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Posts Tagged ‘scuola privata’

Quando l’Europa delle banche, livida e sguaiata, vorrà “rifarsi il look” per meglio raccontare frottole alla gente, la premiata ditta “Trichet-Constâncio & CC“. verrà a copiarci pari pari questo governo di spettri e sepolcri imbiancati. Noi siamo così: perfezionisti. E si sa, il made in Italy esporta fantasia. Intanto, finché la tecnocrazia che ispira il gioco del capitale non ci dà quel che è nostro, riconoscendo il merito, noi, più o meno sedicenti “cittadini“, consoliamoci sin d’ora col primato indiscusso che ci assegna la storia: in centocinquant’anni di vita, dal Regno alla Repubblica, tredici li abbiamo vissuti a sperimentar le strade dei tiranni col celebre trio Crispi, Rudinì e Pelloux, venti si sono persi nel tragicomico con Mussolini e sedici, se qui ci fermeremo, recano il segno del primo esperimento riuscito di democrazia autoritaria. Un terzo della nostra vicenda è follia autoritaria e miseria morale. Gli altri due terzi li abbiamo spesi per una inesausta fatica in una sorta di “fabbrica di San Pietro“, dove una minoranza di gente onesta si strema per riparare oggi, quello che ieri e domani cialtroni e delinquenti guastarono e guasteranno.
Siamo maestri esportatori di un umorismo rozzo ma insuperabile. In un Paese in cui tutto è precario per definizione, una legge di “stabilità” mette al sicuro i conti benestanti. La presenta un governo privo di maggioranza, l’approva il Parlamento d’una repubblica antifascista, fascisticamente formato solo da “nominati“. Gente che nessuno ha eletto. Precario tra i precari, l’avvocato Gelmini, diventato ministro per un mistero glorioso, s’è dichiarato soddisfatto: la scuola dello Stato non ha avuto un centesimo, ma quella papalina, apostolica e romana ha visto salire a 245 milioni il fondo per le scuole private. In tutt’altre faccende affaccendato, l’avvocato ha tenuto a comunicare a studenti e docenti la buona novella: “Sono prive di fondamento le notizie legate ad una uscita del ministro Carfagna dal Governo e dal Pdl. Mara Carfagna è un ottimo ministro e la sua lealtà nei confronti del presidente Berlusconi non può essere messa in discussione, come ha anche sottolineato in questi giorni il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini“‘. Diffusa la sua nota, s’è preparata al week end.
Tutto va come le hanno suggerito le veline: la scuola primaria è colpita a morte, la Conferenza dei rettori ha barattato potere e scampoli di finanziamento con un testo di riforma passato al Ministero, più o meno sottobanco, dal suo presidente, prof. Decleva, il ministro vive la sua giornata impolitica e, oplà, eccola impegnata nella “prova-fedeltà” a Berlusconi, che salta agilmente nel cerchio di fuoco e poi dichiara:
I continui attacchi che il ministro Carfagna ha subito sono ingiustificati e dannosi per tutto il governo. Basta con il fuoco amico. Questo e’ il momento in cui invece – avverte – è necessaria l’unità del partito attorno al presidente Berlusconi“.
Tutto come da copione. la Finanziaria vestita da legge di stabilità col voto favorevole di Bocchino e soci, il “quasi compagno” Fini che modifica sua sponte il calendario dei lavori per consentire così che, dopo la scuola, il colpo del killer centri anche l’università e si ricostituisca ancora una volta la vecchia maggioranza, sia pure divisa in tre spezzoni: leghisti, “libertari berlusconiani” e “futuristi“.
Il 14 dicembre, dopo l’attacco criminale all’istruzione pubblica, il voto di fiducia. Come finirà non è dato sapere, ma qualcosa forse ce la sta già dicendo: fiducia o sfiducia, il Paese non cambierà in questo Parlamento. C’è chi si consola: “è una linea di tendenza planetaria, c’è poco da fare“. E sarà vero, com’è vero che in ciò che accade ci sono una filosofia della storia e un modello di società. Una società che esalta l’individualismo e la preminenza del privato sul pubblico e pretende la più sfrenata libertà del mercato, per farne un grimaldello che destrutturi le basi fondanti della convivenza civile e consenta di ristrutturarle come comanda la globalizzazione.
A cosa punta tutto questo? Siamo certi che la conquista del “mercato-istruzione” sia un obiettivo economico? La subordinazione delle intelligenze vale molto più che la compravendita di merci. In gioco c’è altro. Si intende manomettere il concetto di “umanità“, disarticolare gli strumenti critici come fondamento del conflitto, trasformare la partecipazione in “militanza della tastiera“, in una “virtualizzazione” dell’opposizione che vanifichi la ribellione. Siamo ben oltre il mito borghese dell’uomo che “si fa da sé“: è l’asservimento consenziente a una servitù che passa per la robotificazione dell’uomo o, se si vuole, per la sua disumanizzazione. La sinistra, ferma alla percezione di una “privatizzazione selvaggia” o si “autonormalizza“, come fa il PD, scende in campo e diventa maestra della privatizzazione, o si esalta di fronte ai milioni di appelli per la salvezza della povera Sakiné. Ci portano dove vogliono. Salviamo, orgogliosi, le Sakiné che fanno comodo a chi comanda il gioco e ci lasciamo “suicidare“. In questo contesto, l’avvocato Gelmini è un “grande ministro“: non pensa, esegue ordini. Noi, noi che pensiamo di pensare, noi non ci accorgiamo che non si tratta dei centesimi della privatizzazione. In gioco è una “rivoluzione preventiva. Non si cerca un mercato. Qui si vuole l’uomo.

