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Posts Tagged ‘Vendola’

Ho ricevuto il testo di un appello in difesa della Costituzione, un invito a firmarlo e la proposta di comitatopartecipare a una iniziativa che intende creare «in ogni regione, in ogni città ed in ogni quartiere, […] comitati unitari di cittadini attivi che organizzino attività di informazione e di divulgazione, coinvolgendo anche la scuola della Repubblica, per rendere consapevole l’opinione pubblica della gravità dei processi in corso ed attivare una effettiva partecipazione popolare ai processi decisionali.
Proponiamo una settimana di mobilitazione, in coincidenza con la celebrazione del 25 aprile, previa intesa con le associazioni partigiane, chiedendo alle associazioni, alle strutture politiche e sindacali, ai corpi intermedi, di aderire al Coordinamento per la democrazia costituzionale, di promuovere iniziative territoriali, e di contribuire a diffondere un manifesto/documento comune su tutto il territorio nazionale».
Mi pareva così naturale firmare, che non ho perso tempo a cercare i promotori. Solo dopo aver firmato, ho scoperto che c’erano anche Fassina, Chiti, e altri campioni del PD. All’amico che mi invitava ho risposto così:

«Non ci sarò. A malincuore, forse, ma per scelta e dopo averci a lungo pensato. Rispondo a te, perché non voglio crearti problemi, ma non avrei avuto alcun problema a rendere pubblica la mia decisione. Lunedì, alla stessa ora si riunisce il Comitato di lotta per la difesa della Scuola pubblica e non intendo mancare. Non ci saranno grandi nomi e nemmeno la direttrice di un giornale che sino alle ultime elezioni politiche tagliava i pezzi di un collaboratore che puntava il dito sul PD e ospitava gli appelli di Bevilacqua per il “voto utile”. Nessuno si accorgerà dei poveri precari, ma mi sentirò meglio con loro, perché, soli e disperati, da tempo urlano inascoltati una verità che, a quanto pare, molti scoprono oggi: la Costituzione antifascista è ormai cartastraccia. Aggiungo solo che dopo aver aderito all’iniziativa, mi vado convincendo che per coerenza dovrò ritirare la mia firma. Ritengo inaccettabile, infatti, la presenza tra i promotori di alcuni parlamentari della sedicente “sinistra PD” e degli eterni “possibilisti” di SEL, nominati grazie all’accordo elettorale di Vendola col PD. Il Partito di Renzi non ha nulla da spartire con la legalità repubblicana e con i valori della sinistra; non a caso, del resto, governa con la feccia di destra guidata da Alfano.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, considero questo Parlamento privo di ogni legittimità morale e politica. Chi ci è entrato, grazie a una legge dichiarata poi ufficialmente illegale, avrebbe dovuto chiedere lo scioglimento delle Camere e le immediate elezioni con una legge proporzionale e senza premio di maggioranza, come indicava chiaramente la Consulta. Di fronte al probabile rifiuto, non potevano esserci dubbi: occorreva uscire dall’Aula, rifiutarsi di rientrarvi e promuovere iniziative di difesa della Costituzione da quello che in effetti è un colpo di mano autoritario. Nessuno l’ha fatto e nessuno ha trattato o tratta Renzi e i suoi camerati come vanno trattati i delinquenti. Perché di questo si tratta: delinquenti. Si va, si prende posto, si polemizza su questo o quel provvedimento, ma non si contesta radicalmente e senza mezzi termini l’esistenza stessa del governo, la sua illegittimità costituzionale e la sua condotta autoritaria; chiusa – ma sarebbe meglio dire strangolata – la discussione, si vota, come se nulla fosse accaduto, come se non ci trovassimo di fronte a una tragicomica riesumazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. In queste condizioni si è eletto persino un Presidente della repubblica e i “difensori della Costituzione” hanno votato e applaudito!
Sono disgustato e non m’importa nulla se passerò per “estremista”. Il mio moderatissimo Arfè, negli ultimi anni della vita, si difendeva da quest’accusa ribaltandola: non sono io che mi spingo sempre più sui confini estremi della sinistra, ma gli altri a correre verso destra. Lo so, il paragone Aragno-Arfè è improponibile, ma nella mia piccola dimensione non ho dubbi: sarò un estremista pericoloso, ma non posso fare a meno di dissentire. La mia coscienza mi impedisce di collaborare con chi ancora milita nel PD o collabora col partito di Renzi negli Enti Locali.
Credimi: ogni parola che leggerai mi è costata una terribile fatica, ma ti ho scritto fino in fondo ciò che penso. Non pretendo di aver ragione, però sono troppo stanco e amareggiato per ascoltare le ragioni degli altri. Te lo dirò, perciò, con le parole di Filippo Turati a un suo amico napoletano: “perdonami e fammi perdonare”.
Cari saluti».

