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Archive for giugno 2016

Rfig166Prima del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, pennivendoli, velinari, servi sciocchi e giullari di corte, hanno provato a fare la lezione agli inglesi, spiegandogli quale grave errore sarebbe stato mollare i ciarlatani golpisti targati Merkell. Sono così stupidi questi strapagati scribacchini, da non sapere che gli inglesi sono orgogliosi e non accettano lezioni non chieste. Ora che il dado è tratto, sono disperati, hanno perso la bussola e navigano a vista. Non so chi gli abbia mandato la geniale velina, ma d’improvviso hanno preso a cantare in coro: il popolo non è abbastanza maturo per decidere su argomenti molto complessi.
La paura fa 90 e ottobre è più vicino di quello che pare. Uno dice, va beh, ma la pianteranno, in fondo la storia è maestra di vita e qualcosa la insegna. E no, cari miei, non insegna un bel nulla, se gli allievi non provano a studiarla o peggio ancora, sono penne prezzolate e stupidi figli di un potere cieco.

Questa cazzata liberticida si potrebbe renderla più chiara, ma non vogliono farlo. Basterebbe fare un uso migliore e più appropriato delle parole . Diciamola meglio e prendiamone atto: il popolo non è più sovrano. De Gasperi, Pertini, Togliatti  e Calamandrei erano dei deficienti. E’ sovrana una minoranza di ladri che nessuno ha eletto. Subito dopo però prepariamoci a subirne le conseguenze. Le ghigliottine e le teste cadute a migliaia non furono colpa del popolo, ma di chi aveva deciso di decidere che il voto di una banda di cialtroni contava più di quello che decide il popolo che non sa decidere.

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downloadHo sorriso ieri, all’«ex OPG Je so’ pazzo», pieno di gente, quando un amico di vecchia data mi ha avvisato: «in giro c’è chi dice che ti sei troppo appiattito sul sindaco». Poiché non mi sono spostato di un millimetro e sto come sempre a sinistra, ne ho ricavato una conclusione: come fanno gli storici compiacenti che ignorano i documenti, quando non raccontano la «verità» dei padroni, così alcuni sedicenti compagni fanno con chi non sta con loro. Non ti vedono come sei, ma come vorrebbero che fossi.
Appiattito su cosa? Io, che oggi conosco De Magistris, so che è uomo di sinistra, come può e deve esserlo uno della sua generazione. Più adatto al suo tempo e più a sinistra di certi vecchi sinistri inaciditi. Più adatto per cultura, esperienza e temperamento. E non lo dice uno che scrive le vite dei santi.
E’ inutile che farsi le pulci l’uno con l’altro, mentre il mondo corre e non aspetta. Si può essere diversi e lottare per lo stesso obiettivo. Finché funziona, va bene com’è. Se qualcuno tradisce ne riparleremo.  L’anomalia Napoli ha molti protagonisti e suscita allo stesso tempo timore e spirito di emulazione. Parlo per me, per il contributo che ho potuto dare a un disegno collettivo, a cui tanti hanno messo mano senza per questo «appiattirsi».

Il primo passo concreto l’ho fatto il giorno stesso in cui De Magistris fu messo brutalmente alla porta. In un comitato nato per rispondere alla prepotenza, riuscii a far passare un principio: non stiamo difendendo un sindaco, ma la sua e la nostra città. E mi pareva già chiaro: per i cialtroni romani, Napoli e il suo sindaco andavano subito normalizzati. Erano già un’autentica anomalia.
Subito dopo, naturale conseguenza, il conflitto con la coscienza: un magistrato? Ma no, un ex magistrato… Sì, va beh, però uomo di quelle Istituzioni che hai rifiutato…
Ho cercato un confronto. Raffaele Paura è l’amico che se mi dice sbagli, mi ferma. Avrebbe bocciato l’idea che mi affascinava? E qual è questa idea? La dico sinteticamente. in origine avevo questo in testa: ricondurre il sindaco ai movimenti e i movimenti al sindaco. Come? Una «cessione di poteri», un trasferimento autentico. Per me era ed è un’occasione storica, un treno che non passa due volte. L’opinione, quella che sempre rispetto e quel giorno temevo, fu immediata: sai cosa penso dei magistrati, ma questo non è stato al gioco e s’è fatto mettere alla porta. Merita rispetto. Prova.
Occorreva parlarne anzitutto con lui, con il sindaco. L’ho scritto in un libro e non mi ripeto. Ho discusso del rapporto tra legalità e giustizia sociale, ma l’avevo già fatto nel 2012, quando presentò un mio libro sull’antifascismo e mi sorprese per la coincidenza delle opinioni. Venne la riconferma e fu il primo segnale di un’anomalia. Un magistrato a vita – non gliel’hanno mai tolta la toga, non si può fare – un giurista autentico, colto, che riconosce il tuo stesso confine: la legalità senza giustizia sociale è una prepotenza.

