Perdona, se i giorni che tu mi hai dato
ho speso come credevo più giusto,
Clòto, se Làchesi spesso ho deluso,
disobbedendo al Fato
che mi aveva assegnato.
Chi più di voi lo sa,
immortali sorelle
nate dalla Giustizia,
che voi, proprio voi, ribelli ci fate
al filo che tessete?
Ora che il tempo mio raggiunto ha il fiume,
prima che ignoto io diventi a me stesso,
Àtropo, tu che alla morte presiedi,
tronca solerte il filo della vita.
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Il suicidio di Paola Ferla, il caso Puglisi e l’ingiusta giustizia italiana
Posted in Interventi e riflessioni, tagged codice Rocco, Francesco Puglisi, giustizia, Paola Ferla, suicidio on 01/11/2015| 2 Comments »
Il 25 ottobre scorso Paola Ferla, 33 anni, è volata giù da un poggiolo e s’è schiantata sul selciato della salita Lercari, che a Genova incrocia via Caffaro. Suicidio, dice la Mobile, e tutto si chiude lì.
Francesco Puglisi, il suo ragazzo, è in carcere da due anni e ne avrà per altri dodici: a Genova 2001 mise fuori uso un bancomat. Per il Codice del fascista Rocco, che la repubblica antifascista utilizza senza problemi di coscienza, il reato comporta una pena che spezza una vita e può capitare che ne stronchi altre, com’è accaduto per Paola Ferla.
Da tempo la ragazza era costretta a due fatiche così atroci, da farle odiare la vita: la pena per il suo compagno sepolto vivo e il rimorso per una irrimediabile leggerezza. Puglisi, infatti, senza volerlo, l’aveva “tradito” proprio lei, lasciando ‘tracce’ telematiche, bancarie e del cellulare e consentendo alla Digos di ritrovarli, mentre erano latitanti a Parigi.
All’inizio la ragazza aveva reagito bene e in un appello del 2013 aveva chiesto aiuto come poteva:
“Ciao, sono Paola la ragazza di Gimmy, Francesco Puglisi… Sta in condizioni difficilissime, vive malissimo la situazione perché é stato inserito in una sezione antiterrorismo in isolamento totale… Mi comunica che sta malissimo ed é depresso che fa fatica a mangiare, in poche parole sta molto male. Mi ha detto che la mia presenza é l’unica cosa che lo faccia stare meglio o comunque sono l’unico appiglio positivo in tutta questa situazione. Sabato 22 giugno posso andare a trovarlo, me lo farebbero vedere, ma il problema qui é economico poiché gli unici treni che fanno la tratta… sono treni di lusso, molto cari… Io non posso permettermi questa spesa. Chiedo disperatamente aiuto a tutti per farmi avere questi soldi sia perché voglio vederlo ma non tanto per me ma quanto per la situazione precaria e delicata fisica e psichica che vive Gimmy, dove per aiutarlo veramente bisogna che vada a fare questo colloquio per sollevarlo di morale per quanto possa aiutarlo la mia visita che sicuramente per lui é fondamentale e vitale”.
Povera ragazza. Non aiuterà più nessuno e il suo Francesco pagherà più caro il suo reato. Paola non l’ho mai vista, ma un po’ la conoscevo. Amici comuni me ne parlavano e dopotutto che importa? Fa male comunque: e stata stritolata da una legalità senza giustizia, più immorale di una franca ingiustizia. Chi l’ha conosciuta mi dice che era “terribile” e questo spiega meglio il suo volo tremendo: più “terribile” sei, più una violenza subita ti spezza se ti senti impotente. E’ morta per disperazione e vengono in mente i “suicidati” del Mediterraneo e i morti accatastati senza pietà ovunque esportiamo “democrazia”. Morti che fanno pensare all’omicidio.
