Napoli, 19 maggio 1879 – 28 dicembre 1931
Nel 1893, quando si iscrive alla «sezione impiegati» del Partito Socialista, è ancora uno studente ma frequenta sovversivi e si nutre di libri e giornali rivoluzionari che, secondo la polizia, hanno saputo «guastargli il cervello». Troppo giovane per valutare i rischi che corre, il 9 agosto 1894, mentre Crispi soffoca violentemente i moti contadini in Sicilia, si reca in Questura e firma un atto di fede nell’anarchia. Una perquisizione domiciliare consegna così alla polizia una lettera in cui scrive di voler diventare un «santissimo Caserio», l’anarchico che ha ucciso il Presidente della repubblica francese Sadi Carnot. Interrogato, spiega di volere davvero ammazzare Crispi, causa di rovina per tanti uomini, ma aggiunge di non essere capace di uccidere. Denunciato per «apologia di delitto», il 28 agosto è affidato al padre in «libertà provvisoria».
Chiuso in collegio, il ragazzo conserva le sue idee e durante le vacanze frequenta i soliti compagni di fede. Il 6 agosto 1897, disperato per l’isolamento in collegio, tenta il suicido, ma si salva e dopo il liceo si iscrive alla Federazione Socialista. Nelle manifestazioni è così attivo che, profittando dei moti per il pane, il 10 maggio 1898 la polizia lo include tra i «sovversivi pericolosi» e lo arresta. Il 13 giugno è condannato a sei mesi di domicilio coatto a Ischia, ma evade e si consegna a novembre, quando, cessato lo stato d’assedio, può tornare libero. Controllato con cura, il giovane si fa prudente e se prova ad agire, è subito colpito. Il 4 giugno 1899, infatti, «festa dello Statuto», è arrestato per «un manifestino sovversivo diretto all’esercito e stampato alla macchia».
Contrario all’intesa tra Giolitti e Turati, festeggia il primo maggio 1900 con un gruppo di socialisti dissidenti. Nel 1901 entra nel Comitato di lotta al domicilio coatto ma è così vicino ai libertari, da essere segnalato tra gli anarchici italiani in contatto con quelli argentini. Arrestato per oltraggio al papa ed eletto segretario della «Lega di resistenza dei camerieri di caffè e ristoranti», nel 1902 rompe coi socialisti. Decisa a zittire un militante che trova ascolto tra i lavoratori, la polizia intanto forza la mano. Nel 1903 è ripetutamente arrestato: perché porta bandiere anarchiche ai comizi socialisti, turbando l’ordine pubblico, perché si agita in un corteo contro l’Austria, causa incidenti tra il pubblico al Consiglio Comunale, oltraggia Pio X e incita all’odio di classe. Nel 1904 è fermato perché viola la legge di P.S., è in prima linea negli incidenti di settembre per lo sciopero generale e diffonde volantini non autorizzati alla elezioni politiche di novembre.
La repressione rende Vanguardia prudente, finché il 29 marzo 1906 pubblica «La Voce dei Ribelli», che i tipografi, impauriti dalla polizia, rifiutano di stampare. Scritto a mano e diffuso alla macchia, il giornale chiede cambiamenti politici e sociali e tocca temi ancora attuali: la questione morale e una «legalità» estranea alla giustizia sociale, che lascia impuniti coloro che, politici in testa, «rubano […] scappano e portano via parte della ricchezza nazionale». I toni sono violenti – «se occorre distruggervi, […] senza esitare contribuiremo» – ma è una violenza figlia della cecità del potere. Alla «Voce dei Ribelli» fa seguito «I Ribelli», giornale di cronaca e dibattito teorico, che dopo due numeri diventa «Il Picconiere», ma è subito chiuso.
Nel 1907 Vanguardia, presente al Congresso Anarchico di Roma, vive a Milano, è redattore della «Protesta Umana», e tiene conferenze sul domicilio coatto e sull’antimilitarismo. Il 13 novembre parla al comizio di Milano per le vittime politiche, poi è segnalato a Vigevano, Pavia, Santhià, Biella e Lugano. Rimandato a Napoli con foglio di via a febbraio del 1908, fonda il «Sorgete», un gruppo comunista «libero», ostile a ogni organizzazione politica, ma aperto a un sindacalismo di base, fondato sull’azione diretta. Tra i temi di fondo, i diritti negati e il parlamentarismo, che non solo limita la libertà di riunione e di pubblico comizio, ma giunge al sequestro preventivo e alla soppressione dei giornali, all’arresto dei cittadini «per delitto di pensiero» e alle fucilate sul popolo affamato.