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downloadVendola e Sel fanno finta di non saperlo e cercano ancora l’alleanza con Letta. Ci voleva un deputato dei Cinque Stelle perché la notizia entrasse in Parlamento con la forza e la partecipazione che merita. Siete gli assassini di migliaia di morti ammazzati nel Mediterraneo, urla col fiato spezzato dall’emozione l’on. Girgis Giorgio Sorial all’annichilita Boldrini, che sapeva tutto, ma non si è certo dimessa. Lo siete, nonostante i piagnistei e la sceneggiata del cordoglio. Siete i carnefici dei migranti, anche se quello che accade è legale. Li uccidete legalmente, ma li uccidete. Perché qui da noi è legale respingere chi domanda accoglienza, è legale finanziare criminali che fanno i cani da guardia per conto nostro, è legale intimidire i pescatori che danno soccorso. Questa è la legalità di Alfano  e Letta. Questa la legalità nel nostro Paese. Una legalità che non ha nulla a che vedere con la giustizia sociale.  Nulla.
Si dice di continuo: “sono contro la violenza” . E in teoria è giusto, ognuno può dirlo, tanto non costa nulla. Dopo, però, subito dopo, occorrerebbe spiegare come si esce da questa tragedia senza una organizzata e consapevole risposta di massa. Occorrerebbe farlo, a meno di non valerci far credere che anche la legittima difesa è diventata improvvisamente violenza.

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La coerenza ha un prezzo, mi dico, mentre si scatena il diluvio di biografie, elogi e dichiarazioni di consenso: donnafuori dalle beghe della politicaun buon segnale di cambiamento
Ma di che parliamo? Dell’ultima edizione riveduta e corretta della Camera dei Fasci e delle Corporazioni? Qualcuno sa dirmi chi l’ha eletta deputata la Boldrini? Vendola, Bersani, il “popolo delle primarie“? E chi l’ha messa ora lì, seduta sullo scranno di Presidente? I deputati che abbiamo scelto o una banda di “nominati“? E la maggioranza di sedicenti “rappresentanti del popolo” seduti sui “democratici” banchi di Bersani e dei suoi, sono lì per volontà degli elettori o sono il dono velenoso d’una legge truffa più fascista di quella ideata dal fascista Acerbo?

La coerenza ha un prezzo, ma io voglio pagarlo. Non faccio applausi e non riconosco qualità alla signora che oggi ci ha recitato il prevedibile monologo sui grandi valori della democrazia. Se la signora fosse davvero onesta, non sarebbe dov’è e occorre dirselo: la pantomima che in queste ore si va rappresentando è una farsa che volge in tragedia. Tutto quello che ci può raccontare con incredibile arroganza è il mistero di un popolo che, espropriato di un diritto conquistato col sangue, si leva in piedi e applaude chi l’ha rapinato.

 Ho sempre pensato che fosse una sciocchezza, ma comincio a temere che sia maledettamente vero: ognuno è artefice del proprio destino.

