Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘Luigi De Magistris’


Ho sempre pensato e ne sono ancora oggi convinto, che la sorte di una nascente forza politica sia legata soprattutto alla sua capacità di intercettare una necessità, un bisogno reale della Storia e dare risposta a quel bisogno. Una convinzione che trovo confermata dalla rinascita di una destra estrema e dalla più grave crisi della Sinistra dalla nascita della Repubblica, che sono probabilmente i due rovesci della stessa medaglia.
Se si guarda con onestà intellettuale e senza intenti polemici, alla vicenda dell’Italia unita, non è difficile vedere che il successo politico della destra – estrema o moderata conta relativamente poco – nel nostro Paese è nato sempre in un momento di profonda crisi economica. Non a caso Pietro Grifone, economista antifascista confinato a Ventotene, durante la permanenza nell’isola scrisse una storia del capitale finanziario in Italia, del quale il fascismo risulta il regime connaturato. Una storia di parte? Tutt’altro.
Che cosa fu, in effetti, il fascismo se non lo strumento attraverso il quale il Padronato svuotò il campo dalle macerie dell’economia bellica e postbellica, ottenne il progressivo svuotamento delle Istituzioni democratiche ed ebbe in regalo uno Stato spogliato in concreto di buona parte delle sue attribuzioni economiche? E’ una forzatura osservare che, allora come oggi, i padroni volevano – ed ebbero – mani libere per l’iniziativa privata?Ieri come oggi, un governo politico di estrema destra corrisponde perfettamente alle esigenze del potere economico e una borghesia che rischia la proletarizzazione, composita ma sostanzialmente formata all’inganno delle “libertà liberali”, non esita a far sua la rovinosa scelta dei vertici di classe. Allora come oggi, disgregata da polemiche, frettolose scissioni e dall’illusione di trovarsi solo di fronte a un “momento” difficile, la sinistra affonda nelle sue contraddizioni ed esce di scena.
Un ruolo decisivo l’hanno avuto in entrambi i casi le vicende della Russia. I padroni sfruttano nel primo dopoguerra la paura del bolscevismo, utilizzano oggi abilmente la guerra dello “zar” Putin, sventolando la parola “nobile” – libertà – per massacrare la Costituzione antifascista, per fare gli interessi del capitale e abbandonare al proprio destino milioni di sventurati.
Ieri come oggi ad aprire la breccia è indiscutibilmente – sia pure per ragioni diverse – la crisi dei partiti di sinistra. E qui, se dalla storia del potere si passa a quella dei popoli, l’Unione Popolare diventa immediatamente una necessità inderogabile. Soprattutto in un Paese in cui la storia della Repubblica antifascista, l’hanno scritta l’incontro e lo scontro tra i valori della sinistra di ispirazione laica e marxista e quelli della nebulosa cattolica. Un percorso che dovrebbe ricominciare, ma non può riprendere, perché la sinistra laica e marxista non c’è più: è passata armi e bagagli nel campo neoliberista che è, di fatto, quello capitalista.
Le sole forze in campo schiettamente e indiscutibilmente anticapitaliste sono quelle che cercano di creare Unione popolare. Certo, gli ostacoli da superare per giungere alla sua nascita ufficiale non sono pochi, ma credo che nessuno sia insormontabile perché in comune abbiamo tutte e tutti questa caratteristica che segna un confine direi geografico: un al di qua e al li là d’un fiume o, meglio, d’un mare. Il mare di disperazione generato dal capitalismo omicida, che uccide la povera gente e le possibilità di vita del genere umano sul pianeta. Ben altro che la fine della Storia e del conflitto. E’ l’inizio di una storia nuova.
Rose e fiori, quindi? Naturalmente no. Una grave conseguenza del tracollo dei partiti ha prodotto una prima immediata difficoltà. Quale forma avrà Unione Popolare? Nel Coordinamento la forma partito provoca reazioni negative – per molti è il “vecchio”- e quella di un movimento trova più consensi, ma non convince fino in fondo. Emerge così l’idea del “nuovo”. Poiché di nuovo e di “novatori” faccio davvero fatica a parlare, perché si contrappongono a “vecchio” e mi fanno venire in mente Renzi e la “rottamazione”, vorrei fare qui alcune considerazioni. Le ritengo necessarie, per provare a uscire da un’ambiguità latente e tentare di delineare le premesse perché, diviso in gruppi, il Coordinamento possa lavorare con spirito davvero unitario e collettivo. Taglierò con l’accetta per non annoiare e non fare di un breve intervento uno strumento di tortura.
Per quanto mi riguarda, ogni forma e ogni sua traduzione in strutture organizzative sono legate indissolubilmente a esperienza politiche, luoghi specifici e momenti storici ben definiti. Se questo è vero – e mi pare difficile dire che lo sia – nessuna di tali esperienze è probabilmente ripetibile e utilizzabile in un contesto storicamente e temporalmente diverso.
Posso naturalmente sbagliare, ma noi partiamo da una “certezza” che certa in effetti non è: diciamo che la forma-partito è superata e lo facciamo, benché poniamo tra i nostri massimi obiettivi la difesa della Costituzione. Dimentichiamo, però, che i partiti sono pilastri nell’architettura costituzionale. Non esprimiamo così due concetti in profondo contrasto tra loro? A me pare proprio di sì.
Questo, senza dire che alla guida del Paese c’è oggi paradossalmente un partito di estrema destra, geneticamente ostile alla Costituzione, che però è probabilmente l’unico organizzato secondo criteri rispondenti al modello “costituzionale”. Questo suggerirebbe di non avventurarsi subito sulla via di un non meglio identificato “nuovo”, ma di individuare piuttosto il punto di rottura a partire dal quale i vecchi partiti sono andati in crisi.
È necessario farlo, per capire se la crisi sia un dato patologico, legato alla natura dei partiti stessi, incapaci di stare al passo con i tempi, o piuttosto a scelte politiche sbagliate, che hanno condotto i partiti alla loro progressiva degenerazione e di conseguenza a quella della politica. Se, per fare un esempio, collochiamo nel suo momento storico conclusivo il disastro dei partiti di sinistra – quello cioè in cui, uno dietro l’altro, alcuni eventi posero agli allora dirigenti domande urgenti, siamo di fronte a questa realtà: caduta del muro di Berlino, dissoluzione dell’URSS, inizio dell’affermazione del neoliberismo e crollo elettorale del PCI, il più grande partito comunista occidentale.
È in un questa condizione storica che il PCI giunge a sciogliersi. Pensiamo davvero che Occhetto e compagni intendono tradire? Io, che dal Pci fui espulso alla fine degli anni Sessanta, penso di no. Penso che in quel momento vivano un dramma. Sono di fronte a se stessi e si sentono colpevoli, credono che il fallimento storico del mondo dell’est sovietico, in cui hanno davvero creduto, nonostante le parziali prese di distanza, segni la superiorità del mondo capitalista rispetto a quello sovietico, marxista e leninista. Se ne convincono, scelgono di conseguenza e comincia così l’avvicinamento al liberismo.
E’ l’attraversamento di un deserto. Ci vorranno decenni, ma l’esito inevitabile è il PD. Quel PD, che oggi, naufragando, ci indica due cose: il confine da cui stare fuori, la forma organizzativa da cui stare lontani. Lontani come da ogni fusione a freddo, da ogni progetto che stravolge la Costituzione.
In perfetta buona fede, durante il terribile viaggio nel deserto, ci fu chi in quegli anni ritenne sbagliato il cambio di campo – e nacque Rifondazione Comunista – e chi ruppe con ogni forma di organizzazione politica. I no global, per esempio, massacrati a Napoli e a Genova. Nel corso degli anni, le due anime di ciò che restava della sinistra si sono incontrate e più volte scontrate – lo fanno ancora nel Coordinamento – hanno sempre condiviso buona parte dei valori, ma si sono alla fine sempre divise fatalmente proprio sul tema della forma organizzativa. Erano davvero incompatibili? L’esperienza di Luigi De Magistris a Napoli ha dimostrato che non è così. Pagavano entrambe, però, tre prezzi insostenibili. Il lavoro distruttivo del PD anzitutto, che, fatto passare abilmente per sinistra, ne minava ogni credibilità. Scontavano, poi, agli appuntamenti elettorali, le conseguenze dell’appello al “voto utile”, l’accusa di estremismo, toccata a chi dava vita al conflitto e di opportunismo, rivolta a chi si illudeva di poter recuperare il PD.
La Meloni al governo chiude questa fase, e probabilmente – ma direi finalmente – la vicenda degli ultimi trent’anni diventa il terreno naturale in cui cercare le autentiche radici del “nuovo”. Quello che nasce senza forzature dalla nostra vicenda storica. Credo che, se abbiamo deciso di stare assieme la consapevolezza di questa storia viva da qualche parte nella nostra coscienza. La consapevolezza che finalmente una forza di sinistra geneticamente anticapitalista abbia bisogno di un’anima conflittuale, che parli ai militanti, alle avanguardie e sia complemento dell’altra, che può parlare al ceto medio proletarizzato. Due anime fuse in una formazione che apra contraddizioni in un elettorato che vota Meloni per disperazione e da sole non sono in grado di rispondere ai problemi del nostro tempo. Questa consapevolezza può interrompere un meccanismo storico operante da sempre a sinistra: quello della scissione, dell’antagonismo, della lotta fratricida. Può interromperlo e imporne un altro: quello della complementarietà, dell’integrazione e dell’(U)unione.
Questo è “nuovo”? In certo senso sì, anche se nel 1892 il Psi nasce da questa conquista: le lotte possono anche riuscire, ma i loro risultati si avvertono solo se una presenza politica nelle Istituzioni le fa vivere nelle leggi. Il nuovo ha un valore più nobile se contiene la parte sana di un’esperienza antica. Abbiamo un bisogno disperato di questo nuovo modo di confrontarci. Un modo che preveda una reciproca legittimazione e una unità che non nasca dalle nostre convinzioni, ma dalla necessità di essere nelle lotte, sapendo che il loro valore e il loro successo deve obbligatoriamente vivere là dove si decide. In altre parole, occorre convincersi che questa è la nostra funzione storica, stare uniti, e che la assolveremo solo se riusciremo a trovare il “nuovo” che cerchiamo. Quello che sarà figlio della nostra storia.

