Attaccare il governo Meloni sul tema del fascismo significa rafforzare una leader che viene da dove viene, ma nega, rinnega e soprattutto sa che per i disperati vale un principio: “spes ultima dea“. Fratelli d’Italia e soprattutto Giorgia Meloni hanno avuto e hanno riferimenti indecenti, ma in due mesi sono stati capaci di competere persino con Harry Houdini. Oggi purtroppo si fa politica vendendo illusioni e vince chi riduce Agostino Depretis a un dilettante del trasformismo. Per essere alternativi, a questo punto, occorre il coraggio di attaccare la NATO e chiedere di uscirne; bisogna accusare di tradimento chi affama la povera gente, dilapidando i pochi soldi che abbiamo per far guerra alla Russia; traditori tutti, Sergio Mattarella per primo; si deve puntare il dito sul minaccioso progetto del ministro Guido Crosetto, che prefigura apparati amministrativi ridotti a zerbini del governo; è necessario rispondere alla lotta di classe eversiva condotta dall’alto, ripagandola con la stessa moneta; non si può solo attaccare una politica che copre l’evasione fiscale, ma avere il coraggio di incitare allo sciopero fiscale chi non evade; è giusto ritenere sacrosanta la battaglia su lavoro. disoccupazione, precarietà e furto di salario, ma è giusto anche sapere che non si può vincere senza mettere al suo centro il tema della formazione, ridotta a fabbrica di soldatini del capitalismo, roccaforte del “pensiero unico”, al quale si formano i nuovi intellettuali. Alternativo è oggi chi difende la libertà d’insegnamento in una scuola che restituisca a giovani intellettuali e lavoratori il significato profondo della parola diritto, perché chi non lo conosce bacia la mano al padrone che lo deruba. E’ vero, c’è una crescente e pericolosa torsione autoritaria delle Istituzioni, ma essere alternativi non vuol dire strapparsi i capelli per un presunto, impalpabile fascismo, significa seguire la coraggiosa intuizione leninista e coinvolgere nella lotta non solo i lavoratori ancora consapevoli, ma anche i sinceri democratici. Amen.
Il Parlamento europeo ha deciso che se ti chiami Erdogan e sei nella NATO, puoi macellare i Curdi e fai bene. Meglio ancora se fai a pezzi la Libia e poi trasformi il Mediterraneo in un immenso cimitero. Se invece non accetti che la NATO mantenga in piedi uno Stato fascista ai tuoi confini e lo imbottisca di armi, sei uno sponsor di terroristi.
Com’era prevedibile, la discussione sull’inganno ucraino, dopo il caso del missile caduto in Polonia, è diventata subito spinosa. I piccoli dittatori mentecatti che contiamo tra i nostri alleati – quelli che alzano muri e sparano ai migranti – hanno subito gridato al caso di guerra (guerra mondiale). Polonia e Ungheria, guidate dal tragicomico Capitan Fracassa ucraino volevano la Nato subito e direttamente in guerra. Vauro ha ragioni da vendere, quando afferma che all’urlo dei guerrafondai, ha fatto subito eco lo starnazzare di Letta e Calenda, mitiche oche di guardia al Campidoglio. Nessuno, nemmeno i commentatori meno pavidi, si sono azzardati a osservare che le cose stavano in maniera lievemente diversa: i morti in Polonia – Paese della Nato – li avevano fatti gli ucraini, che non sono nell’Alleanza Atlantica, quindi, legge alla mano, la Nato avrebbe dovuto far guerra alla sventurata Ucraina, guidata da un bugiardo incosciente. Il caso ha poi voluto che nello studio di Bianca Berlinguer a Cartabianca, su Rai tre, il 15 novembre, si trovassero il prof. Alessandro Orsini e il l’ex ministro degli Interni Marco Minniti. Naturalmente nessuno s’illude che Minniti si giochi il futuro dicendo quel che pensa, ma i suoi toni smodati, decisi a scatenare la rissa, sono stati sinceramente fuori luogo e perdenti. Orsini era calmo e pacato, Minniti aspro, irridente e pronto a tirare in ballo le scienza storiche di cui non conosce praticamente nulla, nemmeno che mille “verità della storia” si sono rivelate volgari patacche. Sia lode al dubbio Minniti, perché dopo ventidue secoli non è facile spiegare un tirannicidio e decidere se Bruto e Cassio furono sciocchi sognatori o martiri della libertà! Per non dire dei popoli “aggrediti” per i quali nessuna difesa esterna si è mai storicamente spinta fino al rischio dell’estinzione