«La sovranità appartiene al popolo». Così recita testualmente l’articolo 1 della Costituzione, ma Renzi lo ignora. Il voto, manifestazione concreta di questa inalienabile potestà, sottolinea l’articolo 48, «è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico». Il cittadino, quindi, ha diritto di scegliere direttamente chi lo rappresenta in Parlamento e nessun governo può manomettere l’esito delle urne, inventandosi premi di maggioranza che moltiplichino il valore di un voto rispetto a un altro. Renzi ignora anche questo principio. Non serve girarci attorno: questo è un colpo di Stato.
Com’è noto, la Consulta non ha potuto fare a meno di dichiarare incostituzionale la legge elettorale da cui è nato il nostro sedicente Parlamento. Con una postilla a mio avviso inutile e non pertinente, che regala un crisma di santità alla scelte passate, presenti e future di parlamentari eletti con una legge che dichiaravano illegale, i giudici della Corte Costituzionale hanno però tirato in ballo la “continuità dello Stato”. Questo è un non senso logico. Posto che non sia un’astrazione e che si debba accettare, è evidente che tale principio non cancella l’articolo primo della Costituzione, che attribuisce al popolo la sovranità. La domanda è perciò lecita: il Parlamento degli «abusivi», che non è espressione della sovranità popolare, in nome e per conto di chi legifera?
Non c’è bisogno di essere costituzionalisti, per trarre dalla sentenza le logiche conseguenze: deputati e senatori non solo non hanno legittimità politica e morale, ma non possono legittimamente votare la fiducia a un governo, perché non sono stati eletti dal popolo e non ne sono i rappresentanti. Il governo, quindi, illegittimo moralmente e politicamente, vive di un voto di fiducia arbitrario e la sua esistenza è in contrasto con l’articolo primo della Costituzione. Persino l’elezione del Presidente della repubblica è probabilmente in contrasto con lo spirito della Costituzione. E’ vero: il popolo non elegge direttamente il Capo dello Stato, ma vero è anche che ad eleggerlo sono deputati e senatori in veste di «grandi elettori». Nel caso specifico, come si fa a ritenere «grandi elettori» parlamentari che nessuno ha mai eletto?
Le ombre di illegittimità morale, politica, ma anche giuridica, sono più lunghe di quanto si voglia far credere. Renzi e i suoi ministri sostituiscono un governo mai sfiduciato. Quando sostiene di voler cambiare la Costituzione perché glielo chiede il Paese, Renzi mente sapendo di mentire, perché, in merito, non ha ricevuto e non avrebbe potuto ricevere alcun mandato popolare: nessun cittadino ha eletto i deputati che gli hanno votato la fiducia. Illegittima quindi è la sua pretesa di imporre una legge elettorale che peggiora quella incostituzionale da cui nasce la sua maggioranza, violenta, estremamente violenta, è la sua decisione di porre mano a una riforma costituzionale.
E’ qui, sulla violenza esercitata dalla banda di «nominati» che tiene in piedi il governo, sul tradimento della Costituzione che si sta consumando, occorre essere chiari e riflettere, senza attaccarsi a inaccettabili cavilli giuridici: la sovranità popolare è stata ripetutamente e violentemente usurpata. C’è solo un modo per ripristinare la legalità repubblicana: sciogliere le Camere e votare con la legge indicata dalla Consulta. Se questo non accadrà, sarà legittimo esercitare quel «diritto alla resistenza», che è stato solennemente riconosciuto ai popoli nei momenti alti della storia umana. Lo ricorda in queste ore don Paolo Farinella: persino Tommaso d’Aquino, uno dei padri della Chiesa, riscattando la dignità di Bruto, riconosce l’amara ma incontestabile legittimità dell’atto più estremo che si possa compiere a difesa della libertà: «chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio».
Più che tornare col sacerdote alla Dichiarazione d’indipendenza degli USA, a quella dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino e alla Costituzione francese del 1793, che riconoscono il diritto-dovere dei popoli a resistere se un governo mira a sottometterli, chiediamoci che significa resistere. Quando si dice resistenza, si parla di formule astratte, per fermarsi alla rivendicazione di un principio? Non è così. E non è vero nemmeno, come pare affermare don Farinella, che tutto debba ridursi all’opposizione di «corpi inermi». La Resistenza che abbiamo appena ricordato il 25 aprile, dimostra che, per fermare un governo – anche legalmente costituito, che però l’ha sottomesso o intende farlo – un popolo non solo può, ma deve ricorrere a tutti i possibili strumenti. Quelli pacifici, se i responsabili dell’abuso, di fronte all’accusa infamante di tradimento, si fanno da parte e accettano di difendersi nelle sedi deputate. Se questo però non accade, se il governo nega la violenza e tenta di imporsi con la forza, resistere allora può anche voler dire mettere mano alle armi in nome della legalità repubblicana e riconquistare la dignità dei cittadini liberi che non tollerano in alcun modo di essere ridotti in condizioni di sudditanza.
Il messaggio di don Farinella quindi non è e non può essere quello di un pacifista che si appella ai principi. E’ la minaccia del gesto estremo che merita la lode e il premio da San Tommaso D’Aquino: o Renzi e i suoi compari sapranno fermarsi prima che sia tardi o tutti noi, costretti a subire una violenza inaudita e insopportabile, dovremo rispondere con una violenza uguale e contraria. E’ un imperativo morale e non potranno fermarci tribunali, processi, galera e truppe schierate in piazza come un esercito di occupazione, secondo un modello già sperimentato in Valtellina.
E’ bene che Renzi rifletta su ciò che il sacerdote gli annuncia: siamo decisi a riprenderci la nostra piena e totale sovranità.