Transform!italia, 18 gennaio 2023

Read Full Post »


A dar retta a Scanzi, un giornalista che ritenevo obiettivo e di qualità, Luigi De Magistris e gli elettori di «Unione Popolare» sono stati velleitari e infantili. Sapevano che non avrebbero superato la soglia di sbarramento e si sono ostinati, poveri idioti, a rifiutare il ricatto del «voto utile», scegliendo chi pensavano e pensano che li rappresenti.
Seguendo il principio di Scanzi, qualora fossimo chiamati a votare con una legge che – in nome del feticcio della «governabilità» – ponesse lo sbarramento al 26 %, per non rischiare di essere giudicati velleitari e infantili, dovremmo limitarci a scegliere tra la Meloni o il Letta di turno.
Questo passa il convento, dice insomma Scanzi, al quale vorrei chiedere però, di spiegarmi perché ai primi del 2021 il bipresidente Mattarella, caduto Conti, chiamò Draghi. Perché eravamo in un mare di guai? Perché c’era il Covid, avevamo tagliato il numero dei parlamentai e non si poteva votare con una legge mille volte peggiore della fascista «legge Acerbo»? E perché stavolta ha sciolto le Camere e ci ha mandati a votare? Eppure il Covid c’è ancora, i guai sono aumentati, la fame ci minaccia, Draghi ci ha messo l’elmetto e la legge elettorale è sempre la stessa. Perché Mattarella non ha incaricato la Presidente del Senato di formare un «governo del Presidente» con l’incarico di dare al Paese una legge elettorale democratica, magari proporzionale e senza sbarramento?
A Scanzi non pare che, se il presidenza della Repubblica e quello del Consiglio, l’infallibile Draghi, avessero consentito alla gente di scegliere davvero chi votare, oggi non avremmo il 63 % di astenuti e molti piccoli partiti sarebbero entrati in Parlamento?
Scanzi, giornalista liberale, indipendente e colto, non sa che, quando i Presidenti rispettavano e facevano rispettare la Costituzione, la cosiddetta «legge truffa» non passò? Piero Calamandrei, Ferruccio Parri e Tristano Codignola, infatti, si presentarono con un piccolo e neonato partito – «Unità Popolare» – presero l’1 % e con la manciata di voti presi (meno di quelli ottenuti oggi da «Unione popolare»), impedirono che la legge avesse il suo drammatico effetto: il progetto autoritario, infatti, fu battuto per poco più di 34.000 voti.
Parri, Calamandrei e Codignola erano anch’essi velleitari e infantili?
No. Più semplicemente e molto più democraticamente il garante della Costituzione era Luigi Einaudi, il popolo – sovrano baluardo della democrazia costituzionale – poteva votare chi lo rappresentava e i voti non andavano sprecati.

