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Posts Tagged ‘Cile’

C’era una volta la Storia: il presente era figlio del passato e padre del futuro.
Una volta un fatto aveva una causa e un effetto. Ora esistono solo fatti: non ci sono cause e non ci sono effetti.
Una volta, prima di spiegare un evento, si aspettava che accadesse. Oggi prima si costruisce una spiegazione, poi si inventa un fatto che la conferma.
Una volta s’insegnava che un Paese aveva utilizzato due bombe atomiche contro un nemico inerme. Oggi si racconta che nessuno ha mai utilizzato l’arma nucleare.
L’11 settembre 1973, in Cile, Allende, un uomo di governo democraticamente eletto, fu ucciso durante un golpe finanziato e organizzato dallo stesso Paese del criminale olocausto atomico. Ai giovani, però, si riempie la testa di un altro 11 settembre, quello delle torri gemelle colpite da due aerei dirottati. Il Paese colpito era sempre quello delle atomiche sul Giappone, un Paese che vendicò il pugno di sventurati uccisi, dichiarando la “guerra infinita”.
Non potendo colpire un ex amico diventato nemico, il Paese della “guerra infinita” non esitò a presentare all’Onu prove false per ottenere il diritto di violare confini, uccidere con l’embargo cinquecentomila bambini ai quali mancavano le medicine, violare tutte le leggi internazionali e fare così centinaia di migliaia di morti.
Oggi nessuno parla più di quell’orrore. Acqua passata, si dice, e si consente agli USA, agli autori di tutte le infamie che non si raccontano più, di puntare il dito su chi gli dà fastidio e scatenare l’inferno. L’inferno che in Ucraina divora vite umane in una guerra che non ha passato e non ha futuro.
Qualcuno, come vedrete, c’è che prova a ricordare, ma si tratta ormai di notizie raccolte e fatte circolare in semi clandestinità: Chi ci prova è immediatamente accusato di collusione col nemico e diventa così un “traditore”:

Post scriptum

Quis custodiet custodes? (Chi custodirà i custodi?) Una domanda fondamentale per ogni democrazia, soprattutto nei tempi che viviamo; tempi di guerra, nei quali purtroppo la prima vittima è la verità.
Quante volte, provando a leggere un articolo su Facebook, vi siete domandati chi siano le anime pie che – non richieste – vi invitano a non leggere perché “il post contiene informazioni false”? I più, temendo di incappare in un virus evitano di aprire il file. Pochi, abituati per lo più a ragionare con la propria testa, vanno avanti e scoprono che l’avviso è falso, tendenzioso e ha uno scopo chiaramente censorio.
Il misterioso controllore-censore si è occupato anche del filmato che trovate in questo mio articolo. Ho indagato e -forse non ci crederete – ho scoperto che l’organizzatore degli anonimi “verificatori di fatti” è Enrico Mentana, che bene farebbe a controllare il fondamento delle notizie sparate a raffica dal suo TG. Se volete verificare, cliccate su queste parole: “Fact-checking – Open“ e scoprirete uno dei modi ambigui, ma efficaci utilizzati dalla censura ai tempi del pensiero unico.
Naturalmente tutti hanno il diritto di scegliersi un modello. Mentana ha scelto Telesio Interlandi, un modello coerente con la funzione di censore. A me spero sia concesso di nutrire seri dubbi sull’opportunità che Mentana faccia da controllore e sulla qualità del suo controllo, che guarda caso, com’è accaduto più volte, chiude gli occhi sulle menzogne di Kiev.

