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Posts Tagged ‘Profumo’

16221079-vintage-vecchia-sedia-di-legno-nero-in-interno-grungy-la-solitudine-straniamento-concetto-alienazionSono venuto alla luce sul confine temporale che separò l’Italia monarchica da quella repubblicana, Era un altro Paese e la parabola della vita correva tra nascita e morte, in una sorta di produzione a «ciclo continuo», fondata sulla convivenza delle generazioni: figli e nipoti nascevano in casa e in casa – quasi sempre la stessa – morivano i nonni. La trasmissione della memoria era un tessuto da filare in racconti serali, durante cene di povera gente, ricche di scambi, opinioni e ricordi. Negli anni che seguirono, la polverizzazione della famiglia, l’affermazione del modello americano e una rinnovata organizzazione capitalistica della metropoli e dei tempi della nostra vita, regalò ai vecchi il sapore amaro della solitudine, in un mondo che mette ai margini chi esce fuori dai circuiti della produzione. Nella sua terribile durezza, il fenomeno conservava, tuttavia, un che di «naturale», era un dato fisiologico dai connotati patologici: la vecchiaia è in qualche misura sinonimo di solitudine, l’età che avanza ci priva a poco a poco dei compagni e ci lascia fatalmente soli in una realtà che cambia e si fa sempre più estranea.
Il punto più basso di questa china disperante, però, l’abbiamo toccato da qualche anno, quando, in una società sempre più organizzata in funzione delle logiche del profitto, per le quali più sei debole e meno sei tutelato, è emersa d’un tratto, patologica e devastante, una solitudine nuova e contro natura: la solitudine dei giovani, che non sono uguali tra loro, non costituiscono una categoria sociale, ma si trovano in buona parte soli davanti a tempi bui che hanno la tragica durezza degli inverni della storia e della civiltà.
I più giovani, quelli che meglio conosco, gli studenti, sono così soli e occupano ruoli così irrilevanti, che la sedicente «Buona Scuola» di Renzi non ha nemmeno un paragrafo dedicato a loro. Come se la scuola non li riguardasse, Renzi li ha ridotti a spettatori muti della pantomima utilizzata per descrivere il futuro che li attende. I giovani non esistono, ma è in nome loro che la riforma dell’ex «rottamatore» disegna la scuola su modelli del mercato e dei suoi meccanismi: produttività, concorrenza, competitività, leggi della domanda e dell’offerta e sfruttamento della forza lavoro regoleranno, infatti, la vita scolastica, ricorrendo al peggior armamentario ideologico liberista. I giovani però non la vogliono la scuola che Renzi prepara e lottano per far sentire la loro voce che nessuno intende ascoltare. Non la vogliono perché hanno letto il progetto, ne hanno discusso tra loro e hanno capito che non è una scuola, perché non forma più cittadini consapevoli, in grado di ragionare con la propria testa e di affrontare con equilibrio la dura complessità del mondo in cui vivono; è una fabbrica che produce lavoratori e si propone di farne tecnici specializzati e alfieri dell’ammaccato «Made in Italy»; un pianeta misterioso che sospinge il Paese indietro, fino a porti nebbiosi che parevano esclusi dalle rotte della civiltà: porti in cui scuola e lavoro si incontravano negli istituti di avviamento professionale, dove chi non poteva pagarsi l’esame di ammissione alla scuola media era costretto a prepararsi al lavoro. E’ amaro, ma vero: alle giovani generazioni che soffocano per mancanza di occupazione, la scuola della repubblica fa dono dello spettro di un lavoro contrabbandato per studio e formazione e intende tornare all’Italia che Pasolini disprezzò: quella col «popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante».
Forte di una ideologia che è «verità di fede» – la globalizzazione è fenomeno irreversibile – per piegare alle regole del capitale i nostri giovani, padroni e professori vengono fusi in un rapporto spurio, che artifici linguistici definiscono «alternanza scuola-lavoro». E’ questo ciò che Renzi e il PD pensano di imporre alle scuole secondarie superiori, licei compresi, ricorrendo a sotterfugi e formule oblique. Un meccanismo sostanzialmente reazionario, che assegna «qualità formativa» all’attività lavorativa prestata in realtà esterne alla scuola e fornisce ai padroni l’opportunità di far conto sul lavoro gratuito, utilizzando studenti sfruttati invece dei lavoratori. Duecento ore all’anno negli ultimi tre anni degli Istituti Tecnici e Professionali, la formula dell’«impresa didattica» che trasforma attività di formazione a scuola in mansioni finalizzate alla produzione di reddito, quella della «Bottega Scuola», che inserisce studenti in ambiti aziendali di natura artigianale e, dulcis in fundo, per gli ultimi due anni di scuola, un sistema di convenzioni che decide le regole d’ingaggio per un «Apprendistato sperimentale» già regolato dalla legge 104 del 2013.
Sullo sfondo di questo delirio oscurantista, la solitudine dei giovani, in prima linea in una battaglia disperata per la formazione, ha i contorni della tragedia e l’assenza degli adulti sa di tradimento. Mentre una generazione senza futuro viene trascinata con inaudita violenza verso un mondo da incubo, che nega il diritto allo studio e chiude i lavoratori nei campi di concentramento di uno sfruttamento garantito dalla cancellazione di ogni diritto – ai padroni si consente ormai persino il licenziamento senza giusta causa – gli studenti provano a presidiare come possono gli istituti scolastici attaccati; i giovani protestano, organizzano cortei, ma sono soli, sotto il fuoco di fila della stampa padronale, che criminalizza le «okkupazioni»; soli di fronte a un potere che, non avendo risposte credibili e non potendo fare appello a una autorevolezza che non ha, ricorre alla Digos e al Codice Rocco e presenta gli studenti come sprovveduti in mano alla teppaglia estremista, raccolta nei «collettivi». Della sentenza dell’Unione Europea non parla nessuno; eppure, proprio in questi giorni, l’Italia di Gelmini, Profumo, Carrozza, Giannini e Renzi è stata condannata per aver tenuto 300.000 lavoratori in condizione di precarietà professionale ed esistenziale e aver sottratto per anni agli studenti il diritto alla continuità didattica. Di questo naturalmente si tace e nessuno denuncia le gravissime violazioni di quella legalità di cui ipocritamente ci si riempie la bocca, quando si tratta di criminalizzare e bloccare gli studenti che lottano in nome del diritto allo studio, al lavoro e al futuro.
Di fronte a una così feroce solitudine e a una riforma che in altri tempi avrebbe riempito di sdegno le piazze, i genitori sembrano assenti, frenati probabilmente da problemi di sopravvivenza e dalle paure alimentate da una stampa sempre più reazionaria; in quanto ai docenti, intimoriti dal clima repressivo che si vive nelle scuole e dalle reiterate campagne sui “fannulloni”, anche quelli che riconoscono le ragioni dei giovani stentano a schierarsi e li lasciano soli. Di solitudine, però muore spesso la speranza e lascia spazio alla disperazione, abituale compagna della barbarie che si sta seminando a piene mani. Invano la storia insegna che le grandi tragedie nascono della solitudine dei giovani e dalla diserzione dei vecchi. E’ sempre più raro che qualcuno si fermi ad ascoltarla.

