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Posts Tagged ‘Organi Collegiali’

Se, come pare accertato, anche dal peggio chi vuole ricava insegnamenti positivi, val la pena provare. La citazione testuale è indiscutibilmente lunga, ma anche incredibilmente «istruttiva». Con le parole che Copia di spergiuroseguono si apre il punto 2 dell’articolo 1 della riforma Giannini, la nauseante «buona scuola» di Renzi:
«Le istituzioni scolastiche – si legge – garantiscono la partecipazione alle decisioni degli organi collegiali e la loro organizzazione è orientata alla massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico […]. In tale ambito, l’istituzione scolastica effettua la programmazione triennale dell’offerta formativa».
Una vergogna linguistica, prima ancora che politica. Basta leggere, per sentire d’istinto il bisogno irresistibile di ribellarsi. Non so che si intenda per «istituzioni scolastiche», ma registro un dato: gli Organi Collegiali non decideranno più nulla in piena autonomia. E’ un fatto sconvolgente che nessun linguaggio criptato, nemmeno quello da loggia massonica in cui è scritta la legge riesce a nascondere. Chi «partecipa» è la parte di un tutto, che in questo caso è rappresentato da indefinite «istituzioni scolastiche». Chiunque abbia messo materialmente penna su carta per produrre questo rompicapo cumano, è riuscito a scrivere molto male, ma non ha potuto tenere segreto il vaticinio. Chiarissima, infatti, addirittura rivelatrice, è l’affermazione iniziale del secondo periodo, quello in cui il soggetto, inizialmente plurale, diventa misteriosamente singolare: un lapsus freudiano per «dirigente scolastico», o la pura difficoltà di esprimersi nella lingua di Dante? Quale che sia la risposta, il significato è lampante e non lascia spazio ai dubbi «l’Istituzione scolastica effettua la programmazione triennale dell’offerta formativa». L’Istituzione, quindi, quale che essa sia e chiunque si celi dietro le parole. Non il Collegio dei Docenti, però, che, per conseguenza logica, non ha più alcun potere deliberante in tema di funzionamento didattico e programmazione dell’azione educativa, nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente.
Certo, il governo dirà che non è vero, nicchierà e negherà, contando sulla voluta ambiguità dal testo. E si capisce. Per privare esplicitamente qualcuno di un potere, quando si sa di toccare tasti delicatissimi di natura costituzionale, occorre quantomeno un minimo di coraggio. Qui, invece si è volutamente presa la via obliqua. Non si è negato nulla a nessuno: ci si è contentati di attribuire a un altro, «ope legis», i poteri del Collegio, senza nominarlo. Dietro il periodare contorto, sintatticamente ansimante, si legge chiara la paura di chi colpisce vigliaccamente a tradimento.
Non è vero che il ceffone del 5 maggio non ha lasciato il segno sul volto del governo. Ogni rigo di questa parte della legge ne rivela l’effetto; Renzi storce il linguaggio e gioca a nascondino nelle zone d’ombra linguistiche che denunciano la doppiezza. Perché? Perché teme di uscire con le ossa rotte dal voto imminente e sa che non basterà precettare, per fermare la protesta. E’ vero, il blocco degli scrutini finirà, ma in campo ci sono ormai un governo di senza di senza storia e settant’anni di lotte per la democratica dal basso. Malconcia, non sempre luminosa e talora ridotta al lumicino, mai però messa davvero in ginocchio. Renzi sa – e per questo ha paura – che non chiuderà la partita nemmeno se riuscirà a rifilare la sua pugnalata alla schiena del Paese. Sa, non può non saperlo, che alla ripresa la sfida sarà più aperta che mai. Il passo più lungo della gamba l’ha già fatto e il mondo che ha sfidato non gli consentirà di ritrovare l’equilibrio.
Il malgoverno riesce talvolta a passare tra le maglie di quella indifferenza che Gramsci giustamente odiava. Ci riesce soprattutto perché favorito dall’assuefazione: è da tempo immemorabile che ci governano male e siamo abituati. Stavolta però si tratta di altro. Come l’olio malaccortamente versato su una tovaglia immacolata si allarga e varca confini impensati, così la protervia di Renzi allarma il Paese, che sente il veleno della reazione e si leva a difesa. Nella mia giovinezza un libro lasciò il segno per tutti gli anni che sono venuti. L’aveva curato per Einaudi Ernesto Rossi e conteneva scritti preziosi di Aldo Garosci, Alberto Tarchiani, Umberto Calosso e Gaetano Salvemini. Iniziava con la storia di un foglio clandestino – il «Non Mollare» – proseguiva con «L’Italia Libera», De Rosa e l’attentato di Bruxelles, il «processo degli intellettuali», il sacrificio di De Bosis, Monte Pelato e l’assassinio di Rosselli. Si intitolava «No al fascismo» ed era un’ode alla libertà e una indimenticabile lezione di storia della lotta per quei diritti che oggi si tenta di cancellare. Di questo si tratta stavolta, non di scuola: diritti inviolabili che sono costati sangue. Stavolta è tradimento della Costituzione su cui si è giurato. Quel tradimento che legittima la resistenza e rende illegittimo il capo spergiuro.