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C’era una volta la Storia: il presente era figlio del passato e padre del futuro.
Una volta un fatto aveva una causa e un effetto. Ora esistono solo fatti: non ci sono cause e non ci sono effetti.
Una volta prima di spiegare un evento si aspettava che accadesse. Oggi prima si costruisce una spiegazione, poi si inventa un fatto che la conferma.
Una volta s’insegnava che un Paese aveva aveva utilizzato due bombe atomiche contro un nemico inerme. Oggi si insegna che nessuno ha mai utilizzato l’arma nucleare.
L’11 settembre 1973, in Cile, Allende, un uomo di governo democraticamente eletto, fu ucciso durante un golpe finanziato e organizzato dallo stesso Paese del criminale olocausto atomico. Ai giovani, però, si riempie la testa di un altro 11 settembre, quello delle torri gemelle colpite da due aerei dirottati. Il Paese colpito era sempre quello delle atomiche giapponesi, che vendicò il pugno di sventurati uccisi, dichiarando la “guerra infinita“.
Non potendo colpire un ex amico diventato nemico, il Paese della “guerra infinita“, non esitò a presentare all’Onu prove false per ottenere il diritto di violare confini, uccidere con l’embargo cinquecentomila bambini ai quali mancavano le medicine, violare tutte le leggi internazionali e fare un milione di morti.
Oggi nessuno parla più di quell’orrore. Acqua passata, si dice, e si consente agli USA, agli autori, cioè, di tutte le infamie che non si raccontano più di puntare il dito su chi gli dà fastidio e scatenare l’inferno. L’inferno che in Ucraina divora vite umane in una guerra che non ha passato e non ha futuro.
Qualcuno, come vedrete, c’è che prova a ricordare, ma si tratta ormai di notizie raccolte e fatte circolare in semi clandestinità: Chi ci prova è immediatamente accusato di collusione col nemico e diventa immediatamente un traditore:


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Pubblico come ricevuto. Non una parola in più. Per sapere di che si tratta, cliccate sulla foto.

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ghettoGaza noi la conosciamo bene tutti da più di settant’anni: è il terrore di un bambino che un mitra nazista minaccia di morte, è il ghetto di Varsavia con gli ebrei polacchi massacrati dai lanzichenecchi di Hitler, è Napoli messa a ferro e fuoco della divisione Goering, col litorale sgombrato e la popolazione costretta a vivere in condizioni subumane.
Nessuno lo dice, ma lo sappiamo tutti: la tragedia va in scena a ruoli invertiti e c’è una banalità del male di stampo israeliano.

Noi conosciamo bene la verità che l’Europa targata Merkell pretende dai russi: è una verità messa in catene ed è prigioniera di Obama a Guantanamo. La verità che Obama, Cameron e Merkel pretendono da Putin, dopo la Baia dei Porci e l’embargo che ha strangolato Cuba, dopo Pinochet e il Cile violentato, le menzogne sulle armi di distruzione di massa e mezzo milione di iracheni ammazzati, la Jugoslavia fatta a pezzi, la verità la conosciamo tutti: è stuprata ogni giorno nei barconi dei migranti nel Mediterraneo

