Da centocinquant’anni, ogni tanto la polizia ammazza di botte un prigioniero o spara sui manifestanti. Di qualcuno si conosce il nome, i più finiscono al cimitero e non se ne parla nemmeno. Il muratore Romeo Frezzi, fu massacrato nel 1897 perché non voleva denunciare i suoi compagni anarchici dopo un attentato fallito. Non poteva farlo nemmeno se avesse voluto – con l’attentato lui non c’entrava nulla – ma non se ne fregò nessuno: cranio fratturato, costole spezzate con distacco totale alla colonna vertebrale, lesioni al pericardio e alla milza. Mori, fu sepolto e tanti saluti a chi resta.
In soli tre anni, dal 1948 al 1952, in piazza la celere fece più di 60 morti. Un record ineguagliato nella “civilissima” Europa del capitalismo, ma che volete farci? In giro, si sa, c’erano troppi comunisti. Nel 1969 Pinelli volò da una finestra del quarto piano della Questura di Milano. Con una folla di poliziotti attorno, il suicidio non era il meglio come versione da passare a pennivendoli e velinari, ma alla fine il giudice D’Ambrosio s’inventò la formula magica – un “malore attivo” – e chiuse la pratica. Sono passati decenni ormai, sforzi se ne sono fatti, ma nessuno ha ancora capito che cosa sia davvero un “malore attivo”, questo malessere misterioso che prima ti fa spuntare le ali, poi ti fa volare per due metri e, infine, dispettoso, ti acchiappa e ti butta giù. Puoi citare a memoria un elenco che non finisce più, trovi sempre qualcuno pronto a tirar fuori la predica sulla violenza e la litania sui “servitori dello Stato”, ma di un processo serio non parla nessuno. Anni fa Ferdinando Cordova, storico di valore e amico mio da sempre, scrisse un bel saggio sulla violenza impunita della polizia; lo intitolò “Alle radici del malpaese”. Lui se n’è andato per sempre ormai, l’Italia è rimasta com’era: il malpaese. L’Italia non cambia.
Federico Aldrovandi è morto per strada, di notte, il 25 settembre 2005. Quattro “tutori dell’ordine”, così si chiamano da noi gli assassini in divisa, gli hanno schiacciato il torace sul selciato con le ginocchia e la mano è stata così leggera che due manganelli si sono spezzati. L’ambulanza l’ha trovato a terra, bocconi, le mani dietro la schiena strette nelle manette, privo di conoscenza. Non c’è stato tempo per nulla: qualche disperato tentativo di rianimarlo, poi il medico ha dovuto arrendersi: morto per arresto cardio-circolatorio e trauma cranico-facciale.
Per cinque ore nessuno ha ritenuto necessario avvisare la famiglia e quando, infine, i genitori sono stati messi di fronte al cadavere di quel figlio sventurato, qualcuno ha provato a mentire: decesso per malore. Non ci credeva nemmeno lui e si vedeva chiaro: era stato massacrato di botte. Un esperto, nominato dal Giudice Istruttore, ha spiegato la morte con una insufficienza miocardica causata dall’assunzione di droghe, ma i medici legali della famiglia e una terza perizia “neutra” non hanno lasciato spazio a dubbi: le droghe non c’entrano e a poco a poco sono venute fuori le inaudite violenze commesse dai poliziotti ai danni del giovane. Il pestaggio ha avuto tra l’altro una testimone oculare, che ha visto due agenti manganellare Federico e schiacciarlo a terra. Sul corpo, una forte escoriazione a una natica causata dal trascinamento sull’asfalto e un grave schiacciamento dei testicoli; nelle indagini irregolarità a non finire: il nastro con le comunicazioni fra gli agenti e il 113 tenuto a lungo nascosto, il Pubblico Ministero che non è mai andato sul luogo della tragedia, l’auto su cui, a dar retta agli agenti, il ragazzo si sarebbe ferito mai sequestrata.
Tre processi, tre condanne per “omicidio colposo”, ma la Cassazione non è andata oltre una pena di tre anni e mezzo di prigione, in buona parte annullati da un indulto. A conti fatti, la vita del ragazzo valeva, quindi, poco più di 6 mesi di carcere. Dei quattro colpevoli, tre uomini e una donna, Monica Segatto è uscita dopo un mese, grazie al Decreto Severino, e se n’è stata agli arresti domiciliari. A Paolo Forlani, Luca Pollastri ed Enzo Pontani è andata “male”: la misura dei domiciliari è stata respinta.
Ora che tutto è praticamente finito, un’interrogazione parlamentare rivela che gli assassini di Federico Aldrovandi stanno per tornare in servizio. Così ha deciso la Commissione disciplinare, col consenso di quella nobildonna della Cancellieri, che, perché no?, starà già pensando a una meritata decorazione. Finora, nonostante l più attenti ricerche, non si sono trovati né un poliziotto, né un magistrato che hanno dichiarato di vergognarsi …
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Omicidio Aldrovandi: manca solo la medaglia al valore
Posted in Interventi e riflessioni, tagged Cancellieri, D'Ambrosio, Enzo Pantani, Federico Aldovrandi, Ferdinando Cordova, Luca Pollastri, malore attivo, ministro Cancellieri, Monica Segato, Paolo Forlani, Romeo Frezzi on 23/01/2014| 1 Comment »