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Posts Tagged ‘Palestina’

Ci scambiano gli auguri mentre in Ucraina si muore e in Palestina la “democrazia” israeliana massacra di botte i palestinesi nei luoghi sacri dell’Islam. Perché lo facciamo? Desidero ringraziare la mia amica Marcella Raiola per la sua militanza che non cede e per i suoi auguri illuminanti, che suggeriscono una risposta alla mia domanda.

«Ci sono stati tempi, come nella Roma arcaica e repubblicana, scrive Marcella, in cui le parole erano legami che univano e scioglievano destini, gli auspici erano osservazioni di uccelli (avis spicere) mandati dagli dèi ad avallare o a frenare progetti umani e gli auguri erano interpretazioni di questi auspici, responsabilità enorme, retaggio etrusco. Esistevano uccelli chiamati “remori” (lenti, tardivi, attardati: da loro si fa derivare anche il nome del fratello di Romolo, ucciso perché fosse fondata la città e, insieme, la norma che violare le sue mura è inammissibile), che apparivano per indicare che bisognava appunto ritardare, levare mano, occorreva differire un programma, perché gli dèi non erano favorevoli… Ecco: mi sento come chi da molto tempo non avvista che “remores”“, uccelli del malo augurio, dell’invito alla rinuncia, dell’annuncio dell’ennesimo vuoto che si aprirà nell’anima, nel quotidiano.
È una Pasqua di assenze numerose e pesanti, di silenzi spessi, vischiosi, depauperanti. È una Pasqua attonita come dovette essere la prima per i cristiani, piena di sgomento, di terrore di ritorsione e persecuzione, di incredulità, di testimonianza forzata, per continuare a dare senso a una militanza scelta, ostinata, che aveva stravolto una vita intera...
Vi faccio auguri antichi, auguri-vincolo, auguri che interpretano i segni dei tempi, che esorcizzano e che osano vaticinare il senso, la pienezza, il destino che non ci tocca vedere ma che è, deve essere all’orizzonte. Così, solo così, restituendo alla parola la sua carica magica e poietica, vi posso dire, ha senso che vi dica: Buona Pasqua».

Grazie davvero Marcella. Solo tu, con la tua cultura che trasforma senza fatica apparente il passato in presente, con la tua desolata, ma ancor viva passione, potevi aiutarmi a trovare un senso ad auguri che altrimenti senso non potevamo avere.
Immaginare un “risorgimento” delle coscienze, in un tempo come quello che viviamo, non è una inutile illusione. È ragione di vita e necessità di difendere la speranza. È l’augurio di una “nuova Resistenza”, simile a quella ingiustamente dimenticata, che nei primi anni Sessanta del secolo scorso un pugno di giovani oppose alle ombre di un fascismo mai veramente sconfitto che “risorgeva”. Giovani che per la prima volta facevano i conti con l’ambiguità delle parole e dei valori o pseudo valori che se ne fanno scudo. I conti con la risorgente violenza fascista.
Oggi buona Pasqua indica ancora “resurrezione”, ma è necessario che la rinascita respinga nelle fogne ciò ch’è ingiustamente risorto.
Buona Pasqua diventa così una dichiarazione di guerra. Ieri come oggi, o noi o loro.

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Un ago dopo l’altro, il mio turno si avvicina. Alla Stazione Marittima, luogo simbolo della «regina del Mediterraneo» e del «porto dell’Impero» di Mussolini, la puzza delle camicie nere non è ancora svanita e qualcosa sopravvive del delirio fascista.
Passo il tempo leggendo: «la Palestina abbandonata al suo destino…». D’un tratto mi sento un ladro. Il sangue ribolle, nonostante l’età e mi dico che non si può essere pacifisti quando la violenza è legittima difesa. Ricorderemo questi giorni feroci, ricorderemo Draghi, il suo atlantismo e l’europeismo  cialtrone della doppia morale.  Ricorderemo e salderemo i conti, senza concedere attenuanti. E’ il solo modo che abbiamo perché questa tragedia diventi la boa che segni infine la decisiva inversione di rotta.
Juan Pablo Nahuel Sanchez, sanitario di «Medici Senza Frontiere », scrive che dopo due mesi terribili, in Cisgiordania, la nuova ondata di Covid-19 ha rotto gli argini, mettendo in ginocchio strutture sanitarie già fragili e ridotte allo stremo. Malati in aumento, medici che lottano contro contagi in aumento, la variante inglese che dilaga: mancano spazi, letti, personale, terapie con ossigeno e ventilazione;  per i pazienti in condizioni critiche non c’è speranza.
Mentre mi vaccino, mi vergogno per il privilegio. Al sistema sanitario della povera Palestina,  già messo in ginocchio da decenni di occupazione israeliana e dal lungo blocco economico, la distribuzione dei vaccini è lentissima. Israele che pure dispone di enormi quantità di dosi e si avvia verso una immunità generalizzata, non muove un dito per aiutare gli abitanti dei Territori palestinesi, in cui né anziani, né sanitari in prima linea sono protetti dalla malattia”.
Nell’indifferenza dei Paesi ricchi, che accumulano ricchezze grazie allo sfruttamento e alla morte dalla povera gente, entro e fuori dei loro confini, in Palestina il numero dei vaccinati non raggiunge il 2% della popolazione e la terza ondata della pandemia minaccia una strage.
Mi hanno vaccinato. La mia vita valeva quindi più di quella dei miei coetanei di cui non si ricorda nessuno? Mai come oggi ho sentito un odio così profondo per il capitalismo e mai come oggi ho avuto la percezione netta di una ingiustizia che ha superato i limiti concessi dalla Storia. E’ il momento adatto per urlare un invito più attuale che mai: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!». Questo vaccino domanda vendetta.

