C’è chi si interessa molto di memoria storica, benché talora sia proprio la memoria a fargli difetto. Il presidente dell’«Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia», appena pochi mesi fa aveva dichiarato di voler «dialogare pazientemente con tutti» e di non aver «paura di confrontarsi con nessuno», ma se l’è poi dimenticato e giorni fa, in una lettera diretta a Rai, Mediaset, Telecom e Sky, non ha esitato a scrivere: «il 10 febbraio verrà celebrato il ‘giorno del ricordo’ in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata […]. Si eviti di dar voce a coloro i quali, in qualsiasi modo, leniscono lo spirito commemorativo espresso dalla legge dello Stato, perché ciò equivarrebbe a porre sullo stesso piano offensivamente vittime e aguzzini di una tragedia storica». A dirla in maniera spiccia, la richiesta è a dir poco brutale: quando si tratta di Foibe, mettete a tacere storici e docenti che non la pensano come noi.
Sono in molti ormai a credere fermamente che la vicenda storica si riassuma in una sorta di Bibbia e che, di conseguenza, storici e docenti siano tenuti a raccontare una serie di verità di fede che poco hanno da spartire con la “lettura” e l’interpretazione di documenti che riguardano fatti. A dar retta a questa visione “teologica” della ricerca storiografica e soprattutto dell’insegnamento della storia, docenti e storici, nelle scuole e nelle università, sono tenuti a spiegare agli studenti che la lotta armata di un popolo contro una forza di occupazione è solo terrorismo, che Bruto e Cassio furono antesignani delle Brigate Rosse e che un moto di piazza ha una duplice lettura: è figlio benedetto dei ciclamini o ignobile teppismo sovversivo a seconda degli interessi che mette in discussione.
Spiacerà ai cultori della “scienza nuova” e ai politici che gli fanno da sponda coi loro fatidici giorni del ricordo e della memoria di Stato, ma in tema di “cuore conteso” sul confine occidentale tra l’Italia e i Balcani, un docente serio non giungerà alle foibe se non per inciso e inevitabilmente dovrà occuparsi prima della politica estera a sfondo nazionalista e razzista dell’Italia di quegli anni. Parlerà di snazionalizzazione e di repressione e ricorderà i patrioti slavi condannati a morte e uccisi in seguito alle sentenze del Tribunale Speciale fascista. Giunto al 6 aprile del 1941, il docente dovrà dire della Jugoslavia invasa da italiani e tedeschi senza dichiarazione di guerra e di Belgrado, “città aperta”, investita senza preavviso dai terribili bombardamenti aerei delle forze dell’Asse.
Scosso da brividi, l’insegnante accennerà alle lettere dei nostri soldati, puntualmente censurate, in cui si raccontava la «squallida miseria» dei popoli conquistati e citerà lo stupore dei militari più intelligenti: «pensavamo che fosse la guerra delle nazioni povere contro il popolo dei cinque pasti al giorno» al quale insegnare «a conoscere come vivere con un solo pasto». Da quelle lettere il docente ricaverà la tragedia di giovani indottrinati dalla propaganda di regime e mandati al macello; giovani che soffrono per il gelo e per i tanti commilitoni «rimasti congelati ai piedi e alle mani», ma sono pronti, per reazione, a punire un nemico aggredito e dato per spacciato, che invece resiste oltre ogni attesa in una guerra partigiana che sorprende, intimorisce e risveglia dentro naturalmente il germe del razzismo e dell’odio, sistematicamente inoculato dalle scuole e dalle caserme: «in questo paese sono peggio degli africani, la maggior parte sono comunisti, sembrano briganti». Paura e odio – spiegheranno gli insegnati – sentimenti che conducono fatalmente a un bivio disperato. Qualche militare, infatti, racconta imprese atroci, che l’assenza di senso morale rende accettabili e l’effetto della propaganda induce ad addebitare addirittura alla ferocia del nemico che non s’arrende: «non si sa se dobbiamo combattere i civili o i militari. Siamo costretti a prendere d’assalto le case […] costretti ad usare dei lancia fiamme per bruciare delle case dove dentro c’era gente che non ha voluto farsi prigioniera e poi è morta bruciata». Qualcuno c’è, però, che ricava dall’esperienza una nauseata presa di distanza. «Qualche volta ci capita leggere articoli. La santa fanteria, l’eroico fante italiano e tanti altri ancora che esaltano le nostre gesta. Ma rimangono solo teorie. Già si vede come saremo trattati…». E’ l’annuncio della Resistenza ma anche l’intuizione della bufera che si annuncia.
Piaccia o no, ricordare le foibe, tacendo questo contesto, non è mestiere di docenti. Il problema evidentemente è che, In questo contesto, quella delle foibe diventa inevitabilmente un’altra storia.
Il giorno del ricordo… nelle lettere dei combattenti
10/02/2013 di giuseppearagno
[…] fonte: https://giuseppearagno.wordpress.com/2013/02/10/il-giorno-del-ricordo-nelle-lettere-dei-combattenti/ […]
"Mi piace""Mi piace"