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Archive for febbraio 2011

Quasi sera. Ombre sempre più lunghe. Dante imbronciato nel suo mantello di marmo fluente, tracce di volantini calpestati e l’eco dell’ultimo intervento che ancora batteva sul tasto morale:
Donne di nuovo in campo, ripeteva, donne per dire no a questo scempio e ricordare: si lavora, si suda, si vive e tutto si conquista. Dignità!
Perché far chiudere ad Angela, col suo cappotto rosa e il basco di sghimbescio, nessuno saprà mai, ma un ingegno acuto, di quelli che vanno dritto al sodo, aveva commentato con amarezza tagliente:
Questa qui nella sua vita non ha mai lavorato. Io me la ricordo sempre “amica” di chi contava molto. E che scalata! Le manca il Parlamento, ma verrà.
Un filo di vento prendeva via Toledo dal mare d’infilata, girava per la piazza in mulinelli larghi e freddi e sfiorava il gruppo delle dissenzienti, “donne in rosso” per l’occasione, quelle che nelle lotte ci stanno sempre, e la carezza pareva eccitarle. Da giorni avevano messo su le mille iniziative di chi protesta: artiste da strada, balli provocanti, musica un po’ gitana con le chitarre pizzicate e battute e un coro greco di maschere squadrate che ripeteva in toni cavernosi:
Si vede che siam donne inferocite,
pronte a mordere chi ci viene incontro…

Occasione perduta, esplose stizzita Antonella, con occhi di fuoco sotto l’onda dei capelli neri. E tu, poi, perché non hai parlato?
Ce l’aveva con me.
Io? E parlare dove, scusa?
Dal palco! E dove sennò? Sono tre giorni che abbiamo dato il tuo nome alle organizzatrici. Per noi precari della scuola, parla lui…
Si vede che siam donne inferocite,
pronte a mordere chi ci viene incontro…
, ripetevano con un ritmo crescente, girandoci attorno in un cerchio elegante le splendide “donne in rosso“.
Nessuno mi ha detto nulla. Non mi hanno mai informato, borbottai.
Ma come? fece Antonella, inalberandosi. Che è questa vergogna?
Si vede che siam donne inferocite,
pronte a mordere chi ci viene incontro…

E’ la nostra vergogna. Lo sai. Avrei detto quello che oggi pensavamo in tanti: non muoviamoci di qui, la piazza è nostra. Prima se ne vadano a casa e poi sbaracchiamo. Evidentemente non hanno voluto.
E chi?
Chi? Voi con chi avete parlato? Chi in piazza ci sta per una sceneggiata!
Il resto lo tenni per me. Come racconti alla gente che questo governo parafascista vive dei silenzi complici e dei puntelli di un’opposizione speculare, di un “fascismo rosso”, tutto bibbie, parrocchie e potere? Come lo dici che ci sono mille modi di prostituirsi?
Nessun popolo può ragionevolmente credere che i disastri della storia siano colpa esclusiva di chi vince e governa, mi dicevo sconsolato, lasciando la piazza e aprendomi cortesemente un varco nel cerchio provocante delle “donne in rosso“.
Si vede che siam donne inferocite,
pronte a mordere chi ci viene incontro…

Uscito su “Fuoriregistro” il 22 febbraio 2011

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Che furba la Gelmini!

Il delirio di Pontida è al parossismo e Alberto da Giussano, scudo, elmo, celata, spadone e lancia in resta, ha minacciato: “nessuna festa per l’Unità d’Italia, sennò mandiamo a casa le mezze calzette del Parlamento di Roma ladrona!.
Se questo ritorno al Medio Evo non celasse un pericoloso progetto separatista e il germe d’una tragedia, ci sarebbe da ridere. L’avvocato Gelmini lo sa e ha paura. Il destino di Berlusconi non dipende dalla Procura di Milano. Decide Bossi, filosofo del celodurismo, e l’avvocato tenta di mediare: il prossimo 17 marzo, piuttosto che festeggiare a casa, è «meglio stare in classe e parlare dei 150 anni dell’Unità d’Italia». A ben vedere, l’idea non è malvagia. Articolando meglio l’argomento, la proposta è molto interessante. Fermo restando il tema dell’Unità, bisognerebbe occuparsi dei pericoli che corre l’Italia e spiegare in classe cos’è la Lega, partendo dall’articolo 1 dello statuto che s’è dato: “Il Movimento politico denominato Lega Nord per l’Indipendenza della Padania […] ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania“. La Gelmini sarebbe così accontentata, la “festa” utilmente celebrata e, come chiede l’avarizia avida della Marcegaglia, con poca spesa, faremmo un gran guadagno.