Lo so, ci sono parole semplici, buone per tutti gli usi: “non ha avuto fortuna… dimmi con chi stai e ti dirò chi sei… lex, dura lex… e comunque la giustizia ha da fare il suo corso”. La verità è che Il Codice Rocco disonora la “repubblica democratica” – (qui il corsivo è d’obbligo) più di un regime apertamente oppressivo come il fascismo. Paola muore di morte riflessa, per una condanna che sta uccidendo un giovane con la galera, solitamente feroce e stavolta spropositata, in un paese che non punisce la tortura e affida la “pubblica tranquillità” agli assassini di Cucchi. Morte per lo sportello di un bancomant. E’ cosa da non credere, ma è così.
Gli autori delle denunce che hanno aperto il caso senza istruttoria di Paola Ferla hanno vissuto in divisa una delle pagine peggiori scritte da una polizia finita anch’essa davanti ai giudici, in un tribunale in cui la “legalità” ha il volto beffardo d’un principio tradito: “La legge è uguale per tutti”. Alla polizia non si sono imputati reati contro cose. Si è trattato di lesioni, torture e sangue versato. L’unico al quale si sono concesse attenuanti è un funzionario, che dopo il pestaggio si dissociò: “non lavorerò più con questi macellai qui’”. La violenza esercitata è risultata “ripugnante” per la Cassazione, ma il capo della polizia, De Gennaro, se l’è cavata con una “promozione” a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Per quanto riguarda gli altri, la Cassazione ha chiarito che le responsabilità sono riconosciute non in virtù di una presunzione teorica – “comandavano e non potevano non sapere” – ma sulla base di prove inconfutabili. Erano presenti alla “macelleria cilena”, sapevano che c’era stato uno “sproporzionato uso della forza”, sapevano della “messinscena” di un finto accoltellamento di un agente, delle botte, delle torture, dei feriti e delle menzogne.
Il rifiuto di collaborare ha rallentato i processi e la prescrizione ha evitato il carcere. De Gennaro ora è a Finmeccanica, Gilberto Caldarozzi gli fa compagnia, come responsabile della sicurezza, Salvatore Gava è andato all’Unicredit, Filippo Ferri, fratello di un ex ministro, è responsabile della sicurezza del Milan. I più giovani, trascorsi i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, torneranno in divisa. Le lesioni gravi sono state prescritte e invano la Corte Europea per i diritti umani ha condannato l’Italia per le torture di Genova. Mentre i torturatori, colpevoli di reati sulla persona, hanno fatto carriera, Puglisi è stato fatto a pezzi per un bancomat.
Una sentenza umana, lontana dagli intenti repressivi del codice Rocco, una sentenza non politica, quindi, non avrebbe sepolto in carcere Puglisi e quasi certamente non avrebbe condotto al suicidio Paola Ferla.
Paragonata a quella dei poliziotti condannati per i fatti di Genova, la sorte di Puglisi e della sua compagna dimostra ciò che storicamente è chiaro dai tempi di Mazzini: la giustizia in Italia non è uguale per tutti.
Legalità e giustizia non sono la stessa cosa
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Berlusconi, Consulta, Corte Costituzionale, giustizia, governo, Gramsci, legalità, Pertini, pratiche "sovversive", precari, precari della scuola, Riforma Gelmini, studenti, Umberto Eco, università on 13/02/2011| 3 Comments »
Con la sentenza n. 41 del 09/02/2011, la Consulta ha dichiarato che impedire ai precari della scuola di trasferirsi in altra Provincia, conservando il loro punteggio, è incostituzionale. E’ una notizia confortante, che ancora una volta dimostra, come da tempo il governo provi a trasformare l’arbitrio in norma, sicché ciò che assume valore di legge è sistematicamente ingiusto. Naturalmente la sentenza è una vittoria di chi si oppone, ma induce anche a riflessioni amare.
Non avevano e non hanno torto gli studenti a contrastare come si poteva e si può, con tenacia e coraggio, la “riforma” Gelmini. Non avevano torto, ma erano e sono soli e non ce la faranno: è mancato e manca il sostegno dei docenti e dei genitori. All’Università ci stanno ancora provando, nel silenzio della stampa e nell’irritato fastidio degli insegnanti, impedendo ai Senati accademici di approvare gli Statuti. Sogni di ragazzi? Pratiche “sovversive“? La Corte Costituzionale con la sua sentenza dice che non è così. L’intera struttura formativa del progetto governativo è evidentemente debole e incostituzionale nella sua stessa “filosofia“. Bisognerebbe, quindi, “pensare” una strategia di attacco complessivo in piazza, nelle aule e nei tribunali. Ma chi dovrebbe farlo?
