
Leggo da più parti – e spesso sono firme autorevoli – dichiarazioni cupe che trasformano uno stato d’animo comprensibilmente timoroso, in un dato di fatto: la democrazia è morta, si dice e si ripete con crescente insistenza.
L’affermazione è così convinta, da assumere quasi i contorni plastici della realtà e diventare una sorta di manifesto funebre, listato a lutto e scritto con lettere color pece. La democrazia è morta e – come accade in questi casi – il passato diventa bello. E’ un’ipocrita convenzione che, forse sotto i colpi del virus, rischiamo di introdurre anche nella valutazione politica: dopo morti, sui manifesti che ci ricordano, diventiamo tutti mariti fedeli, donne pie, padri, madri, nonne e nonni esemplari. Non sempre è vero, ma nessuno osa contestare.
Intendiamoci, non sto dicendo che di questi tempi ci sia da stare allegri e festeggiare, però, lasciatemelo dire, se quella che di questi tempi chiamiamo democrazia fosse morta davvero, non avremmo certo perso un paradiso terrestre.
Mai come oggi, comunque, è meglio stare ai fatti. E i fatti dicono che la pandemia ha ucciso migliaia di persone e qualche simulacro di diritto. La democrazia, invece, quella che aveva un senso e pareva tutela, l’abbiamo persa che ormai sono decenni, ma ci ha lasciato in eredità una Costituzione ferita che sopravvive però all’attacco feroce del neoliberismo.
E sono proprio i pochi spazi che essa riesce ancora a garantite a tenere testa validamente agli attacchi portati dal Coronavirus, utilizzato come foglia di fico del potere. In ogni caso, se guardiamo ai fatti con la dovuta freddezza, la situazione, da un punto di vista politico, non è più disperante di quella che viviamo ormai da anni. Se qualcosa di cambiato anzi emerge davvero, è che il malato più grave, il morto che parla oggi è il capitalismo. Dalle mie parti si dice che, quando mette le ali una formica è destinata a morire. E’ andata così anche col capitalismo. Negli ultimi anni l’abbiamo visto vincere e volare, poi è precipitato giù come una formica e più i giorni passano, più lo vediamo contorcersi negli spasimi dell’agonia. Certo, i medici sono costantemente al suo capezzale, le provano tutte, ma pare proprio che non sappiano più a che santo votarsi.
Intanto attorno ai diritti si combatte disperatamente, ma i segnali che vengono dal fronte non sono affatto negativi. Dopo tempo immemorabile, per esempio, scioperi spontanei di lavoratori hanno costretto i padroni alla resa. Non è cosa da poco, così come non va trascurata la consapevolezza di larghi strati popolari, ai quali il virus ha mostrato coi fatti le promesse tradite e la Sanità distrutta. Mai come in questi giorni, davanti a occhi sempre più aperti e disgustati, il re non solo è nudo, ma debole, incerto e impaurito.
Pendiamone atto: questo non è tempo di dettare necrologi. A chi è stanco di subire tocca organizzare la lotta. Dopo trenta e più anni di sconfitte, la pandemia ha svelato d’un tratto al popolo indignato la ferocia di un sistema assassino e la gente ora lo sa: le sofferenze che viviamo hanno un nome e mostrano un bersaglio da colpire: capitalismo e classi dirigenti.
Recuperiamo i nostri valori e ricaviamone armi, senza farci prendere da facili entusiasmi e senza cedere a ingiustificati timori. Facciamolo. Tutto quello che accade conduce a una conclusione: di fronte al popolo stanco di tradimenti abbiamo un gigante dai piedi di creta.
