Posted in Interventi e riflessioni, tagged Adi Mazornon, ammazzabambini, Amnesty International, Baladna, Gaza, il Druze Initiative Committee, Israele, Naomi Levari., Natan Blanc, New Profile, Noam Chayut, Omar Saad, Palestina, Primo Levi, sionista, Uriel Fereira on 05/08/2014|
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L’articolo che ha mandato in bestia il sionista l’ho scritto il 3 agosto e tornerei a scriverlo mille volte. “Gaza: il trionfo della neolingua”, l’ho intitolato e non mi sono pentito. Il sionista inviperito l’aspettavo al varco e lo sapevo bene che sarebbe giunto.
«Tutto può dire, anche di voler mandare a mare tutti gli ebrei», m‘ha scritto, come se fosse lui a decidere quello che dico io, «anche che Papa Francesco non è sensibile alla sofferenza , anche che gli ebrei sono il male assoluto ; anche che lei si martirizza per quanto avviene nell’inferno della palestina e di israele. Ma se ha un minimo di dignità,vada a combattere , altrimenti non nomini più la parola pace senza sciacquarsi la bocca. Di gente di sinistra o di destra che si schiera da una delle due parti , senza capire nulla del dramma che due popoli stanno vivendo da svariati decenni , noi , palestinesi e israeliani che sognano di vivere in pace , non sappiamo cosa farcene. Andate e rilassatevi , che ci pensiamo noi a soffrire , senza pubblico».
L’ammazzabambini è così, pubblico non ne vuole e non fa meraviglia: anche ad Auschiwitz il pubblico non lo voleva nessuno. Che fai? Lo ignori? No. Due parole le merita, poi ognuno per sé.
«Le rispondo per le rime, Motti, poi la mando all’inferno come merita. Si lamenti quanto vuole della mia mancanza di democrazia, non cambio idea: i macellai di bambini e i loro accoliti mi fanno schifo. Qui si parla di un governo criminale e di vergognose complicità internazionali. Lei, che non ha argomenti, ciancia di dignità. Non si preoccupi della mia, ci bado da solo e combatto più di quanto lei creda. Raccolga se riesce i cocci della sua, poi si guardi allo specchio e si sputi in faccia. Di pace non ho parlato e non lo farei. La pace coi nazisti non si fa. E’ una vergogna che gente come lei si erga a rappresentante di una comunità sparsa per il mondo. Lei rappresenta a stento se stesso e quanto resta di una delle peggiori ideologie del XIX secolo: nazionalismo e colonialismo. Primo Levi, che certo conoscerà, e molti intellettuali ebraici non la pensano come lei e combattono l’ingiustizia e l’oppressione dell’uomo sull’uomo. Dopo Sabra e Chatila, Primo Levi, si disse indignato e pubblicamente auspicò le dimissioni di Ariel Sharon e Menachem Begin. Israele, che aveva sempre ignorato le dichiarazioni di Levi, non poté fare a meno di “scoprire” il celebre ma scomodo reduce dell’Olocausto e si scandalizzò. Quando, in una intervista, gli chiesero perché avesse firmato un manifesto che condannava il militarismo israeliano, Levi rispose con parole che ancora oggi sono una inappellabile condanna: «Ognuno è ebreo di qualcuno». Si riferiva ai polacchi, ai gitani, agli armeni, urlano oggi i sionisti. ma non è così. Stava parlando di Sabra e Chatila e lo stava facendo dopo aver firmato un appello per la Palestina. Gentiloni, autore dell’intervista, ne ricavò la conclusione lampante: «in questo momento i palestinesi sono gli ebrei di Israele». Riportava evidentemente il pensiero dell’intervistato che, non a caso, nonostante l’infuriare delle polemiche, non lo smentì. Basta. Né Levi, né io abbiamo voglia di discutere con lei. Non pubblicherò mai più i suoi commenti e quelli di gente come lei».
