Dopo la Val di Susa, anche a Roma e a Napoli arresti e retate di militanti segnano un giro di vite di un governo che se ne va, pugnalato alla schiena da una nullità come Renzi, segretario del maggior partito di maggioranza, in una guerra per bande tutta interna ai partiti. La politica non c’entra e non c’entrano nulla i problemi della gente che soffre per gli errori, l’incapacità, la cialtroneria, la sete di potere e le politiche classiste di una banda di nominati priva di legittimità politica e morale. Una classe dirigente di gran lunga peggiore di quella fascista.
Non ho voglia di discorsi politici. Sono stanco. Passo lunghe ore in archivio, deciso a cercare le radici del presente nel nostro passato, per ricordare a quanti lottano e non si sono arresi chi siamo e da dove veniamo. Non sprecherò parole. Desidero solo mandare un messaggio di solidarietà e di incoraggiamento a chi è caduto in mano a un sistema repressivo nemico giurato della giustizia sociale. A loro dedico una foto che è da sola un programma, un impegno e una certezza. Fu scattata dalla polizia fascista a Pasquale di Vilio, un anarchico di Scisciano, nei pressi di Napoli, dopo un arresto eseguito con le logiche che hanno condotto in galera oggi gente che lotta per il lavoro e la casa. Le stesse leggi, identiche, e le stesse imputazioni: il codice era ed è quello del fascista Rocco e la volontà repressiva è immutata. Quest’uomo lottò come poté, si piegò, quando lottare poteva significare spezzarsi, non collaborò mai, non cambiò mai idea, non rinunziò a credere in quello che riteneva giusto. Per non farsi spezzare il futuro, cospirò, ma scelse la via della prudenza. Un rivoluzionario sa che non è giusto rischiare, senza avere fondati motivi per credere di poter restituire il colpo. Il 27 settembre del 1943, quando si giunse alla resa dei conti, Pasquale Di Vilio uscì allo scoperto, armi in pugno, e per fascisti e nazisti non ci fu scampo. Le Quattro Giornate le chiamano gli storici, ma in genere si racconta che si trattava di “scugnizzi”, perché il potere ha paura dei popoli che prendono in mano il loro destino e lottano. Quest’uomo è la prova che non furono gli “scugnizzi” a costringere i tedeschi alla resa. Ce n’erano tanti come lui. Lottarono per se stessi e per tutti noi. Dopo la sconfitta del regime, fu un apprezzato sindacalista. I compagni che ne conoscevano l’impegno lo chiamavano “Sbardellotto”, perché ricordava l’anarchico fucilato da Mussolini. E’ una lezione da non dimenticare: non c’è nessun regime capace di durare e non c’è popolo che si rassegni alla violenza del potere. Chi pensa di chiudere la partita con gli arresti, le manette e la galera, ha fatto male i suoi conti. E’ solo questione di tempo.
Questa è la storia e occorre farci i conti.
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Di Vilio Pasquale: anarchico e combattente delle Quattro Giornate
Posted in Storia, tagged arresti a Napoli, banda di nominati, codice Rocco, Mussolini, Pasquale Di Vilio, Quattro Giornate, Renzi nullità, Sbardellotto, Scisciano, Val di Susa on 13/02/2014| Leave a Comment »
La storia dell’avvocato Gelmini
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Albigesi, Arfè, Bruto, Canaris, Carr, Cassio, Cesare, civiltà giudaica, comunismo, Costantino, Croce, democrazia, Fuoriregistro, Galilei, Gelmini, Gramsci, Hitler, Insegnamento Storia, Luciano Canfora, Machiavelli, Mussolini, nazifascismo, Ranke, Riforma Superiori, Sbardellotto, Schirru, Shakespeare, Sillabo, socialismo, tirannicidio, Von Moltke, von Stuffeneberg on 06/04/2010| 1 Comment »
E’ singolare, ma non stupisce. La storia, nel nostro “liceo nuovo“, è una successione cronologica di eventi “correlati secondo il tempo“, in cui – occorre dirlo? – individuare le “radici del presente“. A che serve un astratto percorso botanico tra i semi invisibili del lontano passato e le incomprensibili piante che costituiscono il mondo d’oggi? A capire il presente o giustificarlo? Non è la stessa cosa. L’impressione è che non torniamo a Ranke e alla histoire événementielle. E’ peggio. Siamo di fronte a un corpo amputato, una cesura netta di cui la vittima designata è il pensiero critico. Lo studioso che s’arrovella sul problema drammatico del silenzio del “fatto” qui da noi da noi non ha più patria.
