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Posts Tagged ‘Angela Cingolani’


Nasce a Torino, il 6 gennaio 1895, da Moisè,  direttore della sartoria Bellom e da Consolina Segre, in una famiglia ebrea agiata e di tradizioni socialiste, a quattordici anni, dopo la morte prematura del padre, trova lavoro nella sartoria Sacerdote e, consapevole dei propri diritti, prende subito parte attiva agli scioperi della categoria. A 16 anni è già iscritta alla Camera del lavoro, tre anni dopo è eletta segretaria del circolo femminile «La Difesa», e a vent’anni, nel 1915 si iscrive al PSI. Con l’ingresso dell’Italia nella “Grande guerra” e la partenza degli uomini per il fronte, è assunta come impiegata prima dalla Banca Commerciale e poi dall’Alleanza Cooperativa Torinese. Nel 1917, a 22 anni, quando i tumulti per il pane e contro la guerra la vedono in prima linea, assieme al fratello Mario trasforma la casa della famiglia, nel popolare Borgo San Paolo in un luogo di dibattito che  unisce in un rapporto politico e amicale, le famiglie del quartiere. E’ così attiva e preparata che in  quello stesso anno entra a far parte del Comitato Regionale Femminile del PSI e della Commissione Esecutiva della sezione socialista.
Nel 1920, trovato lavoro alla Fiat, ha un ruolo di primo piano nell’occupazione delle fabbriche e di lì a poco, nel 1921 partecipa alla fondazione del PCd’I a Torino. Subito dopo parte per Mosca, dove il 14 giugno rappresenta le comuniste italiane alla II Conferenza femminile internazionale e subito dopo partecipa al III Congresso dell’Internazionale comunista.
Nel 1922 entra nella redazione di “Compagna”, il quindicinale femminile del PCd’I, e prende parte alla Conferenza delle donne del partito. Con Camilla Ravera, l’anno seguente diventa collaboratrice di Palmiro Togliatti, che a Milano ha assunto un ruolo di primo piano nel partito, e cura i contatti con Roma. Nel 1924 sposa Togliatti, si stabilisce con lui a Roma e riceve l’incarico di organizzare la scuola nazionale per corrispondenza del partito, diretta da Antonio Gramsci. Nel 1925 nasce il figlio Aldo.
All’inizio del 1926 è a Mosca con Togliatti e vive col marito e il figlio in una camera dell’Hotel Lux, come quasi tutti i dirigenti comunisti stranieri. Nel gennaio del 1927 è a Parigi, dov’è nato un centro estero dell’Internazionale Comunista e dove contribuisce alla nascita del periodico “Lo Stato operaio”. Di lì a qualche anno, quando il partito riprende la sua attività clandestina in Italia, riceve l’incarico di mantenere i contatti con i compagni che vivono in Italia e di portare materiale di propaganda nel Paese. Benché ricercata, compie perciò frequenti e pericolose missioni in Italia e riesce sempre a sfuggire alla caccia della polizia.
Nel 1934 torna a Mosca con Togliatti, assume un nome in codice e su 105 italiani è ammessa con soli 10 compagni a frequentare la Scuola leninista e fa così un’esperienza che influirà molto sulla sua formazione. Con lo scoppio della guerra civile, come tutti gli italiani che hanno frequentato la scuola leninista, parte per la Spagna con Togliatti, ma la guerra le impedisce di portare il figlio Aldo con sé e il ragazzo, è costretta a lasciare il figlio in Russia nell’Istituto Ivanovo; un distacco che per il bambino sarà traumatico. In Spagna lotta per la repubblica e torna a Mosca solo pochi giorni prima della sconfitta repubblicana. Nella capitale dell’URSS si occupa prima delle trasmissioni di Radio Mosca dirette alle donne, poi, dal 1941, si stabilisce a Kuibišev, dove entra a far parte della redazione di Radio Milano Libertà, che parla agli Italiani in nome dell’unità antifascista. Nel 1943 fa parte della redazione de “L’Alba”, un giornale scritto per i militari italiani prigionieri in Russia.
Nel 1944, quando torna in Italia con il marito, con il quale i rapporti sono diventati difficili, e si stabilisce inizialmente a Napoli; La Montagnana è affascinata dell’idea del cosiddetto “partito nuovo” e il suo impegno politico si intensifica. La lunga esperienza vissuta in URSS ne fa una dirigente ammirata e rispettata dalle compagne e dai compagni del PCI; sentimenti che si rafforzano con la pubblicazione dei Ricordi dell’Unione Sovietica, un opuscolo nel quale raccoglie articoli che esaltano il clima di grande solidarietà e democrazia che regna nel Paese dei Soviet. E’ così stimata, da essere incaricata di dirigere l’organizzazione femminile del partito che, secondo una vecchia idea che la Montagnana condivide con Togliatti e che è in realtà molto difficile da realizzare, si mostra aperta alle donne di tutti i partiti antifascista. Nell’autunno del 1944, assieme a Giuliana Nenni e a Marisa Rodano, la Montagnana, entusiasta dell’incarico ricevuto, invita la democristiana Angela Cingolani a rappresentare le donne cattoliche nell’UDI (Unione donne italiane).
L’invito è accolto con un rifiuto che non scoraggia le dirigenti comuniste e socialiste dell’UDI e dopo la Liberazione la Montagnana è in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne. Molto Significativo, in questo senso, è ciò che scrive il 9 maggio 1945 in un articolo intitolato “La donna nella lotta antifascista”, pubblicato da ”L’Unità”: «Largo dunque fin da oggi alle donne nei posti di Governo, largo alle donne nell’Assemblea costituente, largo alle donne nelle Amministrazioni Comunali; giusta retribuzione del lavoro femminile; tutte le vie del lavoro e del sapere aperte alle giovani».
