Non ho una ricetta perché non ho idee del tutto chiare, non conosco bene ciò che accade a telecamere spente e non amo schematizzare.
Fino alla rottura provocata da Salvini, avevo alcune certezze: la crisi economica era destinata a pesare in maniera sempre più dura sulle classi popolari e un governo chiaramente reazionario stava facendo a pezzi i Cinque Stelle e andava sempre più decisamente assumendo connotati neofascisti. Questo non mi meravigliava: il fascismo – quello vecchio o quello nuovo importa poco – è il regime del capitale finanziario. Nutrivo poi una convinzione: il PD di Minniti è un partito di destra con tentazioni autoritarie. Non un’opposizione alla Lega di Salvini, ma una possibile alternativa, più digeribile per quella parte di elettorato che ha radici lontane nella DC e nel PCI.
Avevo un’altra certezza: a livello internazionale la crisi economica sta accentuando tendenze nazionaliste e militariste, creando rischi di guerre, mettendo in scacco le sempre più deboli forze democratiche e trasformando la già gravissima situazione climatica in un disastro irrimediabile.
In questo contesto il compito di Potere al Popolo mi sembrava duplice: costruire tra la gente e nelle lotte un’alternativa di sinistra, dialogare – e se possibile collaborare – con tutto ciò che nella sinistra e nella società teme il neofascismo di Salvini e non si lascia ingannare dalla finta alternativa proposta da Zingaretti. Dissidenti dei Cinque Stelle compresi.
Che è cambiato davvero, ora che Salvini ha fatto cadere il governo?
Il campo internazionale è quello di prima. Nel nostro Paese. alla necessità di stare nelle lotte per costruire una alternativa reale di sinistra, si aggiunge quella di contrastare sul terreno elettorale le due destre e il pericoloso qualunquismo grillino. Mi chiedo se questo si possa fare più efficacemente andando da soli alla battaglia, o cercando convergenze là dove si rivelino possibili. Non abbiamo fatto così – e con buoni risultati – alle recenti amministrative?
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Non ho una ricetta
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Cinque Stelle, DC, Minniti, Pci, Pd, Potere al popolo, qualunquismo, Salvini on 12/08/2019| Leave a Comment »
De Gasperi si vergognerebbe
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Costituzione, DC, De Gasperi, Europa, Francia, Grillo, Hollande, Inghilterra, Petain, razzismo, Renzi, Ungheria, Vichy on 29/05/2014| Leave a Comment »
Lo «strepitoso» successo di Renzi, «neodemocristiano» levato sugli scudi dal circo mediatico, avrebbe fatto piangere lacrime di vergogna a De Gasperi e alla DC autentica, che i suoi 40 e più elettori su cento li conquistava quando alle elezioni si contavano percentuali di votanti superiori al 90 su cento. E’ chiaro come la luce del sole: a Renzi mancano forza, carisma e volontà per cambiare d’una virgola la linea Monti-Letta; si accoderà scodinzolante alla dottrina tedesca e annegheremo lentamente. Qui da noi, tuttavia, nel coma profondo dell’Europa unita, un coro di esaltati celebra il trionfo dei primi della classe. E’ un gioco da illusionisti: tamburini, sbandieratori e majorettes creano ad arte l’aria della festa, poi, in un clima di «ritrovate certezze», chi denuncia la coltellata liberticida alla Costituzione o punta il dito sulla muta dei cani che azzanna il lavoro, su cui fonda la Repubblica, rischia il ricovero coatto in un centro di salute mentale.
Mentre l’Inghilterra dice no all’Europa delle banche, creando dal nulla un brutto partito di governo e l’Ungheria è in mano ai neonazisti, formazioni fasciste spuntano ovunque come funghi e la democratica Francia scarroccia, scivola a destra e torna al razzismo di Petain, spinta dall’odio per il socialismo alla Holland, più che da nostalgie per Vichy. In questa situazione devastante, l’Italia, Narciso allo specchio, è inchiodata a una realtà virtuale da tecniche ipnotiche e gioca la partita su un’abile distorsione lessicale. Sembrerebbe del tutto evidente: Renzi non è di «sinistra» e non sa cosa sia il riformismo, ma la scommessa riuscita è tutta lì, nell’inganno tenace che lo presenta come un riformista di sinistra. Il Paese sbanda, prova a destarsi dal sonno della ragione, ma non c’è tempo: l’estrema destra cresce, si mimetizza e torna al trucco dell’antiborghesia. Noi siamo un’isola felice, si racconta, e Renzi vittorioso guida ormai una nuova DC; eppure basterebbe poco per capire che la DC si sarebbe vergognata di un risultato elettorale così ambiguo, di un quaranta per cento che si calcola su poco più della metà del corpo elettorale e, a conti fatti, esce più o meno dimezzato dal confronto con la realtà.