Il secondo segnale fu che ci si capiva benissimo quando si parlava di potere. Anche questa era un’intesa anomala: lo studioso dei perseguitati politici e un ex rappresentante dei persecutori. Solo che, guarda caso, il magistrato era finito tra i perseguitati. E poiché pensavo fosse in fondo un liberale, mi venne in mente Giovanni Amendola, che a quattro passi da Palazzo San Giacomo dirigeva “Il Mondo”, capofila della stampa antifascista che ora un marmo ricorda. Su questa base nacque un’intesa forte. Oggi lo so: l’uomo è integerrimo come Amendola, ma lo scavalca mille e mille volte a sinistra.
Cominciò la messa scalza. Non lasciai fuori nessuno. Tutti la stessa risposta: sì certo ha garantito spazi di democrazia dal basso, ma vorremmo capire. Secco e intellettualmente onesto il no di quello che allora era il Me-Ti; diventato poi Ex Opg, è stato il più veloce nel passaggio del guado e si è inventato il «controllo popolare». In tutti i movimenti c’era gente di prima qualità. Il più illuminante fu per me Mario Avoletto, che non è mai andato oltre una partecipazione iniziale a titolo personale e poi s’è fatto da parte. Mi confermò la formula base che conduce ad oggi: una progressiva cessione di poteri ai comitati attivi sui territori. Potere di decidere, potere di gestire. Seguirono per me incontri con il sindaco, lunghe lettere, riflessioni che avvicinano. Non ci poteva essere e non c’è appiattimento. Era un binario unico, con due forze che non puoi sovrapporre: una sintesi tra «vertice» e «base» che conservano le distanze.

Inizialmente assemblee da carbonari cui si veniva a titolo personale, senza impegnare gruppi e organizzazioni. Anche trovare una sede non era facile. Per l’esordio pensai al «Giardino Liberato», di cui sono peraltro il garante giuridico, ma non si poté fare; mi chiamò da Roma Enrico Voccia, amico carissimo, e mi spiegò che hanno le loro regole: occorreva un po’ di tempo. Aveva ragione a difendere la sua autonomia e non forzai la mano. Poiché il tempo mancava, pensai a Barbara Pianta Lopis, sempre così ospitale. Andò bene e ne uscii confortato*. A Bagnoli, in una sera di pioggia, tra mille scetticismi, la pubblica assemblea e la conferma che non si scavavano buchi nell’acqua.
Il 6 dicembre 2014, infine, missione compiuta: a palazzo San Giacomo c’erano più o meno tutti e l’anomalia Napoli divenne processo in corso. Chi più, chi meno, tutti i movimenti hanno poi fatto miracoli e la stampa dei padroni si è suicidata con la slogan sprezzante: «il sindaco dei sovversivi». Ho poi lasciato tutto in mano a tutti. Non ho mai barato. Non ho mai chiesto nulla. Ho sopportato le persone moleste che misurano gli altri da se stessi e mi hanno inutilmente atteso al varco delle candidature. C’erano compagni presenti all’ultimo garbato rifiuto: no, grazie, non mi candido, ho fatto ciò che credevo necessario. E poi sono vecchio.