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Confesso il mio peccato: torno spesso alle antiche letture. Gli anni, la formazione, il tipo di cultura, le scorie fatali della militanza hanno finito per collocarmi in quella sorte di “prigione” che molti, non senza disprezzo, definiscono “ideologia” e una sparuta pattuglia di sopravvissuti ritiene sia coerenza tra un sistema di valori, alcuni strumenti di analisi e scelte di vita che coincidono con opinioni politiche. Questa sorta di confessata sclerosi spiega probabilmente la diffidenza stupita per la fiduciosa ricerca del futuro del sistema formativo negli impegni strappati ai candidati e nella cartastraccia che diventano in genere programmi elettorali.
In un’ormai lontana introduzione a un ancor più lontano studio economico di Pietro Grifone, Vittorio Foa, tornava addirittura a Bucharin per individuare nella “simbiosi del capitale bancario con quello industriale” l’essenza della finanza e ricordava un insegnamento di Lenin che non è stato mai attuale come oggi: è impossibile modificare la natura necessariamente aggressiva e socialmente ingiusta del capitalismo, ripulendolo e dandogli una mano di vernice democratica. Il capitale in crisi non lascia sopravvivere diritti. Si studia, studiano i figli delle classi subalterne, nelle fasi di espansione, nei momenti di crescita economica o quando, comunque, i margini di profitto chiedono pace sociale e un fantoccio di democrazia. E’ questione di accumulazione, ma anche di “gerarchie sociali“. La borghesia è nata da una rivoluzione vittoriosa, conosce perfettamente i meccanismi della storia e sa che probabilmente la riforma della scuola e dell’università costò l’Impero agli zar, perché produsse il personale politico del populismo russo e condusse all’ottobre rosso.
Di tutto questo non si parla, mentre il voto è imminente. Va di moda invece una bestemmia: l’offerta elettorale. Un modo per dire che il voto è sul mercato. Offerta. Te lo ripetono con arroganza liberista, mentre si spara a raffica sulla scuola di ogni ordine e grado, mentre si precarizza e si umilia il personale docente e ai giovani si lasciano briciole di istruzione che preannunciano l’avviamento al lavoro. Di educazione nel senso socratico del termine – quella che bada all’intelligenza critica e all’utonomia del pensiero – non parla più nessuno; Socrate non rientra nell’offerta elettorale. Ormai il linguaggio è così drammaticamente deformato, che “aprire” un discorso politico appare un non senso e non si trovano più le parole per porsi domande elementari. Tra Monti e Bersani, col codazzo di forze minori pronte a “dialogare“, quali diversi modelli sociali, quale concezione dei rapporti tra le classi e quale Stato? Per quanti sforzi tu faccia per capire, la sola differenza che cogli è veramente desolante. La banda dei tecnocrati propende per condizioni di predominio del capitale finanziario, senza mediazioni liberal-democratiche di stampo giolittiano, senza “idilli turatiani”, se parlando di Fassina o Vendola, si può scomodare Turati. Un’idea di destra elitaria, con quel che ne consegue in termini di autoritarismo, trasparenza e decisioni prese in modo anonimo nell’ombra impenetrabile di consigli d’amministrazione e controlli di banche alle banche. Un modello sociale che lascia impunito Montepaschi, conduce in Mali e produce F35. In quanto ai “politici”, ecco l’altro volto del capitale, quello più o meno industriale, in cui l’autorità diventa giocoforza azienda – il “sistema Italia” – e “comanda“, come i padroni del vapore che si son “fatti da sé” e possono sfidare le regole in nome dell’efficienza e della produttività. Una “democrazia autoritaria“, che pareva contraddizione in termini e s’è vista all’opera in un esordio nemmeno balbettante, mentre apriva coni d’ombra di natura diversa, senza evitarci la Libia, il Mali e gli F35.
A ben vedere, la borghesia, divisa, sperimenta percorsi differenti ma non lontani tra loro. Per dirla con Gramsci, è al bivio di un nuovo experimentum crucis: non sa dove andare, ma non vuole star ferma e si compatterà. Anche i lavoratori sono a un bivio cruciale: avanti così non si andrà a lungo. Occorre qualcosa che non sia “offerta“, qualcosa che sia analisi e discussione e provenga dal basso. Parole nette se ne sono dette: niente Mali, niente F35, nessun dialogo con le due destre. Si potrebbe firmare una cambiale in bianco, se un abbozzo di riflessione nei giorni che abbiamo davanti, per carità di patria e onestà intellettuale, consentisse di trasformare il generico e insufficiente appello a una “legalità” tutta “giudiziaria“, in una schietta categoria di sinistra: giustizia sociale. Allora sì che scuola e università sarebbero al sicuro. E con esse l’insieme delle conquiste che hanno fatto la nostra storia migliore.