Non è forse chiaro, ma Renzi «vittorioso», che a parole «rottama» e nei fatti ricicla l’«usato sicuro», è paradossalmente il sintomo più chiaro di una malattia grave: l’impotenza rispetto al tema cruciale della rappresentanza, cuore della democrazia parlamentare. Impotenza palese, perché l’ex sindaco non approfitta nemmeno della condizione privilegiata di un governo agli esordi, che gode di tutti i cospicui vantaggi di chi ha in pugno il potere e non paga ancora il dazio dell’impopolarità per il cappio che solo dopo il voto stringerà al collo del Paese; perde la partita vera, quella con i delusi, gli arrabbiati, gli scontenti e i milioni di italiani che soffrono di nausea solo a sentir parlare di politica, e riesce a rappresentare a stento gli interessi di chi, nella crisi, resiste. Ottanta miserabili euro e il tentato suicidio di Grillo, terrorizzato da una vittoria che l’avrebbe costretto a far politica, non sono bastati a convincere il fiume di elettori che costituiva il vero banco di prova: quello che soffre le pene dell’inferno e non ha creduto al capo imposto dall’alto. La stampa padronale, le televisioni epurate, che hanno imparato a memoria la lezione dell’Istituto Luce, parlano di una legittimazione conquistata sul campo, ma l’inganno è palese: legittimato da chi? Dalle legioni di italiani che si sono tenute puntigliosamente lontane dalle urne e ogni giorno, dal 25 in poi, hanno continuato a bestemmiare negli autobus che non passano, nei posti di lavoro a rischio, nei centomila tormenti dei call center, nella disperazione di una vita mortificante e nel dolore di chi muore di lavoro o sceglie di farla finita perché il lavoro l’ha perso o non ce l’ha?
Nel baccanale massmediatico, tra satiri ebbri e giovinette nate al governo per opera e virtù dello Spirito Santo, l’Europa è sparita. Renzi, che pure è parte integrante della devastante crisi dell’europeismo, occupa la scena, ma sembra estraneo alla crisi. In realtà, la maniera in cui è giunto al potere, il disprezzo che mostra per la Costituzione calpestata, il rifiuto della mediazione, l’elemosina intesa come surrogato dello stato sociale, l’attacco feroce al lavoro, tutto ciò che ha fatto o promette di fare lo inserisce a pieno titolo in quella destra che da anni ha «sgovernato» l’Europa, suscitando le tossine che ormai corrono nel sistema linfatico dell’Unione, la mistura di bassi istinti, il velenoso composto d’odio, rabbia e disprezzo per la democrazia, l’idea di gerarchia tra «nazioni» e classi sociali che dovrebbero indurre a riflettere sul significato profondo e sulla carica di violenza che si cela nell’esito del voto. Siamo andati ben oltre il dilemma Europa sì-Europa no e appare chiaro che le politiche disumane dei tecnocrati, le astratte ragioni dell’economia, anteposte a quelle dei popoli che rivendicano il diritto a una vita dignitosa e alla solidarietà nella sventura, suscitano ormai antichi mostri. In questo quadro, Renzi non è la cura che guarisce, ma la medicina sbagliata che aggrava la crisi italiana e fa male a un’Europa, che si copre le spalle, minacciate dall’ira popolare, producendo consapevolmente una destra due volte pericolosa: guardia armata dei privilegi e spauracchio per chi aspira a un’autentica Unione dei popoli.
Nella nebbia sempre più fitta spunta la fiammella della Lista Tsipras; non è molto, ma è molto più che niente. Vivrà e crescerà, però, solo se terrà fede a una premessa: il Pd di Renzi è alternativo alla sinistra e sempre più spesso rappresenta ormai il volto pulito della destra pericolosa.