Fuoriregistro, 27 marzo 2021

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Probabilmente non se n’è accorto nemmeno ma, se gliel’hanno spiegato, il pupo fiorentino non Renziavrà mai il coraggio di confessarlo: il suo sperticato amore per lo Stato d’Israele è sembrato un po’ eccessivo persino agli interlocutori ebrei, tant’è che un diplomatico, una vecchia volpe infastidita dalla raffica di fesserie, in una pausa dei colloqui ufficiali gli ha raccontato una vecchia e irridente storiella popolare israeliana:
«In un’antica città della terra di Palestina», gli ha detto, «un vecchio ebreo se ne va in giro con il nipotino. Giunti all’ombra di un viale alberato, i due si fermano, l’uomo indica al bambino un albero e gli dice con l’aria seriosa: Lo vedi quell’albero, figlio mio? L’ho piantato io, quand’ero giovane.
Ripreso il cammino e giunti a un crocevia, il nonno si ferma di nuovo, punta il dito verso una casa e dice al nipote con aria solenne: Quella casa lì, di fronte a noi, l’ho costruita io con le mia mani, quand’ero ancora giovane e forte!
Vanno avanti e però, quando il nonno si ferma per la terza volta e mostra al bambino un altro prodotto del suo lontano lavoro, il bambino lo guarda stupito e gli fa: Caspita nonno, non sapevo che prima che io nascessi tu eri arabo.».
Il pupo naturalmente non ha capito nulla, si è messo a ridere divertito e come un serafino stupido ha commentato: Questi palestinesi ne sanno una più del diavolo!

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Cara amica,
il tuo messaggio affettuoso suona per me come un meritato rimprovero. Mi faccio sentire poco e lo so. downloadAnch’io ti penso spesso, però, e spero che le cose non ti vadano troppo male. Non dico bene, perché di questi tempi non è assolutamente possibile; tutto quanto si può fare è difendersi, provando a farsi scivolare addosso il disastro che travolge il Paese. Io mi chiudo a riccio, mi isolo, scribacchio, rifletto e ricomincio a lavorare per i miei due libri il che significa che, di fatto, non ne sto scrivendo nessuno e questo non mi piace. Per le Quattro Giornate potrei certamente considerare chiusa la ricerca e so anche che ne verrebbe fuori un ottimo lavoro. Il fatto è, che il mondo attorno a me somiglia sempre più a un deserto ingombro di macerie e spazzatura e la mia attenzione a volte è assorbita da una riflessione rabbiosa sul come uscire da questo pantano, spesso è presa da una sensazione di doloroso stupore. Non avrei mai immaginato di dover vivere gli ultimi anni della mia vita in un tempo così oscuro e feroce.
Quando la solitudine mi pesa troppo, evado, cerco i compagni, ma puntualmente ne esco avvilito e, se possibile, più inquieto: ognuno coltiva il suo orticello e nessuno sente il bisogno di unire gli sforzi per saldare le lotte. Ieri, a Piazza del Plebiscito, c’era una manifestazione per la sorte tragica della scuola, ma eravamo pochissimi. In città c’era un riunione di antimilitaristi che vogliono far guerra alla guerra (per carità, chi gli dà torto?), c’era la solita congrega di quelli che saprebbero risolvere i problemi della Grecia meglio di Tsipras – e magari hanno pure ragione – c’erano gli occupanti dei vari centri sociali, ognuno attivo nella propria fortezza – chi lotta per l’acqua, chi per la Palestina, chi per Bagnoli e mille altri ancora – ma la scuola moriva sola, ammazzata senza trovare un aiuto nemmeno a volerlo pagare. E’ come se un Gap alla rovescia si muova indisturbato nel Paese. No, noi non conosciamo l’indifferenza che Gramsci odiava, però ci appassioniamo a un problema per volta…
Non avendo con chi prendermela, ho attaccato briga con alcuni agenti della Digos e solo per miracolo non ho finito la serata in Questura. Data l’età, sarebbe stata la prova provata che sono un deficiente; devo dire, però, che alla fine un round l’ho vinto: almeno due agenti della polizia politica sono tornati a casa con qualche dubbio sulla legalità che credono di difendere, mentre uccidono la giustizia sociale  e con la coscienza un po’ meno serena. Certo, quando gli ho detto che la gente li odia, ho temuto il peggio, ma forse lo sanno e non gliene importa. Sta di fatto che non hanno replicato nemmeno quando gli ho detto chiaro che e si sono messi dalla parte sbagliata, perché invece di difendere saltimbanchi pericolosi come Renzi, dovrebbero dare la caccia a chi ha rubato il futuro ai loro figli. Mi ha confortato molto, alla fine, una frase sibilata in un soffio, da uno dei quattro: “prof. ma perché siete così pochi?”.
L’ha capito pure la Digos che dovremmo stare tutti in piazza attorno alla scuola, non lo capiscono i compagni, che magari fanno anche a botte coi celerini, ma solo quando la cosa gli pare veramente molto rivoluzionaria…
Basta, che mi arrabbio troppo.
Mia moglie per fortuna è tornata a una vita normale e la schiena va molto meglio. Il cane fa i conti con il tumore e con gli effetti delle cure, ma in realtà non se ne rende conto, vive una vita tutto sommato felice e riesce a dare ancora molto al suo vecchio padrone, senza chiedere altro che un po’ di affetto. Con la nostra genetica arroganza, noi pensiamo, sprezzanti, che una vita amara sia una vita da cani, ma i cani ci sono di gran lunga superiori per lealtà e onestà nei comportamenti. I cani fanno una vita migliore della nostra. La mia Alice non ha consapevolezza del tempo che passa, della vecchiaia e della morte che giunge. Finché sarà in questa condizione, non ci saranno ragioni per aiutarla ad andarsene.
Mi spiace per ciò che mi dici sulle tue linee telefoniche. Proviamo a crederci: nella barbarie che ormai ci assedia, qualcuno dei gestori a cui ti sei affidata troverà modo di riattivare il servizio. Magari ci riuscirà da un call center hawayano un libico sfruttato che lavora per telecom…
Mi dici che hanno preso un “terrorista”. Ti dico di non sperare che sia uno di quelli veri… i ministri sono tutti a piede libero e organizzano indisturbati nuovi massacri libici.
E’ tardi e sono stanco. Prometto: la prossima volta manterrò la promessa e ti dirò cos’erano e che facevano i Gap. Intanto, animo, amica mia. Passerà anche questo e prima, però, passeremo noi. Forse non è un male.
Un abbraccio e la promessa di farmi vivo.
A presto.

