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Posts Tagged ‘Pasquale Di Vilio’

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Amedeo Coraggio

Cerasuolo Maddalena

Grossi Carmine Cesare

Olandese Maria

Margiotta Ugo

PIcardi Ciro

Di Nuzzo Felice

Era stato deciso a Parigi nel 1889 e un anno dopo cominciò: manifesti incollati di notte sui muri, riunioni più o meno segrete per evitare l’arresto e la decisione di astenersi dal lavoro.
La risposta dei padroni non si fece attendere: manifesti strappati dai muri, circolari segrete e piantine delle città per indicare ai comandanti delle truppe i luoghi da presidiare e poi cariche e arresti:

“Le SS.LL. sapranno già come da vari gruppi di affiliati ai partiti sovversivi si studi con ogni sorta di maneggio di animare l’agitazione pel 1° maggio che, secondo i disegni dei più arrischiati, dovrà, come essi dicono, segnare una data memoranda nella storia di queste agitazioni.
Al gruppo di questi ultimi appartengono tra gli altri i noti anarchici Mariano Gennaro Pietraroia…”

Da quel giorno Abbiamo avuto di tutto – Crispi, Rudinì, Pelloux, le cannonate di Bava Beccaris, Mussolini, Scelba, ma il lavoro e i lavoratori sono il fondamento della nostra società e l’insostituibile pilastro della democrazia. Oggi, perciò, sia pure in maniera virtuale non voglio che la loro festa possa mancare, perciò, eccoli sfilare tra polizia e pandemia. E’, come vuole la polizia un corteo “pericoloso”:  sovversive e sovversivi schedati!
Dalla prima fila: Amedeo Coraggio, Domenico Aratari, Ugo Arcuno, Giovanni Bergamasco, Leopoldo Capabianca, Antonio Cecchi, Maddalena Cerasuolo, Ferdinando Colagrande, Guido Congedo, Domenico D’Ambra, Ugo Del Giudice, Nicola De Bartolomeo, Carmine Cesare Grossi, Ada Grossi, Aurelio Grossi, Renato Grossi, Libero Merlino, Lista Alfonso,  Maria Olandese, Mario Onorato, Luigi Pappalardo,  Gennaro Mariano Petraroja, Ugo Margiotta, Salvatore Mauriello, Enrico Motta, Ignazio Mottola, Tito Murolo, Luigi Felicò, Luigi Romano, Enrico Russo, Tommaso Schettino, Edurado Trevisonno, Umberto Vanguardia, Felice Di Nuzzo, Pasquale Di Vilio, Canio Canzi, Edoardo Pansini, Emilia Buonacosa.

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Di Vilio Pasquale Anarchico e combattente delle Quattro GiornateDopo la Val di Susa, anche a Roma e a Napoli arresti e retate di militanti segnano un giro di vite di un governo che se ne va, pugnalato alla schiena da una nullità come Renzi, segretario del maggior partito di maggioranza, in una guerra per bande tutta interna ai partiti. La politica non c’entra e non c’entrano nulla i problemi della gente che soffre per gli errori, l’incapacità, la cialtroneria, la sete di potere e le politiche classiste di una banda di nominati priva di legittimità politica e morale. Una classe dirigente di gran lunga peggiore di quella fascista.
Non ho voglia di discorsi politici. Sono stanco. Passo lunghe ore in archivio, deciso a cercare le radici del presente nel nostro passato, per ricordare a quanti lottano e non si sono arresi chi siamo e da dove veniamo. Non sprecherò parole. Desidero solo mandare un messaggio di solidarietà e di incoraggiamento a chi è caduto in mano a un sistema repressivo nemico giurato della giustizia sociale. A loro dedico una foto che è da sola un programma, un impegno e una certezza. Fu scattata dalla polizia fascista a Pasquale di Vilio, un anarchico di Scisciano, nei pressi di Napoli, dopo un arresto eseguito con le logiche che hanno condotto in galera oggi gente che lotta per il lavoro e la casa. Le stesse leggi, identiche, e le stesse imputazioni: il codice era ed è quello del fascista Rocco e la volontà repressiva è immutata. Quest’uomo lottò come poté, si piegò, quando lottare poteva significare spezzarsi, non collaborò mai, non cambiò mai idea, non rinunziò a credere in quello che riteneva giusto. Per non farsi spezzare il futuro, cospirò, ma scelse la via della prudenza. Un rivoluzionario sa che non è giusto rischiare, senza avere fondati motivi per credere di poter restituire il colpo. Il 27 settembre del 1943, quando si giunse alla resa dei conti, Pasquale Di Vilio uscì allo scoperto, armi in pugno, e per fascisti e nazisti non ci fu scampo. Le Quattro Giornate le chiamano gli storici, ma in genere si racconta che si trattava di “scugnizzi”, perché il potere ha paura dei popoli che prendono in mano il loro destino e lottano. Quest’uomo è la prova che non furono gli “scugnizzi” a costringere i tedeschi alla resa. Ce n’erano tanti come lui. Lottarono per se stessi e per tutti noi. Dopo la sconfitta del regime, fu un apprezzato sindacalista. I compagni che ne conoscevano l’impegno lo chiamavano “Sbardellotto”, perché ricordava l’anarchico fucilato da Mussolini. E’ una lezione da non dimenticare: non c’è nessun regime capace di durare e non c’è popolo che si rassegni alla violenza del potere. Chi pensa di chiudere la partita con gli arresti, le manette e la galera, ha fatto male i suoi conti. E’ solo questione di tempo.
Questa è la storia e occorre farci i conti.

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