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L’ultimo saggio dello storico Giuseppe Aragno: biografie inedite di uomini e donne annientati dalla ragion di Stato

Antifascismo e potere, storie di otto eroi per caso

Si fa presto a parlare di “ragion di Stato”. Qualcuno una volta scrisse che «ha fatto più morti lei delle crociate». E se Benedetto Croce la descrive come la legge motrice di un Paese, cosa accade però se la ragion di Stato rispecchia l’ideologia di un regime? Chi sono i buoni? Chi i cattivi? Ne parla lo storico e giornalista Giuseppe Aragno nel suo ultimo saggio “Antifascismo e potere”. E lo fa ripescando otto biografie inedite, una «storia di storia», tramortite dagli interessi di Stato totalitari del Novecento.
Nomi non “grandi”, quindi dimenticati, di eroi per caso che scelsero da che parte stare, militando nell’antifascismo europeo. E pagandone ogni conseguenza. Aragno li riporta in vita, descrivendo per prima Clotilde Peani figlia della “Italia liberale” di Depretis e Crispi. Torinese. e ben lontana dal cliché di signorinella pallida e buona madre frequenta già da adolescente i circoli socialisti, bollata subito dalle autorità come donna «audace e pericolosa». Prova allora a ripara­re a Londra, entrando in contatto coi fermenti dell’anarchismo internazionale d’inizio Novecento. La sua vita di militante e attivista è condannata dal sistema repres­sivo fascista. Clolilde sarà epura­ta come “schizofrenica”. così co­me tanti altri suoi compagni, improvvisamente ritenuti «mentalmente instabili», quindi rinchiusi a vita in manicomio; morirà nel 1942 nell’Ospedale psichiatrico di Napoli.
Stessa sorte, ma dai risvolti più drammatici. tocca a Renato Grossi. Nel 1939 segue in Spagna il padre. Carmine Cesare. principe del foro di Napoli, assieme, alla madre Maria Olandese e i fratelli Aurelio c Ada por unirsi alle truppe di resistenza contro l’avanzata nazionalfascista. Con la vittoria franchista però, la fami­glia ripiega verso i Pirenei, mitra­gliata dai caccia italiani inviati in aiuto al Generalissimo, tentando la fuga in Francia. Qui Renato ha un tracollo psicologico. Rinchiu­so nell’ospedale di Lannemezan e marchiato come italiano (quin­di figlio dell’odiato regime), sarà trattato dai medici come una ve­ra e propria cavia, vittima di inauditi trattamenti a base di pesanti iniezioni giornaliere d’insulina, con conseguenze disastrose e permanenti, E morto a Napoli in una clinica di Miano nel 2001.
lnteressante anche la storia di Nicola Patriarca, beffato da ben due ”ragioni di stato: “la russa pri­ma, l’italiana poi. Nato infatti a Voronez (non distante dal confine ucraino), Kolia. così come sua moglie Varia ama soprannomi­narlo, è fedele al Partito comuni­sta sovietico, ma viene “purgato” dal governo staliniano nel 1937 semplicemente per la sua «nazio­nalità inaffidabile». Rifugiatosi a Napoli, accolto nel Real Albergo dei Poveri, ben presto i suoi idea­li gli causano l’internamento da parte delle camicie nere al confino di San Costantino Calabro. Ar­restato nel 1939,.si perdono le sue notizie nel 1941, proprio a pochi mcsi dalla fine della sua pena. ar­rivata grazie all’insperata amnistia sovietica. Ma non sappiamo, né potremo mai sapere se sia riuscito a tornare a casa.

Paolo De Luca, “Repubblica”, Napoli, 9 giugno 2012

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