Uscito su “Fuoriregistro” il 13 febbraio 2013  

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Dipinto del pittore Hypnos

Dipinto del pittore Hypnos

E’ vero, i tagli del governo tecnico producono infine i danni che ci fanno greci, ma questo è vietato raccontarlo. Non si deve sapere. Siamo al punto che a Napoli da giorni si gela, ma a scuola non c’è riscaldamento. Fai fatica a dirlo perché lo sai, non ci vuole molto ad avviare l’inaccettabile scaricabarile: “e i genitori non protestano? Magari gli insegnanti sono contenti”! E tu prova a dire che quelli gelano con gli alunni. “E’ il sindaco Masaniello, sono i soliti napoletani“!
Il governo no. Il governo non c’entra.
Ciò che più colpisce è che la brutta faccenda passa sotto silenzio. La stampa, sempre pronta a lottare contro i “bavagli”, da un po’ s’è zittita da sola e il santino Monti, costruito apposta per abbagliarci, continua a brillare. C’è un dire e non dire che fa paura. Si ammette e si sopporta, perché, divisi in due squadre per vent’anni, tutto ciò che ci resta è tornare a tifare. E si sa, al tifoso non importa nulla di come hai giocato. Conta che vinci. Il meccanismo è semplice e collaudato.
E’ vero, si dice, in tredici mesi la disoccupazione è cresciuta e ai giovani s’è negata la speranza. Prima, però… E qui si tace. Altro non serve e ci si capisce: prima, “quando c’era lui, all’estero ci prendevano in giro! Come se oggi ci portassero ad esempio.
E’ verissimo, in pensione si va ormai dopo morti e chi sopravvive alla Fornero farà i conti con la fame. Certo che è vero, per gli assicuratori è stata manna dal cielo. Sì, però prima… E per quel prima che avremmo colpevolmente voluto, ora accettiamo il poi che ipoteca il futuro quanto e più del passato.
D’accordo, sì, con gli esodati l’errore è stato veramente tragico e sarebbe stupido negarlo, qualcuno s’è ammazzato… E’ vero, sì, lavoro non ce n’è e di tutto si sentiva il bisogno, tranne che d’una legge per licenziare… Certo che è vero, s’erano promesse due regole fisse, il rigore e l’equità, poi, strada facendo, il rigore è diventato macelleria sociale, l’equità è sparita, i ricchi hanno scialato e i poveri hanno pagato. Sì, però prima…
Non c’è dubbio, è così: la violenza delle forze dell’ordine ha toccato punte cilene e in piazza non c’è stato un giorno senza manganellate, lacrimogeni e onesti cittadini trattati come malfattori. Ed è vero, sì, in tredici mesi la scuola è stata rasa al suolo e nessuno ha trovato la cosa contraria ai principi della Costituzione. Le scuole dei preti hanno fatto fortuna e quelle statali sono ridotte in miseria. Per un mistero glorioso, Gelmini, travestita da professore universitario, s’è fatta una e trina e ha potuto governare la scuola passando per Profumo, Rossi Doria e la dott.ssa Ugolini. Il Paese, confuso, ha taciuto e non s’è scosso nemmeno quando Napolitano, sorpreso a telefono con un inquisito, ha denunciato i giudici per lesa maestà.
