Ricevo e volentieri pubblico una “lettera aperta” del nipote di Ada Grossi. Di mio aggiungo solo che capisco e condivido pienamente ognuna delle sue osservazioni e registro alcuni dati sconcertanti: “Repubblica” mi ha chiesto un articolo, ma mi ha posto limiti incredibili (3600 battute spazi inclusi: poco più di un necrologio, insomma). In quanto al Manifesto, che pure mi ha chiesto di ricordare Ada, deve aver smarrito l’articolo che ho inviato… La nota più dolente, però, viene dalla diserzione degli antifascisti napoletani. Tutti, nessuno escluso: quelli cosiddetti “di base” e quelli “istituzionali”: movimenti, partiti e Amministrazione. Al cimitero, quando l’urna cineraria di Ada è stata collocata nella tomba accanto ai genitori, eravamo presenti in quattro: io, il nipote Aitor, spagnolo che vive a Parigi, Sylvia, la figlia madrilena di Ada e Ida Mauro, una studiosa che vive e lavora a Barcellona. Sembra impossibile e posso anche sbagliare, ma credo che Aitor abbia ragione: Ada e i suoi familiari pagano ancora il prezzo della loro indipendenza di pensiero e la loro militanza nel campo socialista e anarchico che per tanti “compagni antifascisti” è stato e rimane quello del “nemico di classe”. Non dimenticherò mai quello che è accaduto e nessuno mi toglierà più dalla testa che tra tanti che parlano e spesso straparlano di antifascismo, gli antifascisti autentici sono davvero pochi.
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Buongiorno a tutti.
Voglio, dinnanzi tutto, ringraziare fraternamente Ida Mauro, Alfredo Giraldi, Laura Martucci e l’associazione AltraItalia per la loro sensibilità nella rivendicazione senza contropartite, né distorsioni, della figura di Ada Grossi e dei Grossi in generale, così come il professore Giuseppe Aragno, diventato oramai un amico, per il duro, non sempre riconosciuto – ma spesso vampirizzato – lavoro di ricerca e di rivendicazione della verità storica intorno alla famiglia Grossi e all’Antifascismo napoletano, fatto di tantissimi eroi, piccoli e grandi, che la Storia avrebbe dimenticato se non fosse stato per il suo lavoro rigoroso. Tengo a sottolineare che il professor Aragno dispone del “placet” della nostra famiglia (o di quello che ne rimane) per costituirsi in esponente di riferimento per tutto ciò che riguarda le vicende dei Grossi.
Aggiungo ai ringraziamenti il personale del Memorial Democràtic de Catalunya, rappresentato dal suo Direttore il signor Palou-Loverdos.
Siccome, dopo tutto, Ada Grossi era mia nonna e sembra che in questo ballo di articoli, omaggi ed interventi di esponenti diversi – per non dire spesso dispari e purtroppo, in certi casi, addirittura deliranti o peggio: tendenziosi – sia a volte difficile poter dire la mia, colgo la triste occasione del decesso di Ada per esporre una serie di considerazioni personali a suo riguardo – facendo quasi a meno sinora della possibilità di poter, finalmente, elaborare il lutto come lo intendo – di cui spero il lettore saprà perdonare la redazione in un italiano poco più che aprossimativo, data la mia nazionalità spagnuola e cultura fondamentalmente francese.
Sarò forse borioso, ma l’importante e di farmi capire.
Osservo con tristezza alcuni fenomeni inquietanti, endemici, non tanto perché siano impostati stavolta intorno alla figura di mia nonna e della mia famiglia, ma perché si tratta di manifestazioni rivelatrici di un modo di fare che obbedisce, in sostanza, alla pratica triste di sfruttare il contro-potere via l’anti-potere (o che si presume tale) per finanziare il discorso del Potere, o di tante atomizzate espressioni del potere: Il potere di punire e di premiare, il potere di distorcere, il potere di ricordare o di lasciar marcire nell’oblio, il potere di appropriarsi del lutto o dell’operato altrui a mo’ di mattonella per edificare la medesima tribuna nel senso della versione ufficiale della Storia, essendo l’ufficialità un cumulo di menzogne plausibili che si erigono in verità suprema.