Agoravox, 30 settembre 2022

Read Full Post »


Riferendosi all’Unione Popolare di cui è portavoce Luigi De Magistris, un amico di lunga data, uomo di valore, intelligente e acuto nei giudizi, ieri mi ha scritto questo messaggio:  

«Egregio Professore, lei sa come spesso mi sono trovato d’accordo con lei.
Mi dispiace ora di dover far notare come in internet, vedi il sito di Democrazia Atea, circoli una foto di De Magistris che bacia la teca del sangue di san Gennaro. Affari suoi se lo fa in privato; ma inammissibile che se è fatto pubblico come dalla foto parrebbe.
Credo che resteremo sempre nell’eterno fascismo italiano di Carlo Levi, di Umberto Eco, di Piero Gobetti.
Io rifiuto la scheda con motivazioni che consegnerò al presidente del seggio, del tutto consone all’infelicissimo momento politico».

Parole che non avrei voluto leggere, ma sono garbate, motivate e offrono l’occasione di dare una risposta diretta a lui, com’è giusto che sia, ma può interessare anche chi, come lui, pensa di non votare e, quindi di non votarci. Ho pensato così di rispondergli col garbo e il rispetto che meritano le persone che stimi.

«Caro amico, conosco abbastanza bene Luigi De Magistris per poter dire che le cose non stanno come lei pensa. Voglio dire che De Magistris è certamente un credente, ma da privato cittadino non avrebbe probabilmente baciato la teca. L’ha fatto da Sindaco, per una sorta di dovere istituzionale. Un errore? Può darsi. Non tale però da cancellare dieci anni di lavoro politico che ha fatto di Napoli un modello di governo dal basso, di autonomia dai partiti e di coinvolgimento di centri sociali, associazioni e cittadini qualunque, come me, coordinatore di un gruppo di compagni rappresentativi delle realtà e delle lotte territoriali, che ha portato nel palazzo del Comune la voce della città. Non tutto è andato sempre bene, ma molto è stato fatto e in condizioni di estrema difficoltà.
Non può immaginare la guerra feroce che contro questo modo di gestire la città è stata condotta dai partiti, tutti più o meno coinvolti in scandali e rapporti ambigui con la malavita. Ciò che non si perdona a De Magistris è soprattutto questo: l’aver messo fuori dal Palazzo la camorra e il sottobosco politico che ne fa parte. Per dieci anni affaristi e personaggi legati al crimine organizzato hanno dovuto rinunciare ai loro affari loschi. Sono stati dieci anni di crescita civile, di partecipazione attiva e di riconquista del ruolo che spetta a una città come Napoli.
La ritorsione è stata ovviamente immediata e feroce e ha unito tutti i partiti: fondi progressivamente ridotti, dichiarazione di semidissesto, casse del Comune bloccate, tentativi di utilizzare in modo strumentale la legge Severino per mandare a caso il sindaco eretico e, dulcis in fundo, stampa mobilitata nella demonizzazione.
In queste condizioni, difficili se non impossibili, la città è stata liberata dai cumuli di spazzatura sotto i quali l’aveva sepolta la precedente Amministrazione e si è sottratta a privatizzazioni e svendite dei beni comuni, tant’è che oggi è ancora l’unica grande città in cui l’acqua è pubblica. Potrei continuare a lungo, ma occorrerebbe lo spazio di un libro, che qui non ho, ma forse scriverò.
Democrazia Atea, che ha fatto parte a lungo di Potere al Popolo, è un’organizzazione che porta avanti una battaglia condivisibile, ma lo fa, a mio parere, senza distinguere la Chiesa-Istituzione da quella di base e dai credenti che meritano rispetto. Carla Corsetti, che ne è l’anima, è una donna preparata e coerente, che stimo molto, alla quale rispettosamente rimprovero una tendenza all’integralismo. La campagna scatenata contro De Magistris è legittima, ma miope. Non si può dividere il mondo in bianco e nero, riconoscendo a un colore tutto il bene e caricando sulle spalle dell’altro ogni male. Credo che la realtà sia più complessa e che, utilizzando i criteri di valutazione di Democrazia Atea, si finisca con l’agevolare il grigio che non si vuole, o non si sa vedere e che nove volte su dieci è responsabile del degrado della nostra vita pubblica.
Naturalmente, amico mio, rispetto la sua scelta e ne capisco le ragioni. Tuttavia, mi creda, non ci aiuta a cambiare le cose, mette in difficoltà una iniziativa politica partita dal basso e costretta – unica fra tutte – a raccogliere migliaia di firme in tutto il Paese. Così è ridotta la democrazia. Il suo rifiuto dell’unica realtà politica ambientalista, alternativa al neoliberismo e alla guerra, decisa a difendere la Costituzione e i diritti della povera gente, finisce con il rinforzare involontariamente la grande area del “grigio” che meno cittadini votano, più forte diventa. La prego di riflettere. Abbiamo bisogno di persone come lei che firmino, ci aiutino a raccogliere firme e ci votino. Lei ha gli strumenti critici per valutare il peso reale di quello che ritiene un errore e quello di una scelta di campo che ha alle spalle un lungo percorso di lotta per un mondo veramente migliore.