Abbiamo ministri indagati per frode fiscale e sottosegretari rinviati a giudizio per truffa, ma ci siamo detti che però prima… In quanto ai giornali e alle televisioni, c’è mancato solo che il Papa rivendicasse il suo diritto a nominare i santi. Tutto il governo Monti, persino un sospetto ateo come Polillo, è stato levato alla gloria degli altari.
E’ vero, sì, per tredici mesi non s’è parlato di Berlusconi e dei suoi processi, non s’è avuta notizia di escort, scandali e malgoverno. Era un pilastro del paradiso e bisognava tacere. Ci siamo raccontati di un male necessario per una colpa da espiare: con mille euro al mese, vivevamo sopra le righe e lo sapevamo. Napolitano, Bersani, Casini e Fini sono serviti: non s’è votato quando Berlusconi era davvero finito e si sarebbe potuto ripulire il Paese e questo è il risultato. Si è mentito e si continua a mentire: Berlusconi era d’un tratto diventato uno “statista”, tutto prudenza, saggezza e senso di responsabilità e i tecnici, che hanno saputo solo scodinzolare ai mercati, son diventati d’un tratto comunisti, decisi a far pagare la crisi a chi l’ha prodotta: un ceffone mai visto è pronto per gli evasori, si farà guerra a mafia e corruzione e via di corsa con la patrimoniale. I fatti, però, parlano chiaro: uniti e concordi, Berlusconi e Monti hanno consentito le spese più inutili e vergognose, ci hanno addossato i miliardi per lo sporco affare Tav, per gli F-35 e per le banche degli usurai.
Per tredici mesi è stato il trionfo del buongoverno. Ora che il Paese affonda e il dubbio si fa strada nelle menti ottenebrate, ora che un accenno di polo delle sinistre si va costituendo, ecco il colpo di teatro: c’è il diavolo che torna. E fa paura. Come un gregge impaurito dal lupo che minaccia, ci gettiamo imploranti davanti all’altare dei nuovi santi. Va bene tutto e ci facciano a pezzi governi di brava gente e di incorrotti professori. Sulla stampa torna il baccanale: Ruby è sparita ma ricompare, i fari si accendono sui tribunali, non c’è scandalo su cui non si torni. Avremo tre mesi di fuoco incrociato: da un lato l’inferno, che però sosteneva il paradiso, dall’altro l’incontaminata purezza tecnica affiancata da tutto il nuovo della politica: Casini, Bersani, Vendola e Napolitano. Accadrà di tutto e sembreremo persino liberi: voteremo. Poi ci risveglieremo. La prima immagine che vedremo sarà di una chiarezza veramente olimpica: Monti, beato e santo, nella gloria degli angeli Fornero, Profumo, Catricalà e Polillo e un governo di “larghe intese“. Forse allora qualcuno si ricorderà che San Polillo, quando era solo beato, di mestiere faceva il consulente economico del gruppo parlamentare del Popolo della Libertà…