Qui abbiamo un mostro bicefalo con due schieramenti ben complici, dentro ai quali qualsiasi essere umano debba venir integrato o, altrimenti, dimenticato o distrutto, senza scordarci che l’integrazione forzata è una forma di distruzione dell’identità individuale, per quanto nega la capacità intrinseca dell’essere umano di decidere “per se”. Uno stupro di “conversione” che nemmeno lo Stato fascista ha operato coi suoi nemici, come nella barzelletta dell’Ebreo que va a Belfast e che viene interrogato alla volta da un tipo del Sinn Fein e da un lealista orangista:
– Sei Cattolico o sei Protestante ?
– No, sono Ebreo.
– Già, ma sei Ebreo Cattolico o Ebreo Protestante?
L’importante è negare l’esistenza delle Terze Vie, quelle che non ubbidirono né agli ordini del Rais, né alle istruzioni dei Comitati Centrali, invece sempre ben considerate attualmente – e con la dovuta preoccupazione – nei calcoli elettorali, quando si tratta di valutare l’impatto della – apparentemente – passiva “maggioranza silenziosa”. Con i Grossi, e attraverso la figura di Ada, si tratta di distorcere l’esistenza di una minoranza attiva, non integrata, non integrista, non integrabile “tale quale”, come se fosse una pedina, nelle eroiche masse del panegirismo stalinista e delle sue successive, ma pur sempre gargantuesche, decaffeinizzazioni, togliattiane o carrilliste esse fossero e così via: Non credo alla sincerità della spogliarellista, ne al suo erotismo di plastica.
Nel caso della famiglia Grossi, la Terza Via è consistita nella semplice logica di tradurre l’impostazione di etica umanista, non serva di fanatismi ideologici, nella logica conseguente dell’azione. Il loro solo “-ismo” collettivo come famiglia combattente è stato l’Antifascismo, un fronte che volendosi unitario è stato poi capitalizzato da chi, sempre ed ancora, insiste nel mettere in testa al plotone dell’Antifascismo la bandiera della vittoria dell’8 maggio del 45, quella che cancella tanto le purghe avvenute in Spagna (e altrove) dal ‘37 fino alla disfatta – chiusura di Radio Libertà e “processi” tentati contro mio bisnonno l’avvocato Cesare Carmine nel campo di Gurs compresi- quanto elimina opportunamente la dozzina di orologi da polso nell’avanbraccio del soldationk che posiziona la citata bandiera di Stalin sul tetto del Reichstag sulla leggendaria foto di propaganda sovietica.
Il giornale spagnuolo EL MUNDO, di destra sensazionalista di stile “hard-fighetto”, mette in atto un articolo che sintetizza in modo cristallino la logica bicefala di quanto esposto prima: Il “patto tra gentlemen” che profitta a tutti, agli Stalinisti e agli Anticomunisti.
Si basano su una serie di distorsioni storiche di fonte “ignota” – io so benissimo quale – che portano mia nonna Ada a diventare una specie di “tigressa rossa”, che avrebbe salutato a Radio Libertà la vittoria di Guadalajara sulle truppe del contingente fascista italiano, avvenuta grazie al concorso di fantasmatiche masse di carri armati sovietici (questo è il processo di stalinizzazione forzata che si paga a modo di “tassa” per esistere virtualmente: Ma i carri sovietici arrivarono più tardi, e di concorso sovietico a Guadalajara non ci fu nemmeno l’ombra: fascisti che pensavano di fare una passeggiata militare in una specie di Abissinia europea si fecero stravolgere dai ben decisi anarchici di Cipriano Mera).