Ho sorriso ieri, quando un amico mi ha parlato di appiattimento; gli ho spiegato che è giunta l’ora di farsene una ragione. Si rassegnino i duri e puri. C’è ancora chi lotta per ideali e non si mette in vendita. Ruoli? C’è a questo mondo chi ha sempre fatto ciò che credeva giusto, senza badare a chi fa ciò che gli torna comodo. E’ questa la prima anomalia del caso Napoli.  Se dovesse servire, ci penserei, ma non chiederei il consenso di nessuno. So sbagliare con la mia testa.
In due anni non mi sono mai fatto da parte, ma non mi sono mai nemmeno fatto avanti. Sono entrato in un comitato, uno solo: quello che lotta per la salute mentale. L’ho fatto dopo ripetute insistenze e quando ho capito che si poteva lavorare per un obiettivo che l’Italia ci invidia: l’«Osservatorio Comunale per la Salute Mentale». Non a caso comunale. I compagni che «noi non abbiamo a che fare con le Istituzioni», erano partiti dal ruolo che il sindaco ha: garante della salute. Da un’apertura alle Istituzioni, quindi. Poteva nascere solo così l’Osservatorio. Ho lavorato perché me l’hanno chiesto loro, i duri e puri, ma pochi giorni fa due dei più duri e più puri, un terzo sta dietro e tace, in un empito di durissima purezza me l’hanno contestato: «chi ti ha mai detto di parlare con il sindaco? Lo sai, sono state le nostre lotte…». No, non si tratta di Alzheimer. E’ malafede. Va così a questo mondo. Di mio ci ho messo l’intelligenza politica e il credito che i durissimi non hanno. Ho garantito per loro, bambini capricciosi o ambigui marpioni.

Ancora un passo: aiutare lo sforzo dei «Volontari di Napoli Insieme». Dare una mano a Salvatore D’Amico, che ritiene la solidarietà con i poveri un gesto politico e ha ragione. La sinistra non fa la carità dei preti, come dimostrano la storia del primo socialismo e dei pionieri delle prime organizzazioni operaie. Nessuno meglio di Ernesto Cesare Longobardi lo ha mai spiegato con più chiarezza ai compagni. Si era ai primi del Novecento e lui fu efficace e semplice: «E’ inutile parlare di organizzazione e di politica a chi la mattina non sa se la sera mangerà e non ha dove dormire la notte». Troviamogli un pasto, troviamogli un letto, aggiungo io, poi si potrà parlare di lotta.
Qualche giorno fa qualcuno mi ha detto che sono una merda e ha scagliato l’anatema: «agente del partito De Magistris, presto ti daremo quello che meriti!». Gli ho risposto che non mi fa paura. Non pubblico la lettera firmata perché il minacciato dovrebbe poi preoccuparsi di tutelare la salute di chi minaccia e perciò tengo per me i nomi dei campioni. Vale per loro quello che spesso diciamo dei fascisti: tornate nelle fogne.

* Qui ho corretto alcune parole frettolose e malaccorte. Pareva che ce l’avessi con Enrico o con i compagni del «Giardino Liberato», ma non è così e mi scuso.

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Non servono parole e non ne dico. Questi ragazzi sono eccezionali. Sanno quello che vogliono e sanno come averlo. Con loro ci sono uomini di valore, che stimo profondamente. Dietro si comincia a vedere il futuro e non è un sogno. Ci sono le forze e gli uomini per dare battaglia e ci sono fondate ragioni per credere in una vittoria.
Tutto questo non accade per caso. Per una volta, lasciatemelo dire: ognuno ha fatto e farà la sua parte, ma in tutta onestà, anch’io c’entro qualcosa e ne sono orgoglioso.

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Le cose stanno più o meno così:

Copia di ImmagineRenzi è la manifestazione concreta di una gravissima malattia della democrazia e non lo vuole nessuno.
Renzi è il peggiore e più feroce nemico del popolo italiano; è il boia del suo stesso partito. Dei giovani soprattutto. Perde, perciò, nonostante lo sostenga una stampa peggiore di quella fascista.
Senza Renzi, a Roma ci sarebbe Marino e la Costituzione non sarebbe stata violata.
Senza Renzi, l’amico di Marchionne, a Torino Fassino avrebbe probabilmente vinto.
Senza Renzi, a Napoli il PD avrebbe perso con un minimo di dignità.
Il governo conserva per ora una maggioranza in Parlamento, ma essa di fatto vive esclusivamente nel Palazzo, dove sta in piedi , a condizione che pratichi rapporti contro natura con la feccia prestata da un pregiudicato affidato ai servizi sociali.
Il governo Renzi-Alfano – nei fatti governo Verdini – è maggioranza nel Parlamento – maggioranza di bancarottieri inquisiti, lobbisti di formazione fascista, analfabeti di valori, mezze calzette e venditori di fumo – ma è minoranza sparuta e squalificata nel Paese.
Il PD è irrecuperabile. Ha il popolo contro – anche il suo – ed è un pericoloso suscitatore di odio.