Agoravox 8 agosto 2022

classifiche

Read Full Post »


Gli anni sconsigliano che mi riprometta futuri paragoni tra ultimo e penultimo sindaco di Napoli, ma mi stupisce che Manfredi scopra d’un tratto che De Magistris aveva ragione – non ci sono soldi – e mi  disgusta la rappresentazione consapevolmente falsa, che utilizza di fatto un principio nazista: una menzogna ostinata e spudoratamente ripetuta diventa verità.
Ce l’ho, se non si è capito, con i leccapiedi del nuovo Sindaco, che sputano veleno su Luigi de Magistris e sostengono che Napoli così ridotta non s’era mai vista. Ce l’ho col popolo dei “senzastoria”, di quelli che ignorano chi sono e da dove vengono. Gente i cui bisnonni consentirono senza fiatare che Quintino Sella declassasse il porto di Napoli a favore di quello di Genova, seminando miseria, perché Napoli, disse, “è troppo bella città per esporla a bombardamenti”.
Mussolini però dimenticò Sella, prese per i fondelli i padri e i nonni di chi ora protesta, rinnovò il porto, definì Napoli “città regina del Mediterraneo”, ma dimenticò la difesa della regina e gli Alleati la seppellirono sotto le bombe. Un regalo più grande la città l’aveva avuto molti anni prima da Liborio Romano, che, passato dai Borboni ai Savoia, coprì le spalle a Garibaldi diretto a Gaeta, facendo della camorra la Guardia Nazionale. Un  regalo così costoso che ancora oggi Napoli paga il conto.
Nel 1901 Francesco Saverio Nitti, studiando i bilanci dello Stato dall’unità alla fine dell’Ottocento, scoprì che Napoli e il Sud avevano pagato più tasse del Nord e avevano ricevuto la metà dei servizi. Nel 1904 e nel 1911 si vararono perciò due leggi speciali per Napoli, ma pochi anni dopo, nell’immediato primo dopoguerra, Arturo Labriola, socialista, ministro del lavoro con Giolitti e poi sindaco di Napoli, si trovò ad amministrare una città che – ebbe a scrivere – contava 20.000 accattoni e 100.000 selvaggi.  Era accaduto quello che i critici di De Magistris ignorano o fingono di non sapere: le leggi per Napoli erano diventate leggi per il Nord.
Gli imprenditori settentrionali, piombati a Sud come sciacalli perché lo Stato dava gratis la materia prima, non imponeva tasse e consentiva salari diversi da quelli settentrionali, fecero infatti soldi a palate finché durarono i privilegi delle due leggi, poi chiusero e si portarono i soldi a Nord. Ora dovrebbe essere chiaro: invece di rivoltarsi contro chi li tratta da sempre come selvaggi, i “senzastoria” puntano il dito su chi si è battuto per loro contro 160 anni di storia.
Quando De Magistris è diventato sindaco, la Napoli di Labriola era un paradiso; la città era ormai collassata: fabbriche chiuse, metà delle scuole inagibili, Sanità in ginocchio, mobilità allo stremo, turisti in fuga e strade attraversate da fiumi di disoccupati. Avrà commesso errori – chi non ne fa? – ma alla fine ha fatto quanto poteva con quello che aveva ed ha sbattuto il portone in faccia alla malavita organizzata, facendosi nemico chi la tiene in vita.
Si è capito subito che non si sarebbe adattato al sistema; per questo, non per altro, si è visto tagliare l’ossigeno: 1500 miliardi in meno dei sindaci precedenti e un debito mostruoso, risalente al 1980. Ha celebrato le nozze coi fichi secchi, ma ha lasciato una città più viva e gelosa della sua dignità, rientrata nel circuito del turismo e di gran lunga migliore di quella ricevuta al tempo delle montagne d’immondizia.

Agoravox, 22 novembre 2021

classifiche

Read Full Post »



Facciamoci delle domande. E’ vero o no che in qualunque Paese veramente democratico l’arrogante rifiuto opposto da Gaetano Manfredi a ogni pubblico confronto con gli avversari ne avrebbe decretato la sconfitta prima ancora dell’apertura dei seggi? E non è vero che Manfredi si presenta alle elezioni accogliendo tutti gli ex avversari che portano voti?
E’ vero, certo che è vero.
E’ vero o no che in termini di “programma”, questo significa che Manfredi vuole solo vincere, ma non ha, non può avere un sistema di valori cui ispirarsi e  una vaga idea di ciò che farà per la città? Non è così? Sì, è evidentemente così.
Per questo scappa.
Darete la città in mano all’armata Brancaleone che si porta appresso, per offrirla al saccheggio dei lanzichenecchi? Non gliela darete? E che farete? Per sfuggire al gatto correrete in braccio alla volpe? Voterete per Bassolino, l’uomo che vi ha sepolti sotto tonnellate di spazzatura? Andrete a votare per il “Komunista” che, zitto, zitto, si mette d’accordo con gli uomini di Salvini e vi vende al miglior offerente?
Non lo farete? E allora chi voterete?
Mi pare di sentire il coro: “Nessuno. A votare non ci andremo, così questa banda di politicanti imparerà la lezione”!.
E no, cari miei. La lezione la imparerete voi, quando, impotenti, assisterete alla privatizzazione dell’acqua e dei mezzi pubblici, quando vi ridurranno con le pezze al culo, caricandovi di nuovi debiti e distruggendo ciò che resta della Sanità e dello Stato sociale.
Lo so che lo sapete: c’è pure la Clemente. Che farete? Come pesciolini all’amo, abboccherete alle lenze che abilmente vi fanno passare sotto il naso e griderete: “Alessandra Clemente? Ma quella è una  nullità!”.
Avete detto le stesse cose per De Magistris e ora volete punire Alessandra Clemente come fosse lui. Bravi! Vi siete lasciati infinocchiare dai pennivendoli coalizzati e dalle televisioni che sono tutte in mano di chi vi affama.