del genere umano. Ai fatti esposti da Orsini – la guerra è stata e sarà a lungo un bagno di sangue, l’Ucraina non vuole la pace ma una resa incondizionata e prova in tutti i modi a provocare un disastro mondiale – Minniti rispondeva con una infervorata retorica sulla libertà degli ucraini, – che non riguarda però le genti del Donbass – e un provocatorio saltare di palo in frasca. A suo dire, Orsini operava un “capovolgimento storico pazzesco”, si esibiva in continui salti tripli senza rete e non conosce la storia. Secondo Minniti, infatti, la vicenda del secondo conflitto mondiale ci ha lasciato una lezione da non dimenticare: i totalitarismi che la vollero, furono battuti dal paradiso occidentale. Nei panni di storico, Minniti ha fatto così la figura di un patetico saccente. I totalitarismi non furono battuti. La Russia sovietica uscì vittoriosa ed è legittimo supporre che, senza il suo contributo, l’esito dell’immane conflitto non sarebbe stato quello che fu. Assunta la posizione dello studioso che discute, ignorando le provocazioni, Orsini ha difeso dignitosamente le sue idee. D’altra parte,parla ancora in Tv perché è tra i pochi che sa ciò che dice. Se lo fanno tacere faremo peggio di uomini come Interlandi! Avesse utilizzato i metodi da giocatore d’azzardo del suo interlocutore, che si stracciava le vesti per i bambini ammazzati, Orsini gli avrebbe ricordato che le sue politiche per i migranti furono definite disumane dall’ONU. Lei – gli avrebbe detto – ha ucciso più bambini che ucraini e russi messi insieme.
Con il consueto semplicismo, che non intende spiegare ma deformare e confondere, i “grandi” opinionisti ci hanno riferito le riflessioni di Berlusconi, registrate durante una riunione privata di partito e consegnate alla stampa. Ne è venuta fuori l’immagine volutamente tragicomica di un vecchio rimbambito che non è in grado di controllarsi e si fa condizionare dall’amicizia “pericolosa” con Putin. La storia di due leader che vivono ormai fuori dalla realtà. Berlusconi era e resta per me un uomo pericoloso, ma stavolta le cose non stanno come si tenta di presentarle. Certo, il vecchio leader ha detto quel che pensa davvero della guerra ucraina e di Putin. Un pensiero che ha scandalizzato gli ammiratori di sua santità Zelensky e di un principio acritico, per il quale i torti stanno tutti da una parte e le ragioni dall’altra, sicché, di fronte a un attacco militare, i fatti che conducono alla guerra non contano più: patti sottoscritti e stracciati, principio di autonomia dei popoli, ragioni dei ribelli, anni di massacri e bombardamenti. Chi la memoria non l’ha venduta al mercato capisce, però, che c’è dell’altro. Ricorda, per cominciare, il monito dell’ambasciatore americano David H. Thorne: gli USA si aspettano dall’Italia scelte diverse verso Libia e Russia. Non ha dimenticato la vergognosa lettera di Draghi e Trichet, l’attacco scatenato contro un progetto alternativo che sganciava l’Italia dall’egemonia delle Sette Sorelle, assicurandole il petrolio libico e il gas russo; ricorda l’ostilità manifesta di fronte all’idea, condivisa da Berlusconi con Angela Merkell, di una Unione Europea aperta economicamente, ma soprattutto politicamente, alla Russia di Putin. Una UE autonoma dagli USA. La domanda a questo punto non è se Berlusconi faccia capricci per le poltrone o sia impazzito. La domanda è se la farsa costruita dai media, non serva a far scomparire il dissenso di un politico che, pur avendo lavorato sempre per se stesso, aveva inaugurato una politica estera controcorrente, distrutta brutalmente da sedicenti europeisti, che fecero a pezzi la Libia, alleata dell’Italia, e seguirono gli Usa nella via che ci ha condotti dove siamo. Ridicolizzare Berlusconi o criminalizzarlo, può essere utile ai servi della Nato, a una stampa mediocre e a una classe dirigente europea rozza e povera culturalmente, che ha ridotto il sogno di Spinelli al Regno della Finanza, al possibile e probabile campo di battaglia di una tragedia nucleare. Questa operazione da tre soldi non può impedire, però, né che la gente sia contro la guerra, né che Berlusconi ne colga gli umori. Gente, si badi bene, sola nella tempesta della miseria e nel timore fondato di un macello nucleare.