Questo quadro osceno si inserisce nella cornice di un Parlamento di «nominati» privi di legittimità morale e politica. Tutti i parlamentari, infatti, compresi quelli a 5 Stelle, sono accampati nelle Camere come abusivi e portoghesi e le conseguenze logiche sono evidenti: il solo politico che non abbia nulla da spartire con questa vergogna è Luigi De Magistris; il suo movimento è figlio dell’unico laboratorio politico sperimentale che abbia le carte in regola con la Costituzione di Calamadrei e compagni. «Controllo popolare», la formula politica che ne sintetizza l’ispirazione, non è uno slogan populista, ma il primo prodotto di un laboratorio, un modello riproducibile su scala nazionale e in ambito mediterraneo.
Napoli non è la capitale della protesta apolitica, impolitica o antipolitica, come scribacchiano i pennivendoli del Minculpop, ma si propone come punta avanzata di un esperimento politico serio e consapevole; un baluardo contro il «sistema Napolitano» e, di conseguenza, la capitale del fronte del no alla riforma della Costituzione. I neosquadristi renziani di Montecitorio se ne facciano una ragione: De Magistris è il leader politico di un movimento che non è protesta qualunquista, plebea o sanfedista, ma la sola, possibile alternativa politica ai proconsoli dell’antieuropa. Quella Europa che, nel senso «spinelliano» della parola, non ha per riferimento il neofascismo di Bruxelles, rinasce a Napoli e si contrappone all’Europa golpista delle banche e del capitale finanziario, che massacra i popoli e ha torturato e tortura la Grecia. A Napoli vive e cresce una concezione della politica che è l’esatto contrario dell’Unione autoritaria e neoliberista , nel cui nome ogni giorno si massacrano gli immigrati e le classi subalterne. Un’Europa che purtroppo non può essere riformata. Napoli derenzizzata è la capitale di una per ora piccola, ma vitale Europa detedeschizzata; il modello dell’Europa da costruire.

Il primo appuntamento è a ottobre, ma occorre una premessa: al referendum non si voterà sulla qualità della nuova sedicente Costituzione, un aborto semifascista che nessun “sì” potrà mai legittimare. Si va a dire a Renzi che un avventuriero, un proconsole dell’Europa delle banche, che disprezza la Costituzione e la democrazia, se ne deve andare subito, assieme al suo illegittimo Parlamento. Sia l’uno che l’altro viaggiano a occhi chiusi e fuori controllo contro le ragioni della storia. Non a caso nelle piazze francesi in lotta si è diffuso uno slogan: non faremo la fine degli italiani. Questa vergogna non può durare.

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divorzio-siDell’aspirante sindaco Lettieri, non si conoscono bene le opinioni politiche. Si colloca più o meno a destra, ma rispetto ai politici ha sempre vantato soprattutto l’amicizia con Cosentino ‘o ‘mericano, passato da sottosegretario con il pregiudicato Berlusconi a detenuto per camorra.

La cultura politica di Marco Nonno, sostenitore e amico dell’amico d’o ‘mericano, è nota, perché quando può, se ne vanta:  si è formato alla più coerente scuola di neofascismo attiva nella storia della Repubblica, il Movimento Sociale Italiano. Quello al quale forse si ispira oggi Renzi col suo vagheggiato Partito della Nazione. Chi non ci crede, faccia un rapido controllo, Wikipedia non lascia spazio a dubbi: «Il Movimento Sociale Italiano (MSI) fu fondato il 26 dicembre 1946 da reduci della Repubblica Sociale Italiana,  come Giorgio Almirante e Pino Romualdi, ed ex esponenti del regime fascista, come Artuto Michelini e Biagio Pace».

Dopo la conferenza stampa odierna sulla democrazia violata, qualcuno forse si meraviglierà, ma la storia è anche questo e ci sono personaggi dell’attuale vita politica – se di politica si può parlare – che spiegano meglio di  un saggio storico le origini della crisi del nostro sistema politico. Quando Nonno dice MSI, si riferisce a Rodolfo Graziani, il generale fascista e criminale di guerra che comandò l’esercito della Repubblica Sociale. I «repubblichini», sì, proprio loro. I famigerati «repubblichini». Si riferisce – e diventa più chiaro – a un partito politico che non ha preso parte ai lavori della Costituente, contestava la Costituzione Repubblicana, non rinnegava il fascismo e andò incontro in pochi anni a una serie di arresti per ricostituzione del partito di Mussolini.