Uscito su Fuoriregistro il 29 novembre 2014, su Agoravox e sul Manifesto, col titolo Nella scuola la nuova solitudine dei ragazzi, il 3 dicembre 2014.

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Con Pierangelo Indolfi ho avuto il privilegio di collaborare, quando era redattore di “Fuoriregistro”. Non c’è bisogno, quindi, che lo presenti e se non conoscete “Fuoriregistro”, trovate un rimedio perché vi siete persi veramente molto. A gente come Pierangelo puoi solo dire grazie. Quello che ospito qui sul mio blog è un dono prezioso e una maniera modernissima di occuparsi della realtà della scuola che ha voluto fare a tutti noi, alla sua Bari, ai suoi ragazzi  e alla sua vecchia rivista. Guardate il filmato, ve lo consiglio vivamente; poco più di mezz’ora, ma non sarà tempo perso. Capirete meglio quali sono le criminali responsabilità di ministri come Berlinguer, Moratti, Gelmini, Profumo, Carrozza e Giannini. Per non parlare del pupo fiorentino.
Save Nicola!

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Nella scuola che ha in mente Renzi «si impara davvero». Un giornalista gli chiederebbe se pensa di tornaci, a scuola, lui che ha studiato quando non si imparava nulla, ma uno così acuto non s’è trovato e il «sindaco d’Italia» vola come Copia di imagesun treno: prima di tutto, dice, un forte investimento. Edilizia scolastica, docenti, formazione, sviluppo tecnologico della didattica: tutto coperto d’oro. Nessuno gli chiede da dove prenderà i quattrini, col pareggio di bilancio in Costituzione e i mastini della troika alle calcagna, e lui si scapicolla. Il menu, studiato ad arte, è buono per ogni palato, destra, centro e la sciatta imitazione della sinistra che passa il convento: la valutazione all’Invalsi, il modello anglo-sassone come pietra filosofale, più potere a dirigenti scolastici che non capiscono nulla di pedagogia e didattica, un’ennesima revisione delle procedure di selezione – vince chi lavora meglio e di più a costo zero – e via con le progressioni di carriera, la tecnologia nella didattica, psicologi – una terapia a sostegno della disperazione? – e il mirabolante premio di produzione per i migliori. Non è chiaro – nessuno ha cercato di capirlo – ma c’è il dubbio fondato che a formar cittadini non pensa nessuno; si vorrebbe un gregge e il padrone premierà chi non ragiona e non fa ragionare. Di qui partirono ai tempi loro Berlinguer, Moratti, Gelmini e Profumo – la destra dei berluscones fedeli o traditori e la sinistra passata armi e bagagli dal marxismo al liberismo – e siamo ridotti con gli analfabeti in Parlamento.
Nel gioco delle tre carte il finto tonto vince, incassa il malloppo e tace. Per lui, parlano gli occhi compiaciuti per l’onestà del compare, che paga senza fiatare, e il lampo tentatore di chi intasca un gruzzolo insperato. Quando il terzo lestofante fa lo scettico e cerca il pelo nell’uovo, lui lo guarda ironico, alza la posta e vince ancora. Muto, una smorfia furba e gli occhi eccitati, si gioca tutto come dicesse a se stesso: “ora o mai più” e torna a far bottino. I venditori di fumo danno corpo alla speranza del disperato, gli fanno vedere luci accese dove tutto è buio pesto e va sempre così: i gonzi abboccano all’amo e si fanno spennare. Si ruba in mille modi, ma a volte c’è dell’arte e persino la legge aggiunge al reato una parola che sa di complimento: furto con destrezza. Lo sanno tutti, però, che nemmeno il migliore dei pifferai porterebbe i suoi topi a morire, se non vi fossero condizioni date e sorci ormai pronti a farsi incantare.
«Vuoi anche i voti del centrodestra? Vuoi i voti di Grillo?» chiedono da un po’ i finti tonti, compari di Renzi, e lui vende tappeti: «Assolutamente sì. Non è uno scandalo, è logica: se non si ottengono i voti di coloro che non hanno votato il Partito Democratico alle precedenti elezioni, si perde». Un tempo, a parità di condizioni – compreso il cieco sostegno della stampa – di logico ci sarebbe stata solo la reazione della gente disgustata e il fenomeno da baraccone avrebbe chiuso bottega in un amen. Fino all’anno scorso – è vero pare un secolo – persino uno come Bersani lo cancellò dalla scena, ma s’è lavorato per girare a ritroso le pagine della storia ed ecco i risultati.
Fino a qualche anno fa, un leader convinto di poter convincere in un sol colpo il qualunquista, chi soffre d’orticaria se parli di politica, l’elettore di destra, di sinistra e persino l’astensionista, avrebbe rischiato la camicia di forza. Finché la destra ha rappresentato un pianeta con radici nella storia e un sistema di disvalori che a molti sembravano valori, un leader di destra sano di mente non avrebbe mai pensato di conquistare consensi in un pianeta antagonista, tra gente di sinistra che lottava per una società fondata su valori alternativi e contrapposti a quelli della destra. Oggi no. Da quando la «sinistra parlamentare» ha ripudiato Marx, adottando il pensiero liberista per puntare a centro, c’è stato un inarrestabile e profondo sconfinamento in territori tradizionalmente occupati dalla destra. Il «cambiamento» di Renzi, giunto in piena corsa, diventa perciò per la storia della repubblica il punto culminante di un arretramento culturale e politico più drammatico di quello prodotto da Berlusconi e si riassume in un dato sconvolgente: per la prima volta nella nostra storia, un uomo che esprime valori di destra giunge a guidare un grande partito che ha radici e base di consenso tra quella che un tempo era gente di centrosinistra. Non era accaduto nemmeno con Berlusconi, che, a onor del vero, vaneggiava e vaneggia di comunisti alla Bersani. Renzi non ha soluzioni per la scuola, che silura come Gelmini e Carrozza, né vie nuove per la politica. Giungiamo a lui perché i partiti, i suoi veri compari nel gioco delle tre carte, ridotti a comitati elettorali e camarille, hanno interpretato a loro modo l’invito di Cattaneo a fare gli italiani. Ne son venuti fuori così gli elettori che occorrevano al leader del «tempo nuovo», quelli «che non hanno bollini e non hanno etichette». Il «bestiame votante» che a fine Ottocento inquietava Antonio Labriola.
Il Renzi politico non è figlio di se stesso. L’ha creato il lavoro condotto alternativamente da governi che hanno condiviso un punto fermo – il mitico «centro» – , una legge elettorale incostituzionale e un programma unico, di volta in volta definito, a seconda dei casi, di «destra» o di «sinistra». Un programma che aveva e ha nel mirino i diritti garantiti della Costituzione.

Uscito su “Fuoriregistro” il 21 dicembre 2013 e su “Liberazione” il 31 dicembre 2013

