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Posts Tagged ‘squadristi’

Ciro Esposito, il tifoso napoletano ferito a colpi di pistola da uno squadrista, mentre si recava allo stadio per assistere a Roma alla finale di Coppa Italia lo scorso 3 maggio, si è spento al Policlinico Gemelli nel reparto di terapia intensiva. Una crisi improvvisa, le condizioni generali d’un tratto ritornate gravi, un disperato tentativo di intervenire ancora una volta sul povero polmone perforato dal proiettile fascista e la morte ha preso infine il sopravvento.
Mentre va in scena l’insopportabile finzione dell’Italia «in lutto», ecco che inarrestabile ci piomba addosso la valanga delle domande inutili e retoriche. E’ un coro stonato che ha il sapore amaro di una ignobile farsa: com’è potuto accadere? Com’è che la polizia non ha fermato in tempo un neonazista di cui conosceva benissimo i precedenti? Com’è che dopo quasi due mesi nessuno ha ancora «saputo» chiarire le dinamiche degli «scontri» e tirare fuori i nomi dei camerati che hanno agito indisturbati col fascista De Santis? Com’è che non s’è mai aperto un dibattito onesto sugli ambigui comportamenti della Prefettura e della Questura di Roma?
La verità è che ormai non c’è più nulla da chiedersi o da capire. Abbiamo visto un oscuro tecnocrate consultato da Napolitano per un incarico da Presidente del Consiglio, mentre era legittimamente in carica un governo che godeva della fiducia delle Camere; abbiamo avuto uno dietro l’altro tre governi di molto dubbia legittimità costituzionale e dal 2008 votiamo con una legge elettorale ufficialmente illegale: un imbroglio costruito ad arte per pugnalare alla schiena il «popolo sovrano». Al momento, con un’arroganza pari solo all’ignoranza e all’inettitudine, una banda di parlamentari nominati e non eletti, abusivi, più che deputati, sta cambiando la Costituzione per la quale sono solo degli abusivi. Che c’è da capire?
Ciro Esposito è morto per mano fascista – lo sanno tutti, ma i media hanno memoria corta – nessuno però mette catenacci ai covi fascisti da cui partono puntualmente gli assassini. Renzi ricorderà bene Gianluca Casseri, la fiorentina Piazza Dalamzia e la Smith & Wesson che seminò la morte nella sua città, ma che fa? Coglie al volo l’occasione e in nome di una violenza che a quanto pare nessuno ha cercato veramente d’impedire, dà carta bianca all’ineffabile Alfano e mette così in moto una nuova serie di leggi repressive. Sembrerà un paradosso, ma non lo è: si tratta di una serie di provvedimenti che non hanno nel mirino i neofascisti e non si applicano nemmeno ai soli ultras. Il nuovo «pacchetto sicurezza», ha questo di osceno: riguarda ogni tipo di manifestante e non solo allunga il DASPO a 8 anni, ma estende il provvedimento a tutti i cosiddetti reati di ordine pubblico – No Tav, popolazioni ribelli della «terra dei fuochi», Comitati no Mous e compagnia cantante sono avvertiti – e prevede aggravamenti delle pene n caso di un non meglio definiti ruolo di “organizzatore di gruppi di facinorosi”. Non bastasse, secondo la logica ormai resuscitata della lotta al “terrorismo”, ai «ribelli daspati» si offre la «riabilitazione», in cambio del «pentimento». Ciò che interessa al Governo, evidentemente, non sono quindi la verità e la giustizia, né un provvedimento ad hoc per i neofascisti. Nei programmi delle premiata ditta Renzi&Alfano i neofascisti devono essere liberi di fare quel che vogliono, mentre leggi liberticide cancellano con la forza, se possibile anche in via preventiva, ogni forma di conflitto sociale nel nostro Paese. Come negli anni Venti, gli squadristi agiranno liberamente e questori e prefetti saranno pronti a coprirli, e decideranno chi colpire e chi ignorare.
Non è difficile immaginarlo: mentre politicanti e pennivendoli si accingono a scatenare la solita campagna sulla «sicurezza», non c’è nessuno che trovi l’animo per dirlo:: purtroppo non è morto solo un giovane indifeso e sventurato. Da anni qui da noi muore nell’indifferenza generale, la democrazia conquistata col sangue dai nostri nonni.