Umberto Eco, nei giorni scorsi, attaccando Berlusconi, ha fatto cenno all’onore dei docenti, ricordando gli undici – ma erano dodici per la precisione – che non giurarono fedeltà al fascismo. Avrebbero, a suo modo di vedere, salvato l’onore della categoria. Con il rispetto che si deve a un uomo di grandissimo valore, è vero il contrario. Quella sparuta pattuglia di coraggiosi mostrò al mondo il disonore di una categoria.
Si parla molto, forse troppo, di “cultura della legalità“. Nulla da dire. Non sarebbe male, però, se si provasse anche a riflettere sulla differenza profonda che c’è tra “legalità” e giustizia. Non sono sinonimi e non è scontato che ciò ch’è legale sia giusto. Le sentenze fasciste che incarcerano Pertini e Gramsci erano perfettamente legali e profondamente ingiuste.
Maroni è razzista?
Posted in Interventi e riflessioni, tagged don Milani, Fuoriregistro, giustizia, Maroni, razzismo, ronde, scuola, sessantotto, stranieri, xenofobia on 20/02/2009| Leave a Comment »
Non sono armate le ronde di Maroni. Si portano dietro parole pesanti come pietre, ma non sono armate. Disarmato, disarmante, o forse capace davvero di armare la mano, è del resto anche l’onorevole carroccista Bricolo, cravatta e fazzoletto rigorosamente verdi come la bile, quando s’infiamma per stupri rumeni – quelli del maschio italico non sembrano riguardarlo – e, per difendere le “nostre donne,” se la prende con le immigrate: noi gli stranieri non li vogliamo, via di qui. E non fa differenze: donne, vecchi e bambini.
Non sono armate le ronde di Maroni. Sono formate da carabinieri in congedo, da paracadutisti della Folgore in disarmo e da guardie civili nate da una paura incivile, suscitata ad arte per alzare steccati, censire, schedare e concentrare. Non sono armate, ma si portano dietro rigurgiti di medioevo e sono figlie di parole usate come strumento per armare le mani.
Non sono armate le ronde di Maroni, ma ci sono mille modi per creare rapporti di subordinazione sociale e numerose vie per “strutturare” in maniera razzista l’ordine “costituito”. Non sono armate, ma costringono la scuola a scegliere tra civiltà e barbarie e non ci sono dubbi: tra Bricolo e Levi, tra Cota e Verri, tra Bossi e Marcuse, la stragrande maggioranza degli insegnanti sceglierà la tolleranza e la disubbidienza. E spiegherà agli studenti chi è che ci governa.
Maroni non lo sa, ma Mussolini, che di violenza e razzismo fu maestro, ne era convinto: “Gli uomini sono fatti così, è più facile indurli a odiare che ad amare”. E forse non aveva torto. Noi, però, vecchi sessantottini fastidiosi,come ci vuole l’avvocato Gelmini, conosciamo la storia. Noi siamo tolleranti e non manchiamo perciò di ascoltare le ragioni degli altri. Dopo aver ascoltato Cota, Bricolo e Maroni, non saremo però così ingenui da dimenticare che chi ottiene ciò che non gli spetta è un furfante e un ladro. E lo insegneremo, perché Salvemini ha ragione: “La nostra civiltà andrà in rovina se la scuola verrà meno al compito d’insegnare alle future generazioni che ci sono delle cose che non si fanno”.
Don Milani ce l’ha insegnato: “le leggi degli uomini sono da osservare quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole)”. Importa poco se Maroni sia razzista. Le sue ronde sono solo il sopruso del forte e tanto basta. Noi ci batteremo perché siano cancellate.
Uscito su “Fuoriregistro” il 20 febbraio 2009