La verità è che il sindaco su cui puntate il dito ha messo spalle al muro personaggi potenti. e voi l’avete eletto perché vi aveva stupito per il coraggio. Voi lo sapete: in un paese come l’Italia, un magistrato che si mette a indagare su gente che ha potere ha un raro coraggio, rischia di farsi male e chiudere la carriera in malo modo. L’avete eletto per questo e gli affaristi di ogni razza hanno trovato chiusa la porta di Palazzo San Giacomo. A voi pare niente? Questa scelta gli è costata immediatamente l’ostilità di tutti i giornali e tutti i partiti. Non s’era mai visto uno schieramento così compatto.
Poiché la capitale del Sud non si poteva più spolpare, le hanno tagliato l’ossigeno e si sono inventati l’ “autonomia differenziata”. Non sapete cos’è? Un sistema per derubarvi legalmente. Bene, mentre voi dormivate, il sindaco di Napoli è stato l’unico politico del Sud a schierarsi contro l’ ”autonomia differenziata”. L’unica figura con carica istituzionale. Era il 2019. Avete sentito parlare Maresca, Bassolino e Manfredi? No stavano tutti zitti. Lui no. E con lui Alessandra Clemente. 
Naturalmente se dici no a un imbroglio, gli imbroglioni te la fanno pagare. Ed ecco che nasce la favola del “populista”. Populista chi? Chi non si siede al tavolo dei gruppi di potere accampati nei partiti? Vi piaccia o no, ve lo ricordiate o no, Napoli è stata la sola grande città d’Italia in cui l’acqua è pubblica e costa meno che in tutte le altre città. E quando s’è fatto questo autentico miracolo, la Clemente, la “nullità”, era col sindaco. I partiti che oggi si presentano nascosti dietro i candidati, PD in testa, non facevano altro che sabotare. Perché? Perché a loro non interessate. A loro interessano gli affari e gli affaristi e l’acqua è un affare d’oro.
Assieme alla  Clemente, De Magistris vi ha dissepolti. Vi ha trovati sotto la “munnezza” e vi ha recuperati. Aveva tre soldi, ma c’è riuscito. E’ stato un altro colpo agli affari sporchi del neoliberismo. Un colpo alla camorra, che vi aveva seppellito sotto la spazzatura. Voi ve lo ricordate Bassolino? Parlava, parlava e non faceva niente. Che fate? Tornate a votarlo?
De Magistris e la Clemente hanno tolto dalle mani dei privati la torta della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Ora c’è un’azienda comunale, l’Asìa, ci sono 10 isole ecologiche, una per municipalità, e cinque itineranti (per raccogliere mobili ed elettrodomestici che prima finivano per la strada); ci sono nuovi macchinari, c’è – e prima non c’’era – la polizia ecologica, che ha fatto multe in quantità e c’è l’esportazione in Olanda. Il sindaco non ha fatto niente? Ma voi dove siete stati in questi anni? Napoli ha raggiunto il 40% della raccolta differenziata, la raccolta porta a porta è diffusa in quasi tutti i quartieri e la TARI è tra le meno costose del Paese.
La Clemente era con lui quando De Magistris ha ricondotto al potere pubblico la gestione del patrimonio immobiliare della città. Prima – non ve ne ricordate? – prima era in mano a Romeo, che ha avuto poi problemi con la giustizia. Ci voleva coraggio. De Magistris l’ha avuto. E solo un politico di grande coraggio come lui poteva farlo. Gli altri sindaci non si erano azzardati. Romeo è parte di un gruppo finanziario assai potente ed è amico dei Caltagirone, padroni del “Mattino”, che a Napoli conta molto. Voi capite perché il giornale ha fatto guerra e De Magistris e ora la fa alla Clemente? Perché la “nullità” era con lui quando il colpo è stato assestato! Insomma De Magistris sarebbe un fallito e la Clemente è una “nullità” perché non fanno patti con i potenti? Non vendono e non si vendono?
Volete credere ancora all’informazione che ne fa una mezza tacca? Credeteci pure, ma ricordate: vi prendono per i fondelli. Eppure avete sotto gli occhi la trasformazione di quasi tutti gli incroci in rotonde,  centinaia di km di strade rifatte, via Caracciolo in buona parte pedonalizzata, 150 nuovi autobus acquistati, 5 nuove stazioni della Metro. Forse non lo sapete, ma l’azienda pubblica di trasporto, l’ANM, ha di nuovo il bilancio in attivo. A voi pare poco? Avete dimenticato che siamo una città costretta a pagare un debito che risale al terremoto dell’80.
La Clemente è stata con lui nella rigenerazione della Sanità e dei Quartieri Spagnoli, un tempo luoghi pericolosi, oggi “riconquistati”, pieni di osterie e bar, e murales giganteschi conosciuti nel mondo. Napoli è stata la prima città d’Italia a dotarsi di un registro delle unioni civili, che ha permesso il riconoscimento legale a coppie dello stesso sesso e ai loro figli, anche adottivi, esempio poi seguito anche da altre città.
Volete fermare questa macchina e rimettere al volante chi vi ha distrutto? Padronissimi di farlo. Se ci pensate un poco, però, non ci vuole molto a capirlo. Avete una sola speranza: la coalizione della Clemente sostenuta da Potere al Popolo, il meglio della politica che vive in città.

