Voto segreto? Sì, e guai a chi dubita. E’ verità di fede e principio di filosofia: a coltivare certezze si vive sereni. Lo so. In matematica esistono principi che si danno per scontati. Si chiamano assiomi e sono verità così vere, che non vanno dimostrate. Perché, quindi, star sempre a dubitare? Lascio in pace Brecht e la sua lode del dubbio, e provo a dirlo da me, senza illudermi di trovare consen-si. A parte il fatto che anche la «scien-za esatta» scopre ogni tanto le sue corbellerie, applicare alla politica leggi matematiche o è una tragica idiozia, o un inganno micidiale. Voto segreto sì? E’ tutto chiaro, o si tratta dell’enne-sima frode d’una banda di criminali che ci ha regalato il Napolitano bis?
Non tenterò un’impossibile sintesi del-la nostra storia parlamentare. Occor-rerebbero trattati e mi fa difetto la scienza. Ho letto da qualche parte, tuttavia, che in seno alla Costituente sull’argomento ci fu battaglia ed è vero. Poiché l’informazione qui da noi somiglia ormai a una sorta di drone, che vola e bombarda senza pilota perché lo guida qualcuno da terra, val la pena ricordarlo: sì, è vero, fu Aldo Moro, giovane deputato della DC alla Costituente, a soste-nere che lo scrutinio segreto «sottrae i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato». Su questa posizione si orientò la maggioranza dei costituenti. Scopiazzando dal web fonti di seconda mano, i sostenitori del voto palese ignorano che Moro stava discutendo della formazione delle leggi, non del voto come tale. Per completezza d’informazione, sarebbe stato corretto segnalare, perciò, l’opposizione dei deputati di Democrazia del lavoro, azionisti, comunisti e socialisti, che ritenevano il voto segreto un efficace strumento di lotta parlamentare, in grado di acuire eventuali contrasti nella maggioranza. Lo stesso Moro, del resto, pur «riconoscendo che il voto segreto ha già dato luogo a tanti inconvenienti», volle precisare che, chiedendo il voto palese per la fun-zione legislativa delle Camere, non intendeva «respingere il principio della vo-tazione a scrutinio segreto […] che resta impregiudicata e va deferita per la sua decisione alla sede regolamentare». Moro sapeva bene che pochi anni prima, tra la fine del 1938 e i primi del 1939 era stato Benito Mussolini ad abolire il voto segreto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
La conosco, l’ho già vissuta nella Cgil, la levata di scudi che suscita nella se-dicente sinistra anche un cenno al fascismo. Ti va bene se ti liquidano con due parole sprezzanti: «chiacchiere da bar sport». Mi ricordo ancora gli sguardi iro-nici ai tempi in cui il sindacato, deciso a stroncare le spinte dal basso e la con-flittualità degli anni Settanta-Ottanta, chiese di «ridefinire le condizioni d’uso del diritto di sciopero per salvarne la sostanza di fronte alle degenerazioni di un conflitto corporativo ed irresponsabile». Ne nacquero l’autoregolamentazione dello sciopero e, cito a memoria e scusate se sbaglio, la legge 146 del 12 giugno 1990, le cui conseguenze si sono poi viste nel tempo. Se ti azzardavi a obiettare che stavamo regalando un’arma ai padroni, la replica più moderata ti definiva ex sessantottino, estremista e veterocomunista. «I padroni», ti dice-vano, ormai non esistono più, ora ci sono gli imprenditori. Quando è arrivato Marchionne, è stato tutto chiaro, ma non c’era più tempo e stavano demolendo anche lo Statuto dei lavoratori.
E’ vero, la libertà di mandato degli eletti e il voto segreto possono favorire gesti meschini e sporche manovre. Di questi tempi, però, mentre è in atto un tentativo palese di manomettere la Costituzione, un’evidente forzatura che parte dal Presidente della repubblica e passa per il Governo, liberarsene, nella improvvida certezza che nessuno mai più, né governo, né capo dello Stato, oserà insidiare la libertà dei deputati nelle urne, sarebbe pericoloso come credere alla storiella dei padroni spariti. I nominati, che danno ormai conto solo al loro capobastone, decretino la decadenza di Berlusconi, lo facciano con gli strumenti che hanno a disposizione e pongano fine alla commedia degli equivoci. Noi, se è possibile, per quanto ci riguarda, proviamo a non fare come i topi che andarono appresso al pifferaio di Hamelin, Ricordiamoci che non fu per caso che Mussolini abolì lo scrutinio segreto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939. Era accaduto che pochi mesi prima qualche ignoti nominato in camicia nera, aveva cominciato a dubitare di un assioma – «il Duce ha sempre ragione» – e, nel segreto dell’urna, s’era astenuto sulle leggi raz-ziali.
Nessuno può dire con certezza cosa valga di più tra la trasparenza di ciò che fanno gli eletti e la tutela della loro libertà di voto. Occorrerebbe valutare se il gioco vale la candela e ricordare che il voto, pubblicamente espresso sempre e per ogni questione, consegna in mano a governi e segretari di partito mandrie di pecore che un cane e un pastore conducono dove vogliono. Un tempo si diceva «in dubio pro reo», e si sarebbe concluso che non c’è bisogno di creare pericolosi precedenti; gli strumenti per vincere la partita esistono già. Purtrop-po, però, noi siamo ormai in pieno «sogno americano» e lì, si sa, le lobby giu-dicano i deputati dalle loro scelte palesi sulle leggi che contano. Chi non conta è la gente.
Uscito su Report on Line l’1 novembre 2013