Il 7 ottobre 1909, «Sorgiamo!», nuovo giornale di Vanguardia, individua i nemici del popolo – «lo Stato, il Capitale, la Chiesa […] i giudici, gli sbirri, le carceri, i codici, i soldati» – e minaccia di «demolire» il «vecchio e decrepito assetto sociale» che la storia condanna a sparire. Una minaccia che il 13 ottobre 1909, durante le proteste per la condanna a morte di Ferrer, Vanguardia realizza simbolicamente, facendo esplodere un innocuo petardo nella chiesa di Montesanto. Un gesto per cui è condannato a quindici mesi di carcere. Uscito in libertà provvisoria, Vanguardia torna alla lotta sindacale, guidando una vertenza dei tessili della «Wenner» di Scafati, che nel novembre 1910 sfocia in aspri scontri e in una denuncia per mancato omicidio di un poliziotto. Nel 1911 è l’anima del movimento contro il caro-casa e partecipa a vari scioperi. Ad aprile del 1912 è segretario della «Lega dei lavoratori dell’Arte bianca», che guida fino al 17 agosto, quando lo ferma l’esecuzione della condanna per il petardo di Montesanto; tornerà libero per uno sconto di pena l’11 marzo 1913. Il tentativo di dar vita a «La Battaglia», un giornale subito censurato, e due arresti segnano il ritorno alla militanza di Vanguardia, che il 25 gennaio 1917 è sulla linea del fuoco, dove la morte è il volto della guerra. All’orrore delle trincee, reagisce organizzando diserzioni e falsificando licenze, finché il 10 gennaio 1918, scoperto, resta in carcere fino al 15 marzo 1919, quando è assolto per mancanza di prove.
Tornato a Napoli, diventa dirigente della Camera del Lavoro e segretario della «Lega panettieri», che guida in una dura vertenza su orari di lavoro, salari, ufficio di collocamento e igiene dei panifici. Complici le Autorità, i padroni rispondono con l’esercito che fa il pane e la polizia che difende forni e panetterie, ma Vanguardia forma squadre di panettieri che sorprendono il servizio d’ordine e attaccano i crumiri. Scontri e arresti non domano la protesta, che assume un significato emblematico, diventando una ideale «linea del Piave» in un conflitto sul ruolo delle classi sociali e sui costi della guerra che la borghesia ha voluto e ora scarica sulla povera gente. La portata e il significato degli eventi in una città inquieta, allarmano il Prefetto, sicché, quando il pane scarseggia, i militari sbaraccano e Vanguardia ottiene l’apertura di punti vendita comunali a prezzo politico. Il giovane al quale le idee rivoluzionarie avrebbero guastato il cervello, ha dimostrato un grande equilibrio e ha vinto, lottando coraggiosamente per i diritti della povera gente.
La vittoria, che il 10 dicembre 1919 i lavoratori salutano come la prima di una lunga serie, in realtà ha spaventato i padroni, ma i Fasci di Combattimento, nati a marzo, non preoccupano ancora. Ai primi del 1921 però, mentre lo squadrismo dilaga, Vanguardia crea il «Circolo popolare» e la «Lega Inquilini» che ostacola le pretese esorbitanti dei padroni di case, tentando di dare forza al malcontento e opporre agli squadristi propaganda e lotta sindacale. La violenza fascista vanifica però il tentativo. Benché denunciato per un manifesto clandestino e arrestato per lesioni a vigili urbani, a luglio del 1922 Vanguardia guida la «Lega panettieri» in una vittoriosa vertenza su salari e lavoro notturno, ma il fascismo giunto al potere lo ferma. Il primo maggio 1924, l’anarchico si reca con alcuni compagni in una bettola, sale su un tavolo e con grande dignità canta l’Internazionale e si fa arrestare.