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Guardatevi il filmato di Repubblica e poi ditemi che ne pensate. Il manganello usato per un pestaggio da gangster, una scena disgustosa che fa tornare alla mente gli squadristi di Mussolini. Non si tratta di un caso eccezionale. E’ una regola ormai. Quelli che vedete all’opera si chiamano “tutori dell’ordine“, ma sono soltanto dei cialtroni in divisa, dei vigliacchi protetti da una vergognosa omertà e dall’impossibilità di indentificarli. Vanno in piazza e sembrano drogati, vengono da esperienze di guerra nei Paesi aggrediti con la scusa dell’intervento “umanitario” e sono completamente fuori controllo candelotti lacrimogeni tossici sparati ad altezza d’uomo, pestaggi, caccia all’uomo, totale disprezzo per la democrazia e le sue regole, braccio armato di un governo che non abbiamo votato e di un Parlamento che non risponde al popolo,  ma ai segretari dei partiti che li hanno nominati deputati. Li paghiamo per tutalarci dai criminali, ma sono diventati un pericolo costante per noi e per i nostri figli. Se esistono davvero poliziotti perbene, protestino e smettano di tacere. Fuori i nomi: chi sono questi delinquenti?

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In queste due vecchie foto sono ritratti il ferroviere Giuseppe Spina, assassinato a Napoli, in Piazza Mercato, il 1° maggio 1920 dagli squadristi di Padovani e Navarra, perché difendeva i diritti dei lavoratori, e Maria Berardi, anarchica e antifascista irriducibile che per tutta la vita subì la persecuzione dei liberali prima, dei fascisti poi. Chi ama la libertà e la giustizia sociale  rivolga loro un cenno reverente.
Non farà male a chi legge, poi, fermarsi a riflettere sulla grave crisi che attraversa oggi la nostra democrazia. L’ex comunista Bersani, infatti, trova normale far parte della maggioranza che sostiene il liberale Monti e l’ex fascista La Russa, eredi di quelle forze politiche che furono allo stesso tempo carnefici di Giuseppe Spina e carcerieri di Maria Berardi.