Agoravox, 22 maggio 2015

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ImmagineE’ la seconda volta in pochi giorni che dalle pagine virtuali di Agoravox, il professor Giannuli ci fa la lezione su Israele che macella carne umana in Palestina ma per questioni di numero non giunge al genocidio. Nulla da dire se, dopo i commenti sfavorevoli, Giannuli si fosse limitato a un corso di recupero per lettori che ritiene impreparati; per fortuna c’è ancora libertà d’insegnamento. Le cose però non stanno così. Senza rivolgersi direttamente a chi lo contesta, il noto ricercatore ha sparato nel mucchio e s’è lasciato andare a pesanti giudizi su chi dubita della sua scienza e non accetta la lezione; chi l’ha criticato e non ha ricevuto risposta non saprà mai se collocarsi tra quanti fanno chiacchiere «da bar dello sport», per citare le sprezzanti parole dello storico, o è stato inserito d’ufficio in una lista segreta di «piccoli confusionari irresponsabili, che non si rendono conto dei danni che fanno».
Sommessamente e col rispetto che si deve a chi esprime un’opinione, questa non è democrazia partecipativa e mal si concilia con gli obiettivi di un sito tra i migliori nel suo genere. Trasferendo in un articolo la discussione sul suo intervento, Giannuli, infatti, ignora lo spazio dei commenti, dedicato al confronto e snatura la bella struttura di Agoravox, che non è un blog personale, in cui ognuno si dà le regole che vuole. Rispondere ai commenti significa, infatti, aprire una discussione con un lettore e fare i conti con le sue eventuali obiezioni. Un autore può scegliere legittimamente di ignorare eventuali provocatori, ma quando se la prende genericamente con tutti e nessuno, impedisce la replica e trasforma la discussione in un processo in cui c’è l’accusa, ma manca la difesa.
Giannuli ha ragione: le «parole sono pietre». Purtroppo però, dopo averlo detto, se ne dimentica e tira sassi su chi lo critica. Basta leggere la conclusione dell’articolo per rendersene conto. Ai “cari amici” dissenzienti, infatti, il ricercatore rivolge una domanda a dir poco oltraggiosa: «posso dirvi che moralmente mi fate un po’ ribrezzo per la vostra irresponsabilità?».
Da oggi in poi, chi vorrà evitarsi le sassaiole del professore, parlando della politica di Israele scelga, per favore, tra pulizia etnica, crimini di guerra o strage e si mostri in linea col Giannuli-pensiero, insinuando ciò che insinua Giannuli: se potesse, Hamas «perseguirebbe obbiettivi di pulizia etnica a parti scambiate». Quando diremo ciò che dice il professore, non faremo ribrezzo e ci riabiliterà.
Non c’è dubbio, se la redazione consente, ognuno ha diritto di scrivere ciò che crede, però lasciatemi dire senza intenti polemici che a me fa ribrezzo la parola ribrezzo rivolta a chi dissente. Fanno ribrezzo i criminali di guerra, gli autori di stragi e chi fa pulizia etnica. Da un punto di vista morale, mi fa ribrezzo l’insinuazione che riguarda Hamas, perché è tutta da dimostrare e potrebbe anche essere campata per aria, intanto, però, infanga la resistenza palestinese e mette sullo stesso piano truppe di occupazione impegnate in stragi criminali e combattenti di un popolo oppresso che lotta per la libertà.

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10551057_10152633444090452_4884096819397604607_nL’articolo che ha mandato in bestia il sionista  l’ho scritto il 3 agosto e tornerei a scriverlo mille volte. “Gaza: il trionfo della neolingua”, l’ho intitolato e non mi sono pentito. Il sionista inviperito l’aspettavo al varco e lo sapevo bene che sarebbe giunto.
«Tutto può dire, anche di voler mandare a mare tutti gli ebrei», m‘ha scritto, come se fosse lui a decidere quello che dico io, «anche che Papa Francesco non è sensibile alla sofferenza , anche che gli ebrei sono il male assoluto ; anche che lei si martirizza per quanto avviene nell’inferno della palestina e di israele. Ma se ha un minimo di dignità,vada a combattere , altrimenti non nomini più la parola pace senza sciacquarsi la bocca. Di gente di sinistra o di destra che si schiera da una delle due parti , senza capire nulla del dramma che due popoli stanno vivendo da svariati decenni , noi , palestinesi e israeliani che sognano di vivere in pace , non sappiamo cosa farcene. Andate e rilassatevi , che ci pensiamo noi a soffrire , senza pubblico».
L’ammazzabambini è così, pubblico non ne vuole e non fa meraviglia: anche ad Auschiwitz il pubblico non lo voleva nessuno. Che fai? Lo ignori? No. Due parole le merita, poi ognuno per sé.
«Le rispondo per le rime, Motti, poi la mando all’inferno come merita. Si lamenti quanto vuole della mia mancanza di democrazia, non cambio idea: i macellai di bambini e i loro accoliti mi fanno schifo. Qui si parla di un governo criminale e di vergognose complicità internazionali. Lei, che non ha argomenti, ciancia di dignità. Non si preoccupi della mia, ci bado da solo e combatto più di quanto lei creda. Raccolga se riesce i cocci della sua, poi si guardi allo specchio e si sputi in faccia. Di pace non ho parlato e non lo farei. La pace coi nazisti non si fa. E’ una vergogna che gente come lei si erga a rappresentante di una comunità sparsa per il mondo. Lei rappresenta a stento se stesso e quanto resta di una delle peggiori ideologie del XIX secolo: nazionalismo e colonialismo. Primo Levi, che certo conoscerà, e molti intellettuali ebraici non la pensano come lei e combattono l’ingiustizia e l’oppressione dell’uomo sull’uomo. Dopo Sabra e Chatila, Primo Levi, si disse indignato e pubblicamente auspicò le dimissioni di Ariel Sharon e Menachem Begin. Israele, che aveva sempre ignorato le dichiarazioni di Levi, non poté fare a meno di “scoprire” il celebre ma scomodo reduce dell’Olocausto e si scandalizzò. Quando, in una intervista, gli chiesero perché avesse firmato un manifesto che condannava il militarismo israeliano, Levi rispose con parole che ancora oggi sono una inappellabile condanna: «Ognuno è ebreo di qualcuno». Si riferiva ai polacchi, ai gitani, agli armeni, urlano oggi i sionisti. ma non è così. Stava parlando di Sabra e Chatila e lo stava facendo dopo aver firmato un appello per la Palestina.  Gentiloni, autore dell’intervista, ne ricavò la conclusione lampante: «in questo momento i palestinesi sono gli ebrei di Israele». Riportava evidentemente il pensiero dell’intervistato che, non a caso, nonostante l’infuriare delle polemiche, non lo smentì. Basta. Né Levi, né io abbiamo voglia di discutere con lei. Non pubblicherò mai più i suoi commenti e quelli di gente come lei».
L’intenzione era quella di chiudere davvero. Il sionista non è nemmeno un combattente. Parla l’italiano dei tifosi e se ne sta in pantofole davanti alla televisione. E’ un ebreo italiano, forse, ma con lo Stato sionista condivide al più la religione. Fingendosi israeliano combattente, s’è messo a fare la vittima insolente:
«Venga», m’ha scritto in un battibaleno, inferocito, «venga qui da noi e si prenda in mano un uzi o un kalashnikov e saprà immediatamente cos’è la guerra; il terrore , la paura che le provoca tremori incontrollabili , la cacca che le cala dai pantaloni , il sudore che puzza come mai… Venga e poi capirà perché io israeliano ho un grandissimo rispetto per i combattenti palestinesi e provo grande schifo per gente come lei che appena sente il rumore dei nemici si trova la penna che trema e i pantaloni bagnati. La guerra… ma si vergogni… venga , venga e poi capirà ;vale più di mille libri… che lei conosce poco. Primo levi?Nemmeno lo nomini!».
Che fai ti butti a pietà, macellaio cacasotto? Dove vengo? Nel salotto di casa tua a guardare alla tele la guerra che ti eccita? Che vuoi, un articolo tutto per te? Ok. soldatino di latta. Il titolo ti sta a pennello: «L’ammazzabambini». Chissà che non impari qualcosa dagli israeliani migliori, uomini, non bambocci che se la fanno addosso e misurano gli altri da se stessi. Eccoti servito, poi togliti dai piedi e porta altrove i tuoi escrementi.