Queste le radici.

L’approdo, poi,  dimostra, la bontà della scuola. Nonno è vicino a Casa Pound e l’anno scorso, a Pianura, il suo feudo, com’era Cremona per il ras Farinacci, si è dato molto da fare in occasione dell’inaugurazione di una targa storica con le parole del discorso del Duce pronunciato in occasione della fondazione dell’Impero, nel maggio del 1936. Le parole, per i passanti distratti, sono le seguenti e chiunque può leggerle sulla targa:

«Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte».

Per carità, si può ben capire perché gente con questa storia si infastidisca per il controllo popolare che incontra attorno ai seggi. Voler spacciare, però, una storica idiosincrasia per una impossibile passione democratica, è molto peggio che una volgare barzelletta: è una pericolosa sceneggiata. L’ultima.

Poche ore ancora, poi si torna al vecchio copione: Nonno sognerà di nuovo Almirante, Rauti, l’impero e la Repubblica di Salò. Lettieri si pentirà delle sue amicizie. Per fortuna di Napoli, però, sarà tardi.

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lettieri-e-cosentinoCi sono medici pericolosi per la salute, avvocati e giudici che disonorano la giustizia, professori che ti fanno odiare la scuola e preti che ti allontanano dalla tua chiesa. E’ così e sarebbe  stupido negarlo, ma tu non diresti mai che non t’importa più nulla della salute, che non senti più un forte bisogno di giustizia e che è meglio essere tutti analfabeti. Nessun pessimo prete ti ha allontanato dal tuo Dio, se uno ce l’hai. Tu sai bene che faresti una enorme sciocchezza. Con la politica, però, questa sciocchezza la fai e poiché i politici sono diventati quasi tutti cialtroni, non vai a votare. Non lo capisci che è proprio quello che vogliono? Non t’accorgi che così fai proprio il gioco di quelli che disprezzi?

Domani si vota.
Smettila di fare sciocchezze, va a votare e ricordati: se non lo fai, saranno altri a decidere per te. Se  non voterai, la parte peggiore di Napoli potrebbe scegliere Lettieri, un uomo che si vergogna di dire qual è il suo partito, ma un partito ce l’ha: è quello di Berlusconi e Cosentino, che ti hanno fatto tutto il male possibile. Un uomo di Berlusconi e un amico di Renzi. Tu lo sai bene chi sono Berlusconi e Renzi: un vecchio di ottant’anni che è stato affidato ai servizi sociali per la rieducazione, e un ignorante, senza arte né parte, che nella vita non ha mai fatto nulla, non ha mai lavorato e ci ha venduto ai padroni come fossimo schiavi. Renzi è l’amico dei banchieri corrotti, quello che ti nega il diritto di curarti e ha distrutto la scuola e l’università. Se tu non voti, domani, fai un regalo a questa gente,

Non venire a dirmi che tanto sono tutti uguali e se voti l’altro candidato non cambia nulla. Anche questa è una enorme sciocchezza. L’altro candidato è un galantuomo che non ha mai avuto nulla da spartire con i responsabili della tua rovina. Si chiama De Magistris e ha una storia di lotte contro la corruzione politica e la malavita organizzata; uno che poteva mettersi d’accordo con i tuoi nemici, spartirsi la torta e chi s’è visto s’è visto. Non l’ha fatto. Tu sei di Napoli e ce l’hai sotto gli occhi quello che sta accadendo. Cinque anni fa, quando De Magistris è diventato sindaco, governavano gli amici di Lettieri e tu eri una tragicomica barzelletta. Se dicevi napoletano, la gente rideva e ti prendeva in giro: “napoletano significa munnezza”. Dopo cinque anni, tutto è cambiato e la città è pulita. Non ci veniva più nessuno, oggi per strada c’è una ininterrotta fiumana di turisti incantati. Centinaia di migliaia di persone che portano soldi e lavoro. La nostra acqua è pubblica, come hai voluto che fosse. Nelle altre città l’hanno regalata a privati che la vendono a carissimo prezzo. Napoli era sull’orlo del fallimento, oggi ha un bilancio sano. Non ho bisogno di continuare. Tu sei napoletano e lo sai meglio di me come stanno le cose.

Se domani non vai a votare De Magistris, poi sta zitto e non ti lamentare, perché lo sai: le cose  torneranno com’erano e l’hai voluto tu, Svegliati, perciò, non farti del male, che te ne fanno già tanto gli amici di Lettieri.
Non tradire te stesso, va a votare e vota De Magistris.