Fuoriregistro, 27 maggio 2015, La Sinistra Quotidiana, 27 maggio 2015,

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hqdefaultIl caudillo vuole trattare. E si capisce: hai voglia di fare il gradasso, lo sciopero è stato un fiume in piena e i numeri in piazza fanno paura. Diciamolo chiaro: la riforma è un disastro. Presentando le sua “Buona Scuola”, Renzi parlò di opportunità per gli studenti, introdotti nel mondo del lavoro. Una menzogna pericolosa. La riforma produrrà solo sfruttamento: lavoro gratuito e nessuna garanzia di assunzione dopo il percorso formativo. I contratti di apprendistato terminano con il ciclo di studi e sono solo un regalo ai padroni: mano d’opera abbondante a costo zero e chi se frega dei disoccupati! In cambio, ragazzi derubati del tempo scuola, una preparazione peggiore e tanta rassegnazione, come da anni sogna Confindustria.
Sulle assunzioni ancora menzogne. “Assumerò 150.000 docenti!”, annunciò Renzi, ma a stento si arriva a 100.000. Il ricambio fisiologico tra generazioni, con qualche aggiunta imposta dalla mega multa europea al peggior sfruttatore di lavoratori dell’intera Europa: lo Stato italiano. Fuori comunque i 6.000 idonei dell’ultimo concorso e 30.000 docenti di scuola dell’infanzia. Qualcuno lavora da oltre 10 anni! In quanto agli “assunti”, Renzi mente di nuovo: niente lavoro stabile, solo contratti triennali col rinnovo in mano ai Dirigenti e licenziamento sicuro per chi difenderà la libertà d’insegnamento e la dignità personale. Non bastasse, il DDL prevede la mobilità anche per i docenti di ruolo, cui si minaccia la perdita della titolarità della cattedra: potranno insegnare “materie affini”, per le quali non sono abilitati. Gli Ata, infine. Assicurano l’igiene, badano alla sicurezza delle scuole, ma non avranno nemmeno un’assunzione. In compenso, Renzi introduce Il privato nella scuola pubblica e poiché nessuno ti dà soldi per nulla, il prezzo da pagare è chiaro: l’intromissione nella didattica e nella gestione finanziaria. E’ la fine degli Organi Collegiali e la nascita d’una scuola in cui chi più spende più ha. Così si uccide la democrazia.
Inutile parlare delle prove Invalsi: nei Paesi anglosassoni, chi le ha inventate è sotto accusa. La scuola si può e si deve valutare, ma prima occorre restituirle quanto le è stato rubato e metterla in condizione di funzionare. In ogni caso, fuori dai piedi Confindustria, ha già procurato troppi danni al Paese, per occuparsi di scuola.
Nota dolente: poteri ai Dirigenti, che sono accontentati: potere esclusivo e discrezionale sui soldi della scuola, che investiranno come gli pare. Come datori di lavoro, decideranno quali docenti assumere, quali mandare a casa e quali premiare e formeranno le classi come vorranno. Aspettiamoci ,quindi, abusi, discriminazioni, classi piene zeppe di studenti con bisogni educativi speciali e docenti costretti a inventarsi competenze che non hanno o a snaturare quelle acquisite. Aspettiamoci, perché è fatale, docenti di sostegno ridotti ad assistenti, impossibilitati a progettare e realizzare percorsi didattici in grado di affrontare situazioni troppo problematiche per poterle gestire.
C’è poi Il luogo comune: gli insegnanti lavorano poco. Pennivendoli e velinari insistono sul criminale slogan dei “fannulloni”, ma statistiche e studi scientifici provano che, in ambito europeo, i docenti italiani lavorano quanto gli altri (circa 40 ore settimanali) ma prendono lo stipendio peggiore. Chi governa la scuola ignora che non fai lezione frontale senza prepararla spendendo tempo, ignora che le verifiche costano tempo e fatica, che esistono – e sono lavoro – progettazione, riunioni, incontri con le famiglie. Per non parlare dell’accompagnamento nei viaggi d’istruzione. Tutto più o meno a titolo gratuito.
C’è infine uno “specifico” dell’insegnamento. La nostra classe dirigente, selezionata ormai con l’esclusivo criterio della fedeltà al capo, soffre di analfabetismo di valori e non ha strumenti culturali e spessore umano per coglierne il senso e il peso. C’è chi inforna pizze e chi insegna. Pari dignità, ma differenze profonde. I docenti investono sul futuro. Lavorano su una materia preziosa: i nostri ragazzi. E’ un lavoro appassionante e gratificante, ma anche estremamente logorante. La scuola è fortemente condizionata dall’ambiente in cui opera; la crisi economica, l’assenza di riferimenti, il pessimo esempio offerto dalle classi dirigenti, aggravano la fatica dei docenti. In un Paese malato di sessismo, razzismo, rigurgiti di fascismo, vittima di una violenza che parte soprattutto dall’alto e di una corruzione che ha reso marce le Istituzioni, la scuola è un baluardo di democrazia, un punto di riferimento etico fortissimo, ma lo è a costo di immensi sacrifici. Per quello che ricevono in cambio, in termini di retribuzione, di collocazione sociale e di considerazione per la loro funzione, i docenti fanno indiscutibilmente molto e sono di gran lunga migliori di quanti pretendono di valutarli. Essi costituiscono una delle più serie, equilibrate e dignitose risorse del Paese. Se un punto c’è a loro sfavore, beh, questo è costituito certamente dalla preparazione scadente dei dei nostri leader, che, tuttavia, non sono stati i docenti a scegliere come “capi”. La scarsa qualità della classe dirigente può essere anche parziale responsabilità dei docenti, ma non ci sono dubbi e i fatti lo dimostrano: per senso morale, spessore culturale, soprattutto per coscienza democratica, il novanta per cento dei nostri insegnati è nettamente superiore a tutti i membri di questo sciagurato governo.

Fuoriregistro e Agoravox, 6 maggio 2015

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