Uscito su “Fuoriregistro” il 29 maggio 2014
Renzi rottama la democrazia
Posted in Interventi e riflessioni, tagged "Dante Alighieri", Amendola, Antonio Giolitti, Berlusconi, Brecht, Calderoli, Costituente, Costituzione, Cuperlo, DC, De Benedetti, Giorgio Napolitano, Giovanni Sartori, Giuliano Amato, Gobetti, Gramsci, J. P. Morgan, Marta Cartabia, Matteotti, Paolo Grossi, Pci, Roberto D'Alimonte, Rosselli, Urbano Cairo on 21/01/2014| Leave a Comment »
Dopo la pantomima dell’opposizione che attacca, nemmeno Cuperlo, che pure gliene ha dette di tutti i colori, ha votato contro. Il tempo dirà fin dove intende spingersi Renzi, il «sindaco d’Italia» nato in provetta dall’ibrido connubio tra terze file dell’ex DC e scarti del PCI, ma un dato certo, dal quale partire purtroppo esiste: siamo più che mai la «serva Italia» che Dante immortalò nei suoi amari versi: «nave senza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!»
Negli Atti della Costituente, a futura vergogna di chi finge di ignorarlo e di un popolo complice – geneticamente fascista direbbe Gobetti – che tace o, peggio ancora, consente, c’è l’ordine del giorno di Antonio Giolitti, nipote del famoso statista liberale, approvato dall’Assemblea ma escluso dal testo definitivo dello Statuto, per evitare di rendere costituzionale la legge elettorale: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della Camera dei Deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale». Questo è lo spirito autentico della Costituzione, ma Renzi non lo sa e – c’è da giurarci – se qualcuno glielo dicesse, non muterebbe d’una virgola la sua oscena legge elettorale. Per farlo, dovrebbe ragionare da politico, ma non gli interessa e non ha gli strumenti culturali per farlo. A chiunque lo attacca ormai, replica, con toni ricattatori: ti stai mettendo contro tre milioni di voti. E’ questo il suo unico argomento: tre milioni di oggetti misteriosi, tessere false e berlusconiani d’origine controllata che lo hanno «votato» al prezzo di due euro. Il prezzo che marca anche fisicamente la distanza dai nullatenenti, un problema che non riguarda più il Partito Democratico; ci penseranno forse camini e forni, come il Mediterraneo pensa ai migranti.
«Fortunato il paese che non ha bisogno di eroi», ebbe a scrivere Brecht, ma Gaetano Arfè, maestro di una stagione felice della nostra storia, conscio della tragedia incombente, al tramonto della sua vita, lucidamente, corresse: «fortunato quel paese che quando ha avuto bisogno di eroi li ha trovati, sventurato il paese che non sappia mantenersene degno». L’Italia ha disperato bisogno di eroi, ma non ne trova uno nemmeno in fotocopia. Ce ne fosse ancora di gente della tempra di Amendola, Matteotti, Gobetti, Gramsci e Rosselli, Renzi dovrebbe ammazzarli, ma eroi non ne abbiamo e al neofascismo non occorrono certo pugnali, manganelli e spedizioni punitive; la nostra dose quotidiana di olio di ricino e botte in testa la prendiamo da tempo, grazie allo strapotere mediatico dei padroni schierati a sostegno: De Benedetti con la Repubblica, il Gruppo Espresso, i nove supplementi, tre radio nazionali, quindici quotidiani locali e numerosi periodici, Berlusconi con la possente Mediaset, Urbani Cairo, un ex di Berlusconi alla Fininvest, che alla Giorgio Mondadori ha ora sommato «la Sette». E si potrebbe continuare. Con un’armata simile alle spalle, capace di un volume di fuoco davvero paralizzante, il caudillo «democratico», che solo due anni fa Bersani aveva ridotto al silenzio, ha fatto agevolmente la sua via e ora, se non vuol cadere nella polvere in un battibaleno, così com’è salito alle stelle in un momento, deve solo eseguire, rapido e senza esitazioni, gli ordini di chi in un giorno l’ha reso leader.