In senso “cronologico” le Idi di marzo del 44 a.C. consegnano alla storia un evento “concluso“: Cesare ucciso a pugnalate da Bruto e Cassio. Messi i fatti uno dietro l’altro, non è facile trovarci la radice del presente e ha ragioni da vendere lo studente: ti obietterà che a distanza di 20 e più secoli, la faccenda non gli interessa. Eppure, non c’è dubbio, il docente che, invece di scovare antiche radici, pone ai fatti domande attuali, ne ha risposte in sintonia con la sensibilità dei suoi studenti e trova facilmente ascolto. Cesare fu un dittatore, o intendeva rinnovare la repubblica? Bruto e Cassio dei volgari assassini o i tragici e nobili difensori della legalità repubblicana? Ci fu una ragione etica nel gesto dei congiurati o si trattò di criminali ambiziosi? E se Bruto fu solo un omicida, tali furono anche Schirru e Sbardellotto, condannati a morte per aver complottato contro Mussolini? Criminali furono anche von Stuffeneberg, Canaris, Von Moltke, e quanti con loro provarono a uccidere Hitler alla “Tana del lupo“? Le Idi di Marzo non sono il passato, ma una riflessione sulla natura del potere su cui si è recentemente fermato Canfora. Ne nasce un dibattito, si richiamano filosofie della vita e della storia, si discute di regole, cadono certezze; il reazionario si interroga, il democratico esita, tutti capiscono che il fatto li riguarda; in quanto al docente, si trova a parlare di etica politica, di Machiavelli, di Giovanni di Salisbury e di Shakespeare, ha davanti a sé, risvegliato, l’intero corso delle cose e, alla fine del percorso, lascia allo studente chiavi che non conducono al passato, ma offrono strumenti per leggere con la propria testa ciò che lo circonda e gli pare indecifrabile. Il fatto è che questo lavoro, proprio questo, tendono a impedire le cosiddette nuove indicazioni.
A sinistra, il meglio che s’è trovato per contrastare questo ennesimo colpo è la sacrosanta, ma miope protesta per la Resistenza taciuta. Com’era prevedibile, gli “scienziati” gelminiani l’hanno inserita prontamente nella “lista della spesa” e la tempesta si acquieta. Silenzio su tutta la linea. La pretesa superiorità della morale vaticana è un articolo di fede: paradossalmente, la storia non fa i conti con la storia e inganna se stessa, violando persino la conclamata “religione del fatto“. Tutto dimenticato, dalla pedestre contraffazione di Costantino, agli Albigesi sterminati, dall’Inquisizione a “Dio lo vuole“, da Bruno a Galilei, dal Sillabo ai complici silenzi sul nazifascismo. Nella “civiltà giudaica“, come in un acido dissolvente, svaniscono la cruciale vicenda del Medio Oriente e il dramma della Palestina; nel “terrorismo” precipita anche solo l’idea di una resistenza popolare alla tirannia, all’aggressione e all’illegalità del potere costituito. Mentre si accenna in maniera ambigua e strumentale al “confronto tra democrazia e comunismo“, sicché nessuno sa dove mettere Gramsci, si cancellano in un sol colpo l’idea di socialismo, i crimini del capitalismo e la natura degenerativa dei sistemi borghesi di fronte alle crisi economiche; nulla da dire se, per fermarsi all’Italia, una repubblica fondata sul lavoro, si tiene in piedi sulla disoccupazione, sul lavoro nero e sullo sfruttamento. Il confronto democrazia-capitalismo è top secret, si fa silenzio sull’etnocidio e, in quanto al razzismo, non è mai esistito. La Lega vuole mano libera per arrestare clandestini e chiuderli nei campi.
Il vecchio Carr direbbe che il fatto storico non esiste – sono gli storici a scegliere tra la muta miriade degli eventi – e il moderato Croce si limiterebbe a ricordare che, prima della storia, occorre conoscere la storia dello storico. La sinistra, inerte, non s’allarma. Ancora una volta, come ripeteva negli ultimi suoi anni Gaetano Arfè, finirà che c’è stata battaglia e nemmeno ce ne siamo accorti.
Uscito su “Fuoriregistro” il 6 aprile 2010
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