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Ricevo, faccio girare e invito tutti a dare una mano.

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Nel 2012 (come vi abbiamo raccontato qui e qui)
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Questo processo viola il principio del diritto di cronaca che noi, come Fondazione, difendiamo facendo di ogni cittadino un reporter.

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imagesI conti si faranno alla fine, ma lo dico in anticipo: non risponderò ai commenti.
Oggi pomeriggio, il Comitato per il no al referendum ha riunito il suo popolo in Piazza del Gesù. Ho pensato di andarci, nonostante le riserve che ho sul Comitato, perché considero questa battaglia una di quelle che si combattono sull’ultima spiaggia, in un’Europa sempre più autoritaria. Non una discussione accademica, ma una chiamata alle armi e un appello alla resistenza, dopo le sanguinose pugnalate che il partito e il governo di Renzi hanno vibrato alla democrazia. Colpi gravissimi:

  • una riforma voluta da un governo che si mantiene in piedi col voto di Alfano e l’appoggio di Verdini, nonostante dalle urne sia uscito un voto per un governo senza e contro le destre;
  • la fiducia accordata al governo da un Parlamento che non ha mai sfiduciato il precedente Ministero;
  • un Parlamento mai eletto, sul quale pende la sentenza della Consulta, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge da cui è nato;
  • la discussione in aula soffocata da regolamenti antidemocratici;
  • il ricatto della crisi di governo;
  • i ministri che minacciano gli elettori di tagliare i fondi alle città che votano contro il PD.

Si potrebbe continuare, ma basta e avanza. Io pensavo a una manifestazione che accendesse la piazza di passione, ma ognuno dà quello che ha e non è stato così. Pazienza. A un certo punto, però, come non avesse chiaro qual è la posta in palio, il Comitato ha ritenuto di non dare la parola al sindaco uscente, Luigi De Magistris, perché, è stato detto, «non sarebbe corretto: ci sono i ballottaggi».
Scorretto per chi? Per Lettieri, che voterà sì? Scorretto per il PD, che è impegnato in prima linea a Roma e a Torino contro i 5Stelle? Ma è il PD che sta uccidendo la Costituzione, non i 5Stelle! Che Comitato è mai questo e in che modo pensa di difenderla la Costituzione? Coprendo le spalle al PD che la sta massacrando?

Così non si difende nulla. Così si dà una mano agli aggressori.

 

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1360250089689.jpg--Mi distraggo per un attimo da quello che per me è il dato centrale di questo mese cruciale e vi rassicuro: non intendo portare altrove il vostro interesse. I ballottaggi ormai imminenti, però, non sono estranei all’ennesimo attacco ai diritti e alla ferocia con cui esso è condotto da alcuni vassalli, valvassini e valvassori del PD.
Sul Manifesto, Piero Bevilacqua ha già lucidamente risposto a Boeri, agli Ichino e al «nuovo che avanza» con loro. Questi signori, guarda caso tutti legati al PD o al suo sistema di potere, hanno scoperto che il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è una insostenibile «iniquità», una «gabbia salariale» all’inverso, dannosa per il Sud (e anche per il Nord). Naturalmente i galoppini di Renzi non si esimono dal proporre un improponibile confronto tra l’esperienza tedesca di differenziazione degli standard retributivi e quella italiana di uno standard unico per l’intero territorio nazionale.
Qualcuno, poi, fa il processo alla Triplice sindacale. Non cercherò certo di difendere Camusso e soci, ma mi pare chiaro: se per tornare a esistere, i sindacatoni devono liquidare quel tanto che resta di unità tra i lavoratori e colpire chi è già più debole, facendo il gioco degli imprenditori, beh, meglio che chiudano i battenti. Bevilacqua dice una cosa semplice e inconfutabile: al Sud un euro guadagnato da un lavoratore deve sfamarne altri 100. Al Nord quell’euro basta per 50. Se invece di un euro al Sud arrivano 50 centesimi, ci sono 50 persone che moriranno di fame. Che, aggiungo io, potrebbero bussare alla porta della camorra, imbarbarendo ulteriormente un Paese che nel suo insieme, in tema di civiltà, è già all’anno zero. E’ questo meccanismo che rafforza le destre, aiuta il malaffare e produce guerre tra poveri. Proprio come fa una inaccettabile Europa delle banche, che produce antieuropeismo. Probabilmente qualche leghista alla rovescia risponderà a Boeri rimproverando a lui e a tutti i neoliberisti la scelta di non fare un ragionamento identico, partendo da un altro dato e dirà che si poteva iniziare dal reddito pro capite del Nord e del Sud, per esempio, per scoprire che al Nord è il doppio di quello del Sud, o  partire dall’evasione fiscale. Al Nord, per quantità di soldi sottratti, c’è il doppio dell’evasione fiscale del Sud. I meridionali, quindi, ricevono la metà dei servizi che si potrebbero avere se il Nord pagasse quello che deve. I contribuenti del Nord, paghino allora il doppio delle tasse e il Sud la metà… Ecco, questi sono i meccanismi prodotti volutamente da Ichino e così tutto si imbarbarisce.

