Riconosco ch’è la via giusta e occorrerà percorrerla fino in fondo, ma confesso: non è facile trovar risposte alla domanda stringente di Rossanda sul che fare. Forse ha ragione Pierluigi Sullo che, in qualche modo, giorni fa, sembrava indicare un metodo e una questione “propedeutica”; non credo che Monti e soci siano “sapienti, ma stupidi” – la sapienza dov’è? – ma mi pare vero: non sapremo che fare, se prima non capiremo chi sono. Abbiamo di fronte un volto degenerato del potere, c’è da precisarne i lineamenti, definendone la natura prima che la funzione, separando, in questa crisi del capitalismo, il dato fisiologico da quello patologico. Se ritenessimo Passera e Fornero espressioni genuine di un processo “ortodosso” di “evoluzione” da Smith a Friedman, finiremmo fatalmente impantanati in un’analisi senza vie d’uscita. La loro presenza politica alla testa d’un governo di non eletti, in un Parlamento di nominati, apre in realtà un’enorme falla nel tessuto connettivo della repubblica, una falla che mette a rischio in primo luogo il rapporto tra capitalismo e accezione borghese della parola democrazia. In questo senso, il “pensiero fisso”, di cui scrive Sullo è la prova lampante di un “avvitamento” del capitalismo attorno alla sua più evidente contraddizione e porta in luce meridiana il tragico fallimento di un sistema economico e politico che nella sua formulazione teorica vive di “libero mercato” e nella sua realizzazione pratica non può sopravvivere senza la protezione di privilegi statali. Un fallimento che mostra chiaramente l’errore di una sinistra che ha finito col vedere nel capitalismo ruoli di rappresentanza della civiltà dell’Occidente.
Così stando le cose, Monti e la paccottiglia che lo sostiene in un Parlamento del tutto privo di legittimità, incarnano l’età di un pensiero degenerato in fanatismo, un “feticcio delirante”, che nessuno potrebbe incarnare meglio dell’autoreferenzialità dell’accademia. Fuor di metafora, Monti è la versione italiana d’un fenomeno europeo: la stato comatoso della democrazia borghese e di “tecnico” ha solo il metodo. I contenuti segnano il ritorno aperto a una cieca politica di classe. Crispi, piuttosto che Giolitti e, non a caso, la sintonia con la Germania “prussiana” di Angela Merkell.
“Il fanatismo”, scrive Voltaire con la consueta lucidità – “sta alla superstizione, come la convulsione alla febbre e la rabbia alla collera”; visto in questa luce, più che a un programma di governo, noi ci troviamo di fronte alla visione estatica di una pattuglia di credenti, mossi da una verità di fede. La struttura del ragionamento è quella d’un periodo fondato su a una “proposizione principale” – le esigenze del profitto sono il motore della storia – e attorno una rete di coordinate e subordinate depennabili: l’uomo, i bisogni, i diritti. In questo senso, il che fare di Rossanda si apre verso più ampie esigenze e, in qualche misura si “illumina”: che rispondere a un uomo convinto che è progresso obbedire a Dio più che agli uomini e che, di conseguenza, è certo di meritare il cielo strangolandoci? Questa è la domanda. La pose l’Illuminismo e sembrava cercasse riforme.
Storicamente, quando i popoli cadono in mano ai fanatici, il corto circuito è fatale. Per fanatismo, gli “onesti” borghesi parigini si diedero a gettare dalle finestre i loro concittadini, li scannarono e li fecero a pezzi nella notte di San Bartolomeo. Il fanatismo è la follia della storia, una sorta di civiltà dei Mongoli e non sempre se ne esce per la via dei compromessi. Strumenti ne abbiamo e c’è stato chi l’ha detto: socialismo o barbarie. L’antitesi è verificata, ma dei corni del dilemma, uno solo oggi ha una rappresentanza: la barbarie sta con Monti. Manca chi rappresenti il socialismo. Di qua forse occorre ripartire, perché se è vero ciò che scrive Rossana Rossanda e da tempo abbiamo accettato che venisse distrutto non “l’ideale di un rivoluzionamento, ma l’assai più modesto compromesso dei Trenta gloriosi”, non è meno vero che dopo Voltaire vennero Saint Just e Robespierre. Fu forse partenogenesi, ma si vide la storia voltare di pagina.