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images«All’azienda scuola sono stati sottratti 10 miliardi di euro e non si sa più come evitare il fallimento? Per favore, calma e ricordiamoci che la miglior difesa e l’attacco». Parlano chiaro tra loro il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Istruzione, perché in fondo sanno di non correre rischi. Il mondo dell’informazione, quello che conta soprattutto e ha grande influenza sull’opinione pubblica, è tutto dalla loro parte e questo ha un peso decisivo. Se la stampa non fosse legata al carro dei padroni del vapore, il governo sarebbe al capolinea; aveva esordito promettendo dimissioni se non avesse lavorato per salvare dal fallimento il sistema formativo e oggi sarebbe facile metterlo alle corde: la scuola e l’università mancano persino di ossigeno in sala rianimazione e lo sfascio è evidente. Al governo però – orribile a dirsi! – ci sono assieme Berlusconi col suo impero mediatico e il PD, che con De Benedetti non ha certo difficoltà nella manipolazione delle coscienze. Passata parola, perciò, in un battibaleno la linea è tracciata e da sera a mattino si scatena un inferno. Anzitutto riflettori accesi sui 400 milioni stanziati dal governo per la Ricerca e la Scuola. Pensate che sia solo un’elemosina e vi sembra acqua che non toglie sete? Avete certamente ragione, ma il fuoco di fila di giornali e televisioni copre lo scandalo, convince i dubbiosi, zittisce i critici e capovolge i fatti. Non c’è giornale o televisione che non esulti, non venda patacche,  non trasformi la miseria in ricchezza, non parli di inversione di tendenza. L’azienda è sempre più vicina al fallimento, ma non c’è mezzobusto che non registri la scelta illuminata d’una classe dirigente che ha finalmente messo al primo punto della sua agenda il pianeta formazione.
E’ vero, sì, il 70 % degli undicimila vincitori di un imbroglio chiamato concorso rimarrà a casa, ma niente paura: è pronto un piano triennale di assunzioni che porterà a scuola 69.000 nuovi docenti… E poiché c’è ancora una pattuglia di insegnanti che non ama il quieto vivere, tenta di dar battaglia, e fa notare che è ora di piantarla con le promesse, ecco la stampa passare all’attacco: «Se non si inquadrano gli insegnati» – titola il giornalismo indipendente – «è inutile che il governo punti sulla formula magica Scuola–futuro». Il fuoco di fila è micidiale: «Per chi non lo sapesse» – cantano in coro le televisioni – «gli alunni sono somari perché i docenti non conoscono il loro mestiere!». E’ un coro da tragedia greca, una criminalizzazione da Colonna Infame e in fondo qualche ragione ce l’hanno. Politici e stampa sono, di fatto, la prova vivente dei limiti del nostro sistema formativo. Se avesse funzionato, noi non avremmo giornalisti messi così male che, al paragone, persino Interlandi vincerebbe il premio Pulitzer e risulterebbe un modello d’indipendenza. In quanto ai politici, spesso praticamente analfabeti, c’è poco da lamentarsi: probabilmente Renzi e compagni sono usciti quasi tutti dalle nostre aule.
Il fatto è, però, che noi, asini matricolati, abbiamo frequentato le facoltà in cui insegnano e ci hanno insegnato a insegnare i docenti delle nostre università. Se dagli studenti si dovessero giudicare gli insegnanti, beh, non ci sarebbero dubbi: gli asini per eccellenza andrebbero cercati là. Invece per loro la regola non vale. Sono tutti bravi, anzi, sono tutti bravissimi, come Berlinguer, Profumo e Carrozza, docenti universitari e ministri dell’Istruzione.

Uscito su Fuoriregistro il 17 settembre 2013 e su Liberazione.it il 18 settembre 2013

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Giorgio Israel, storico della matematica, membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences, discute spesso di scuola e ne parla con notevole competenza. Al paragone, Gelmini, Profumo e Carrozza fanno la figura degli analfabeti. In ciò che dice c’è quasi sempre un notevole equilibrio; ogni osservazione corretta, tuttavia, contiene spesso un’incredibile sciocchezza. L’ultimo esempio di questo singolare modo di ragionare l’ha dato ieri, lanciandosi senza esitazioni in un’appassionata difesa del liceo classico.
israelImmaginando l’inevitabile domanda del lettore – “Perché il liceo classico?” – la risposta dello studioso è subito nel titolo del suo articolo: “Perché se muore il liceo classico muore il paese”. Letto il titolo, però, a me è venuta spontanea un’altra domanda: perché perdere tempo a leggere l’articolo? Se rimanesse in piedi solo il liceo classico, infatti, il Paese morirebbe più presto e di una più terribile morte. Come ha scritto oggi un’attenta osservatrice, “ogni scuola nei suoi indirizzi e nelle sue specialità va valorizzata per ciò che è senza graduatorie di merito”. Il perché mi pare chiaro. La scuola, senza distinzione di indirizzi, infatti, ha la funzione specifica di dare ai giovani l’ampia formazione che Israel intende difendere. La scuola nel suo insieme – Israel non se n’è accorto, ma è già moribonda – la scuola come istituzione deve  formare giovani capaci di quelle scelte “scelte autonome” di cui scrive Israel. Nessun indirizzo scolastico si deve e si può proporre di creare “polli di batteria formati per una sola funzione”. Nessun indirizzo scolastico, nessun docente, nessun ministro, nessun accademico può pensare di assegnare al liceo classico il compito di salvare il Paese. Il Paese muore se muore la sua scuola, come purtroppo sta accadendo; muore, non si salva, non sopravvive, non va da nessuna parte se conserva il liceo classico e manda alla malora ogni altro indirizzo.
Israel coglie senza dubbio un grave problema reale di carattere generale ma, per risolverlo, sceglie una soluzione evidentemente parziale. Il liceo. Quindi, solo una élite. Così non si salva il paese, si torna a una scuola profondamente classista. No, non sarà questa difesa nostalgica di Gentile a tirarci fuori dal disastro incombente.