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Fiorenza Sarzanini è cronista di razza. Se un fatto fa notizia, te lo racconta così com’è, senza calcoli o sconti. Amici o potere, non ce n’è per nessuno. Vista con i suoi occhi, Piazza Barberini 18_la_mattanza2_1sabato scorso è proprio come l’ho vista io, schiacciato contro un muro da una folla di manifestanti impauriti che cercavano scampo: una tonnara, in cui era difficile respirare, dare una mano a una mamma e al suo bambino terrorizzato e schiacciato come me, stretto tra un muro e una banda di forsennati fuori controllo, scagliati da ogni parte contro gente inerme, tra teste rotte, corpi travolti e minacce d’ogni tipo. In gioco c’è stata la vita, ma un aguzzino in divisa ci spiegava che non importa se non hai fatto nulla, “chi non vuole manganellate a queste manifestazioni non deve venirci”.
Parole chiare, come il resoconto della Sarzanini, che non cerca folclore, non si ferma sull’abbraccio insanguinato della coppia manganellata o sui dettagli agghiaccianti della mattanza, col “cretino” che passeggia sul corpo indifeso d’una ragazza atterrata e fermata. Il problema, per me e per la cronista, non è stato la violenza cilena del milite. “Ciò che davvero sconcerta”, racconta testualmente al Corsera la cronista due minuti dopo gli scontri, “è l’atteggiamento della polizia che ha lasciato che i manifestanti restassero oltre un quarto d’ora in Via Veneto e poi li ha caricati, invece di farli sfollare. Un atteggiamento davvero incomprensibile, perché era abbastanza evidente che in uno spazio così stretto, con centinaia di persone ammassate sotto il Ministero poteva finire nel peggiore dei modi. Infatti così è andata: per Roma è una giornata nera, una giornata nera anche per le forze dell’ordine, perché comunque il dispositivo non ha funzionato e questo, in un momento di grave tensione sociale è un bruttissimo segnale”.
Com’è consuetudine degli eroi, Pansa, il capo della polizia, che di questo brutto e pericoloso segnale è il primo responsabile, mette in scena la pantomima dello Stato che condanna se stesso e scarica la responsabilità di una tragedia evitata solo per caso, su un funzionario che non è un “cretino”, ma un teppista. Il gioco, tuttavia, è troppo stupido per riuscire. Tutti, persino il moderatissimo “Corsera”, hanno condannato le scelte di chi ha gestito la piazza come se l’Italia fosse il Cile di Pinochet. Tutti hanno capito che in discussione non è il contegno di un singolo poliziotto, ma lo formazione democratica delle forze di polizia e la concezione dell’ordine pubblico di chi ha il compito di guidarle. Non sfugge a nessuno che i fatti di Piazza Barberini hanno solo due spiegazioni: o sono stati l’esito diretto di una scelta politica, di cui Renzi e Alfano devono rispondere al Paese, o nascono da un’autonomia perniciosa garantita da Pansa ai reparti messi in campo, sicché può capitare che una piazza diventi una trappola micidiale e potenzialmente mortale. In entrambi i casi, prendersela con un “cretino” serve solo a coprire le responsabilità che stanno in alto. Non è accettabile che in piazza ogni reparto si possa muovere come meglio gli pare; è da criminali consentire che le forze schierate a Via Veneto carichino senza preavviso manipoli di manifestanti che potevano essere dispersi all’istante, e inseguano, picchiando alla cieca e riversandosi a tutta velocità in una piazza in cui, proprio in quel momento, proveniente da via Barberini, un esercito di uomini armati di tutto punto e appoggiati da blindati, manco occorresse superare la linea del Piave, si lanciavano in una carica prolungata, ingiustificata e proditoria contro il corteo paralizzato e inerme, trasformando Piazza Barberini in una tonnara. Inseguiti da ogni parte, donne, bambini, famiglie terrorizzate, prive di una via d’uscita, intrappolate tra “tubi innocenti” lungo un marciapiede diventato l’ultima trincea, sono stati picchiati per lunghi, interminabili minuti. Uno sull’altro, ammassati, schiacciati, teste rotte, scarpe perse, abiti sporchi di sangue, mani alzate e colpite senza misericordia.
Un “cretino” da punire, dice Pansa, invece di scusarsi e fare le valigie. In quanto alla politica, qualcuno dovrebbe spiegare alla gente  che significa “punire”, se in servizio ci sono poliziotti condannati in ultima istanza per omicidio. Qualcuno soprattutto dovrebbe spiegarci che si aspetta a rendere riconoscibili gli agenti in servizio d’ordine come ci ha chiesto l’Europa e comanda il senso della democrazia.

