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Posts Tagged ‘Luigi Bonnefon Craponne’

Analfabeta di valori, come tutti i prepotenti impuniti, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, non conosce la storia e da quel poco che ne sa non ricava evidentemente lezioni. Ignora, per esempio, la vicenda di Luigi Bonnefon Craponne, fondatore e primo presidente di Confindustria, prepotente come lui, finché non si trovò a fare i conti con Giovani Giolitti, che non fu un bolscevico, ma ebbe il senso dello Stato. Craponne era della stessa pasta di Bonomi, che, senza nemmeno saperlo, nei suoi discorsi da guappo capitalista teorizza una strategia di totale egoismo, secondo la quale – gli metto in bocca le parole del suo predecessore – «gli industriali non debbono restringersi alla difesa dei loro interessi economici immediati nei riguardi della classe operaia, ma saper fare pressioni tali che la legislazione sociale non proceda troppo avanti e non danneggi l’industria e i suoi interessi».
Nel 1913, con questa minacciosa e a dir poco pericolosa dottrina, l’antenato di Bonomi pensò di piegare con la forza gli operai, protagonisti di uno sciopero a oltranza che aveva i crismi della santità. Facendo fuoco e fiamme Craponne, ricattò Giolitti, reo di non intervenire con la forza, minacciò il governo, facendo balenare lo spettro di licenziamenti di massa e pensò di aver chiuso la partita, intimidendo il Presidente del Consiglio dei Ministri. Fece male i suoi conti, però, perché di fronte a tanta arroganza Giolitti non ci pensò due volte: per molto meno di quanto sta combinando oggi Bonomi, espulse dall’Italia, come fosse un migrante di Salvini, l’eversivo capo dei padroni, colpevole di aver messo a rischio la pace sociale, osando «eccitare e invelenire le agitazioni degli operai, suscettibili di gravi effetti politici e sociali».
Bonomi, incarnazione della barbarie violenta e dell’arroganza ignorante dei capitalisti, vale più o meno Craponne. Conte purtroppo non vale Giolitti. Per quanto mi riguarda io starei dalla parte di quel governo capace di trasformare gli uffici delle aziende di Bonomi e soci in accampamenti della Guardia di Finanza. Non ci vorrebbe molto e per Confindustria sarebbe l’inizio della fine. Purtroppo un governo di questa pasta non c’è e io sto con chi, come Potere al Popolo!, intende organizzare uno scontro senza mezze misure e dubbi non ne ho: questa gente deve pagare e sparire.

Fuoriregistro, 15-9-2020

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Costretti agli arresti domiciliari da un’epidemia che dilaga soprattutto a causa delle politiche dissennate dettate dall’UE e dalla Confindustria, che hanno distrutto la Sanità Pubblica, assistiamo impotenti alle scelte incerte d’un governo, sottoposto al ricatto dei padroni. Ieri l’ultimo atto della tragica pantomina; mentre si dà la caccia all’untore e si vieta persino la corsa innocente e solitaria nei parchi, Conte modifica il decreto di chiusura delle aziende che non servono alla vita quotidiana della popolazione duramente colpita: non chiudono, lavoreranno fino al 25.
Da noi la pandemia si può combattere con ogni arma, tranne la chiusura delle fabbriche, la più adatta a tutelare la popolazione inerme. Per Confindustria chiudere le fabbriche provocherebbe danni ai titoli quotati in Borsa e potrebbe costringere gli imprenditori a pagare penali per il lavoro non consegnato. I padroni, quindi, spudoratamente hanno chiesto tempo, ancora altro tempo e non si curano dei morti che aumentano negli ospedali disarmati e infettati.
In un Paese privo di memoria storica, in cui vive ormai un popolo ridotto a gregge, qualcuno dovrebbe ricordare al governo il caso emblematico di Luigi Bonnefon Craponne, fondatore e primo presidente di Confindustria, teorico di una strategia di puro egoismo, per la quale “gli industriali non debbono restringersi alla difesa dei loro interessi economici immediati nei riguardi della classe operaia, ma saper fare pressioni tali che la legislazione sociale non proceda troppo avanti e non danneggi l’industria e i suoi interessi”.
Con questa lucida e pericolosa dottrina, nel 1913 Confindustria affrontò le richieste degli operai, impegnati in un sacrosanto sciopero a oltranza. Di fronte a tanta arroganza, Giovanni Giolitti, che non fu certo  un pericoloso bolscevico, presidente del Consiglio come oggi Giuseppe Conte, non usò mezze misure; per molto meno di quanto sta combinando oggi Vincenzo Boccia, espulse infatti dall’Italia l’eversivo capo dei padroni, Luigi Bonnefon Craponne.
Si trattava – si badi bene – di uno scontro sindacale, ma per Giolitti, il capo degli industriali, di origine francese, non solo era venuto meno al dovere di rispettare il Paese che lo ospitava, ma aveva messo a rischio la pace sociale, osando «eccitare e invelenire le agitazioni degli operai, suscettibili di gravi effetti politici e sociali».
E’ difficile immaginare cosa avrebbe fatto Giolitti a Boccia oggi, quando si gioca con la vita dei lavoratori e con il rischio di contagiare ulteriormente una popolazione messa a durissima prova dalla religione del profitto e dalle politiche neoliberiste. In tanta confusione e vergogna, tuttavia una certezza l’abbiamo: l’epidemia sta mettendo a nudo la miseria morale della peggiore classe dirigente della nostra storia.

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