Detesto la violenza, ma riconosco il diritto alla legittima difesa. Il governo Draghi (definito anacronisticamente «di unità nazionale») costituisce un’arrogante e violenta forzatura delle regole costituzionali. Non a caso l’unico precedente risale all’immediato dopoguerra, alla realtà d un Paese uscito battuto e distrutto dalla seconda guerra mondiale, dopo vent’anni di fascismo. Di «unità nazionale» furono il primo governo De Gasperi (formato, però, durante l’agonia delle Istituzioni monarchiche) e il secondo terzo governo De Gasperi, che unì temporaneamente partiti molto diversi tra loro, subito dopo la nascita della Repubblica.
Quella «unità» ebbe un senso, perché c’erano da fare scelte collettive legittimate da tutti i partiti che avevano combattuto il fascismo: scrivere la Costituzione – la prima dell’Italia unita – e firmare il trattato di pace. Nessuna forza politica avrebbe potuto procedere da sola e da soli non avrebbero potuto muoversi nemmeno una coalizione di forze laiche e di sinistra o un blocco di forze moderate, cattoliche e liberali. Nel maggio 1947, però, nel momento stesso in cui questi due problemi furono risolti, De Gasperi aprì la crisi di Governo da cui nacque l’esecutivo che collocò all’opposizione le forze della sinistra. Da una condizione di necessaria patologia della democrazia, si passò così al funzionamento «normale» della vita repubblicana.
Quali condizionamenti agirono sulla nuova Italia e quanto pesantemente la sua crescita ne risultò frenata, non è il tema di questa riflessione. Ciò che risulta subito evidente dalle brevi note sulla realtà che giustificò la formula dell’«unità nazionale» è, però, più che sufficiente per dimostrare quanto sia falso e strumentale il ricorso alla stessa formula per giustificare la miserabile operazione da cui nasce il governo Draghi. Un governo moralmente illegittimo, formato per lo più da figure squallide e di parte – primo tra tutti il Presidente del Consiglio dei Ministri – lontani mille miglia dai valori che animano la Costituzione e in buona parte privi della legittimazione di un voto popolare. Un governo nato da un’operazione che ricorda da vicino più i modi e le tecniche ignobili di un golpe bianco, che la nobiltà di intenti di quella «unità nazionale» che legittimò la Repubblica antifascista, la cui distruzione è il primo, concreto quanto naturalmente inconfessato obiettivo del proconsole dell’Europa neoliberista.
Gli incontri segreti e gli interessi inconfessati che si celano da tempo dietro Draghi e il suo governo, il modo in cui è nato, l’insalata russa che lo compone e ne rende impossibile un programma condiviso dai suoi ministri, aprono una pagina buia della nostra storia, ma producono anche un progressivo, crescente e spero inarrestabile bisogno di luce.
Chi ha pugnalato alla schiena il governo Conti e dichiarato guerra alla democrazia, chi ha umiliato la nobiltà della politica e ha adottato principi che segnano il confine tra civiltà e barbarie, potrebbe essere schiacciato dal peso delle sue immense responsabilità. Quando metti da parte la politica, lasci aperta solo la via della violenza. L’ultima volta che abbiamo affrontato una situazione simile a questa, la risposta popolare è stata violenta, ma giusta e necessaria. I libri di storia la ricordano con un nome sacrosanto: guerra di liberazione. Nessuno lo vorrebbe, ma da questo momento in poi chi ama la democrazia non può far altro che prepararsi a lottare. Lo deve a se stesso e a chi sacrificò la sua vita perché nascesse la repubblica che vanno distruggendo. Guerra di liberazione, quindi, feroce quanto quella che preparano i golpisti reazionari. Senza quartiere e con tutte le armi possibili.