Il 22 novembre 1926, con le leggi «fascistissime», giungono la condanna a quattro anni di confino e il viaggio disumano che lo conduce a Pantelleria, sfinito e incatenato ad altri confinati. Ritenuto pericoloso, l’anarchico è esposto all’arbitrio dei militi e la sorella, per sottrarlo a quell’inferno, chiede al duce di perdonare «le colpe giovanili di un italiano», che al tempo della guerra «ha esposto la vita sul campo dell’onore». L’Alto Commissario Castelli, convinto che Vanguardia sia fermo nelle sue idee, esprime parere contrario e mentre l’istanza è archiviata, il confinato finisce a Ustica, dove l regime di polizia è più spietato. L’isola gode di una fama sinistra: vi impazza, ricorderà anni dopo Aldo Garosci, un aguzzino, brutale e neuropatico. Non bastasse, Cesare Mori, il «prefetto di ferro» inviato a Palermo con pieni poteri per risolvere il problema dei rapporti tra regime e mafia, ritiene che la colonia, in cui vivono in media 360 sovversivi ritenuti pericolosi, possa fare da base a un pericoloso movimento. Per controllare i confinati, Mori utilizza Vincenzo Picone, un finto confinato politico e un confinato vero, Riccardo Fidel, sedicente comunista, che all’insaputa del Picone fa da provocatore.
Per ottenere la libertà a spese dei compagni, Fidel fa credere a Picone che i confinati preparano una rivolta e la fuga. Ingannate dalle spie, le Autorità di polizia si convincono che una nave si è già accostata all’isola e poi allontanata tenendo una rotta inconsueta. Il 30 settembre 1927 Mori mette l’isola a soqquadro con perquisizioni da cui non emerge uno straccio di prova, ma sostiene che i confinati, d’accordo «con sovversivi del Regno e dell’estero», hanno un piano «di evasione e ribellione contro i poteri dello Stato». E’ così che 56 confinati, tra cui Vanguardia, sono denunciati al Tribunale Speciale. Il 10 ottobre 1927, accusato di attentato alla sicurezza dello Stato, l’anarchico finisce in carcere duro a Palermo e poi a Napoli. Per mesi, interrogatori brutali si alternano a offerte «vantaggi» in cambio di «collaborazione». Vanguardia, però, non non compra la libertà vendendo la dignità. Negli anni delle prime battaglie aveva orgogliosamente affermato: «Non varranno prepotenze e violenze […]; respingeremo senza esitazione qualsiasi mezzo voi adotterete». É stanco e malato, quando, assolto per insufficienza di prove, agli inizi del 1929 è trasferito a Ponza, dove la salute peggiora di giorno in giorno. Quando possono, i tiranni evitano di trasformare in eroi le loro vittime; Mussolini perciò non ha dubbi: l’ora della liberazione non deve coincidere con quella della morte.
L’uomo che l’1febbraio 1930 torna a Napoli è molto sofferente. Non è in grado di nuocere, ma il regime, che lo ritiene ancora pericoloso, lo tormenta con frequenti perquisizioni; il 27 ottobre 1930, per l’ottavo anniversario della marcia su Roma, lo tiene in cella per una giornata. É il 10 novembre del 1931, quando torna in Questura per una bomba esplosa nella zona del porto. Di lì a poco, il 28 dicembre 1931 muore nella sua abitazione al n. 45 di via Bernini.
Fonti e bibliografia:
Archivio Centrale dello Stato, fascicoli intestati a Vanguardia in Casellario Politico Centrale, b. 5312 e Confino, Fascicoli Personali, b. 1046. Archivio di Stato di Napoli, Questura, Gabinetto, I parte, II serie, 1888-1901, b. 86 bis, «Fascio dei lavoratori. Iscritti»; b. 86 ter, f. «Federazione Socialista Napoletana» e b. 110, «Camerieri di caffè e ristoranti»; Schedario politico, fascicoli intestati a Vanguardia in Sovversivi annuali, b. 96 e Sovversivi deceduti, b. 110. Rosa Spadafora, Il popolo al confino, La persecuzione fascista in Campania, I, pp. 512-13; Giuseppe Aragno, Siete piccini perché siete in ginocchio. Il Fascio dei Lavoratori, prima sezione del PSI a Napoli, (1893-1894), Bulzoni, Roma, 1989, pp. 110-112; Idem, biografia in AA. VV., Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, II, (I-Z), Biblioteca Serantini, Pisa, 2004, pp. 648-49. Idem, Antifascismo e potere, Storia di storie, Bastogi, Foggia, 2012, pp. 23-40; Fabrizio Giulietti, Umberto Vanguardia. Azione e propaganda di un anarchico napoletano, (1879, 1931), Galzerano, Casalvelino Scalo, 2009.