L’intenzione era quella di chiudere davvero. Il sionista non è nemmeno un combattente. Parla l’italiano dei tifosi e se ne sta in pantofole davanti alla televisione. E’ un ebreo italiano, forse, ma con lo Stato sionista condivide al più la religione. Fingendosi israeliano combattente, s’è messo a fare la vittima insolente:
«Venga», m’ha scritto in un battibaleno, inferocito, «venga qui da noi e si prenda in mano un uzi o un kalashnikov e saprà immediatamente cos’è la guerra; il terrore , la paura che le provoca tremori incontrollabili , la cacca che le cala dai pantaloni , il sudore che puzza come mai… Venga e poi capirà perché io israeliano ho un grandissimo rispetto per i combattenti palestinesi e provo grande schifo per gente come lei che appena sente il rumore dei nemici si trova la penna che trema e i pantaloni bagnati. La guerra… ma si vergogni… venga , venga e poi capirà ;vale più di mille libri… che lei conosce poco. Primo levi?Nemmeno lo nomini!».
Che fai ti butti a pietà, macellaio cacasotto? Dove vengo? Nel salotto di casa tua a guardare alla tele la guerra che ti eccita? Che vuoi, un articolo tutto per te? Ok. soldatino di latta. Il titolo ti sta a pennello: «L’ammazzabambini». Chissà che non impari qualcosa dagli israeliani migliori, uomini, non bambocci che se la fanno addosso e misurano gli altri da se stessi. Eccoti servito, poi togliti dai piedi e porta altrove i tuoi escrementi.
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Natan Blanc, ebreo israeliano, è stato uno dei primi obiettori di coscienza israeliano. Un comunista che è entrato e uscito dal carcere, finché non è stato esonerato dal servizio. L’anno scorso dichiarò ad Amnesty International, che Israele non intende «garantire ai palestinesi uguali diritti, o il diritto di voto». Io, aggiunse, «non voglio prendere parte a questa situazione… voglio stare dietro alle mie azioni e non voglio fare cose che vanno contro la mia coscienza». Aveva chiesto di arruolarsi nel servizio medico di emergenza (la Croce Rossa israeliana), ma le autorità negano agli obiettori di coscienza un servizio civile alternativo alla leva militare. In Israele non c’è.
Migliaia e migliaia di israeliani si oppongono al governo sionista, sono numerosi i giovani obiettori che si rifiutano di far la guerra ai bambini e sono maltrattati e imprigionati. Di questo non si parla, naturalmente, ma si tratta di un fenomeno sociale sempre più diffuso. Chi dice di no, ha certo più coraggio di chi parte. Uriel Fereira, scrive il «Fatto Quotidiano», è un giovane ebreo ortodosso; il 20 luglio è riuscito a diffondere questo messaggio: «Ciao, sono Uriel Ferera. Ho 19 anni e vengo da Be’er Sheva. Ho già trascorso 70 giorni in prigione, 4 volte consecutive, per essermi rifiutato di arruolarmi, per motivi di coscienza. Violazione dei diritti umani, uccisioni e umiliazioni del popolo palestinese nei territori occupati sono i motivi principali del mio rifiuto all’arruolamento. Per me, in quanto onesto credente, questo è assolutamente in contraddizione con la visione che Dio ci crea tutti a sua immagine e somiglianza, e noi non abbiamo il diritto di fare del male ad alcun essere umano. È ora in atto un’operazione militare a Gaza. L’esercito sta attaccando obiettivi dove uomini innocenti, donne e bambini vivono. Spero che questa operazione finisca, che l’occupazione finisca e che noi tutti possiamo vivere in pace su questa terra. Domani dovrò presentarmi alla base di insediamento militare e rifiuterò ancora una volta. Inizierò il mio quinto periodo consecutivo in prigione. Sono orgoglioso di me stesso di andare in prigione e di non prendere parte in crimini di guerra»
Quelli come Uriel sono tanti e nelle prigioni militari non c’è più spazio, perché come riferisce Uriel, molti giovani che stnno dicendo basta all’occupazione e all’oppressione del popolo palestinese. Il motivo del rifiuto è chiarissimo. «Mi rifiuto» – scrive Uriel – «di arruolarmi nell’esercito perché non voglio collaborare con crimini di guerra, spargimento di sangue e uccisioni di bambini». Gli obiettori trovano illogico «parlare di pace quando stiamo bombardando civili a Gaza».