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Natan Blanc, ebreo israeliano, è stato uno dei primi obiettori di coscienza israeliano. Un comunista che è entrato e uscito dal carcere, finché non è stato esonerato dal servizio. L’anno scorso dichiarò ad Amnesty International, che Israele non intende «garantire ai palestinesi uguali diritti, o il diritto di voto». Io, aggiunse, «non voglio prendere parte a questa situazione… voglio stare dietro alle mie azioni e non voglio fare cose che vanno contro la mia coscienza». Aveva chiesto di arruolarsi nel servizio medico di emergenza (la Croce Rossa israeliana), ma le autorità negano agli obiettori di coscienza un servizio civile alternativo alla leva militare. In Israele non c’è.
Migliaia e migliaia di israeliani si oppongono al governo sionista, sono numerosi i giovani obiettori che si rifiutano di far la guerra ai bambini e sono maltrattati e imprigionati. Di questo non si parla, naturalmente, ma si tratta di un fenomeno sociale sempre più diffuso. Chi dice di no, ha certo più coraggio di chi parte. Uriel Fereira, scrive il «Fatto Quotidiano», è un giovane ebreo ortodosso; il 20 luglio è riuscito a diffondere questo messaggio: «Ciao, sono Uriel Ferera. Ho 19 anni e vengo da Be’er Sheva. Ho già trascorso 70 giorni in prigione, 4 volte consecutive, per essermi rifiutato di arruolarmi, per motivi di coscienza. Violazione dei diritti umani, uccisioni e umiliazioni del popolo palestinese nei territori occupati sono i motivi principali del mio rifiuto all’arruolamento. Per me, in quanto onesto credente, questo è assolutamente in contraddizione con la visione che Dio ci crea tutti a sua immagine e somiglianza, e noi non abbiamo il diritto di fare del male ad alcun essere umano. È ora in atto un’operazione militare a Gaza. L’esercito sta attaccando obiettivi dove uomini innocenti, donne e bambini vivono. Spero che questa operazione finisca, che l’occupazione finisca e che noi tutti possiamo vivere in pace su questa terra. Domani dovrò presentarmi alla base di insediamento militare e rifiuterò ancora una volta. Inizierò il mio quinto periodo consecutivo in prigione. Sono orgoglioso di me stesso di andare in prigione e di non prendere parte in crimini di guerra»
Quelli come Uriel sono tanti e nelle prigioni militari non c’è più spazio, perché come riferisce Uriel, molti giovani che stnno dicendo basta all’occupazione e all’oppressione del popolo palestinese. Il motivo del rifiuto è chiarissimo. «Mi rifiuto» – scrive Uriel – «di arruolarmi nell’esercito perché non voglio collaborare con crimini di guerra, spargimento di sangue e uccisioni di bambini». Gli obiettori trovano illogico «parlare di pace quando stiamo bombardando civili a Gaza».
Gruppi minoritari come i Drusi, che costituiscono il 20 % della popolazione di Israele, palestinesi, arabi ma cittadini israeliani, costretti a svolgere il servizio militare dall’ormai lontano 1956, si rifiutano in numero crescente di indossare la divisa dell’esercito israeliano per combattere contro il loro stesso popolo. Lo Stato d’Israele è costretto a fare i conti con un’iniziativa organizzata nel tessuto sociale del Paese, che non solo rifiuta l’arruolamento obbligatorio ma chiede il riconoscimento dei diritti della società araba-palestinese.
Il giovane violinista Omar Saad, palestinese druso, ha subito lunghi arresti: la prima volta finì dentro perché, assieme ai fratelli, diede vita a una protesta musicale davanti a una prigione militare israeliana in Galilea. Quando ha deciso di rifiutare l’arruolamento, ha scritto una lettera aperta tradotta anche in italiano: «Signor Ministro della Difesa di Israele, sono Omar Zahredden Mohammad Saad, proveniente dal villaggio Maghar, Galilea. Ho ricevuto l’ordine di arruolarmi nell’esercito il 31 ottobre 2012 secondo gli accordi sulla leva obbligatoria per la congregazione Drusa, e di seguito la risposta alla sua richiesta:
Rifiuto di arruolarmi perché non accetto la legge che prevede l’arruolamento obbligatorio opposto alla mia congregazione Drusa. Lo rifiuto perché sono un pacifista, e odio ogni tipo di violenza, e credo che l’esercito sia il massimo della violenza fisica e psicologica, e da quando ho ricevuto l’ordine di iniziare con le procedure per l’arruolamento la mia vita è cambiata completamente. Sono diventato molto nervoso e i miei pensieri confusi. Mi sono ricordato di migliaia di immagini crude e non potevo immaginare me stesso ad indossare l’uniforme militare, partecipando alla soppressione del mio popolo palestinese, combattendo i miei fratelli arabi. Rifiuto l’arruolamento nell’esercito israeliano o in ogni altro esercito, per ragioni morali e nazionali.
Odio l’oppressione e disprezzo l’occupazione. Odio pregiudizi e restrizioni alla libertà. Odio chi arresta bambini, vecchi e donne. Sono un musicista e suono la viola. Ho suonato in numerosi posti e ho molti amici musicisti da Ramallah, Gerico, Gerusalemme, Hebron, Nablus, Jenin, Shafaamr, Elaboun, Roma, Atene, Beirut, Damasco, Oslo ed altro ancora. E tutti noi suoniamo per la libertà, umanità e pace. La nostra arma è la musica e non ne avremo di alcun altro tipo.
Faccio parte di un gruppo oppresso da una legge ingiusta, quindi, come possiamo combattere contro i nostri parenti in Palestina, Siria, Giordania e Libano? Come posso lavorare come soldato al check point di Qalandia, o in qualsiasi altro check point di occupazione quando io stesso ho provato l’esperienza di oppressione in questi check point? Come posso impedire alle persone di Ramallah di visitare Gerusalemme? Come posso fare la guardia al muro dell’apartheid?
Come posso fare da carceriere per il mio popolo, mentre so che la maggior parte dei prigionieri sono detenuti in cerca di diritti e libertà?
Suono per divertimento, libertà, e solo per la pace che si basa su fermare gli insediamenti e il ritiro dell’occupazione israeliana dalla Palestina. Per l’istituzione di una Palestina indipendente con Gerusalemme come capitale, per il rilascio di tutti i prigionieri e per il ritorno in patria di tutti i rifugiati espulsi.
Molti dei nostri giovani hanno servito sotto la leva obbligatoria e cosa hanno ricevuto alla fine? La discriminazione in tutti i campi. I nostri villaggi sono i più poveri della regione, le nostre terre sono state confiscate, non abbiamo mappe strutturate, non abbiamo zone industriali. Il numero di laureati nella nostra regione è il più basso e soffriamo molto il mancato sviluppo. Questa legge sulla leva obbligatoria ci ha isolati dal mondo arabo. Per quest’anno ho intenzione di continuare i miei studi superiori e mi auguro di continuare pure gli studi accademici. Sono sicuro che lei proverà a mettere ostacoli a fronte delle mie ambizioni di uomo, ma io lo dirò a voce alta: ‘Sono Omar Zahreddeen Saad. Non sarò una vittima della vostra guerra e non sarò un soldato del vostro esercito.’ Firmato: Omar Saad»
Il governo non gli ha risposto e l’esercito pretende di arruolarlo. E’ finito in prigione sei volte e agli avvocati – anche quelli del New Profile, che chiedono la demilitarizzazione della società israeliana – non è più consentito di visitarlo. Stessa sorte tocca a molti altri obiettori di coscienza, nelle prigioni militari. La detenzione è durissima, Omar è finito in ospedale per una acuta infezione e il padre sostiene che la malattia è una conseguenza diretta delle condizioni in cui è stato tenuto nel carcere.
Il gruppo anti-militarista New Profile, Amnesty International, Baladna, il Druze Initiative Committee e altre associazioni per i diritti umani, fanno appello al governo di Israele perché la smetta di arrestare gli obiettori di coscienza. Poco prima dell’ultima aggressione, gli attivisti israeliani del gruppo “Breaking the Silence” hanno tenuto nel centro di Tel Aviv una lunga iniziativa; hanno parlato ex soldati israeliani e ad altri attualmente in servizio, ad hanno accusato l’esercito, conquistando molti consensi tra chi passava e si fermava ad ascoltarli. Ecco alcune delle testimonianze più significative.
Adi Mazornon non ha esitato a raccontare in pubblico particolari atroci: «Il mio comandante» – ha riferito- «preso il telefono, ha detto: ‘Noi vediamo là alcuni bambini che lanciano pietre sul muro’. Non c’era alcun bambino. Niente. Aveva mentito. Noi abbiamo detto ‘d’accordo’ e il mio collega ed io siamo saliti sul carro. Abbiamo sbloccato una granata stordente e l’abbiamo gettata sopra il muro. C’è stato un grande scoppio. Mi sono accorta di un Palestinese che lavorava nel suo campo. Era atterrito. Ricordo di essere stata molto fiera del mio gesto. Poi la sensazione di eroismo è presto diventata una sensazione di vergogna. Avevo vergogna di me stessa. Era come se il territorio palestinese fosse un nostro terreno di gioco dove potessimo fare quel che volevamo in qualsiasi momento».
Gil Hellel, nel suo intervento, ha raccontato: «eravamo un’unità mista sul terreno per gestire i disordini provocati dagli Ebrei. La popolazione nella colonia ebraica di Avraham Avinu è nota per essere difficile da gestire e origine di molti problemi. Tutta la città di Hebron è il focolare dei coloni più estremisti, giunti lì per una missione, per così dire: la riconquista della Terra d’Israele. Loro molestano continuamente ogni giorno i Palestinesi che vivono laggiù. In mezzo a tutto ciò, ricordo di aver pensato dentro di me: Ma per l’amor di Dio, cosa sto facendo io qui? Chi sono davvero in procinto di difendere?».
Noam Chayut, a sua volta ha raccontato: «C’era grande folla che tentava di attraversare il checkpoint per spostarsi da Gerusalemme a Ramallah, cioè per uscire da quello che noi definiamo il legittimo Israele. Noi li perquisiamo allo stesso modo nei due lati del passaggio. Una volta c’era tra la folla un’adolescente o una giovane donna occidentale, o europea. L’ho guardata e in qualche modo le ho fatto segno di fare il giro invece di aspettare con gli altri. Lei è arretrata di un passo e ha cominciato ad urlare in inglese. ‘Perché? Che differenza c’è fra me e questa donna con i suoi marmocchi che piangono in coda?’ Evidentemente, non ho potuto rispondere, perché non c’era risposta» (Andrea Di Cenzo – MEE, Traduzione di Maria Chiara Tropea – Donne in nero).
Recentemente, una ragazza, una civile israeliana, Naomi Levari. regista e produttrice teatrale e cinematografica, si è così rivolta ai Palestinesi:
«Cara gente di Gaza, qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite. Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola. E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti. L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta -chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo. State al sicuro».
Levi l’aveva detto: «Ognuno è ebreo di qualcuno» e oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele.