Candidato di Potere al Popolo

classifiche

Read Full Post »

E’ vero, è un accademico. E che fai, non lo voti per questo?  Sarebbe una scelta discutibile, perché non sono molti, ma esistono anche quelli non compromessi con l’andazzo dei concorsi pilotati, dei posti ereditati e delle cattedre moltiplicate come i pani e i pesci.
D’accordo, sì, è diventato ministro perché ha accettato di governare l’Università dopo il rifiuto di Lorenzo Fioramonti, indignato per il trattamento da Cenerentola toccato alla formazione.
Manfredi non s’indignò.
Non fu una bella scelta, questo è vero, ma qualcuno doveva pur farlo…
Non c’è dubbio, come ministro è stato un autentico fantasma, però per fare il sindaco, s’è impuntato: voglio i fondi che avete negato a De Magistris. Di fatto perciò, dopo aver sparato a zero sul sindaco uscente, ha riconosciuto che contro di lui si sono fatte scelte scorrette e vergognose.
Questo comportamento è un punto a suo favore o la dimostrazione di una sconcertante ambiguità?
I soldi li avrà?
Se potrà battere moneta, probabilmente sì. Sta di fatto che non solo è un neoliberista convinto, ma a sostenerlo c’è anzitutto il PD, pilastro del pensiero unico e, come tutti sanno, cieco sostenitore della cosiddetta «autonomia differenziata». Forze politiche per le quali il Sud è sostanzialmente una colonia.
Non sai cos’è l’autonomia differenziata? E’ la scelta feroce che unisce tutti i candidati sindaco contro Napoli e contro la Clemente, la sola che rifiuta di vendere la città al Nord, come sono pronti a fare il PD, la Meloni, i 5Stelle, l’innocente nullatenente e patetico Antonio Bassolino e Catello Maresca, dietro il quale si nascondono Salvini e la «Lega Nord per l’Indipendenza della Padania».
Proprio così, «Lega Nord per l’indipendenza della Padania»…!!!!
Stringi stringi, se pensi di votare Manfredi due domande te le devi porre. Solo due, ma decisive:

  1. Quale credibilità può avere Manfredi, che un giorno accusa De Magistris e un altro fa il suo avvocato d’ufficio?
  2. Da napoletano, sei disponibile a votare un candidato sostenuto da un partito proto a pugnalarti nella schiena?  

    Candidato di Potere al Popolo! 
classifiche

Read Full Post »

Mi decido a toccare un tasto che ho lasciato da parte per molto tempo. So che incontrerò rari consensi e riceverò soprattutto critiche. I consensi non mettono e non tolgono, le critiche spesso fanno male, ma che dire? Per mestiere metto insieme i diversi momenti di un’esperienza e ricostruisco gli eventi nel tempo lungo, inserendoli nell’ampio contesto in cui si verificano, senza far prevalere sul giudizio complessivo questa o quella scelta particolare.
Ho letto e trovato giusta una notizia oggettiva e priva di pregiudizi su alcune dichiarazioni di De Magistris: «L’ex Pm uno dei pochi esponenti politici e istituzionali che si oppone alle ordinanze autoritarie dello sceriffo salernitano» ha scritto senza sbavature Ciro Crescentini, riportando una dichiarazione del sindaco:
«Il covid viene utilizzato per fare politica e lo abbiamo visto con le elezioni regionali che hanno molto condizionato la tenuta degli equilibri costituzionali. C’è molta amarezza perché non c’è stato un effettivo coordinamento nazionale e si è dato potere assolutistico alle Regioni, fatto che è stato determinante per far vincere le elezioni».
Sono tra quelli che ha sostenuto con piena convinzione e pubblicamente Luigi De Magistris e ho anche avuto motivi di forte dissenso. Anche di quei motivi ho parlato apertamente. Posso dirlo perciò senza suscitare sospetti, anche perché in fondo è storia che ho vissuto: nei suoi confronti c’è stato spesso un duplice ambiguo atteggiamento: consenso nei momenti in cui le sue scelte politiche sembravano vincenti e il salto sul carro più veloce tornava comodo, attacco a testa bassa nei momenti difficili, soprattutto, oggi, a fine mandato, quando chiedere è complicato e avere difficile, se non impossibile. Per quanto mi riguarda, credo che abbia governato la città in uno dei momenti più difficili della nostra storia recente, quando la crisi dei partiti, il tracollo economico incombente e lo strapotere dei sedicenti «governatori» annunciavano la dolorosa, oscura e per molti versi pericolosa transizione che è oggi sotto gli occhi di tutti.
Ha portato sulle spalle il peso di un debito ingiusto e paralizzante, ha scontato la scelta coerente di tenere le porte di Palazzo San Giacomo chiuse per affaristi ed esponenti del crimine organizzato, facendosi così una interminabile serie di nemici. Tra ombre e contraddizioni, ha restituito alla città una sua dignità e ha saputo dialogare a lungo coi movimenti. Non a caso, quando si tentò di estrometterlo da Palazzo San Giacomo, ebbe al suo fianco anche chi non l’aveva votato.
Ha commesso degli errori, anzitutto nella costruzione dello schieramento per la seconda candidatura. Tutti sbagliamo e in un saggio storico sarebbe inevitabile sottolineare gli errori commessi anche da molti tra quelli che oggi lo attaccano e parlano di fallimento.
C’è stato un momento in cui Napoli è stata davvero una speranza e per molti aspetti un modello. Prima di sputare sentenze e dimenticare che oggi De Magistris è uno dei pochi esponenti politici e istituzionali a puntare il dito sulla figura oscena di De Luca, occorrerebbero prudenza e onestà intellettuale.
E’ presto per scrivere la storia di un’esperienza che non si è ancora chiusa. Per quanto mi riguarda, però, è stata abbastanza lunga per dire che ammiro la coerenza dei pochi che l’hanno attaccato sin dal primo momento, nutro un profondo disprezzo per chi ha abbandonato la barca nel momento in cui ha ritenuto che affondasse e non condivido la scelta – legittima, ma a mio modo di vedere sbagliata – di considerare chiusa e perdente l’esperienza politica dell’ex PM.
Termino con un’affermazione di cui mi assumo la responsabilità: la repubblica antifascista vive in uno stato comatoso e la battaglia si fa purtroppo seguendo l’agenda dettata da suoi carnefici. In questo clima, ho fondati motivi per credere che cambiato il sindaco, rimpiangeremo De Magistris.