In quanto alla discussione in classe, un insegnante avrebbe solo l’imbarazzo della scelta.
La Costituzione della Repubblica afferma che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Borghezio, europarlamentare leghista ci spiega che la Padania, si distingue dall’Italia perché è “bianca e cristiana“.
La Costituzione della Repubblica dichiara solennemente che tutti “hanno pari dignità sociale davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. Gentilini, dirigente leghista di primo piano, ci informa che la Padania la pensa diversamente. Obiettivi della Lega sono “la rivoluzione contro gli extracomunitari” e “l’eliminazione di tutti i bambini degli zingari“.
La Costituzione della Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo“. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, (Roma ladrona gli paga lo stipendio) s’è inventato un reato incostituzionale e ha messo in piedi vergognosi campi di internamento che richiamano alla mente i lager del nazisti. All’annientamento pensa il dittatore Gheddafi, grande amico del governo che vive solo dei voti della sedicente Padania.

L’Italia, potrà dire senza tema di smentita qualunque docente, è una repubblica democratica nata dalla guerra di liberazione dal nazifascismo. La Lega, al contrario, rinnegati i valori della lotta partigiana, conduce da tempo una sua nuova e vergognosa guerra di “liberazione”. Vuol liberare la sua deliriante Padania dall’Italia Meridionale, da Roma ladrona, dai rom, dai maomettani e da tutti gli stranieri poveri che la ferocia capitalista produce su scala planetaria. Insomma, la Lega Nord, alleata della Gelmini, sogna uno Stato teocratico e razzista.

Ringraziando l’avvocato, festeggiamola a scuola l’Unità d’Italia e spieghiamo bene chi sono e che vogliono Bossi, i crociati leghisti, il delirio di Pontida e il ministro Gelmini, che, nel nostro silenzio complice, il razzismo e la violenza li ha portati a scuola.
Facciamo festa così, poi scendiamo in piazza coi nostri studenti, occupiamole e rimaniamoci finché non avremo sconfitto questa pericolosa pazzia criminale.

Uscito su “Fuoriregistro” il 13 febbraio 2011

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Con la sentenza n. 41 del 09/02/2011, la Consulta ha dichiarato che impedire ai precari della scuola di trasferirsi in altra Provincia, conservando il loro punteggio, è incostituzionale. E’ una notizia confortante, che ancora una volta dimostra, come da tempo il governo provi a trasformare l’arbitrio in norma, sicché ciò che assume valore di legge è sistematicamente ingiusto. Naturalmente la sentenza è una vittoria di chi si oppone, ma induce anche a riflessioni amare.

Non avevano e non hanno torto gli studenti a contrastare come si poteva e si può, con tenacia e coraggio, la “riforma” Gelmini. Non avevano torto, ma erano e sono soli e non ce la faranno: è mancato e manca il sostegno dei docenti e dei genitori. All’Università ci stanno ancora provando, nel silenzio della stampa e nell’irritato fastidio degli insegnanti, impedendo ai Senati accademici di approvare gli Statuti. Sogni di ragazzi? Pratiche “sovversive“? La Corte Costituzionale con la sua sentenza dice che non è così. L’intera struttura formativa del progetto governativo è evidentemente debole e incostituzionale nella sua stessa “filosofia“. Bisognerebbe, quindi, “pensare” una strategia di attacco complessivo in piazza, nelle aule e nei tribunali. Ma chi dovrebbe farlo?

Umberto Eco, nei giorni scorsi, attaccando Berlusconi, ha fatto cenno all’onore dei docenti, ricordando gli undici – ma erano dodici per la precisione – che non giurarono fedeltà al fascismo. Avrebbero, a suo modo di vedere, salvato l’onore della categoria. Con il rispetto che si deve a un uomo di grandissimo valore, è vero il contrario. Quella sparuta pattuglia di coraggiosi mostrò al mondo il disonore di una categoria.