Uscito su “Fuoriregistro” il 20 novembre 2010

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La scuola pubblica affonda e, prima del “che fare?”, occorrerà per un momento chiedersi il perché. Prima dei “numeri” e della loro analisi, il contesto ideologico. E, per favore, nessun sorriso scettico. C’è, esiste. Al di là dello sbandierato rifiuto delle “ideologie“, è sotto i nostri occhi. La riduzione pregiudiziale a “ciarpame ideologico” dei valori di riferimento su cui trovò fondamento l’edificio repubblicano nella transizione dal fascismo alla Repubblica è il brodo di coltura da cui nasce la “democrazia autoritaria“: il rifiuto delle ideologie è, di per sé, un’ideologia e, a ben vedere, la peggiore di tutte, perché non criminalizza la degenerazione di principi ideali nella loro realizzazione concreta – questa sì, a rigor di logica, ideologica – ma pone sotto accusa direttamente i principi. Non è, quindi, come si tende a far credere, una manifestazione di sano pragmatismo. No. E’ altro e ben peggio: siamo di fronte a un tentativo – caratteristico d’ogni regime autoritario – di costruirsi un’identità che non deve necessariamente corrispondere alla natura profonda del movimento da cui nasce. Di fronte, per esser chiari, a una malcelata propensione all’autorappresentazione che consente a un regime di radicarsi.
La modernità della “formula“, che contempla la sopravvivenza formale degli Istituti democratici, svuotati tuttavia di contenuti concreti, non rende necessario l’apparato dei segni esteriori: sfilate, adunate, camicie nere o fasci littori non renderebbero un buon servizio e non sono previsti. L’egemonia culturale è ovviamente un obiettivo, ma il suo conseguimento segue altre vie e si serve di altri strumenti. Ed è su tale via che si può cogliere la spiegazione profonda dei fatti che accadono e delle scelte che li determinano.
Il berlusconiano “teatrino della politica“, per fare un esempio, quello sul quale l’uomo di Arcore si esibisce peraltro da tempo come un guitto da tre soldi, non colpisce, come vorrebbe far credere, una “maniera di far politica“, ma l’idea stessa, il concetto, la sostanza della politica. E’ un’immagine stilizzata, solo apparentemente estemporanea, di una concezione profondamente ideologica della vita sociale e della “partecipazione“: la politica è solo aggregazione di interessi, svincolata da legge morali, e a darle retta si perde solo tempo. La politica non serve, la politica è caccia al potere personale.
Io lo so – spiega il messaggio – noi lo sappiamo e ne facciamo a meno. Noi siamo “concreti“, liberali, disinteressati e non nascondiamo quello che gli altri nascondono, noi cerchiamo il potere, ma non per fini di arricchimento personale: siamo già ricchi ed affermati. Noi siamo fuori dal teatrino e non facciamo politica. Noi gestiamo un’azienda.
Su questa base – e in forza di uno slogan di successo – si è costruito uno schieramento politico che agli occhi degli osservatori esterni – soprattutto degli “spettatori” – ché la televisione è il perno del regime – è differente e migliore di tutti gli altri. Sulla base di questo principio, sono nate e si sono consolidate prima una “coscienza virtuale“, poi, senza che ci fosse bisogno di manganelli e olio di ricino, un’adesione “spontanea” al “partito nuovo“, ad un’associazione politica strutturalmente ideologica e militante, che aggrega interessi, ma appare disinteressata e investe il capo di un ruolo quasi “religioso“: qui rinnovatore, là perseguitato, spesso profetico. “Innocente” per definizione.