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Mi scrive un lettoreIl commento è un po’ romanzato ma la sostanza è questa: «La Scuola? Massimo rispetto, per carità, ci metto la maiuscola. Un’importante funzione sociale, un vasto potenziale per numero di addetti, ma»… C’è un ma che hai sentito milioni di volte. Una litania, un ritornello assillante, giornali, televisione, autobus, famiglia, metropolitana: «Oggi, salvo lodevolissime ma rare eccezioni, la scuola è infestata da una classe docente ignorante, parassitaria, conservatrice e indisponibile ad ogni forma di evoluzione».
Altro che maiuscola! Non fai in tempo a replicare che arriva la minuscola:
«Gli insegnanti si muovono solo per protestare in piazza, orientati da un’appartenenza politica che ne fa un tradizionale bacino elettorale. Insomma, una categoria funzionale al mantenimento della “casta”.
Nell’immaginario collettivo è così: gli insegnanti, massacrati dalla politica, sono il solido sostegno dei politici. Salvo lodevolissime ma rare eccezioni, non c’è famiglia in cui i genitori non sentano il bisogno di impartire ai figli studenti la doverosa lezione: «Gli insegnati non li stimiamo. Li conosciamo bene e non li stimiamo. Sono individui “piccoli” e fondamentalmente disonesti».
E’ vero, la prima reazione è un moto di stupore e la risposta è acuta: «Più dei tuoi colleghi, papà?», chiedono, sorpresi e un po’ insospettiti, i ragazzini, che ne sanno ormai di cotte e di crude su tutto e su tutti. La risposta, però, tocca la corda morale e liquida i dubbi:
«No, non più di altre categorie. A loro però è affidata la futura possibilità che i giovani possano inserirsi da cittadini e non da “sudditi furbi” in un mondo nuovo che in altri Paesi, in Europa soprattutto, stanno disegnando».
Una condanna senza appello e un ragionamento che a prima vista non fa una piega: «come esempio, noi facciamo pena, è vero, ma loro, i docenti, stanno lì apposta per rimediare». Cacchio, che fa un insegnante in cinque ore di scuola, se non riesce a ripulire le piaghe purulente d’una società messa ormai veramente male? L’imprenditore evade? L’avvocato e l’architetto danno i numeri? La sanità è un affare da miliardi e non si capisce più chi è la guardia e chi il ladro, sicché la casa crolla? Beh, l’insegnante faccia il suo mestiere, no? Glielo dica ai ragazzi: non fate anche voi così, mi raccomando, non rubate.
Ormai, i panni sporchi non si lavano più in famiglia. E’ la scuola la grande lavandaia d’Italia! La scuola, sì, che tuttavia, guarda caso, non sa che pesci pigliare ed è sempre più a corto di detersivo. Agli insegnanti, d’altra parte, tanti ragazzi non credono più e non hanno torto; papà li ha avvisati: «Sono individui “piccoli” e fondamentalmente disonesti». E’ vero, ci sono i dirigenti scolastici, ma li si vuole “capi” e autoritari e anche per loro non sono rose e fiori. Quando gli va bene, «sono l’espressione relativa dell’attuale classe dirigente italiana e, come tale, agiscono e dirigono il loro piccolo “regno”».
In un paese così ridotto, è facile sognare e ancora più facile scambiare fischi per fiaschi. Quanti siano i fischi e quanti i fiaschi, non è possibile dire, perché sui numeri ormai imbrogliano tutti, ma in queste condizioni, c’è sempre più gente che apertamente dichiara: «credo che Renzi debba “decapitare” l’assetto verticistico della struttura sociale di questo Paese in ogni direzione. Lo so che è brutale e richiede qualche compromesso ma, al momento, non vedo alternativa».

