Mi scrive un lettore:
“Libertà di insegnamento: bellissimo concetto, a patto che a recepirlo non sia un travet scolastico, uno di quei docenti che insegnano solo per buscare lo stipendio […]. Anni orsono feci la scelta di mandare i miei figli alla scuola pubblica. […]: per me la scuola è, e deve essere, pubblica. Ora, con un flglio che, dopo una ottima carriera liceale, si è perso dentro una Università evidentemente troppo impegnata in altre cose per seguire, coinvolgere, orientare, le matricole e una figlia al quarto anno di un liceo artistico che di artistico ha poco o nulla, devo dire che mi sono pentito di quella scelta.
Mi è capitato di tutto: dalla maestra elementare anziana e ultrabigotta che si addormentava in classe e spaventava i bambini dicendo che, se non stavano buoni, gli sarebbe spuntata la coda da diavolo. Non si poteva mandarla via perché in Italia vige la libertà di insegnamento. Alla insegnante di inglese di liceo, con la bocciatura facile, i cui allievi sono costretti a prendere lezioni private. All’insegnante di matematica, sempre di liceo, la cui lezione consisteva nel dire ai suoi allievi quali pagine studiare del libro di testo. Alla docente di Storia che ha risolto il problema delle contestazioni dei genitori assicurando il sei politico. All’altro insegnante di matematica che, improvvisamente, parte per l’Africa a raggiungere la moglie lasciando le sue classi alle scarse possibilità di supplenza dell’istituto.
[…] Per insegnanti di questo tipo la libertà di insegnamento è un comodo schermo dietro il quale nascondere la sostanziale libertà di parassitare la cosa pubblica.
[…] Ho incontrato anche ottimi docenti. Ma, forse, li definisco ottimi solo perché fanno con scrupolo e dedizione il loro lavoro.
Questo per dire che la giusta critica verso i reiterati tentativi di svuotare la Scuola italiana di profondità e di reale capacità di innovazione culturale […] va accompagnata dal rifiuto di ogni difesa di casta, dalla volontà di esaminare criticamente anche la qualità e le motivazioni del personale docente, di rimettere in discussione le procedure e i criteri della loro selezione e della valutazione del loro lavoro. Altrimenti la credibilità di certe denunce raggiunge un valore prossimo a zero”.
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La libertà di insegnamento non è un “bellissimo concetto” e non c’entra con la qualità dei docenti, la difesa di una inesistente “casta” e i criteri di selezione e valutazione del personale della scuola. Non c’entra nulla nemmeno col caso limite della maestra “anziana e ultrabigotta”, che spaventa i bambini con la coda da diavolo e dorme invece di fare scuola (deve avere un sonno davvero pesante per riuscire a dormire tra una trentina di pargoli abbandonati a se stessi!). La libertà d’insegnamento è il confine tra democrazia e autoritarismo. Metterla in discussione solo perché i docenti hanno i loro limiti, a volte veri, altre volte presunti, sarebbe come dire che l’acqua è troppo cara e perciò non si beve più.
Di “travet”, nella vita, ne ho incontrati tanti. Professori incapaci e presidi fascisti che ignoravano la nascita della Repubblica. Qualche medico ha preso fischi per fiaschi, un funzionario di banca giurava sulla sicurezza dei miei poveri investimenti, mi ha fatto perdere buona parte dei miei miseri risparmi ma continua a fare il suo lavoro per disgrazia della gente. Ho incontrato un giudice istruttore che mi ha rinviato a giudizio dopo aver scavato nella mia vita per tre anni, senza mai sentire il bisogno di interrogarmi e senza inviarmi un avviso di garanzia; il processo si è risolto con l’assoluzione perché il fatto non sussisteva, ma il giudice continua a giocare con la vita della gente. Ho conosciuto giornalisti che si sono inventati interviste mai fatte e direttori di giornale che gridavano allo scandalo per le “leggi-bavaglio”, ma mi hanno sbattuto la porta in faccia quando sono diventato un collaboratore scomodo. Sulla mia strada sono capitati tre criminali in divisa, che hanno concordato una frottola e l’hanno raccontata al giudice sotto giuramento senza finire in manette, come meritavano; l’hanno potuto fare, perché ci sono magistrati togati molto indulgenti con gli uomini in divisa e molto severi con la povera gente. Ho incontrato avvocati che, invece di difendermi, si sono messi d’accordo con la controparte. In quanto ai genitori, sempre disponibili a giudicare i docenti – che, detto tra noi, sono quasi sempre genitori come loro – ho perso il conto di quelli stupidi e incoscienti che hanno fatto ai figli più male di tutto il male che ti può fare una malattia molto grave. Che facciamo, mettiamo sotto processo la “casta” dei genitori? Poniamo mano all’autonomia della Magistratura, licenziamo tutti i funzionari di banca, ammanettiamo tutti i poliziotti, togliamo la parola ai giornalisti e mettiamo da parte gli avvocati? No. Ci diciamo che questa è la vita e questa la natura degli uomini: ci sono i capaci e gli incapaci, gli onesti e i disonesti. Generalizzare non serve. E’ necessario lavorare perché le cose migliorino, mettendo nel conto che la democrazia costa e gli errori, i limiti, le ingiustizie e anche le prepotenze sono parte della vita. Se poi si generalizza per utilizzare disfunzioni e problemi fisiologici, che andrebbero affrontati in sede politica, per farli diventare “patologia”, scatenare campagne di stampa e preparare il terreno a politiche economiche dissennate o, peggio ancora, a strette di freni autoritarie, che dire? Si può farlo, non c’è dubbio. Tocca al nostro senso critico capire se serve a risolvere i problemi reali di una comunità o a fare gli interessi di una minoranza e creare un nuovo, gravissimo problema: la mancanza di democrazia.