classifiche

Read Full Post »

kaiser-geppimo-copertina-1-802x499Le mie ragioni vengono da lontano. Una data? Tanto tempo fa, almeno dicembre dell’anno scorso, quando, in un’assemblea alla Domus Ars, si disse agli iscritti di demA che non avremmo partecipato alle elezioni e non volevamo influenzare il voto. DemA, insomma, sceglieva di essere equidistante tra LEU e Potere al Popolo.
Avevo fatto di tutto per convincere demA a sostenere quella battaglia, avevo ripetuto invano che da quelle elezioni sarebbe uscita trionfante l’estrema destra. Non ci fu mai una vera discussione. Si disse di no e basta. L’onda nera, che oggi diventa la ragione per cui ci si schiera, non interessava a nessuno. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Voglio ricordare che, benché la scelta di aderire a PaP  fosse convinta, la mia candidatura fu  suggerita dal Sindaco all’ex OPG; quando lo seppi, gli feci notare che così rischiava di rompere equilibri all’interno del Coordinamento; il Sindaco però mi rassicurò: sarebbe stato lui a informare demA.
In realtà non lo fece; a parole elogiò Potere al Popolo, ma lasciò che nel Coordinamento fossi “processato” e alla Domus Ars presentò la candidatura come una mia scelta personale. Che pensai? Mi sentii tradito, ma non volli smentirlo pubblicamente e mi assunsi la responsabilità della scelta. Quella sera, però, fui seriamente tentato di salutare e andare via. Me lo impedirono l’affetto e la stima che, nonostante tutto, nutrivo e nutro per de Magistris e il momento che vivevamo: a ridosso delle elezioni, con quel clima, avrei creato mille problemi e non me la sentivo. Rivoluzionario non significa incosciente o avventurista. Assorbii il colpo e andai avanti ma non ero più convinto“.

Con queste parole comincia una mia lunga intervista. Me l’ha chiesta “Canto Libre”, me la sarei risparmiata volentieri, ma non sarebbe stato giusto e ho accettato. Se qualcuno pensa che ne valga la pena, può continuare a leggere, utilizzando il link che segue:

https://www.cantolibre.it/aragno-perche-ho-lasciato-dema/

classifiche

Read Full Post »

09pol1-f01-potere-al-popolo-ansa-71Je so’ pazzo festival. Due giorni di dibattiti per «resistere all’assedio» della destra.
«Come resistere a un assedio?» è la domanda che ha aperto la quarta edizione dello Je so’ pazzo festival, organizzato a Napoli dall’Ex Opg, la prima con il progetto Potere al popolo in campo. L’interrogativo è stato posto da Chiara Capretti (candidata di Pap alle scorse elezioni) all’apertura della due giorni (che si è conclusa ieri), per aggiornare il confronto con il sindaco Luigi de Magistris e tutte le realtà di movimento partenopee. Come si può spezzare un’offensiva fatta di debiti che strozzano gli enti locali, tagli ai servizi pubblici, circolari ministeriali che impongono politiche di destra su accoglienza e povertà, di lavoro in nero perché tanto l’Ispettorato del lavoro è stato svuotato? «Se non puoi resistere – ribatte Capretti – allora ti devi organizzare su scala nazionale contro lo sfondamento a destra sulla pelle degli ultimi. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, con i funerali delle vittime del ponte Morandi in corso, sfruttava i migranti a bordo della Diciotti per distrarre l’opinione pubblica». Il 20 ottobre a Roma ci sarà la manifestazione «Nazionalizzare qui e ora» organizzata da Pap, Usb, Eurostop, Prc e le realtà che si sono battute contro «la truffa delle privatizzazioni e delle grandi opere».
VENERDÌ IL FOCUS era su Napoli. Le circolari di Salvini che impongono una stretta alle richieste di asilo e spingono per gli sgomberi degli spazi occupati possono avere un effetto dirompente in città (dove si stimano almeno 8mila abitazioni occupate). «Non sono provvedimenti esecutivi – commenta Viola Carofalo, portavoce nazionale di Pap – perciò invitiamo i destinatari a disobbedire. Non applicate le circolari Salvini. Il leader leghista le giustifica con la necessità di legalità e sicurezza ma producono l’effetto contrario: più persone sul territorio senza un regolare titolo e più gente per strada nel caso delle abitazioni, perché tanto un’altra soluzione non c’è. Anzi, l’esperienza di Napoli ci dice che le occupazioni hanno rivitalizzato il tessuto sociale, aumentando così la sicurezza percepita nei quartieri». Sul tema de Magistris spiega: «Sul diritto alla casa si misurerà la nostra esperienza amministrativa, sulla capacità di usare il patrimonio immobiliare del comune ai fini della valorizzazione sociale e contro le interpretazioni monetaristiche, che ne vorrebbero la svendita».
AL CENTRO DEL DIBATTITO il caso Vasto, il quartiere popolare accanto alla Stazione centrale con il maggior insediamento di Cas, la zona dove la sera del 3 agosto due migranti sono diventati il bersaglio di ragazzi armati sullo scooter. Il Movimento migrati e rifugiati si è presentato nel quartiere lo scorso martedì: hanno ripulito le aiuole, piantato fiori, realizzato panchine con materiale riciclato provando a stringere un patto tra nuovi e vecchi residenti. «La prossima settimana faremo uno spettacolo in piazza, una produzione del Teatro popolare dell’Ex opg – racconta Abdel -. Sfideremo così il coprifuoco imposto dalla camorra perché il problema del Vasto non sono i migranti, è la povertà, i tagli ai servizi, i clan. La Lega sta provando a radicarsi in zona portando messaggi di odio che prima non esistevano».
Al Vasto emergono tutte le spinte speculative in campo: «Abbiamo lavorato con i migranti per stilare un’inchiesta sui Cas – spiega Capretti -, l’abbiamo consegnata in prefettura chiedendo un intervento contro gli sfruttatori, per un reale inserimento sociale. Quattro strutture sono state chiuse ma il sistema è rimasto intatto con relativa bomba sociale innescata. Poi il 3 agosto sparano sui ragazzi e la prefettura, dopo qualche giorno, ordina un’ispezione ai centri: a 150, trovati fuori dai centri dopo le 22, viene revocata l’accoglienza. Una rappresaglia. Salvini manda le circolari e Grandi stazioni è contenta, così può gentrificare il quartiere senza più i migranti».
IERI SI È DISCUSSO di elezioni europee. Pap ha già scelto come compagni di viaggio La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, gli spagnoli di Podemos e il Bloco de Ezquerda in Portogallo, interlocuzioni in corso con de Magistris e Diem 25 di Yanis Varoufakis. Agli incontri, prima della pausa estiva, ha partecipato anche Sinistra italiana ma lo schieramento unitario non è certo. Il dibattito di ieri tra Viola Carofalo, Klemen Miklavic (rappresentate di Sinistra unita slovena), Bénédicte Monville (La France insoumise) e lo storico Giuseppe Aragno è servito a proseguire il confronto per costruire «un terzo campo, differente da quello liberista/europeista e liberista/nazionalista – spiega Carofalo -. Un campo che metta al centro la redistribuzione della ricchezza, la partecipazione attiva dei cittadini. Mentre la sinistra tradizionale affonda, punita per la guerra che ha condotto contro le classi popolari, crescono i consensi per nuove forze capaci di farla finita con compatibilità, moderazione, appoggio al neoliberismo».