Gruppi minoritari come i Drusi, che costituiscono il 20 % della popolazione di Israele, palestinesi, arabi ma cittadini israeliani, costretti a svolgere il servizio militare dall’ormai lontano 1956, si rifiutano in numero crescente di indossare la divisa dell’esercito israeliano per combattere contro il loro stesso popolo. Lo Stato d’Israele è costretto a fare i conti con un’iniziativa organizzata nel tessuto sociale del Paese, che non solo rifiuta l’arruolamento obbligatorio ma chiede il riconoscimento dei diritti della società araba-palestinese.
Il giovane violinista Omar Saad, palestinese druso, ha subito lunghi arresti: la prima volta finì dentro perché, assieme ai fratelli, diede vita a una protesta musicale davanti a una prigione militare israeliana in Galilea. Quando ha deciso di rifiutare l’arruolamento, ha scritto una lettera aperta tradotta anche in italiano: «Signor Ministro della Difesa di Israele, sono Omar Zahredden Mohammad Saad, proveniente dal villaggio Maghar, Galilea. Ho ricevuto l’ordine di arruolarmi nell’esercito il 31 ottobre 2012 secondo gli accordi sulla leva obbligatoria per la congregazione Drusa, e di seguito la risposta alla sua richiesta:
Rifiuto di arruolarmi perché non accetto la legge che prevede l’arruolamento obbligatorio opposto alla mia congregazione Drusa. Lo rifiuto perché sono un pacifista, e odio ogni tipo di violenza, e credo che l’esercito sia il massimo della violenza fisica e psicologica, e da quando ho ricevuto l’ordine di iniziare con le procedure per l’arruolamento la mia vita è cambiata completamente. Sono diventato molto nervoso e i miei pensieri confusi. Mi sono ricordato di migliaia di immagini crude e non potevo immaginare me stesso ad indossare l’uniforme militare, partecipando alla soppressione del mio popolo palestinese, combattendo i miei fratelli arabi. Rifiuto l’arruolamento nell’esercito israeliano o in ogni altro esercito, per ragioni morali e nazionali.
Odio l’oppressione e disprezzo l’occupazione. Odio pregiudizi e restrizioni alla libertà. Odio chi arresta bambini, vecchi e donne. Sono un musicista e suono la viola. Ho suonato in numerosi posti e ho molti amici musicisti da Ramallah, Gerico, Gerusalemme, Hebron, Nablus, Jenin, Shafaamr, Elaboun, Roma, Atene, Beirut, Damasco, Oslo ed altro ancora. E tutti noi suoniamo per la libertà, umanità e pace. La nostra arma è la musica e non ne avremo di alcun altro tipo.
Faccio parte di un gruppo oppresso da una legge ingiusta, quindi, come possiamo combattere contro i nostri parenti in Palestina, Siria, Giordania e Libano? Come posso lavorare come soldato al check point di Qalandia, o in qualsiasi altro check point di occupazione quando io stesso ho provato l’esperienza di oppressione in questi check point? Come posso impedire alle persone di Ramallah di visitare Gerusalemme? Come posso fare la guardia al muro dell’apartheid?
Come posso fare da carceriere per il mio popolo, mentre so che la maggior parte dei prigionieri sono detenuti in cerca di diritti e libertà?
Suono per divertimento, libertà, e solo per la pace che si basa su fermare gli insediamenti e il ritiro dell’occupazione israeliana dalla Palestina. Per l’istituzione di una Palestina indipendente con Gerusalemme come capitale, per il rilascio di tutti i prigionieri e per il ritorno in patria di tutti i rifugiati espulsi.