Di leggi elettorali e Costituzione, Renzi non capisce praticamente nulla – «ha la parlantina troppo facile per dargli il tempo di leggere e informarsi», ha giustamente osservato Giovanni Sartori – ma i padroni l’hanno affidato a un tutor di gran nome, il politologo Roberto D’Alimonte, uno che, guarda caso, ha un posto d’onore nei salotti buoni televisivi e ripete fino alla nausea il principio base della sua pericolosa scienza elettorale: «una cosa sono i valori su cui si fonda un regime democratico, un’altra cosa è il suo funzionamento». Quando l’immancabile amico degli amici gli ha «anticipato» le motivazioni della sentenza di una Corte Costituzione opportunamente rinforzata da Napolitano con Paolo Grossi, Marta Cartabia e Giuliano Amato, in quattro e quattr’otto Roberto D’Alimonte ha riscaldato la pietanza precotta: niente voto di preferenza, un premio di maggioranza da «legge truffa» e cancellazione dell’idea di «rappresentanza». I vizi costituzionali sono forse meno evidenti di quelli messi assieme da Calderoli, ma stavolta più gravi e non c’è dubbio: Antonio Giolitti e il suo ordine del giorno sono stati sprezzantemente ignorati.
Quella di Renzi non è «demagogia», come pensa Sartori, inseguendo il feticcio della governabilità, è la condanna a morte della democrazia parlamentare.
J. P. Morgan e il grande capitale finanziario ci avevano avvisati e non c’è scampo: la Costituzione troppo «socialista», sarà massacrata.
Voto: l’imbroglio «democratico»
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Aldo Moro, Berlusconi, Brecht, conflittualità, Costituente, Costituzione, DC, leggi razziali, libertà di mandato, Mussolini, Napolitano, pifferaio di Hamelin, sciopero, sindacato, sogno americano, voto segreto on 01/11/2013| Leave a Comment »
Voto segreto? Sì, e guai a chi dubita. E’ verità di fede e principio di filosofia: a coltivare certezze si vive sereni. Lo so. In matematica esistono principi che si danno per scontati. Si chiamano assiomi e sono verità così vere, che non vanno dimostrate. Perché, quindi, star sempre a dubitare? Lascio in pace Brecht e la sua lode del dubbio, e provo a dirlo da me, senza illudermi di trovare consen-si. A parte il fatto che anche la «scien-za esatta» scopre ogni tanto le sue corbellerie, applicare alla politica leggi matematiche o è una tragica idiozia, o un inganno micidiale. Voto segreto sì? E’ tutto chiaro, o si tratta dell’enne-sima frode d’una banda di criminali che ci ha regalato il Napolitano bis?
Non tenterò un’impossibile sintesi del-la nostra storia parlamentare. Occor-rerebbero trattati e mi fa difetto la scienza. Ho letto da qualche parte, tuttavia, che in seno alla Costituente sull’argomento ci fu battaglia ed è vero. Poiché l’informazione qui da noi somiglia ormai a una sorta di drone, che vola e bombarda senza pilota perché lo guida qualcuno da terra, val la pena ricordarlo: sì, è vero, fu Aldo Moro, giovane deputato della DC alla Costituente, a soste-nere che lo scrutinio segreto «sottrae i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato». Su questa posizione si orientò la maggioranza dei costituenti. Scopiazzando dal web fonti di seconda mano, i sostenitori del voto palese ignorano che Moro stava discutendo della formazione delle leggi, non del voto come tale. Per completezza d’informazione, sarebbe stato corretto segnalare, perciò, l’opposizione dei deputati di Democrazia del lavoro, azionisti, comunisti e socialisti, che ritenevano il voto segreto un efficace strumento di lotta parlamentare, in grado di acuire eventuali contrasti nella maggioranza. Lo stesso Moro, del resto, pur «riconoscendo che il voto segreto ha già dato luogo a tanti inconvenienti», volle precisare che, chiedendo il voto palese per la fun-zione legislativa delle Camere, non intendeva «respingere il principio della vo-tazione a scrutinio segreto […] che resta impregiudicata e va deferita per la sua decisione alla sede regolamentare». Moro sapeva bene che pochi anni prima, tra la fine del 1938 e i primi del 1939 era stato Benito Mussolini ad abolire il voto segreto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
La conosco, l’ho già vissuta nella Cgil, la levata di scudi che suscita nella se-dicente sinistra anche un cenno al fascismo. Ti va bene se ti liquidano con due parole sprezzanti: «chiacchiere da bar sport». Mi ricordo ancora gli sguardi iro-nici ai tempi in cui il sindacato, deciso a stroncare le spinte dal basso e la con-flittualità degli anni Settanta-Ottanta, chiese di «ridefinire le condizioni d’uso del diritto di sciopero per salvarne la sostanza di fronte alle degenerazioni di un conflitto corporativo ed irresponsabile». Ne nacquero l’autoregolamentazione dello sciopero e, cito a memoria e scusate se sbaglio, la legge 146 del 12 giugno 1990, le cui conseguenze si sono poi viste nel tempo. Se ti azzardavi a obiettare che stavamo regalando un’arma ai padroni, la replica più moderata ti definiva ex sessantottino, estremista e veterocomunista. «I padroni», ti dice-vano, ormai non esistono più, ora ci sono gli imprenditori. Quando è arrivato Marchionne, è stato tutto chiaro, ma non c’era più tempo e stavano demolendo anche lo Statuto dei lavoratori.
