Commentando un mio articolo uscito su Agoravox, un lettore dice di capire «in base a quali valori e principi la Chiesa Cattolica afferma che tutti vanno accolti», mentre non gli è chiaro […] perché la Sinistra affermi la medesima necessità.
La Sinistra, prosegue «ha valori e principi diversi da quelli dei cattolici […], considera anche la Società nel suo complesso, i rapporti di produzione tra soggetti economici e lavoratori, la qualità della coscienza collettiva (un tempo si chiamava “di classe”) dei lavoratori, la loro corrispondente forza contrattuale nei confronti del padronato, il patrimonio di diritti conquistati con le lotte sindacali». Se critico Salvini, quindi, lo faccio perché ignoro i valori fondanti della sinistra.
Da questa convinzione deriva evidentemente la domanda che chiude il commento: «Secondo lei, quali di questi valori e principi della Sinistra impongono il dovere morale di accettare che masse di sottoproletari vengano immesse senza alcun limite nel contesto nel quale la Sinistra ha costruito con decenni di dure lotte i diritti del Lavoro? Se vuole può citarmi qualche pensatore o teorico marxista o di tradizione socialista che affermi questo dovere morale sopra ogni altro».
Che dire? Parlare di solidarietà non sarebbe sufficiente e d’altra pare, rispondere a una domanda con una domanda non è corretto, ma non posso fare a meno di chiederlo a me stesso: se fossi cattolico, quindi, per il mio lettore avrei ragione?
In quanto alla citazione, perché ricorrere a marxisti o socialisti? Per rispondere al difensore di Salvini, figlio di quella borghesia italiana che non ha mai fatto la sua rivoluzione, citerò un rivoluzionario borghese, che gli avrebbe risposto così:
«Siccome l’universo non è popolato da orde selvagge, è accaduto che il commercio e l’umanità hanno collegato tutte le nazioni; che i soggetti di ogni Stato hanno acquisito il diritto di entrare liberamente e di soggiornare nell’ambito degli altri Stati, e per il periodo in cui vi soggiornano vivono sotto la protezione delle leggi e del governo […] sia per sempre, sia per un periodo più o meno lungo […]. La giustizia […] sembra accrescersi e prendere un carattere più augusto, quando protegge i diritti degli stranieri; allora un tribunale particolare sembra diventare il giudice di tutti i popoli, per estendere la legge della benevolenza a tutto l’universo»:
Sono parole scritte nel 1786, 231 anni prima che il lettore esponendo il suo pensiero, ci conducesse indietro di due secoli e mezzo. Robespierre ha senso storico e quando parla dei diritti degli stranieri, sente che il colonialismo e le sue atrocità pesano in modo schiacciante sulla sua coscienza; egli perciò non può evitare di riconoscere responsabilità inconfessabili. Come spiegherebbe Robespierre la nostra barbarie a bambini che teniamo a forza nel mare in tempesta, negando soccorso e asilo? Con le parole utilizzate nel Discorso sui diritti degli uomini di colore, pronunciato nel settembre del 1791.
E’ vero, direbbe a quei bambini Robespierre , noi «vi abbiamo […] riconosciuto dei diritti; vi abbiamo, è vero, considerati esseri umani e cittadini […] e ciononostante d’ora in poi vi respingeremo nella miseria e nell’avvilimento; e vi ricondurremo ai piedi di quei padroni tirannici, il cui giogo vi avevamo aiutato a scuotere».
La verità è che le destre sostituiscono il potere coloniale con dittature che abbattono, quando tornano al colonialismo, mettono avanti a tutto le più orribili passioni e lo fanno in nome di interessi individuali e privilegi di classe. Avanti ai diritti umani, avanti ai diritti civili. Avanti a ogni diritto.
I diritti, «ecco i beni ai quali si dà così scarsa importanza». Così risponderebbe il borghese rivoluzionario al borghese senza rivoluzione.
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Salvini, il figlio di una borghesia senza rivoluzione
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Agoravox, Cattolici, Robespierre, Salvini on 08/01/2019| 1 Comment »
In nome di Jan Palach, compagni: voi mi fate schifo
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Angelo Di Carlo, capitalismo, Cattolici, eccidi, etnocidi, genocidi, Jan Palach, libertari, mondo sovietico, Occidente, Praga, San Venceslao, suicida on 20/08/2012| Leave a Comment »
Quando, in nome della libertà, il giovane Jan Palach si consegnò alla storia dei martiri, dandosi alle fiamme in Piazza San Venceslao, nella Praga insofferente al giogo sovietico, come una sola voce la stampa dell’Occidente democratico e libero si scatenò in un’apologia dell’eroico suicida. Nel silenzio della stampa del mondo sovietico, ovunque strade, città e paesi presero nome da lui e tra i cattolici non mancarono i teologi che opportunamente lessero nel pensiero di dio la favorevole disposizione al suicidio, quando un uomo vi giunge in nome di un bene supremo quanto la vita. Mai morte atroce, in realtà, sembrò più utile ai cantori dell’eden capitalista e persino nei petti critici dei giovani che, qui da noi, prendevano le distanze dall’Unione Sovietica, senza lasciarsi incantare dalle sirene del libero mercato, un terremoto d’emozioni offuscò per un istante la consapevolezza dell’inganno. Me ne ricordo tanti vacillare e quanta strada avrebbe poi fatto la menzogna delle patrie del diritto e della superiorità dell’antico continente, l’ho poi visto negli anni a venire, di fronte alle facili conversioni, ai repentini mutamenti, alle carriere abbracciate con i proventi e gli onori che avevamo profondamente disprezzato. Oggi, tra le file della nostra stampa di regime, nei corridoi ovattati dei potenti network televisioni, che ogni giorno ingannano lettori e ascoltatori, i nomi di comunisti d’accatto, rivoluzionari da burletta ed estremisti sdegnosi di agi borghesi, fanno bella mostra di sé nell’organigramma che conta.
In questi giorni, in nome del diritto al lavoro e alla dignità, che sono alla radice di ogni libertà, s’è dato alle fiamme davanti al Parlamento Angelo Di Carlo. Rispondendo al comando di un macellaio di gran lunga più feroce dei peggiori dittatori, quel capitalismo che non firma le sue stragi, ma ha perso il conto di eccidi, genocidi ed etnocidi, gli opulenti libertari del ‘69, hanno saputo tacere. S’è rovesciato il quadro: ha praticamente taciuto la nostra stampa. Detto e non detto. Non era facile, davvero, ma non mi meraviglia. Stupirei me stesso, invece, questo sì, se me ne stessi zitto anch’io, ma non accadrà. No, io ve lo dirò chiaramente: voi, compagni d’un tempo, mi fate veramente schifo.