Ne discutevo oggi con alcuni testardi difensori del PD. Piero Bevilacqua – e con lui tanti altri – parlando della Raggi e dei 5Stelle, ha posto un problema ormai ineludibile: si può continuare a ignorare, in nome di una presunta identità di sinistra del PD, quello che è sotto gli occhi di tutti?
Come dargli torto? Una sentenza della Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge da cui nasce questo Parlamento. E’ questo Parlamento, però, politicamente e moralmente delegittimato, che dà la fiducia a un governo nato fuori dalle sue aule, questo Parlamento costituzionalmente illegittimo, che cancella lo Statuto dei Lavoratori  e consegna il Paese alla speculazione con un provvedimento come lo Sblocca Italia, che qui a Napoli piace solo alla camorra. Non bastasse, è questo Parlamento che stravolge la Costituzione antifascista, mettendo assieme un combinato disposto fatto apposta per sostenere una svolta autoritaria. Non c’è passaggio di questa tragedia in cui il PD, alleato o finto avversario della destra, non sia protagonista principale e negativo.

Si dice: questi fanno pena, ma che facciamo, ci mettiamo in mano alle destre razziste e antieuropeiste? Sembra un’obiezione sensata, ma ignora un dato fondamentale: è l’Unione così com’è fatta che produce guerra tra poveri, disparità e odio. Dopo il massacro della Grecia, questa Unione non la vorrebbero più nemmeno Spinelli e compagni.  Le destre antieuropeiste non esisterebbero, se l’Europa non fosse il mostro che le ha generate e le alimenta. Dove sono i referendum previsti? Dov’è la Costituzione dei popoli? Che poteri ha il Parlamento Europeo?
Qui da noi i partiti di fatto non ci sono più. Il PD è un comitato di affari per lo più illeciti. A Napoli, contro De Magistris stanno insieme Verdini e un PD che conta più inquisiti che persone pulite. Qui nessuno tratta con i vertici dei 5Stelle. Si parla alla base. A quella del PD e ai militanti di Grillo, molti dei quali sono molto più a sinistra del PD, e la gente, quella che paga i costi di un golpe bianco, si coalizza. Per votare Grillo? No. Per fermare il PD,  principale pilastro della reazione, prima che sia tardi. Se il PD perdesse a Torino, a Roma e a Napoli, ne uscirebbero rafforzati sia i giovani del PD che sono stati traditi, sia il laboratorio politico che vive e opera nella capitale del Sud, sia un modello alternativo, al quale lavoro con tanti movimenti e associazioni da due anni. E sono felice di farlo, alla fine del mio percorso, mentre mi avvio al tramonto. Felice di contribuire a far nascere un primo baluardo in vista di un referendum decisivo per il futuro della democrazia.

A settembre, se ce ne saranno i presupposti, qui da noi, a Napoli, potrebbe nascere un avamposto nella lotta per la Costituzione, in difesa della democrazia di cui sono nemici sia Renzi, sia il suo PD, sia questa Europa finanziatrice di Erdogan e massacratrice di immigrati. Sarebbe il punto di partenza di un esperimento politico ben più che locale. Mille città Mediterranee pagano prezzi insostenibili alle politiche del PD, servo sciocco di quella inaccettabile dittatura del capitale finanziaro, che i più ingenui si ostinano a chiamare Unione Europea

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elezioniDomenica prossima si vota in sei capoluoghi regionali – Roma, Torino, Napoli, Milano, Bologna e Trieste – quattordici capoluoghi di quelle che un tempo erano Provincie e un centinaio di città e cittadine. Basta un piccolo calcolo per misurare il valore politico dei ballottaggi.
Un equivoco ingombra il campo e bisogna liberare la via. Qualcuno dice: non sarà il mio voto a far vincere i razzisti. Giusto. E qualche altro aggiunge: a me Grillo non piace. Va bene. Pochi pensano, però, che basterà un voto a far vincere la prima battaglia a golpisti e killer della Costituzione, che intendono cancellare quanto resta dei diritti che essa sancisce. No al razzismo, quindi, ma no anche a candidati dei golpisti.