E’ vero, la libertà di mandato degli eletti e il voto segreto possono favorire gesti meschini e sporche manovre. Di questi tempi, però, mentre è in atto un tentativo palese di manomettere la Costituzione, un’evidente forzatura che parte dal Presidente della repubblica e passa per il Governo, liberarsene, nella improvvida certezza che nessuno mai più, né governo, né capo dello Stato, oserà insidiare la libertà dei deputati nelle urne, sarebbe pericoloso come credere alla storiella dei padroni spariti. I nominati, che danno ormai conto solo al loro capobastone, decretino la decadenza di Berlusconi, lo facciano con gli strumenti che hanno a disposizione e pongano fine alla commedia degli equivoci. Noi, se è possibile, per quanto ci riguarda, proviamo a non fare come i topi che andarono appresso al pifferaio di Hamelin, Ricordiamoci che non fu per caso che Mussolini abolì lo scrutinio segreto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939. Era accaduto che pochi mesi prima qualche ignoti nominato in camicia nera, aveva cominciato a dubitare di un assioma – «il Duce ha sempre ragione» – e, nel segreto dell’urna, s’era astenuto sulle leggi raz-ziali.
Nessuno può dire con certezza cosa valga di più tra la trasparenza di ciò che fanno gli eletti e la tutela della loro libertà di voto. Occorrerebbe valutare se il gioco vale la candela e ricordare che il voto, pubblicamente espresso sempre e per ogni questione, consegna in mano a governi e segretari di partito mandrie di pecore che un cane e un pastore conducono dove vogliono. Un tempo si diceva «in dubio pro reo», e si sarebbe concluso che non c’è bisogno di creare pericolosi precedenti; gli strumenti per vincere la partita esistono già. Purtrop-po, però, noi siamo ormai in pieno «sogno americano» e lì, si sa, le lobby giu-dicano i deputati dalle loro scelte palesi sulle leggi che contano. Chi non conta è la gente.
Uscito su Report on Line l’1 novembre 2013
Grillo, grulli, grillini veri e grillini finti
Posted in Interventi e riflessioni, tagged DC, grillini, Grillo, grulli, interclassista, petizioni on 27/02/2013| Leave a Comment »
Ho scoperto che esistono due nuovissimi sport per superare lo choc post elettorale. Se sei della sinistra rivoluzionaria, ti studi di far lezione di grillismo ai grillini e gli dici con aria profetica e a suo modo sprezzante:
– Un partito interclassista si spaccherà alle prime decisioni serie.
– Sarà, pensa il grillino, però la DC ha governato per quasi mezzo secolo...
Se invece sei del PD, nonostante le recenti legnate, ti senti ancora così furbo, che fai finta di essere del Movimento 5 Stelle et voilà, ecco materializzarsi sul web improbabili petizioni di grillini che ieri sparavano a zero su Bersani e oggi , guarda un po’, chiedono a Grillo di dargli la fiducia.
Da tempo ormai in questo Paese tutti parlano di tutto, ma nessuno riflette su stesso.