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Temo che questa maniera di ragionare non sia figlia del caso e non sia una novità. La conclusione del breve commento offre, di fatto, una sintesi illuminante del rapporto che lega Renzi a quanti si attendono dall’ex sindaco la “rivoluzione” che cambi il Paese: «credo che Renzi debba “decapitare”… in ogni direzione».
Non penso di sbagliare, se dico che questa speranza corrisponde, persino nelle parole, a quella che nell’immediato primo dopoguerra condusse a Roma un avventuriero senza storia. I giornali dell’epoca sono testimoni di quel suicidio della democrazia liberale. Fu un’aspettativa di cambiamento, irrazionale e del tutto infondata, che aprì la via al fascismo, come ricorda il titolo che Renzo De Felice volle dare al primo volume della sua biografia del duce: “Mussolini il rivoluzionario”.
La storia non si ripete, è vero, se non per diventare farsa; il fascismo è ufficialmente morto e chissà  che accadrà domani. E’ singolare, però, l’incoscienza con cui, di fronte a ogni crisi economica, soprattutto se finanziaria, il nostro Paese affronta il tema dei diritti e della democrazia. Renzi è probabilmente il clone meglio riuscito di quella classe dirigente che dovrebbe “decapitare”; lavora gomito a gomito con Berlusconi, ha il consenso indiscusso dei grandi monopoli dell’informazione, gode dell’appoggio dei Monti, dei Casini e degli Alfano e ha per padrini “uomini nuovi” come Giorgio Napolitano, uno che ha messo le tende a Montecitorio nei primi anni cinquanta e – caso unico nella nostra storia – è al secondo mandato da Presidente della repubblica. Renzi ha il compito di fare il boia, questo è vero, ma decapiterà solo i diritti sanciti dalla Costituzione. Non so dove abbiano studiato i ferocissimi critici dei nostri docenti, in quali scuole e in quali università si siano formati e non so nemmeno quanti tra loro pensino per davvero che i loro insegnanti siano stati individui “piccoli” e disonesti. So che su un punto hanno certamente ragione: il nostro sistema formativo ha fallito. Ciò che pensa ormai tanta gente, anche intellettualmente onesta, ne è una prova. Amara ma inconfutabile. Quando in buona fede si scambia l’effetto con la causa, vuol dire che il senso critico è stato davvero messo al bando.
Non c’è nulla di più sconcertante della convinzione ferma, quanto ottusa, che in un Paese molto malato possa esistere una scuola in piena salute. L’Italia ha una febbre da cavallo e nel delirio ha un incubo ricorrente: pensa che la terapia in grado di curarla sia nelle mani di un pupo pronto a usare la scure. Il microscopio, però, non ha dubbi: il virus che ci ammazzerà è proprio l’attesa terapia. In quanto all’Europa che andrebbe disegnando un mondo migliore, non so quale sia quella che suscita speranze disperate; io la vedo all’opera ogni giorno: è quella dei CIE e degli affogamenti nel Canale di Sicilia, quella che appoggia i nazisti ucraini e tace sulla Palestina. L’Europa sempre più razzista che dilaga e ci avverte: non vuole la guerra, ma non la esclude.
In quali riforme speri chi ha scelto Renzi come salutare boia della democrazia non è chiaro a nessuno. Le uniche di cui si ha notizia sono quelle del misterioso “accordo del Nazzareno”. Il patto con Berlusconi. Una strage probabilmente ci sarà, ma non cadranno di certo le teste di coloro che costituiscono “l’assetto verticistico della struttura sociale di questo Paese”. Non s’è mai visto un boia che decapiti se stesso.

