Abbiamo la guerra in casa. Così dicono i nostri grandi giornalisti. Non so perché, ma in casa la guerra ci scoppia sempre per motivi che non conosciamo. L’undici settembre del 2001, per esempio, dopo che due aerei civili avevano “attaccato” inspiegabilmente New York e il Pentagono, scoprimmo che a Roma c’era la guerra. Quando una bomba fece una strage in una banca di Milano, nel 1969, non ci fu un americano che pensasse d’avere in casa la guerra; da noi, invece, le guerre scoppiano per qualunque guaio dell’Occidente. Anni fa, per una bomba alla metropolitana di Madrid, gli spagnoli chiusero i conti con un governo di destra, noi allertammo polizia, esercito e guardia forestale. Avevano colpito Madrid, ma la guerra era contro di noi. Ce l’avevamo in casa.
Non so chi li laurei, i grandi nomi della carta stampata e delle televisioni, ma qualcuno dovrebbe dirglielo come scoppiano le guerre e ricordargli che gli attacchi a giornali e giornalisti sono pagine feroci, ma frequenti. Come cerchi ci sbatti il naso. Il 22 luglio 2014, non cento anni fa, “Libero”, raccontando ai lettori la tragedia di Gaza, scrive di “un aereo da combattimento israeliano che ha bombardato l’ultimo piano di una torre residenziale nel Centro di Gaza, dove si trovano la sede di Al-Jazira e gli uffici dell’agenzia di notizie statunitense, Ap”. Naturalmente, racconta il giornale, gli israeliani sostengono che è “stato un errore”, ma ammoniscono i giornalisti: meglio stare alla larga. Se uno non si ferma qui e va avanti, scopre poi una dichiarazione ufficiale israeliana che definisce Al-Jazira “una colonna portante dell’apparato di propaganda di Hamas” e chiede che “le attività dell’emittente vengano bandite in Israele”.
E’ strano, ma così: nessun governo occidentale ha dichiarato in quei giorni che Israele fa “guerra alla democrazia”, nessuno si è scandalizzato per la libertà di stampa attaccata con le armi e la nostra “grande stampa”, che stava dormendo o era stata messa a nanna, non ha suonato l’allarme. La guerra a Gaza non è guerra di casa nostra, noi ci disinteressiamo degli occupati e abbiamo ottimi rapporti con gli occupanti perciò, se giocano a tiro a segno sui giornalisti, pazienza.
Rosa Schiano, che era a Gaza, pochi giorni prima dell’attacco ad Al-Jazira aveva descritto così l’esecuzione di Hamed Shehab, un giornalista che lavorava per Media24 news agency: “Lo scorso 9 luglio, è stato ucciso in un attacco mirato sull’auto che stava guidando in zona centrale nei pressi del parco di Al-Jundi al-Majhul in Gaza City. Il veicolo era contrassegnato dalla scritta “TV”. Il suo corpo è stato ridotto in pezzi dall’esplosione”.
L’Europa, preoccupata per la pazza estate e i rischi per la stagione turistica, era persa dietro i meteorologi e non si accorse di nulla, sicché invano il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi (PJS), affiliato alla Federazione Internazionale, chiese una commissione d’inchiesta indipendente sulla morte degli operatori.
Nel 2012, Reporters Senza Frontiere e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti manifestarono il loro sdegno per l’aggressione israeliana ai media nella Striscia di Gaza e condannarono l’attacco notturno contro la torre dei giornalisti: “Questi attacchi costituiscono un ostacolo alla libertà di informazione – disse allora il segretario generale di Reporters Senza Frontiere, Christophe Deloire, ricordando “alle autorità israeliane che, secondo il diritto internazionale, i media godono della stessa protezione dei civili e non possono essere trattati come target militari”. Deloire chiese infine che i responsabili del bombardamento fossero identificati. Non se ne fece nulla. L’Occidente, che ha creato e tiene in vita l’orrore di Guantanamo, parla molto di civiltà e diritti, ma ricorre alla violenza e alla barbarie ogni volta che si tratta di lavoro, dissenso interno e conquista dei mercati.
La guerra in casa! E’ vero? Ma in casa di chi?
08/01/2015 di giuseppearagno
Che la fondazione e la prosecuzione dello Stato di Israele sia una infamia perché non giustificata da alcuna lucida e razionale motivazione è ormai un dato storico. Ed è un crimine contro l’umanità.
Io qui la ringrazio perché lei mi ha rinfrescato la memoria con un fatto che è il giusto parallelo col caso francese del Charlie Hebdo che tante oche fa strillare di quell’occidente che mai pensa di essere la causa della corruzione nel mondo.
Se si vedono fatti lontani ma contigui come tessere di un puzzle da ricomporre diventano presto evidenti i fili e i burattinai. La memoria ha bisogno di sguardo lungo e abitudine al cui prodest, sennò si rischia di farsi impantanare nella retorica delle celebrazioni vecchie e nuove. Il vero potere non teme né i pianti né le feste di calendario, sebbene queste cose siano necessarie, come è sempre necessario non tacere. Il potere teme sempre la cultura che dà voce alla consapevolezza del diritto. E’ in atto lo smantellamento dello stato democratico: la borghesia che ne ebbe bisogno alla Bastiglia, pensa di potersi finalmente liberare del consenso dei sanculotti e per far questo ha bisogno di rendere “necessarie” misure di restrizione dei diritti, in nome di una “sicurezza” superiore, di una “crescita” che sarà solo quella del suo denaro. in ultimo sta giocando ancora e sempre la carta che appena un secolo fa qualcuno definì la “sola igiene del mondo” e che reca sul dorso sempre la creazione del nemico.
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