Proposte, coperture, bla bla bla… Tutti i cosiddetti “grandi partiti” si fanno la guerra sui punti e sulle virgole, ma alla fine sembrano tutti uguali. Colori? Ucraini! Alleanze? Occidente, NATO, Atlantismo! Fede? Democratica, ma a corrente alternata: l’autocrate Putin no, il dittatore Erdogan sì. Bollette, miseria, conseguenze della guerra? Condizionati da inconfessabili interessi, i “grandi partiti” cantano a coro: la gente si sacrifichi! In gioco ci sono i valori! Conseguenza? Lavoratori e lavoratrici, precari e precarie, disoccupati e disoccupate non facciano storie. E’ l’ora dei sacrifici! Dicano a figli e figlie di morire di fame e di freddo! Non c’è alternativa, quindi? Certo che c’è. Quando dici Unione Popolare dici precisamente alternativa e voto utilissimo. Un esempio? Eccolo: Unione Popolare sostiene la lotta anti bollette. Unione popolare e nessun altro!
In questi ultimi mesi, l’Italia delle Istituzioni, guidata da Draghi, ha scelto una linea politica a dir poco estranea allo spirito e alla lettera della nostra Costituzione. L’ultima significativa decisione che caratterizza questa linea, riguarda la Conferenza di Vienna, che da oggi al 23 giugno accoglie gli oltre cento Stati firmatari del Trattato per l’abolizione delle armi nucleari (TPNW). Dei quattro Paesi dell’UE che ospitano testate nucleari NATO sul proprio territorio, il Paese di Draghi è l’unico assente. Con Australia e Norvegia, anch’essi membri della Nato, Belgio, Germania e Olanda sono infatti presenti come Stati osservatori. Il Parlamento è stato informato? Sulla gravissima scelta ha votato e accettato la posizione assunta dal governo? Probabilmente, come ha insegnato a Mattarella Napolitano, non ce n’era bisogno. Ormai il Parlamento ha una funzione puramente ornamentale. Esiste perché si possa dire che siamo una democrazia, ma se un Presidente di Commissione esprime un’opinione sfavorevole alla politica governativa, pur di mandarlo via, si scioglie la Commissione, se ne nomina un’altra e lo si mette alla porta. Giusto? Sbagliato? Democratico? Costituzionale? Domande inutili. Uno straccio di costituzionalista disposto ad avallare lo si trova sempre e in ogni caso decidono giornali, stampa e opinionisti, pronti ad arrampicarsi sugli specchi per santificare le scelte del Beato Draghi. Forte di questo autorevole avallo, contro la volontà di un popolo nauseato, che sistematicamente diserta le urne e mostra di avere per le Istituzioni più o meno la stessa opinione che nutre per la malavita organizzata, siamo giunti rapidamente dove siamo. Draghi ci ha reso cobelligeranti al fianco degli ucraini (loro mettono i morti, noi le armi), ha inaugurato un’accoglienza razzista che accetta i bianchi e respinge i neri e ha promesso al Paese del battaglione Azov che gli italiani saranno sempre al loro fianco e vogliono l’Ucraina in Europa ha tutti i costi. Draghi ha una bibbia – l’atlantismo – e va in giro per il mondo, raccontando che quella è la bibbia di tutti noi italiani. Draghi – e nostro malgrado noi con lui – difende la libertà di stampa secondo un criterio selettivo che fa rabbrividire. Se la vittima è russa, il ministro degli Esteri insorge. Se il carnefice è il governo USA silenzio di tomba. Per Assange non una parola di solidarietà, per Santoro epurazione e per chi ammazza una giornalista palestinese, c’è pronto Pierino: «però difendeva terroristi…». Era stato chiamato per mettere a posto i conti e siamo vicini al disastro; doveva annientare il Covid e ha dichiarato la partita vinta, sicché il massacro continua ignorato e i 58 morti di ieri si sono suicidati. Chi ha detto a Draghi che gli italiani sono pronti a svenarsi per partecipare a un conflitto a dir poco oscuro, è un mistero glorioso. Chi gli ha dato mandato di ipotecare il futuro delle nostre aziende, ormai prossime al disastro, non si sa. Forse è la Bibbia dell’atlantismo a chiedergli di creare disoccupazione, di ignorare la siccità, di aggravare il disastro ambientale. Benché sia paradossale, di una cosa si può esser certi: la guerra di Draghi in difesa degli ucraini e in nome della democrazia non solo ci ha condotti a un disastro economico e a piani di razionamento, ma sta massacrando gli italiani e il loro sistema democratico. A questo punto sorge legittima una domanda: che significa tradire?