Al centro del suo interesse sono da sempre le lavoratrici e in loro nome, in un articolo intitolato “Nostro contributo alla rinascita nazionale”, uscito su “Noi donne” il 31 ottobre 1945, non esita a criticare apertamente il contratto firmato dalla CGIL con la Confindustria a danno delle operaie. Molto attenta alla questione del voto alle donne, nella sua “Relazione introduttiva” al I Congresso nazionale dell’UdI, che si tiene a Firenze dal 20 al 23 ottobre 1945, lancia sul tema una campagna di sensibilizzazione popolare. Il 30 gennaio però il governo anticipa la campagna, approvando la legge che riconosce alle donne il diritto di voto e frena l’azione della Montagnana, che intendeva utilizzarla quella battaglia per aprire un dibattito sulla condizione femminile nel Paese.
Nell’ottobre del 1947, è sostituita alla presidenza dell’Udi da Maria Maddalena Rossi, ma non rinuncia alla scelta del 1944 e sostiene la formazione di cellule esclusivamente femminili, anche quando al V Congresso dei Gruppi di difesa della donna, che si tiene dal 29 dicembre 1945 al 7 gennaio 1946, la maggior parte delle compagne si schiera contro l’organizzazione separata. Sulla condizione delle donne, d’altra parte, inevitabile è ben più duro si annuncia lo scontro con le donne democristiane. Quando nel 1945 la Montagnana scrive, infatti, un libro intitolato significativamente La famiglia, il divorzio, l’amore, e alcuni articoli usciti su “Noi donne” tra il 1945 e il 1946, la DC accusa i comunisti di voler «distruggere» la famiglia, e la Montagnana è costretta a spiegare che il PCI si propone anzitutto di dare ascolto alle esigenze della popolazione e delle famiglie, messe in crisi dalla guerra, negando che l’obiettivo sia il divorzio.
Nel 1946, candidata dal partito all’Assemblea Costituente, è eletta con migliaia di voti, ma non ha svolge nell’Assemblea un ruolo di primo piano. Il suo interesse più vivo era e rimane la condizione della donna lavoratrice, per cui tra il 1946 e il 1947 scrive per la rivista “Vie nuove”alcuni significativi articoli. 
Membro del Comitato Centrale del Pci dal 1948 al 1953 e senatrice per due legislature, la donna è così preoccupata per il settarismo che serpeggia nel partito, che nel 1951 scrive al partito parole sofferte e meditate: «L’Udi ha fatto una politica settaria e opportunista, in molte provincie […]. Si sono persi numerosi elementi dei gruppi di difesa, numerose compagne fra le migliori sono rientrate nella “routine” della vita familiare, hanno abbandonato o quasi l’attività sociale e politica. Non vi è stato reclutamento di forze fresche e giovani. L’attivo femminile, salvo rare eccezioni, […] era composto di donne dai capelli bianchi. Rare le giovani, quasi nessuna dai 25 ai 40 anni. […] Vi è stato anche da parte dei compagni dirigenti, salvo eccezioni, una enorme incomprensione verso il lavoro femminile. Si sono tagliate le ali, si sono demoralizzate, umiliate anche le compagne migliori, più qualificate, con un ottimo passato di partito». Ormai non riceve più l’ascolto di qualche anno prima. Si distingue nella battaglia contro la legge elettorale – la «legge truffa» – e nel 1954, nel ruolo di vice presidente della Federazione internazionale femminile, pubblica in un volume intitolato Un libro scritto da milioni di donne estratti dei discorsi che riguardano la lotta all’imperialismo e la difesa della pace, pronunciati dalle delegate ai Congressi mondiali delle donne a Parigi nel 1945 e a Copenaghen nel 1953.
Sono le sue ultime battaglie: Rita Montagnana è ormai una donna provata dalla vita e isolata nel partito. Nel 1950 il figlio Aldo si è ammalato gravemente. Gli anni vissuti nell’Istituto Ivanovo in Unione Sovietica, quando il padre e la madre sono partiti per la Spagna, gli hanno causato prima un forte trauma e poi una gravissima malattia nervosa. La madre, che nel 1948 ha scoperto di essere tradita da Togliatti che ha una relazione con Nilde Iotti, è costantemente accanto al figlio e, dopo averlo ricoverato prima in Ungheria e poi in Unione Sovietica, decide di tenerlo con sé, nella sua casa di Torino, ma il giovane peggiora progressivamente e dopo la morte della madre finirà in una clinica dalla quale uscirà morto nel 2011.
Al forte dolore, si somma la profonda amarezza della Montagnana: la vita privata, col marito che inizialmente non rende pubblica la rottura per timore della reazione della base del PCI, l’ha resa un ostacolo alla carriera di Togliatti e al Partito, che su certi temi vive di ipocrisia. Nel 1948, dopo l’attentato a Togliatti, quando la relazione con la Iotti diventa di pubblico dominio, la scelta è feroce: il Partito la emargina. Prima le toglie l’incarico di responsabile femminile regionale del Piemonte, poi nel 1953, la candida a Biella, in un collegio in cui la sconfitta è certa. A poco a poco, inevitabilmente, la Montagnana si dedica al figlio e sparisce dalla politica attiva del Paese. L’ultimo incarico ufficiale è quello di Delegata al XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, nel 1956. Da quel momento non ha più un incarico ufficiale. Muore a Torino il 17 luglio 1979.

 

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