Uscito sul “Manifesto” il 15 dicembre del 2012

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Non lo dirò col linguaggio da trivio del deputato che mostra il dito, ma la premessa è d’obbligo: se il variegato campionario di zerbini che impazza coi sondaggi la piantasse di spacciar veline, il terremoto sarebbe evidente: la maggior parte degli italiani non ne può più di Monti e della sua maggioranza bulgara che, fuori dal Parlamento, è una screditata minoranza. Sui modi si potrà discutere, sulla sostanza c’è poco da dire: l’on. Barbato ha ragione. Se dici Monti, Bersani, Alfano e Casini, più del quaranta per cento degli italiani, quasi metà Paese, si prende l’orticaria, brandisce il crocefisso e urla come invasata: “Vade retro Satana!”. In quanto alla mezzaluna votante, 20 stanno con Grillo, 15 si dividono tra Vendola, Di Pietro, Maroni e Ferrero e il dato, infine, non è solo chiaro, ma rivelatore: fuori del Palazzo, la Bulgaria di Monti è un’invenzione pericolosa, l’effetto d’una causa su cui si impone il silenzio ad ogni costo.

Alla prova dei fatti, Monti in testa, i celebrati professori si sono rivelati asini matricolati. Pochi giorni fa, Squinzi, il Presidente della Confindustria che, com’è universalmente noto, s’è formato alla scuola del bolscevico Zinoviev, gliene ha cantate quattro in tono tutto sommato misurato e se l’è presa col pinco pallino, chiamato a far da ruota di scorta a un governo che, su un percorso accidentato, buca copertoni un metro sì e uno no: il ragioniere Bondi, ha detto, in sostanza il noto sovversivo, ha “fatto solo macelleria sociale”. Se un giudizio così chiaro, netto e pesante nasce a destra, per  volontario “fuoco amico”, non c’è scampo, tu pensi: il venditore di tappeti che nessuno ha mai votato e occupa come un clandestino la poltrona che fu di Giolitti, perché, si dice, il governo eletto non sapeva governare lo spread, tenterà la via della risposta politica. Invece no. Invece la testa sopraffina che ha gettato sul lastrico per errore o dolo centinaia di migliaia di onesti cittadini, che ha affamato i pensionati, che guadagnano mille volte meno di lui, ha cancellato lo Statuto dei lavoratori e ci ha fatto registrare picchi vertiginosi nella disoccupazione giovanile, l’ineffabile professore, non ha trovato di meglio che attaccarsi di nuovo allo spread, che evidentemente neanche lui governa, e invitare Squinzi a star zitto. Sarà pur vero che pinco pallo è un macellaio, nessuno deve dirlo. “Taci, il nemico ti ascolta!”,  è stata, quindi,  la risposta demenziale. D’accordo, à la guerre comme à la guerre, ma quale generale punta alla vittoria, sparando addosso ai suoi? Qui c’è altro e va detto.

Fosse stato in piazza, alla testa di familiari di imprenditori suicidati dalle banche, il Presidente di Confindustria avrebbe probabilmente sperimentato il significato concreto del monito postdemocratico: una banda di manganellatori in divisa protetti dall’anonimato gli avrebbe spaccato le ossa, come accade di norma nelle piazze del belpaese, poi il Manganelli si sarebbe scusato – c’è una beffarda sintonia tra le parole e i fatti – e il sottosegretario De Gennaro avrebbe espresso la sua solidarietà nei confronti dei “servitori dello Stato” che, non a caso, hanno sempre più spesso in petto i segni distintivi delle campagne di guerra e sono scelti apposta tra “guerrieri della democrazia” che girano il mondo, sparando a pescatori e “terroristi” nelle eroiche guerre che sosteniamo alla faccia della Costituzione.

Se ancora qualcuno non l’avesse capito, questa banda d’invasati è decisa a imporre con la censura e la violenza una  ricetta velenosa. Da Genova a Basiano corre un filo rosso e insanguinato ed è ormai chiaro: siamo indigeni in un Paese coloniale. Ha ragione Angelo D’Orsi quando scrive che “le lacrime e il sangue non sono più metafora”, ma il discorso a questo punto non può fermarsi qui. La finanza e i tecnocrati si muovono con violenza perché seguono un progetto preciso e conoscono Marx meglio di noi. Sanno bene che “una nuova rivoluzione non è possibile, se non in seguito a una nuova crisi. L’una però è altrettanto sicura quanto l’altra”. Lo sanno e si preparano; perciò Monti intima a Squinzi di tacere e scatena il manganello. E noi, noi che la crisi la paghiamo, noi che ormai vediamo versare lacrime e sangue, noi che faremo? Lasceremo che rigore e violenza tengano a battesimo la nuova dittatura?