Se su questa base si ragiona di scuola, i conti tornano, il governo sembra aver ragione e i lamenti scandalizzati servono solo a rafforzarlo. E’ un fatto: i 132.000 docenti in meno che lavorano nella nostra scuola grazie alla Gelmini, passano indifferenti nella cosiddetta “società civile” distratta, se non complice, perché prima è passato sul velluto l’indottrinamento sul “fannullonismo” contro cui si son levati – come un sol uomo – intellettuali e politici d’ogni colore. Brunetta e la sua arroganza sono solo l’applicazione concreta di un principio cardine ricavato dalla propaganda nazista: una menzogna, sostenuta con la più ostinata e scientifica spudoratezza, diventa “verità” nella coscienza di un popolo. Perché vero è questo: quello in cui crediamo o ci fanno credere. Ed ecco spiegato il silenzio o il consenso su un dato davvero “mostruoso“: ben venga il licenziamento di massa. Questo sta accadendo ed è bene dirselo. Accade, perché non ricordiamo più ciò che un tempo ci era chiarissimo: il “fannullonismo” è il prodotto politico di un patto scellerato, del voto di scambio e di mille altri fenomeni che chiamano in causa anzitutto Brunetta. Ma questo non conta. Conta la verità virtuale.
Così, per la gente, non ha molta importanza che le classi siano più numerose, che gli insegnanti siano disprezzati, demotivati e pagati con quattro soldi. Importa che finalmente qualcuno “metta a posto prepotenti e sfaticati“. Conta il principio falso, ma accettato per anni da tutti come oro colato, che “privato è buono e pubblico cattivo“. Qui, per questa breccia, sono passati il sostegno alla scuola privata e lo smantellamento di quella pubblica; qui è nata la creazione d’un mondo di disoccupati; l’abbiamo avuto sotto il naso per anni questo processo e l’abbiamo approvato. Qui, profittando della comoda rinuncia a un’assunzione di responsabilità, è passato e passa il disastro del Paese: c’è voluta la teorizzazione della “precarietà” come scelta di vita e “strada felice” verso la globalizzazione: la sottomarca del “sogno americano” alla Veltroni. Americano made in Italy. Per strano che possa apparire, il berlusconismo non è il pensiero di Berlusconi o la maniera di far politica della destra, ma una strategia del capitale cui una sinistra senz’anima e senza storia ha guardato con favore fino a quando la forza delle cose, che non si lascia incantare dal circo mediatico, non l’ha cancellata dal “teatrino della politica“.
Da questa consapevolezza occorre partire per “rivoluzionare” l’opposizione politica e soprattutto sociale. E’ questa la rivoluzione che occorre tentare. Oggi. Subito. Domani sarebbe tardi. I regimi, anche la nuovissima “democrazia autoritaria“, rischiano tutti di finire nel sangue: non possiamo lasciare questa terribile eredità ai nostri figli.

Ucito su “Fuoriregistro” il 20 febbraio 2010

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