Si parla molto, forse troppo, di “cultura della legalità“. Nulla da dire. Non sarebbe male, però, se si provasse anche a riflettere sulla differenza profonda che c’è tra “legalità” e giustizia. Non sono sinonimi e non è scontato che ciò ch’è legale sia giusto. Le sentenze fasciste che incarcerano Pertini e Gramsci erano perfettamente legali e profondamente ingiuste.

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Bruciano i bambini rom. Non è fumo di camino, ma razzismo, e le parole del lutto diventano miseria e complicità morale. Gli storici domani documenteranno ciò che oggi fingiamo d’ignorare. Nei libri il capitolo s’aprirà col titolo prevedibile: L’Italia di nuovo razzista. Altro esito politico non poteva avere la serie di menzogne che i moderati chiamano revisionismo storico e non è una polemica tra studiosi, ma un crimine compiuto in nome del profitto.

C’è da aspettarselo. Molti storceranno il naso, altri si fingeranno scandalizzati, qualcuno protesterà, ma diciamolo: questi morti hanno mandanti morali. Li hanno uccisi anzitutto i tanti storici che hanno taciuto o disertato, se gli italiani sono ancora “brava gente”. Tanti storici e, di conseguenza, la storia male appresa e peggio insegnata per decenni nelle scuole e nelle università della repubblica. E qui sì, qui, ben più che in matematica e scienze, il sistema formativo ha fatto i suoi danni, perché, occorrerà pur dirselo, là si sono formati Gelmini, Carfagna, Brambilla, Maroni e compagnia cantante.
Molti protesteranno scandalizzati, ma è così. Li ha uccisi una consapevole manomissione della verità storica a fini di eversione politica. Li hanno uccisi – e altri ne uccideranno – le “verità” ingigantite o mai provate, versate come ondate di fango sulla Resistenza, il “sangue dei vinti” che non fu nemmeno goccia nell’oceano dimenticato di quello versato dai 60.000 milioni di morti causati dagli aggressori nazifascisti. Li hanno uccisi i giorni della memoria falsificata e la volontà politica di ingigantire mediaticamente la tragedia delle foibe per rivalutare il vecchio nazionalismo fascista, col suo corteo impunito di leggi sulla razza e collaborazione con le SS. Il mandante morale è il neofascismo dilagante, con le sue guerre tra poveri, le sue nuove camicie e le sue rinnovate leggi razziali.

Il fanatismo etnico, come quello religioso, è stato e sarà sempre l’arma segreta dello sfruttamento. “Divide et impera“. E’ antica scienza politica, la stessa che oggi produce Rosarno, i rastrellamenti romani, gli affondamenti mediterranei. Oggi come ieri, ha taciuto o fa poco la scuola annichilita, là dove dovrebbe levare gli scudi, rompere i patti concertativi dei sindacati, denunciare la regolamentazione dello sciopero e aprire uno scontro senza quartiere con un Ministero che s’è fatto e si fa paladino di feroci discriminazioni: il “tetto” del 30 % per gli immigrati, le graduatorie regionali per i docenti, la corsia privilegiata per gli studenti “indigeni” nell’accesso alle borse di studio. La scuola invece tace e si acconcia al tempo nuovo, dopo avere abbandonato al suo destino i precari. Una sola battaglia prende a cuore, quella sulla valutazione, sacrosanta quanto si vuole, ma ricca d’ombre corporative.

Bruciano i bambini rom, nella memoria corta di un Paese di “senzastoria“, in un’Italia tutta escort e Pil, Mibtel e veline, shopping e consumi, Un’Italia di nuovo razzista.
Sono morti che pesano sulla coscienza di tutti“, sento dire. E’ un ritornello. Lo ripetono in tanti e mi ribello. Ognuno si prenda quel che gli compete e smettiamola con questa notte indistinta, in cui le vacche sono solo scure. Non è così. Non è colpa di tutti e anche questo va detto.
Chi ce l’ha messi, chi è che ancora li difende, i Cota alle Regioni, i Borghezio in Europa, i Gasparri e i Quagliariello in Parlamento, i Bossi e i Larussa a governare? Chi l’ha portato Alemanno al governo della capitale? Chi è stato?
Non siamo stati tutti.

Con questa gente non ho nulla a che spartire. Ho protestato, ho scritto parole di fuoco, quando Veltroni ha chiesto l’espulsione di tutti i rom solo perché un rumeno aveva stuprato un’italiana. Non li votati io, questi campioni della democrazia che hanno fatto a gara con la destra nella caccia all’uomo, nelle scelte forcaiole, nelle politiche di discriminazione razziale. Non c’entro nulla con questa gente che, pur di governare, ha fatto causa comune col razzismo leghista.