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Dopo il pestaggio di Basiano, i nostri ceti dirigenti sono tornati d’un colpo quelli che il 7 luglio 1880 persino conservatori come Sidney Sonnino misero sotto accusa: “Noi abbiamo […] legalizzata con le nostre istituzioni e con le nostre teorie l’oppressione di una classe sopra un’altra, abbiamo coperto sotto il manto della legge un processo di sfruttamento dei nostri simili”.
E’ di nuovo così. A Basiano s’è vista all’opera una milizia di parte che, gettata la maschera, ha mostrato la sua autentica funzione: garantire l’interesse dei padroni. Venti arresti, gambe spezzate, un lavoratore steso in una pozza del suo sangue e uno in coma per qualche ora; è vero, il morto non c’è stato, ma verrà. A un certo punto ho contato otto “tutori dell’ordine” – questurini o squadristi? mi son chiesto – i quali, senza nome, cognome o numero di matricola, protetti dagli elmi e sicuri dell’impunità, massacravano un manifestante inerme caduto nel suo sangue. Finita la battaglia, non ho visto un cenno di disappunto dei colleghi, non ho sentito prese di distanza. Tutti d’accordo nel silenzio omertoso: le “alte sfere” che paghiamo profumatamente, le questure, i comandanti delle legioni territoriali dei carabinieri, i commissariati, i sindacati di polizia. Non ha parlato nessuno, nessuno ha voluto condannare. Non s’è trovato un giornalista del circuito che conta, capace di andare oltre l’accenno preoccupato alle “tensioni sociali”, non s’è sentita la voce d’un sostituto procuratore che annunciasse un’inchiesta. Zitto se n’è stato il Parlamento, zitta, per suo conto, la politica a tutti i livelli, sicché chi sa ancora leggere, scrivere e far di conto non ha potuto fare a meno di ricordare Gaetano Salvemini e un celebre pamphlet, nato in un tempo in cui un intellettuale aveva cuore per scrivere di un “ministro della malavita”.
Un re ce l’abbiamo – l’hanno incoronato gli americani, ma i nostri zerbini travestiti da pennivendoli si sono inchinati zelanti – al governo dei banchieri non manca certo l’oro per la medaglia e nel Paese di Bava Beccaris, D’Annunzio e Ronchi dei Legionari, un invasato che si senta “uomo del destino” e spari a mitraglia, non è merce rara. Ormai pare evidente: giorno dopo giorno, c’è chi porta indietro le lancette, l’orologio della storia gira a ritroso una ad una le pagine più tristi della nostra storia e il calendario, come impazzito, corre difilato verso un ripetuto ‘98. Chi non usa la lente deformante del liberismo non fa fatica a vederlo: ai magazzini del Gigante, a Basiano, italiani, egiziani e pakistani, che tempo fa si guardavano tra loro in cagnesco, di fronte all’ingiustizia, stretti nella morsa della fame, vanno riscoprendo la solidarietà e la lotta, fanno fronte comune contro il padrone, mettono su scioperi, picchetti e si prendono galera a manganellate, ma scoprono di essere piccini solo perché stanno in ginocchio. Come predicavano i primi socialisti, però, più alzano la testa, più difendono i propri posti di lavoro e dicono a chiare lettere che non accetteranno condizioni di vera e propria schiavitù e più si trovano contro la legge dei padroni.
Non c’è da farsi illusioni: la lotta continuerà e si tenterà di stroncare ogni protesta. Quando si levano in piedi, i lavoratori fanno ancora paura e solo i ciechi fingono di non vedere che il capitale è a un bivio: o continua a decorare Bava Beccaris che si “fa onore” nella repressione – non è per questo che De Gennaro è sottosegretario? – e arma così la mano di un rinato Bresci, o si ferma in tempo ed evita una tragedia che già conosciamo.
Il governo dei professori bene o male sa d’economia, ma in storia dovrebbe andare a ripetizione. Un maestro elementare ben preparato gli spiegherebbe ciò che per un liberare vero è l’alfabeto: “la colpa più grave della borghesia comincerebbe oggi se non vedesse la necessità assoluta di combattere anch’essa per il miglioramento dei lavoratori”. Con queste parole, Giolitti, parlando dallo scranno che oggi occupa Monti, spiegava a chi sognava eversioni dall’alto cosa sia governare. “La libertà, ha i suoi inconvenienti – egli sostenne – talora gravi, ma passeggeri. La libertà è una grande maestra”. E in nome della libertà, ammoniva: “Il Governo non può e non deve, sotto alcuna forma, né diretta né indiretta, modificare artificialmente gli effetti delle leggi economiche che regolano i prezzi dei salari come di tutte le merci: non interviene quando il salario è troppo basso, non deve intervenire quando si chieda una misura di salario più alta”.
Era l’alba del Novecento, si sa, ma è ancora vero: impedire con la forza ai lavoratori di migliorare la loro condizione, quando lottano per una causa giusta, non significherebbe solo fare dello Stato il rappresentante di una sola classe sociale, come voleva Agnelli, quando Giolitti minacciò di chiusura la Confindustria. Vorrebbe dire spingere “le classi popolari a sentirsi nemiche naturali dell’attuale ordine di cose”. Lo diceva Giolitti che fu liberale e riformista: l’estremismo diverrebbe padrone del campo. All’orizzonte, però, non si vedono statisti. Governano Napolitano e Monti e il pericolo è perciò terribilmente concreto: la repubblica rischia davvero un Novantotto.

Uscito sul “Manifesto” il 13 giugno 2012

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