Domenico Cirillo, Il Manifesto, 9 settembre 2018

classifiche

Read Full Post »

p16_beard_webDal giorno in cui è nato questo sciagurato governo, quella che si combatte nel nostro Paese non è, come ci vogliono far credere, una battaglia sull’immigrazione contro l’Unione Europea e i cosiddetti “buonisti”, ladri di futuro e sfasciacarrozze. Lo dimostra il fatto che, nel cuore di questo scontro, gli amici di Salvini, i camerati “fascisti del terzo millennio”, hanno voluto attaccare platealmente l’ex ministro Cécile Kienge e Luigi De Magistris per i quali chiedono l’esilio.
Ci sarebbe da ridere, è vero, ma i tempi sono bui ed è meglio capire, spiegare e reagire. Cominciamo a dircelo chiaro: Salvini e Casapound non stanno rovesciando la medaglia del “mal d’Africa” e di “faccetta nera”. Come al duce fascista più che l’impero “tornato sui fatali colli di Roma”, interessava un “posto al sole” tra quelli non ancora occupati, per spedirci straccioni e disperati, così a Salvini non importa nulla se la Libia oggi manda da noi la sua disperazione. L’obiettivo vero è una scommessa ambiziosa e molto pericolosa per la democrazia; in gioco c’è la conquista dell’egemonia leghista su precari, disoccupati e lavoratori stremati.
Teniamolo bene a mente:  gli immigrati non sono il fine, ma solo uno strumento. Salvini utilizza in maniera spregiudicata la disperazione, per fare della gente dimenticata dalla politica, dei lavoratori sfruttati ben oltre il limite della sopravvivenza, i carnefici di altri disperati e allo stesso tempo la larga base di consenso per il suo governo di leghisti bugiardi.
In una realtà di giovani senza futuro e lavoratori umiliati, il simbolico “esilio” della Kyenge – idealmente spedita in Africa – non è solo una scelta rozza e teatrale, ma un gioco che può andare alla grande, perché fa dell’ex ministro una sorta di “simbolo” dell’immigrato  che ci “spossessa”.
Diciamocelo chiaro, però, altrimenti non capiremo ciò che accade. L’obiettivo vero dell’attacco, quello coperto dalla cortina di fumo del caso Kyenge, si chiama Luigi De Magistris. Bianco e meridionale, in un Sud che i 5Stelle hanno venduto al miglior offerente, nell’immaginario collettivo il sindaco di Napoli è ormai il campione di una serie di scelte che con il “buonismo” e l’immigrazione non c’entrano nulla. L’attacco che gli viene portato perciò è tutto politico e molto rivelatore, perché la battaglia vera, inconfessata ma fortemente voluta da Salvini, mira a costruire un’egemonia sul mondo del lavoro annichilito da Renzi e dal PD, sulla sua precarietà e sulla sua disperazione. Non a caso Di Maio, Ministro del Lavoro, parla con gli ultimi e promette diritti.
In questa situazione, De Magistris è l’unico ostacolo serio sulla strada del governo e ha i numeri per diventare scelta alternativa. Il sindaco di Napoli, infatti, ha dimostrato che si può governare contro la bibbia neoliberista, di cui Salvini segue i comandamenti senza fiatare. Se De Magistris e il suo movimento scendono in campo a fianco dei lavoratori e delle loro lotte, possono essere decisivi per l’esito di uno scontro che non si è affatto concluso a marzo. E non chiedete il perché. La risposta è nei fatti. Sia pure tra mille difficoltà, De Magistris ha al suo attivo risultati indiscutibili. Benché da sette anni provino a tagliargli l’ossigeno, non ha ceduto: niente licenziamenti, niente privatizzazioni, acqua pubblica, debito contestato, movimenti di lotta al governo con lui. Da sette anni a Napoli il neoliberismo cozza invano contro un muro e si rompe la testa.
Napoli è ormai un esempio di governo alternativo. Salvini lo sa e ha capito: o toglie di mezzo De Magistris, o se lo troverà di fronte, leader credibile e finora vincente, alla testa di uno schieramento decisamente alternativo. Di qui l’ostracismo e allo stesso tempo la necessità di reagire.
De Magistris è umano, non “buono”. Non è infallibile, ma è il leader che non ha tradito e non si è compromesso. L’unico. Per questo oggi è una speranza. Chiedetevi quanto vale una speranza tra tanta disperazione e vedrete che la risposta è semplice: una speranza oggi non ha prezzo e fa terribilmente paura.
De Magistris la sua parte l’ha fatta e la sta facendo. Ora tocca agli altri. Tocca a tutti quelli che vedono con animo inquieto l’estrema destra dilagare. Non è più tempo di dubbi. Occorre far quadrato attorno a Napoli e all’’uomo che l’ha resa una roccaforte della lotta al neoliberismo. E’ una grande speranza di giustizia sociale.

Agoravox, 20 giugno 2018 a La Sinistra Quotidiana, 21 giugno 2018

classifiche

Read Full Post »

Older Posts »