Uscito sul “Manifesto” il 14 luglio 2012 e su  “Fuoriregistro” il 14 luglio 2012

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Tragicommedia. Non poteva che finir così. C’è davvero l’Italia di oggi nei cori sprezzanti dei tifosi contrapposti, nei cortei che si schierano davanti ai palazzi d’un potere sempre più estraneo, come fedeli davanti agli altari, in attesa dell’immancabile “miracolo”. Nell’incredibile confusione tra “liberazione” e “rito liberatorio“, c’è la comica tragedia d’un Paese che non s’è mai veramente “liberato“. Che il fascismo sia stato, come scrisse lucido Gobetti, l’autobiografia degli italiani, ora sì, ora si vede chiaro in questo surrogato di “liberazione“, che ci fa più servi in un inevitabile crepuscolo della democrazia. E’ vero, Berlusconi cade – e questo fa certamente bene – ma a chi torna ai ritmi del poeta latino – “nunc est bibendum” – il vino va alla testa e tutto si confonde nel gioco delle parti. Cade, sì, ma per mano di lanzichenecchi della finanza e di squallidi capitani di ventura, suoi pari, come Sarkozy e la Merkel, che l’hanno detto chiari e minacciosi a Papandreu: se si rompe il giocattolo, si torna all’Europa dei conflitti. Cade e l’Italia fa festa o protesta; in piazza c’è chi l’ha combattuto per anni, impotente, inascoltato e tradito da opposizioni complici che non l’hanno mai inchiodato al conflitto d’interesse, e chi l’ha liberamente eletto, esaltato e spesso idolatrato; strati sociali così vasti e così variamente connotati, che parlare ancora di “società civile” pare non abbia più senso. Brinda, fa festa o protesta, l’Italia, ma è un’Italia avvilita che non trova rappresentanza politica e cerca invano una classe dirìgente capace di arrossire, che mostri senso del pudore e quella capacità critica che distingue gli uomini liberi dai servi sciocchi. Canti, cori, dirette televisive e l’eterno salotto buono, con Di Pietro, folgorato sulla via di Damasco, che non parla più di “macelleria sociale“, Concita De Gregorio, pronta a sostener la tesi insostenibile che è stato il governo a scatenare la crisi economica nata negli Usa, Casini berlusconiano per due e più lustri, Fini capobanda fino all’anno scorso e il solito Floris con una batteria di servizi terroristici sui bancomat in tilt e i soldi sequestrati in banca per effetto del fallimento. Un polverone sollevato ad arte per coprire la miseria morale di una “uscita” dalla crisi di governo che, da qualunque parte la si guardi, non va d’accordo coi principi della democrazia e, quand’anche fosse l’unica, amara e necessaria medicina, non meriterebbe certo una festosa accoglienza.
Morto il re, viva il re, ma operai e docenti stiano allerta. Il “nuovo che avanza” ha già detto basta alla nefasta influenza marxista e al suo “arcaico stile di rivendicazione che è un grosso ostacolo alle riforme” e “finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati“. La ricetta è il solito veleno – il “vincolo della competitività” – e quanto sia efficace s’è “visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili“.
In fabbrica, quindi, flessibilità e mano libera al signor padrone e, in quanto alla formazione, basta col valore legale del titolo di studio e via con l’incubo americano: il figlio del ricco borghese che studia a Milano vale il doppio del cocciuto figlio di poveracci che va a scuola a Canicattì. Che ci va a fare? Lo studente non conta niente, vale il “nome” dell’istituto. Ci sono lauree e pezzi di carta in un mondo in cui chi ha i quattrini per farlo si costruisce la scuola e l’università. Chi decide è il mercato…
Così, Mario Monti, sul Corriere della Sera del 2 gennaio scorso. Altro che nuovo! Monti al governo – un “governo tecnico“, s’intende, di colpo di Stato non si parla più – è una fucilata sparata a bruciapelo sulla democrazia! Lo sanno tutti, Napolitano, gli “scamiciati” del Governo di Unità Nazionale, il rosso Vendola con la formula diplomatica del “Governo di scopo“, Bersani e i suoi, stretti attorno alla bandiera tricolore di un “Governo di transizione” che ci porta difilato al patibolo della Bicciè. Lo sanno tutti, ma fingono di non sapere: dopo un lungo scontro, c’è una resa incondizionata e tutto avviene nello stesso campo: la trincea è quella del peggior capitalismo. Nulla a che vedere coi diritti e la fatica della povera gente, costretta con un colpo di mano a pagare il prezzo d’una crisi per cui Monti è responsabile più o meno quanto Berlusconi. Monti, sì, che, guarda caso, è stato International Advisor della “Goldman Sachs“, ha libero acceso al chiuso “Gruppo Bildeberg, è membro stimato della “Commissione Trilaterale” creata da Zbigniew Brzezinski e Rockefeller e ha partecipato in prima linea, come Commissario europeo per l’economia, alla creazione del mostriciattolo che ci si ostina a chiamare “Unione Europea”.

Uscito su “Fuoriregistro” il 14 novemente 2011 e sul “Manifesto” del 15 novembre 2011 col titolo “Il nuovo avanza ma il capitalismo è sempre lo stesso”.

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