Socialismo o barbarie si diceva un tempo. Oggi non si dice più. Abbiamo cancellato l’idea socialista e s’è presentata la barbarie. D’accordo, se hai da fare con cervelli educati dalla televisione commerciale è forse meglio lasciare momentaneamente da parte il primo corno del dilemma. Resta il fatto, però, che il dilemma esiste e sta lì ad indicare una battaglia da ultima spiaggia. Da un lato la civiltà, dall’altro il neoliberismo, che è sinonimo di barbarie, come dimostrano le condizioni della sacra Grecia e  il Mediterraneo ridotto a un equivalente liquido dei camini di Auschwitz .

Se ragioniamo come si fa quando si sceglie tra i partiti e i loro gruppi dirigenti, non c’è via di uscita. I partiti, se così si possono chiamare comitati d’affari, lobby e gruppi d’interesse privato che si nascondono dietro Renzi, Berlusconi e Salvini, i partiti non c’entrano nulla con i ballottaggi e meno che mai c’entrano i loro sedicenti dirigenti, pupi in mano a invisibili e pericolosi pupari. In campo ci sta la gente; due schieramenti ben diversi tra loro e un tema che nello stesso tempo aggrega forze dal basso e segna con chiarezza il confine tra i due campi contrapposti. Il primo è quello di quanti, cittadini comuni, lavoratori, precari e disoccupati, sono così accecati da venticinque anni di manipolazione della realtà, che pensano di appoggiare sindaci favorevoli al sì ai referendum, i quali non ti dicono che poi ti massacreranno con la cieca ubbidienza al neoliberismo. Chi ha intenzione di votarli, ci pensi: fiancheggerà, senza rendersene conto, un golpe strisciante e si porterà in casa il boia che gli stringerà un cappio alla gola. L’altro schieramento è formato da quanti invece pensano che dietro le sedicenti riforme si nascondano un nuovo feroce autoritarismo, una filosofia del potere di ispirazione totalitaria che, nei confronti degli immigrati, degli anziani, dei deboli e dei Paesi in difficoltà giunge al genocidio ed evoca lo spettro del nazismo. Un mondo che va ben oltre il terrificante «1984» immaginato da Orwell.

In questo contesto, l’idea che attorno a un sindaco democratico il 5 giugno si sia raccolta la borghesia, oppure la plebe, serve solo a confondere gli elettori per dividerli. Il 19 i candidati sindaci vanno scelti avendo presente un dato di fondo: non bastano un programma di buone intenzioni e la capacità di amministrare. Occorre valutare anche – e alla fine soprattutto – le posizioni che i candidati hanno assunto rispetto ai referendum. Ognuno nella sua città, tutti dovremo appoggiare i sindaci del no, a meno che non siamo dichiaratamente razzisti, per dare all’esito delle elezioni il doppio significato di voto amministrativo per le città e voto politico per il no. Al referendum si potrà giungere così con pezzi significativi delle Istituzioni, legalmente eletti, uniti e in campo contro un governo mai eletto e contro parlamentari nominati e illegittimi che hanno fatto carta straccia della sovranità popolare. Un fronte del no, ampio, ampiamente legittimo e deciso a impedire una vergogna che, si badi bene, dovesse vincere il sì, cancellerebbe il voto popolare, come – tranne a Napoli – è già accaduto con l’acqua. Il PD, Forza Italia e la Lega di Salvini sono il cancro che minaccia il Paese. I loro elettori ci pensino.

Il 19 non voteremo solo per i sindaci, ma impugneremo un bisturi per cominciare a estirpare il tumore, prima che sia troppo tardi. Dopo, solo dopo, quando avremo debellato la malattia, ci divideremo in base alle nostre convinzioni politiche e si deciderà con un voto democratico, chi governa e chi va all’opposizione.

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