Uscito su Fuoriregistro il 27 agosto 2013

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Cari «compagni democratici», auguri. Per il peso che portate del passato, per la responsabilità che già avete del futuro, per la speranza che avete assassinato, cari «compagni», auguri.

Auguri, cari «compagni», per quest’anno che avete lasciato morire indecorosamente senza voler capire che ve ne andate con lui, che l’occasione è persa. Auguri e complimenti perché vivaddio – come avete potuto? – voi che morto avete detto di volerlo, voi che pensavate di potere ingannare voi stessi, voi che pesate su bilance truccate la pace e la guerra, voi scoprite oggi che meglio sarebbe stato salvarlo l’alleato imbroglione.

Cari «compagni», auguri e complimenti per il dittatore che lascerete vinca sulle sabbie d’Africa perché sapete che vi sarà amico e per quello che invece dovrà perdere, dal momento che non sa cosa darvi in cambio d’un vittoria. Forca, patibolo, guerra, pace e democrazia, tutto sapete vendere al vostro prezzo negli scampoli di fine stagione e tutto liquidate tra l’agonia della libera stampa, l’arroganza criminosa degli editori «progressisti» – quanti velinari vuole De Benedetti al soldo del padrone? – il giornalismo «embedded» , i carnefici «bipartisan» degli immigrati di questo nostro paese sventurato. la Grecia massacrata e il Mediterraneo ridotto a un cimitero.

Auguri, «compagni», e complimenti per quest’agonia della politica, per la parata di ferrivecchi che avete messo all’opera come fossero il nuovo del mondo in tema di formazione, per la ditta «Gelmini & Profumo» che avete sostenuto, per i principi e gli ideale prostituiti agli appetiti della Confindustria, per gli alunni che aumentano nelle classi assieme ai posti di docenti tagliati e ai soldi regalati alle private in ossequio alla dottrina cattolica che fa “servo lo Stato in libera Chiesa“.

Auguri, «compagni», per Guantanamo che non vi ha convinti a chiudere col sadismo nauseante della «democrazia a stelle e strisce», come il martirio della Palestina non basta a farvi chiedere all’Onu condanne esemplari per i macellai sionisti e sanzioni che, colpendo gli aggressori, proteggano gli aggrediti

Auguri, «compagni esportatori di democrazia», e complimenti per le manganellate distribuite senza esitare ai picchetti operai e agli studenti in lotta, per le pensioni cancellate, per il ticket sul Pronto Soccorso, per i soldi pubblici regalati a banchieri lestofanti, per Mussari, Richetti, l’imbroglio Montepaschi e la «finanza buona», per la guerra che chiamate pace e per i cacciabombardieri pagati rapinando la povera gente. Per tutto questo, «compagni», auguri e complimenti.
L’anno che verrà Berlusconi continuerà a chiamarvi comunisti ma voi starete certamente col suo «partito nuovo» contro la povera gente, firmerete contratti più o meno segreti con i rossi di Casini e con Monti, braccio armato della dittatura voluta dalla finanza e ci racconterete che occorre serrare le fila e stringerci la cinghia perché il pericolo è a destra.
Bene, compagni. Fatelo. Io però non vi do retta, non vi credo e, com’è mio costume, ve lo scrivo: il pericolo immediato siete voi. Voi il pericolo vero, voi il nemico acerrimo del popolo. Non vi basterà  evocare fantasmi: voi mentite. Non possiamo più slittare a destra, perché alla vostra mano diritta c’è poco più del nulla. La destra vera, senz’anima e fede, senza storia e pudore, la destra vera, «compagni» siete voi.

Auguri, «compagni», complimenti e auguri. Ne avete un gran bisogno. All’orizzonte si sente rumore di tempesta e non vi basterà difesa. Presto vedrete la Bastiglia bruciare; è già pronta la Sala della Pallacorda e nell’ombra si raccolgono legno, lame e cesti. Ormai non basta più un processo pilotato e potete giurarci: molte teste cadranno.

