Soddisfatto?
Sì, pienamente soddisfatto. Di questi tempi nessuno riempie le piazze oltre una certa misura e noi ci siamo tenuti molto vicini al limite massimo. C’è un punto, poi, che vale la pena di sottolineare: un presidio non è una manifestazione e il dato che conta, quindi, non è quello numerico dei presenti, che andava comunque ben oltre le più rosee aspettative; conta e conforta un dato più squisitamente politico: all’appello di DemA hanno risposto numerosi e consapevoli, gli attivisti. Conta soprattutto – e per dir meglio conforta – il segnale forte venuto dalle numerose adesioni all’appello lanciato da DemA.
Quanta gente era rappresentata oggi in Piazza Plebiscito?
Tanta, davvero tanta gente. Voglio citare per tutte l’adesione della scuola che lotta. Oggi Marcella Raiola l’ha rappresentata in maniera superlativa. E la Scuola – ricordiamolo – è stata decisiva al momento del Referendum di dicembre. Oggi c’erano Sindacati, c’era la Scuola militante, c’erano Partiti, Associazioni e Comitati. Se domando a me stesso, perciò, quanto sono soddisfatto, mi dico che sono indubbiamente molto contento. Aggiungo, perché non mi piace di nascondermi dietro un dito, che sì, lo so, qualcuno mancava, ma aveva evidentemente torto. Un torto che si è toccato con mano dopo l’intervento di Gennaro Di Paola, uno degli ultimi partigiani combattenti delle Quattro Giornate. Mentre reggevo il megafono e lo ascoltavo, orgoglioso di essere lì con lui, ho capito che oggi in piazza c’erano le tre dimensioni della storia e della vita: il passato, senza del quale non esiste presente, il momento che viviamo e che ci impegna di fronte alle generazioni che verranno. Non mancava, quindi, il futuro. Quello che in politica si costruisce assieme agli altri. In questo senso – lo dico senza intenti polemici – chi non ci ha creduto, farà bene a riflettere.
Numerosi, d’accordo, e rappresentativi, ma alla fine dove pensate di andare? Diciamocelo chiaro: se la legge passa, avete perso tempo.
Questa conclusione mi pare sinceramente frettolosa e sarei più prudente. Che la legge passi nessuno può dirlo sin da ora con sufficiente certezza e il compito di tutti i cittadini decisi a difendere la democrazia è lottare perché non passi. Noi la democrazia non l’abbiamo trovata per strada, l’abbiamo ereditata dal sacrificio di uomini e donne come Gennaro Di Paola, sacrificio che per molti è giunto al limite estremo della vita. Il compito che abbiamo oggi è quello di lottare per difenderla, perché un sussulto di coscienza pentita induca qualcuno dei “nominati” accampati nel Senato a farla cadere. Non staremo però con le mani in mano ad aspettare. Un movimento che ha come sua ragione fondante la Costituzione, non può accettare che sia calpestata senza reagire.
Che significa questo in concreto?
Significa che il fuoco che si accese nel Paese alla vigilia del Referendum del 4 dicembre scorso non si è spento, cova sotto la cenere e aspetta solo un vento forte che lo ravvivi. Bene. Noi saremo quel vento e cercheremo di riaccendere l’incendio. Poi si vedrà. Chi è caduto sul Referendum, quando riteneva di essere fortissimo, non è imbattibile come pensa. Probabilmente è molto più debole di quanto creda. Imporranno l’ammucchiata? Ripeteranno l’imbroglio del Nazzareno? Tenteranno di portare al governo il razzismo di Salvini? Se ci proveranno ragioneremo sulla sfida e cercheremo una risposta politica.
Che intende per risposta politica?
E’ presto per dirlo, ma ci sono dati di fatto da cui partire. Esiste una bandiera, la Costituzione, e c’è un programma che nessuno deve scrivere, è già scritto nella Costituzione stessa e nella coscienza della stragrande maggioranza delle popolazione. Aggiungo, ma è una mia posizione personale, che, qualora la battaglia diventasse quella che si combatte sull’ultima spiaggia, una battaglia “pro aris et focis”, noi abbiamo anche un leader.
Vuole essere più chiaro?
Non ho la sfera di cristallo e non prevedo il futuro. Dico solo che di fronte all’estrema arroganza, di fronte a questa autentica violenza golpista, quella bandiera non aspetta altro se non una mano che la sollevi. Mi dica lei – e mi perdoni se stavolta la domanda la faccio io – cosa potrebbe accadere se il popolo del Referendum intuisse la possibilità di un voto contro l’ammucchiata Renzi Berlusconi, un voto alternativo su pochi punti nodali: via la “Buona scuola”, ritorno all’articolo 18, abolizione del pareggio di bilancio e del fiscal compact inseriti a tradimento nella Costituzione, niente patto di stabilità e una politica estera ispirata a un solo principio: nessun rifiuto di sottostare alle “regole” di Bruxelles a condizione che esse non siano in contrasto con la Costituzione delle Repubblica italiana.
E la Merkell accetterebbe?
Non avrebbe scelta, perché la Costituzione tedesca su questo punto è tassativa: nessuna regola europea si può imporre ai tedeschi contro la loro Costituzione. E allora è evidente: nemmeno la Merkell può chiedere all’Italia ciò che la Merkell stessa non oserebbe mai chiedere alla Germania.
Prossime tappe?
Le ho disegnato un percorso. Lo seguiremo. Lei segua noi.