 48, f. “Relazioni mensili 1937”, sf “Relazione maggio”, nota 103319 del 26-5-1937 da Questore a Prefetto, e ACS, Confino Politico, Fascicoli Personali, b. 765; CPC, b. 2576, f. “Guerriero Vincenzo”, b. 3148, f. “Masucci Salvatore”; Rosa Spadafora, Il popolo al confino, La persecuzione fascista in Campania, I, Athena, Napoli, 1989, pp. 317-318 e 376; Giuseppe Aragno, biografia di Guerriero Vincenzo in Maurizio Antonioli, Giampiero Berti, Pasquale Iuso e Santi Fedele, Dizionario biografico degli anarchici italiani, I, Biblioteca Serantini, Pisa, 2003, p. 781, e Idem, Antifascismo popolare. I volti e le storie, Manifestolibri, Roma, 2009, pp. 14-15 e 148-149.
14] ACS, CPC, b. 3797, f. “Clotilde Peani”, nota senza numero del 24-8-1942.