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Schiacciata dal disastro Gelmini e dal pirotecnico campionario di corbellerie messo in mostra dal collega Profumo, la ministra Carrozza naviga a vista nel burrascoso mare dell’Istruzione Pubblica e fa l’. Sull’infamia del concorsone per i “nuovi insegnanti” non ha avuto l’animo di ripristinare pienamente il diritto, che pure riconosce violato, ed è ferma a metà del guado: 50% assunti dalle graduatorie e 50% dal concorso illegale. Incapace di decidere se essere o se non essere, ora fa i conti con le ingiustizie moltiplicate, le attese deluse e il marasma dei numeri ballerini. A chi, petulante, le chiede se i vincitori verranno assunti, risponde come in stato confusionale: “mi auguro di si”. La ministra si augura che accada ciò che vorrebbe, però non può, minaccia di sbattere la porta in assenza di fondi per la decenza, ma non lo fa, si incolla alla poltrona, si tiene il ceffone e farfuglia: “le selezioni sono in corso, alcune sono in ritardo, alcune più avanti, dipende dalle sedi. Abbiamo avuto problemi perché i compensi per chi è in commissione sono molto bassi, nonostante avessimo chiesto di aumentarli”.
Ciò che non dice, la ministra, è che a causa dei ridicoli compensi c’è stata quasi una rivolta dei commissari e che, strada facendo, il Ministero s’è accorto di non sapere più quanti docenti vincitori saranno assunti. All’inizio si erano promesse 26mila assunzioni, ora si spera di reclutarne 15mila, se l’inferno dei pensionamenti voluto dalla lacrimante Fornero consentirà. 11mila posti di lavoro sono così svaniti nel nulla e per i rimanenti 15mila la Carrozza si consola, spiegando che a questa cifra si giungerà negli anni che verranno perché l’indecente concorso ha durata triennale. La stampa di regime naturalmente non fa una piega. La ministra del gran rifiuto – se il governo mi taglia lo pianto in asso e me ne vado a casa – non se ne va, si tiene il posto e, pia com’è, la santa donna, aspetta che il prete dia l’estrema unzione alla Pubblica Istruzione.
In cima ai suoi pensieri stravaganti al momento, chissà perché, c’è il Partito Democratico. “Penso che ci sia bisogno di un Governo che governi e di partiti che svolgano il loro ruolo, a cominciare dal Pd che dovrebbe concentrarsi di più suo temi congressuali per decidere quale partito vuole far uscire dal congresso”. Mentre la scuola va alla deriva, il la ministra Maria Chiara Carrozza pensa al PD che “dovrebbe dire con chiarezza quali sono le priorità che vorrebbe vedere risolte dal Governo anziché alimentare fibrillazioni. L’esecutivo è solido”, sostiene. Così solido, che si è convinta: governerà la scuola anche quando il governo sarà riuscito a distruggerla assieme all’università.
Sono passati quattro mesi dalle sfide e dalle dichiarazioni di rottura. Quattro mesi che sembrano cent’anni.

Uscito su “Fuoriregistro” il 23 luglio 2013

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Zavorre d’Italia“. Così, con questa sprezzante definizione, in un libro privo di intenti autobiografici e di una sia pur minima punta di autoironia, Antonio Catricalà descrisse anni fa ciò che frena la crescita. La definizione mi ritorna in mente mentre provo a evitare la valanga di dotte analisi sui sottosegretari del governo Letta. Tranne rare eccezioni, silenzio di tomba sul grumo d’interessi corporativi, protezioni e privilegi di classi sociali forti strette attorno alla “squadra di governo”; la parola d’ordine è chiara: sorvolare sul cuore del problema italiano, ignorare che in una repubblica parlamentare, quali che ne siano gli esponenti, questo governo, nato tradendo gli impegni presi con gli elettori e vincolato alle condizioni dettate alle Camere da un Presidente della