Uscito su “Fuoriregistro” il 12 luglio 2014

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Cari «compagni democratici», auguri. Per il peso che portate del passato, per la responsabilità che già avete del futuro, per la speranza che avete assassinato, cari «compagni», auguri.

Auguri, cari «compagni», per quest’anno che avete lasciato morire indecorosamente senza voler capire che ve ne andate con lui, che l’occasione è persa. Auguri e complimenti perché vivaddio – come avete potuto? – voi che morto avete detto di volerlo, voi che pensavate di potere ingannare voi stessi, voi che pesate su bilance truccate la pace e la guerra, voi scoprite oggi che meglio sarebbe stato salvarlo l’alleato imbroglione.

Cari «compagni», auguri e complimenti per il dittatore che lascerete vinca sulle sabbie d’Africa perché sapete che vi sarà amico e per quello che invece dovrà perdere, dal momento che non sa cosa darvi in cambio d’un vittoria. Forca, patibolo, guerra, pace e democrazia, tutto sapete vendere al vostro prezzo negli scampoli di fine stagione e tutto liquidate tra l’agonia della libera stampa, l’arroganza criminosa degli editori «progressisti» – quanti velinari vuole De Benedetti al soldo del padrone? – il giornalismo «embedded» , i carnefici «bipartisan» degli immigrati di questo nostro paese sventurato. la Grecia massacrata e il Mediterraneo ridotto a un cimitero.

Auguri, «compagni», e complimenti per quest’agonia della politica, per la parata di ferrivecchi che avete messo all’opera come fossero il nuovo del mondo in tema di formazione, per la ditta «Gelmini & Profumo» che avete sostenuto, per i principi e gli ideale prostituiti agli appetiti della Confindustria, per gli alunni che aumentano nelle classi assieme ai posti di docenti tagliati e ai soldi regalati alle private in ossequio alla dottrina cattolica che fa “servo lo Stato in libera Chiesa“.

Auguri, «compagni», per Guantanamo che non vi ha convinti a chiudere col sadismo nauseante della «democrazia a stelle e strisce», come il martirio della Palestina non basta a farvi chiedere all’Onu condanne esemplari per i macellai sionisti e sanzioni che, colpendo gli aggressori, proteggano gli aggrediti

Auguri, «compagni esportatori di democrazia», e complimenti per le manganellate distribuite senza esitare ai picchetti operai e agli studenti in lotta, per le pensioni cancellate, per il ticket sul Pronto Soccorso, per i soldi pubblici regalati a banchieri lestofanti, per Mussari, Richetti, l’imbroglio Montepaschi e la «finanza buona», per la guerra che chiamate pace e per i cacciabombardieri pagati rapinando la povera gente. Per tutto questo, «compagni», auguri e complimenti.
L’anno che verrà Berlusconi continuerà a chiamarvi comunisti ma voi starete certamente col suo «partito nuovo» contro la povera gente, firmerete contratti più o meno segreti con i rossi di Casini e con Monti, braccio armato della dittatura voluta dalla finanza e ci racconterete che occorre serrare le fila e stringerci la cinghia perché il pericolo è a destra.
Bene, compagni. Fatelo. Io però non vi do retta, non vi credo e, com’è mio costume, ve lo scrivo: il pericolo immediato siete voi. Voi il pericolo vero, voi il nemico acerrimo del popolo. Non vi basterà  evocare fantasmi: voi mentite. Non possiamo più slittare a destra, perché alla vostra mano diritta c’è poco più del nulla. La destra vera, senz’anima e fede, senza storia e pudore, la destra vera, «compagni» siete voi.

Auguri, «compagni», complimenti e auguri. Ne avete un gran bisogno. All’orizzonte si sente rumore di tempesta e non vi basterà difesa. Presto vedrete la Bastiglia bruciare; è già pronta la Sala della Pallacorda e nell’ombra si raccolgono legno, lame e cesti. Ormai non basta più un processo pilotato e potete giurarci: molte teste cadranno.