Intervistato, il banchiere chiamato alla Presidenza del Consiglio per salvare la patria si fa la propaganda. Finora missione compiuta: economia in crescita, pandemia superata e in quanto alla guerra, dice, la libertà degli ucraini richiede sacrifici agli italiani. Chiuso il libro dei sogni e delle bugie, resta la verità di un Paese che è nelle stesse condizioni in cui Draghi l’ha trovato. Difendere la libertà degli ucraini, significa svenarsi per acquistare armi che ammazzino i russi. Dei diritti violati e delle libertà cancellate da tutti i dittatori, a Draghi non importa nulla e anzi si tiene caro nella NATO Erdogan, il macellaio dei Curdi, per i quali gli italiani non devono fare sacrifici. Intanto i nostri diritti sono sempre più minacciati: alle scuole mancano aule, Università e Ricerca chiedono l’elemosina, di Covid si muore ancora come si moriva e la Sanità non ha occhi per piangere. Mentre Draghi racconta i suoi miracoli, profughi africani, abbandonati a se stessi, annegano nel Mediterraneo e il governo stende tappeti rossi per i profughi ucraini. Tutto va bene, afferma Draghi, che evidentemente non conosce il Paese che governa, e mentre esalta il suo operato, nei Pronto Soccorso il malato scopre che l’urologo non c’è. Mancano, sì. Spendiamo milioni ogni giorno per missili e carri armati e agli ospedali mancano i medici.
Nel linguaggio vile e servile della nostra stampa, i territori che da qualche anno si sono staccati dall’Ucraina sono definiti “autoproclamate repubbliche” del Donetsk e Luahnsk e il recente loro riconoscimento da parte della Russia è descritto come un gesto criminale e senza precedenti. In realtà, solo trent’anni fa, nel 1991, mentre la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia si dissolveva, proprio l’Ucraina si affrettò a riconoscere la Croazia, seguita a ruota della Germania che, nonostante la CEE avesse chiesto di non procedere a riconoscimenti separati, riconobbe unilateralmente la Croazia e la Slovenia. Naturalmente la foglia di fico di questa infamia divenne il rispetto del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Un principio che la pericolosa Germania e la filonazista Ucraina hanno improvvisamente dimenticato.
Se si volesse discutere seriamente di ciò che accade oggi al confine russo, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di cercare la radice dei fatti nella Storia e non nella propaganda. Discutere però, a quanto pare, non si può e non si vuole; c’è la guerra e il massimo che puoi aspettarti da una sinistra fragile e ininfluente è la scelta dell’equidistanza. Gridiamo come al solito “no alla guerra” e là, volenti o nolenti, finiamo col fermarci. Purtroppo però la guerra è una costante nella storia dell’umanità e se vogliamo davvero ripudiarla, occorre definire le responsabilità politiche di chi ci ha condotti dove siamo. E’ l’unico modo di essere davvero solidali con gli sventurati che, impacchettati in una divisa, uccidono e sono uccisi, con tutte le vittime, militari e civili, russe o ucraine. Con loro abbiamo un nemico comune: chi la guerra l’ha voluta.
Senza voler fare azzardati paragoni, occorre anche avere il coraggio di riconoscere che non sempre i responsabili principali sono quelli che la guerra la scatenano e talora è necessario schierarsi. Ai capi della morente Unione Sovietica Francia, Inghilterra e Germania assicurarono che la NATO non avrebbe acquistato complici nell’Europa dell’Est. Dopo il losco affare delle Torri Gemelle, gli Usa però hanno spinto la NATO verso Est. L’Unione Europea avrebbe potuto impedirlo, avrebbe potuto riconoscere nella Russia un Paese con cui intendersi e cooperare, ma non lo ha fatto. Sarebbe stata una maniera concreta e realistica di lavorare per la pace, ma si volle invece fare della Russia un nemico e cominciò l’accerchiamento. In questo senso, l’Ucraina è l’anello mancante della catena di ferro e di fuoco in cui è stata stretta la Russia. Putin è un nazionalista, sogna la “madre Russia”, ma dovremmo sapere che questo non vuol dire ripristinare territorialmente l’URSS. La Russia ha la sua storia e la sua dignità e Putin è tutto, tranne che un folle a caccia di fantasmi. Da anni ripete in tutte le lingue che la Russia si sentirebbe minacciata dai missili e dalle atomiche della NATO a quattro passi da casa. Fin quando ha potuto, ha trattato, poi ha messo mano alle armi. L’avrebbero fatto anche gli USA, come accadde per Cuba, ancora stretta d’assedio.