Repubblica rieletto, soffre di anemia costituzionale e scarsa legittimità democratica. Più che ministri o sottosegretari, gli uomini di Letta sono, in realtà, esecutori d’ordini, scelti col manuale Cencelli tra sacerdoti del liberismo e sperimentati portaborse dei capi fazione di una maggioranza rifiutata dal voto popolare. Non c’è dubbio: Lombardi e Crimi non sono Matteotti e Amendola, ma il circo mediatico picchia più duro del manganello e, grazie alla “Calderoli-Acerbo“, manipoli di “nominati” bivaccano alla Camera in attesa dell’incombente “Convenzione” e rendono l’aula parlamentare così sorda e grigia, che mai come stavolta l’inascoltato monito di Gaetano Arfè sulla rinascente “Camera dei Fasci e delle Corporazioni” appare più profetico che amaro.
Se si esce da questo quadro per inseguire il sogno dei “buoni ministri” che danno il crisma di santità a un governo di senza Dio, gli “elementi positivi” si possono anche trovare. Basta però fermarsi ai nomi dei personaggi “sperimentati“, per capire quanto potrà contare la storia d’un volto pulito. Catricalà, Cavaliere di gran Croce all’Ordine del merito della Repubblica e docente di Diritto privato prima all’Università di Tor Vergata e poi alla LUISS, grazie a un anemico saggio sul Consiglio di Stato e a una guida alla preparazione delle prove di concorso con schemi, esempi e quesiti, che Wikipedia contrabbanda per un saggio di diritto civile, più puntuale di un orologio svizzero, figura nell’elenco dei sottosegretari. Già presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, presidente designato dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, ha visto premiata la sua fede neoliberista con un posto di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo precedente e, dopo il disastro, eccolo viceministro allo Sviluppo Economico, dove regna Flavio Zanonato, noto soprattutto come sostenitore dell’energia nucleare. In quanto all’istruzione, mentre il buon nome di Maria Chiara Carrozza, sull’esempio della Boldrini, fa da specchietto per le allodole, la riconferma di Marco Rossi Doria è da sola un programma di governo: sostenitore del dialogo con Casa Pound, guardia armata della disastrosa legge Aprea, paladino del concorsone e crociato dell’Invalsi, Rossi Doria ha appoggiato con la più ferma convinzione tutte le iniziative di Profumo, che, a sua volta, ha tenuto con ostinata mano ferma la rotta tracciata dalla Gelmini. Una posizione notevolmente rinforzata dall’arrivo di Gianluca Galletti e Gabriele Toccafondi. Ammesso che voglia farlo – ed è cosa tutta da dimostrare – basta cercare nei loro curricula, per capire quanto sarebbe difficile per il nuovo ministro mutare il corso delle cose.
Gabriele Toccafondi, scuola PDL, si è distinto soprattutto per la difesa dei contributi statali alle “scuole paritarie“, in aggiunta ai fondi ordinari del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca , e per l’istituzione di un Fondo per la parità scolastica sostenuto in tandem con Gianluca Galletti, centrista e cattolico, che, per suo conto, ha lottato per evitare il pagamento dell’IMU alle scuole paritarie, ha difeso l’insegnamento della religione cattolica, s’è battuto per dell’ANVUR, la discussa agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e ha chiesto di reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2013 per le istituzioni scolastiche “non statali, in modo da garantire il livello di finanziamento degli anni precedenti.
Chi ha sognato il cambiamento è avvisato: stiamo assistendo al trionfo delle zavorre d’Italia. Inutile sognare o continuare a chiedere ciò che spetta di diritto alle buone grazie dei ministri. I diritti si difendono lottando come si può, con le unghie e con i denti se necessario.