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Alba di Capodanno

Di vero trovi infine solo il cielo,
un infinito velo
di muta indifferenza,
l’approdo d’una gelida accoglienza
al dolore, all’amore,
a chi nasce e poi muore.
Della tua bella festa
tutto quello che resta
è un’amica ferita
tra poveri doni per Gaza aggredita:
chi mai l’ascolterà la Palestina
nell’alba inebetita domattina?
Invano ha chiesto aiuto.
Questa notte è un rifiuto,
altro non è l’inganno
che chiami Capodanno:
solo un rifiuto. E nessuno l’ascolta
l’urlo d’una rivolta,
un sussulto d’amore,
un grido di dolore.
Tutto quello che resta
della tua bella festa
è una voglia malata d’ingannare
la vita e poi far finta di sperare.

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Scrivo di getto, senza rileggere. La notizia è di quelle che, ripetute, scuotono. E non so tacere. Lo annunciano, ad ogni anniversario, settimanali on line e carta stampato, gente di destra e gente di sinistra, stampa di cui fidarsi, e fa piacere: il nuovo anno zero è nato a New York, tra ciò che resta del tragico Ground Zero. Dopo le olimpiadi classiche e Roma fondata, dopo il prodigio di Betlemme e la fuga di Medina, da qualche anno c’è il mistero di New York. Siamo all’anno otto e San Silvestro cade ora l’undici settembre. I tempi sono quelli che sono e incontrare un punto fermo non è cosa da poco. D’accordo, l’evo nuovo parte da un buco, un vuoto, un lutto difficile da elaborare, ma è pur sempre qualcosa. D’altro canto, cosa chiedere ad un anno zero partorito dall’orrido accoppiamento di cumuli di detriti con resti umani – migliaia di non identificati ci hanno detto con macabra pignoleria – in un vuoto circondato da bandiere e bancarelle, dove turisti scattano foto morbose e comprano salsicce?
Ricorre a giorni l’ottavo capodanno e “il mondo intero” è in attesa dell’evento. E qui, sul “mondo intero” che l’attende, qualche dubbio mi assale. Nella mia Napoli, per dirne una, nei rioni popolari soffocati da disoccupazione, miseria e camorra, l’anno otto dopo Ground Zero passerà inosservato, come gli altri sette: la gente non s’è accorta del cambiamento. Non se n’è accorta, ci potrei giurare – e come avrebbe potuto? – l’incorreggibile teppaglia che si diverte a lanciare sassi nella Palestina occupata, non se ne sono accorte le larve subumane che a centinaia di milioni si trascinano per le vie dell’India e le caterve di derelitti che lottano quotidianamente per la sopravvivenza in tutti i continenti. Miliardi di persone ignorano bellamente lo storico avvenimento, sicché, stringi stringi, scopri che “l’intero mondo” in attesa si riduce a pochi milioni di occidentali e ai loro poteri statali. Vengono i brividi. Sta nascendo un mondo che è un vuoto, un’identità non verificabile, un verminaio germinato dal tragico mostriciattolo prodotto dall’attentato alle “torri gemelle” e la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta non se n’è accorta! Non se ne sono accorte – ed è ciò che sconvolge – le periferie che hanno pensato e condotto l’attacco al centro della terra. Sembrerà strano ma è così. E per scoprirlo non occorre andare in Amazzonia. Venga qualcuno a Napoli, nella “167” di Secondigliano, nei “quartieri spagnoli”, nei vicoli della Sanità, di Pendino, Vicaria e Mercato e chieda alla gente perché s’è scagliata contro il centro del mondo. Sentirà le risposte. In quanto alle vicende della storia, di cui si può dire ormai tutto e il contrario di tutto – che è finita e risorta, o forse si è interrotta per far posto a un’altra storia ma è bene non chiedere storia di che? storia di chi? – in quanto alla storia, dicevo, mi informano d’un tratto (e sembra una minaccia) che c’è poco da fare: visto che vive, siamo costretti ad esserne protagonisti. Tutto questo mi allarma e mi chiedo angosciato: prima dell’anno zero ci furono protagonisti non costretti? Per favore, signori, fuori i nomi.
Lo ammetto. Sono un vecchio ostinato e non riesco a guardare a domani senza tener d’occhio ciò ch’è stato ieri. Non credo alle cesure nette, ai cambiamenti improvvisi e diffido di qualunque anno zero e di ogni “tabula rasa“. Il nuovo mondo che si vuole far nascere, col nuovo ordine e la nuova Costituzione a me non pare nuovo. Ne ricordo uno uguale, descritto anni fa Marcuse, abitato da un uomo misterioso a una sola dimensione. Un mondo, mi spiace dirlo, già analizzato in manifesti “deliranti” per definizione da alcuni giovani sciagurati che si dichiararono soldati di una guerra che volemmo unilaterale – una “non guerra” – che ci sembrò incomprensibile, fu condotta male, nell’isolamento, e fu persa, ovviamente, come sembrò che fosse nella logica delle cose. Dirò consapevolmente cose che faranno rivoltare i benpensanti. L’obiettivo di quella “non guerra” furono la NATO, il Fondo Monetario Internazionale, la tirannia delle multinazionali. Il mondo “nuovo” insomma, quello d’oggi, che è già nato da tempo, s’è consolidato e già invecchia, un mondo il cui anno zero non si colloca certo alla data dell’attentato alle torri gemelle. I giovani sciagurati sbagliarono e pagano. Ma, diciamocela tutta, deliravano davvero? E queste mie annotazioni sono anch’esse un delirio? Dio, quanto male si può fare per difendere la “democrazia“. E quanto male può venire da embrioni di moderne dittature legittimate da controfigure della sinistra.
A chi ci opponiamo mi hanno chiesto? Al gioco delle parti. A chi parla per la sinistra e si colloca a destra. A chi è di destra e ora fa il sinistro. Potrò sbagliare, ma all’ordine del giorno c’è, oggi più che mai, un aspro scontro sociale. Una volta avremmo detto uno scontro di classe.

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Questo intervento, lievemente corretto, non è nuovo – è uscito su “Fuoriregistro” il 9 settembre del 2002 ma potrei scriverlo oggi. E torno a metterci la firma.

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