Può apparire una bestemmia, ma è probabile che la risposta militare russa alla cecità degli USA, sempre più declinanti e perciò sempre più pericolosi, sia un contributo doloroso alla creazione di un equilibrio pacifico per il futuro. Una nuova “guerra fredda”? Questo dipende soprattutto dall’Europa. In ogni caso è un equilibrio che la sinistra dovrebbe avere a cuore. Contro la guerra ciò che resta della sinistra avrebbe agito più efficacemente, se mesi fa avesse cominciato a scendere in piazza contro il vetero atlantismo di Draghi, per il ritiro della NATO dall’Ucraina e per il suo scioglimento. Non l’ha fatto, ma oggi può ancora chiedere a Putin di far tacere le armi e all’Occidente di impegnarsi a non consentire all’Ucraina di entrare nella NATO. Si riaprirebbe così il discorso sulla necessità di sciogliere la Nato. Se si partisse da qui, si potrebbe parlare in maniera franca e leale con la Russia, per creare assieme uno spazio comune che, dall’Atlantico agli Urali, fosse garanzia di pace. Questo vorrebbe dire davvero schierarsi concretamente contro la guerra.
Se un Paese che confina con gli Stati Uniti d’America (Cuba per esempio) installa armi ricevute da un alleato, compie un gesto ostile nei confronti degli USA. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli diventa cartastraccia e gli Stati Uniti possono minacciare una guerra atomica e imporre un embargo praticamente eterno. Se gli Usa e la Nato riempiono di armi e di armati un paese che confina con la Russia, l’autodeterminazione dei popoli diventa sacra e la Russia deve subire senza reagire.
Per sfuggire alla trappola del «draghismo», deciso a creare confusione, seminare panico e odio e impedire così una riflessione seria e doverosa su quanto accade nel Paese, occorre evitare sterili discussioni su una presunta «dittatura sanitaria», sui No Vax e il Green pass. Molto meglio fermarsi sulle responsabilità di un Governo, servo sciocco ed esecutore feroce e dei precetti della Bibbia neoliberista, delle criminali disposizioni e degli interessi della Finanza. Più i giorni passano, infatti, più appare evidente che il dilemma all’ordine del giorno è quello che molti, impauriti, evitano di affrontare pubblicamente: questo governo è formato da incapaci, o si sta macchiando di alto tradimento? Venuta meno la consapevolezza che la memoria è cultura, un popolo di senza storia non ricorda Dossetti e non ha più memoria di ciò che avvenne nell’Assemblea Costituente. Chi ricorda più, ormai, che Giuseppe Dossetti, membro della prima sottocommissione della Commissione per la Costituzione, propose sul tema dello Stato e dei suoi ordinamenti un progetto costituito da 11 articoli? Chi ricorda più – soprattutto – che uno di quegli articoli, trasformava in «diritto di resistenza» quel «diritto di insurrezione», presente nello Statuto della Francia rivoluzionaria nel 1793? Purtroppo, nonostante la sua attualità e aderenza alla realtà italiana dell’immediato dopoguerra, il 21 novembre 1946 Dossetti si vide respingere un emendamento volto a introdurre nella nostra Costituzione il principio per il quale i cittadini hanno il diritto e il dovere di resistere individualmente e collettivamente a quel potere pubblico che violi le libertà fondamentali. Una proposta che nella bozza di Costituzione sottoposta alla vaglio dell’Assemblea Costituente nell’articolo 50 (oggi articolo 54), al secondo comma era così formulata: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino». Nessuno a quei tempi poteva immaginare che saremmo giunti a Draghi, De Luca, Manfredi e compagnia cantante. I tedeschi, con i loro mille difetti, hanno avuto il coraggio di inserire nella loro Costituzione il diritto alla ribellione. In Italia, purtroppo, chi vede lontano non ha fortuna. Eppure, inserito nell’articolo 21 della Costituzione francese del 19 aprile 1946, quel principio era sembrato ai francesi «sotto ogni forma […] il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri”». Il tradimento c’è ed è evidente: dopo due anni di pandemia, Draghi e i suoi compari hanno regalato miliardi alla NATO e speso una montagna di quattrini per bombe, missili e aerei. Intanto la medicina di base è abbandonata al suo destino, gli ospedali sono nelle condizioni di due anni fa, i trasporti sono peggiorati, non si è costruita una scuola e si sono fatti ponti d’oro al virus e alle sue varianti. Intanto la gente, tradita, muore e continuerà a morire. Una legge che consenta di trascinare davanti ai giudici i criminali che ci governano non c’è. Vive nella memoria, però, quel diritto alla resistenza che diventa dovere di ogni cittadino e si pone come prima e gravissima questione sociale. Discutiamo di questo, proviamo a unire un popolo che il governo dei traditori divide e poi individuiamo i modi e le forme della inevitabile resistenza.