Uscito su “Fuoriregistro” il 3 maggio 2013 

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E’ vero. I soldi per le borse di studio sono spariti nei tagli e nell’insipienza della politica, ma non bisogna coltivare la disperazione. Il gusto forse è macabro, l’intento inconscio ha un vago sapore di sadismo, ma la notizia circola e nell’indifferenza generale che circonda la scuola occorre registrarla a futura memoria. Quando gli storici attoniti ricostruiranno la vicenda di questo impensabile codicillo di legislatura, occorrerà che si sappia: mentre il Paese annaspa nei vortici della peggiore crisi finanziaria che si sia mai registrata, Profumo, ministro scaduto e però prorogato, dà segni di vita e lancia, ineffabile, la sua tragicomica “Campagna di educazione finanziaria“.

In società con Poste Italiane, prende il via così, per gli studenti della scuole secondarie di II grado, quello che l’Ansa definisce, con impeccabile stile professionale lo “strumento di pagamento integrato alla ‘Carta dello Studente – IoStudio”.
L’ha presentato a Roma con invidiabile faccia di bronzo il ministro in persona nei locali del Miur probabilmente sconcertati, in compagnia di un noto campione del management, l’Amministratore Delegato di Poste Italiane, Massimo Sarmi, che con indiscutibile senso della realtà, si è associato all’ineffabile ministro nel funambolico panegirico della strampalata iniziativa. A dar retta ai due illustri personaggi, “Attraverso questa ulteriore operazione la nostra scuola si allinea ai migliori standard internazionali, con una carta in grado di attestare lo status di studente non solo in Italia, ma anche all’estero”.

Nunc est bibendum! Dopo le pagine buie di Berlinguer, Moratti e Gelmini, Profumo apre un nuovo capitolo e accende un faro sulla sorte della nostra pubblica istruzione: benché privi ormai di una scuola degna di questo nome, grazie alla “carta Profumo”, i nostri ragazzi continueranno a chiamarsi studenti.
Segnate la data col lapillo bianco.

Uscito su “Fuoriregistro” l’11 aprile 2013

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Questo articolo di “Fuoriregistro” è uscito – e poteva uscire solo – su un giornale: “Il Manifesto“. Se avete a cuore il futuro della scuola pubblica, perciò, compratelo e sostenetelo sempre: Il “Manifesto” è una voce libera schierata a difesa della scuola statale.