Uscito su Fuoriregistro il 15 aprile 2014

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Abu_Ghraib_17aChe un cialtrone come Barak Obama si sia messo in testa di fare la lezione di democrazia a Putin, un manigoldo della sua stessa razza, non meraviglia nessuno. Il male è notoriamente banale e non ci sono cani di attori che recitino peggio dei cosiddetti “grandi” quando la malasorte dei popoli li chiama sul palcoscenico della storia. Stupisce, questo sì, che teste pagate a suon di milioni per imbottire di frottole la povera gente e suscitare attorno al caso Crimea un clima da “union sacrée”, non trovino di meglio che attaccarsi al tifo per una partita che non si gioca più: l’Unione Sovietica s’è sciolta come la neve al sole e il comunismo reale non esiste più.
Sarò solo un fortunato imbonitore, ma Grillo ha certamente ragione: la malafede, la sciatteria e la grossolana ignoranza della stampa tocca ormai livelli da fare invidia a specialisti come Mario Appelius e Teresio Interlandi. E’ vero che il mirabolante sistema formativo di marca anglosassone voluto da Berlinguer mira da tempo a creare scimuniti e tenta d’insegnare agli studenti la storia scritta dai padroni, però,  piaccia o meno ai criminali aguzzini di Guantanamo e al rinascente pangermanismo tedesco, qui da noi uno studente decentemente preparato conosce la “Questione degli Stretti” e sa che la “Grande madre Russia” ha un orgoglio nazionale. Lo capì  Napoleone in fuga sulla Beresina, lo scoprì a sue spese quell’Adolf Hitler, che, giova ricordarlo, scrisse una pagina di storia particolarmente istruttiva sulla “democratica” Germania, oggi pericolosamente guidata dalla teutonica rozzezza di Angela Merkell.
Qui da noi, uno studente di scuola superiore sa perfettamente che Barak Obama custodisce le chiavi di Guantanamo, il più atroce campo di concentramento partorito dalla ferocia umana dopo le glorie naziste. Perfino l’uomo della strada conosce i tragici nomi di Hiroshima e Nagasaki e c’è chi, stimolato, si ricorda ancora il Cile di Salvador Allende, quel delinquente  di Colin Powell che mostrava all’Onu le sue false prove sull’Iraq e sulle sue armi di distruzione di massa chimiche e biologiche. Qui da noi, c’è ancora chi ha abbastanza memoria per ricordarsi i Balcani fatti a pezzi, il Kosovo strappato alla Serbia, la Libia violentata, Gheddafi linciato e l’Egitto col suo presidente legalmente eletto e illegalmente deposto. Qui da noi c’è chi ricorda bene la confessione sfrontata di quel criminale di Wolfowitz, costretto a riconoscere che gli Usa avevano mentito spudoratamente sulle armi di distruzione di massa, che usarono poi per l’ennesima strage.
Lasci stare la Crimea, Barak Obama. Chiuda Guantanamo, piuttosto, se i padroni di cui è servo glielo consentiranno. Gli manca il fegato, ha paura di fare la fine di Kennedy? Si dimetta allora, in segno di vergogna e la pianti con le lezioni di democrazia. I lavoratori e gli sfruttati della Crimea non stanno con Putin e non vogliono la Merkell. Se ne sono andati coi russi perché Gli USA e l’Unione Europea hanno armato mercenari nazisti per destabilizzare l’Ucraina. Lo sanno bene, però: la loro autentica salvezza dipende solo dalla capacità che avranno di organizzarsi e imboccare la via della rivoluzione

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S’era svegliato convinto: sono in Cile. Freddo nel sudore e con la gola stretta da una mano invisibile che gli toglieva il fiato e quasi l’uccideva.
Un incubo, pensò, rivedendo la scena: immagini convulse, grida di dolore e un pazzo che strillava in una sorta di spagnolo cileno veloce e concitato:  
– “Lo so. Avete avuto un avvocato di grandisismo valore. Uno che per difendervi trovò le parole del cuore:  
[…] i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano
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L’avvocato sbagliava, però. Padri e madri voi li avete, si capisce, e figli di qualcuno certo siete. Voi, però, che giocate a guardie e ladri, lo sapete meglio dell’avvocato poeta: il ladro è ladro comunque e non c’è giudice che possa assolverlo, solo perché il papà viveva in periferia, quale che sia, urabana o contadina. Io che vi ho visto all’opera dai tempi della giovinezza – e sono vecchio ormai – io lo so, non è questione di nascita. E’ il mestiere che fate. Voi state al soldo dei padroni: forti coi deboli e deboli coi forti. E siete vili. Mostrate un gran coraggio quando siete molti, organizzati e armati contro chi difende civilmente un diritto e non ha armi. Per tutto il resto, non valete molto. Questo voi siete solo: figli di buone donne!“.  
In cileno spagnolo, veloce e concitato. Tutta la notte immagini. Santiago del Cile, ma pareva Milano.
Prima d’andare a letto, bisognerà che prenda un sedativo la sera“, mormorò nel silenzio. Poi chiuse gli occhi e ritornò a sognare. Un incubo cileno.

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