Il discorso è chiaro: Stalinizzata Ada Grossi, stalinizzata ”avant la lettre” la vittoria di Guadalajara, si dispone già di un personaggio fabbricato e schierato col comunismo, quale Uomo di Marmo di Wajda, rivendicabile dall’”ufficialità” polverosa dei perdenti del 48, tutti gli alibi compresi. Un po’ di Brigate Internazionali qui (sembra fossero l’agenzia viaggi monopolistica per venire a combattere in Spagna: Questo si, i Grossi se ne andarono da Barcellona a marzo del 1939 e non un anno prima, senza omaggi Komintern) un po’ di Carlo Roselli qua (mia nonna non lesse mai un discorso di Roselli) e abbiamo già creato l’icona appropriabile ed utilizzabile… Che EL MUNDO, può sfruttare per il suo anticomunismo di natura, li dove anarchici, trotzkisti o terze vie “altrimenti” e fottutamente conseguenti fino alla fine – come quella della famiglia Grossi – non sono orwellianamente mai esistite o costituiscono, casomai, “un point de détail dans l’Histoire” come direbbe Le Pen, tra i due papponi monopolizzatori della Storia, della “destra” e della “sinistra”.
Ada Grossi, cosi stal-impacchettata, diventa già rivendicabile, “politically correct and integrated, Ldt.” (come-volevasi-dimostrare), affinché l’eterna tribuna stalinista, paleo o neo che sia, possa rendere omaggio a se stessa, così come la destra può continuare con la sua demonizzazione “réac” d’ufficio.
Se non sei né Burger King né MacDonald’s, te lo facciamo diventare lo stesso: Scegli o taci.
Non cito EL PAIS se non per dire che codesto giornale, diventato da tempo un misto tra Sorrisi & Canzoni e le Selezioni del Reader’s Digest, fa di Ada Grossi una specie di Marco di De Amicis, partita “da se”, “indignata” (ora tutto è stile hesseliano, dans l’air du temps) per un “breve lasso di tempo” (in realtà, 10 anni) in Argentina (A soli 9 anni ! Da sola!) forse a cercare la sua mammina cara nella Pampa prima di andare in Spagna a combattere, sí, ma soltanto con la voce (pacifista indi, rivendicabile dalla socialdemocrazia “light” che odia “gli spargimenti di sangue o di detersivo”). “Radio Libertà emetteva dall’Italia” (sic!), immagino Mario Appelius fosse un nobile e leale concorrente inter pares. Ada Grossi, già anziana, “era timida” e “passeggiava da sola” nel quartiere a Napoli, sotto lo sguardo (si suppone che intenerito, forse chissà, anche lacrimoso) di fantasmatici vicini del rione.
Ebbe comunque il tempo, secondo alcuni (ancora fantasmatici) storici di influire, nel dopoguerra, nella redazione dell’articolo 21 della Costituzione (nientemeno! E questo dalla Spagna franchista e col marito Enrique in carcere, caspita !). Sicuramente fece ancora in tempo di aiutare Armstrong a sbarcare sulla Luna, chissà. Non si merita un articolo ne EL PAIS se, almeno, non si sono fatte tutte queste cose “veramente importanti”.
Creare un alone iconico e fantasioso che sia pubblicitariamente rivendicabile, il tutto per seppellire l’unica verità intorno alla figura di Ada Grossi, indissociabile da quella dei suoi genitori e dei suoi due fratelli: Nella modestia che porta ad accompagnare spontaneamente il pensiero con l’azione, senza bandiere vittoriose, né benedizioni dei potenti del momento, da soli e per propria iniziativa, avendo perso tutto per non guadagnare altro che la dignità che emana dal silenzio, la famiglia Grossi risulta troppo esemplare, troppo modesta, troppo indipendente, troppo inclassificabile e indi, troppo scomoda per potersela appropriare così come essa fu.
Non sia che altri, guidati dal loro senso etico, ne prendano esempio, mandino affanculo le eterne bandiere rosse de “la rivoluzione domani, compagno, oggi no, già sai come funziona” e così un business di truffa politica che dura da quasi un secolo finisca qui, “per mancata clientela”. Capisco sembri meglio fare i Frankenstein-panegiristi che chiudere bottega.
Il lutto altrui non è una successione di sufflè, consommabili e rinnovabili. Ci vuole il cuore, che non sa di calcoli ne di buone ragioni. Altrimenti, meglio che i corvi, così discreti quando non si avventurava carogna da inghiottire, se ne stiano oggi in silenzio.
Aitor Fernández-Pacheco y Guzmán, nipote di Ada Grossi.
Paris (France).
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