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E’ uno strano neonato, un “sanguemisto“, figlio illegittimo di incontri clandestini tra la destra reazionaria e il furore ideologico di un tecnico del capitale. Nato venerdì scorso, è stato battezzato come comanda una prassi ormai consolidata: “Consiglio dei Ministri, Decreto numero 72 dell’8 marzo 2013“. Ligio al dovere, il “Sole24Ore” ha annunciato il lieto evento con la consueta faccia tosta padronale: il Governo “scaduto“, infatti, per il giornale della Confindustria non solo ha “acceso il semaforo verde definitivo” per una delibera ormai indifferibile, ma ha anche risposto all’ansiosa attesa della scuola. Si direbbe quasi che gli insegnanti, consapevoli d’essere tutti, senza eccezioni, una manica d’incapaci sfaticati e convinti e di aver perciò meritato i tagli devastanti, i mancati investimenti, le classi pollaio, le campagne di stampa sui fannulloni e il discredito generalizzato dovuto alle accuse dei loro stessi ministri, non attendano altro che il giorno del giudizio. La scuola, pervasa finalmente di spirito cristiano, si sarebbe ormai attestata sul religioso principio della rassegnazione: quando riceve un ceffone, porge l’altra guancia e a suon di botte s’è rimbecillita.
Per il “Governo dell’ordinaria amministrazione” – e la stampa che ancora lo sostiene – il decreto era necessario, perché, si racconta, se i ministri non l’avessero varato, la scuola non avrebbe più avuto accesso ai fondi europei. Di qui la scelta sul filo di lana. A guidare il sistema d’ora in avanti penserà l’Invalsi; il ministro parla ovviamente di “autovalutazione” e mette in ombra la via prescelta, controllata invece da nuclei esterni incaricati di intervenire sui percorsi di miglioramento dell’apprendimento e, di fatto, sul funzionamento delle scuole.
In realtà, mentre l’esito delle elezioni politiche dimostra chiaramente che il Paese non si fida degli uomini chiamati a governarlo senza consultazioni elettorali e dei partiti che si sono assunti la grave responsabilità storica di appoggiarli, le scuole della repubblica sono ora obbligate a rispondere delle inevitabili conseguenze dell’incompetenza ministeriale e di politiche per la scuola che hanno dato il colpo di grazia al sistemo formativo. Da settembre personale amministrativo, docenti e dirigenti scolastici dovranno render conto a un’agenzia esterna che ha già fatto pessima prova e, non bastasse, a genitori trasformati in acquirenti del “prodotto scuola” immesso sul “mercato“. Ciò, a prescindere dal contesto in cui essi operano, dal peso insostenibile delle scelte politiche di chi ha governato e, per finire, dalle responsabilità non di rado decisive delle famiglie stesse nel fallimento scolastico degli alunni. Tra le più velenose “novità“, il decreto presenta, infatti, la “Rendicontazione sociale delle istituzioni scolastiche“, che ha un significato chiaro ed estremamente grave: diagnosi e terapia dell’agenzia esterna chiamata a valutare sono verità di fede scientificamente provate e non si discutono, sicché a cuor leggero il Ministero, giunto il momento delle iscrizioni, renderà pubblico il presunto valore delle Istituzioni scolastiche “prima e dopo la cura“, in modo che “la diffusione dei risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili“, consenta alle famiglie di scegliere le scuole “migliori“.
Non è difficile capirlo: per la libertà d’insegnamento il colpo è mortale. In questo senso, lo scontro che si è aperto l’anno scorso tra docenti e autorità scolastiche negli Usa, che della valutazione “marca Profumo” sono la patria, è molto indicativo. La pietra dello scandalo, infatti, l’origine della protesta, è stata l’imposizione di test standardizzati che hanno determinato il proliferare di società pronte a far profitto valutando il “merito” a scapito del tempo dedicato alla formazione di coscienze critiche. Quando si è giunti a impegnare per le prove qualcosa come dieci giorni di un anno di scuola, i docenti hanno manifestato il sospetto fondato che una valutazione così concepita punti a cancellare la scuola vera, quella che anche negli Usa è l’unica, grande opportunità di riscatto sociale e di crescita civile. Di fronte a un sistema che produce profitti per le minoranze e nega diritti alla collettività, la protesta è montata e non si è mai veramente spenta. Le molte classi mandate allo sfascio, le pretese arbitrarie e gli incontrollabili abusi di meccanismi in grado di controllare e allo stesso tempo sfuggire ai controlli, hanno alimentato timori fondati di una crisi irreversibile del sistema formativo, All’ordine del giorno sono così rapidamente giunte le vicende sintomatiche di ottimi docenti licenziati in nome di un sospetto “svecchiamento“; docenti che, guarda caso, erano proprio quelli che godevano della maggior fiducia di genitori, studenti e collettività e avevano con ogni probabilità un solo demerito: pensavano e inducevano a pensare. Nella scorsa primavera, quando sono stati resi noti i risultati dei test e le scuole ritenute a “basso rendimento” – “scheletri” secondo i Soloni che popolano l’equivalente statunitense dell’Invalsi – hanno conseguito i punteggi più alti, un sondaggio ha rivelato che il 97 % dei genitori boccia la sedicente “modernizzazione” e i miracoli della decantata “oggettività anglosassone“, Una “oggettività” così cieca e sospetta, da fare della globalizzazione l’occasione per un furto di diritti che è ormai sotto gli occhi di tutti e trascina la formazione nell’occhio di un ciclone costruito ad arte per piegare la scuola pubblica agli oscuri disegni del capitalismo.

Uscito su “Fuoriregistro” il 12 marzo 2013 e sul “Manifesto” il 13 marzo 2013 con titolo Un governo scaduto si accanisce sulla scuola.

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