Da tempo faccio parte per me stesso, e anche in questi mesi, mentre si faceva filosofia morale sulla violenza romana degli studenti, sulle pratiche della lotta e su tutti i distinguo che mettono in pace la coscienza, anche in questi mesi c’era chi stava con gli studenti. E ci sto ancora. Sto con le loro mille ragioni, con la loro rabbia, coi loro diritti, coi loro tentativi di saldare le lotte, con la loro sacrosanta voglia di ribellarsi. Perché non altro resta. Ribellarsi.

Lasciatemelo dire. No, davvero non c’entro nulla con questi poveri morti.

Uscito su “Fuoriregistro” l’8 febbraio 2011.  

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Giuliano l’apostata l’avevo perso in quel ’68 alla rovescia che fu il 2008. Bottone giallo e slogan demenziale: “fate l’amore, non l’aborto“.
Il fondo l’ha toccato, m’ero detto.

L’ultima penosa conversione paolina, nata sulla via di Damasco, lì l’ha sepolto, a Damasco, e se n’è persa persino la memoria. La vita sa essere anche giusta e onore al merito di Diego Novelli, un galantuomo che, se gli dici Ferrara, ti domanda “quale?“. “Giuliano“, tu rispondi, “Giuliano Ferrara” e, di rimando, il vecchio comunista non ci pensa due volte: “Guarda, quando sento dire con tono ammirato e amichevole che Giuliano Ferrara, comunque, è una delle persone più intelligenti che io ho conosciuto, mi va la mosca al naso!“.
Più chiaro di così, si muore.

Sepolto dal ridicolo a Damasco, quel rivoluzionario di Giuliano è risorto dalle sue stesse ceneri ed è tornato prepotentemente sulla scena d’un Paese che non conosce limiti al degrado. Non sarà uno scoop, però voglio dirlo, anzi, gridarlo ai quattro venti. La “rivoluzione liberale” di Berlusconi, annunciata nel ’94 e abortita di lì in poi per i sabotaggi delle toghe rosse, ha un “nuovo” profeta.  Giuliano Lazzaro, nemico dell’aborto. Giuliano, sì, morto, sepolto e ritornato in vita, uno che s’è fatto le ossa alla scuola della classe operaia torinese.
Un comunista pentito.
Certo, Novelli e compagni avrebbero di che interrogarsi – alla stessa scuola s’è formato Fassino – ma tant’è, prendiamone atto. Le cose stanno così.
Stretto da ogni parte da una boccaccesca questione di gonnelle e da questori di manica misteriosamente larga con minorenni border line  e vecchi satiri compiacenti, Berlusconi s’è deciso. La nobile rivoluzione di Gobetti, che riposa ignaro tra marmi e cipressi al Pére Lachais, è ora in mano all’equilibrio instabile di Giuliano Ferrara, passato inopinatamente dai bolscevichi ai crispini. Ognuno ha i profeti che merita e i tempi sono quelli che sono, perciò non trovo scandaloso quello che accade. No. M’indigna che la stampa tutta ora s’inchini alla saggezza del rinato Ferrara.

Guardiamoci attorno.
Un porcile.
La barca affonda nel fango e chi non ci sguazza con rivoltante cinismo, se ne sta zitto e prende la sua parte. Tutti levano le loro candide bandiere morali. Quelli di Berlusconi accusano i democratici che imbrogliano se stessi alle primarie, i democratici di Bersani puntano il dito sul presunto bordello d’Arcore, ma in Parlamento si prova a cancellare dall’articolo 41 della Costituzione la responsabilità morale che vincola le aziende –  si spiana così la via al massacro di Marchionne – e non c’è voce di dissenso: consentono tutti, maggioranza e opposizione.

C’è un tema che scotta: l’Egitto, Mubarak e la democrazia, quella che esportiamo a cannonate fino a Kabul e, qui, a un tiro di schioppo da noi, non solo lasciamo che muoia senza muovere un dito, ma prendiamo le difese del dittatore. Se non metti a ferro e fuoco il Parlamento per le bestialità di Frattini, come fai a contrastare la “rivoluzione liberale” di Giuliano?
Povero Gobetti.

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