Molti dei nostri giovani hanno servito sotto la leva obbligatoria e cosa hanno ricevuto alla fine? La discriminazione in tutti i campi. I nostri villaggi sono i più poveri della regione, le nostre terre sono state confiscate, non abbiamo mappe strutturate, non abbiamo zone industriali. Il numero di laureati nella nostra regione è il più basso e soffriamo molto il mancato sviluppo. Questa legge sulla leva obbligatoria ci ha isolati dal mondo arabo. Per quest’anno ho intenzione di continuare i miei studi superiori e mi auguro di continuare pure gli studi accademici. Sono sicuro che lei proverà a mettere ostacoli a fronte delle mie ambizioni di uomo, ma io lo dirò a voce alta: ‘Sono Omar Zahreddeen Saad. Non sarò una vittima della vostra guerra e non sarò un soldato del vostro esercito.’ Firmato: Omar Saad»
Il governo non gli ha risposto e l’esercito pretende di arruolarlo. E’ finito in prigione sei volte e agli avvocati – anche quelli del New Profile, che chiedono la demilitarizzazione della società israeliana – non è più consentito di visitarlo. Stessa sorte tocca a molti altri obiettori di coscienza, nelle prigioni militari. La detenzione è durissima, Omar è finito in ospedale per una acuta infezione e il padre sostiene che la malattia è una conseguenza diretta delle condizioni in cui è stato tenuto nel carcere.
Il gruppo anti-militarista New Profile, Amnesty International, Baladna, il Druze Initiative Committee e altre associazioni per i diritti umani, fanno appello al governo di Israele perché la smetta di arrestare gli obiettori di coscienza. Poco prima dell’ultima aggressione, gli attivisti israeliani del gruppo “Breaking the Silence” hanno tenuto nel centro di Tel Aviv una lunga iniziativa; hanno parlato ex soldati israeliani e ad altri attualmente in servizio, ad hanno accusato l’esercito, conquistando molti consensi tra chi passava e si fermava ad ascoltarli. Ecco alcune delle testimonianze più significative.
Adi Mazornon non ha esitato a raccontare in pubblico particolari atroci: «Il mio comandante» – ha riferito- «preso il telefono, ha detto: ‘Noi vediamo là alcuni bambini che lanciano pietre sul muro’. Non c’era alcun bambino. Niente. Aveva mentito. Noi abbiamo detto ‘d’accordo’ e il mio collega ed io siamo saliti sul carro. Abbiamo sbloccato una granata stordente e l’abbiamo gettata sopra il muro. C’è stato un grande scoppio. Mi sono accorta di un Palestinese che lavorava nel suo campo. Era atterrito. Ricordo di essere stata molto fiera del mio gesto. Poi la sensazione di eroismo è presto diventata una sensazione di vergogna. Avevo vergogna di me stessa. Era come se il territorio palestinese fosse un nostro terreno di gioco dove potessimo fare quel che volevamo in qualsiasi momento».
Gil Hellel, nel suo intervento, ha raccontato: «eravamo un’unità mista sul terreno per gestire i disordini provocati dagli Ebrei. La popolazione nella colonia ebraica di Avraham Avinu è nota per essere difficile da gestire e origine di molti problemi. Tutta la città di Hebron è il focolare dei coloni più estremisti, giunti lì per una missione, per così dire: la riconquista della Terra d’Israele. Loro molestano continuamente ogni giorno i Palestinesi che vivono laggiù. In mezzo a tutto ciò, ricordo di aver pensato dentro di me: Ma per l’amor di Dio, cosa sto facendo io qui? Chi sono davvero in procinto di difendere?».
Noam Chayut, a sua volta ha raccontato: «C’era grande folla che tentava di attraversare il checkpoint per spostarsi da Gerusalemme a Ramallah, cioè per uscire da quello che noi definiamo il legittimo Israele. Noi li perquisiamo allo stesso modo nei due lati del passaggio. Una volta c’era tra la folla un’adolescente o una giovane donna occidentale, o europea. L’ho guardata e in qualche modo le ho fatto segno di fare il giro invece di aspettare con gli altri. Lei è arretrata di un passo e ha cominciato ad urlare in inglese. ‘Perché? Che differenza c’è fra me e questa donna con i suoi marmocchi che piangono in coda?’ Evidentemente, non ho potuto rispondere, perché non c’era risposta» (Andrea Di Cenzo – MEE, Traduzione di Maria Chiara Tropea – Donne in nero).
Recentemente, una ragazza, una civile israeliana, Naomi Levari. regista e produttrice teatrale e cinematografica, si è così rivolta ai Palestinesi:
«Cara gente di Gaza, qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite. Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola. E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti. L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta -chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo. State al sicuro».
Levi l’aveva detto: «Ognuno è ebreo di qualcuno» e oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele.
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