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Posts Tagged ‘Mimmo Mignano’

2-Misericordia CorporalePer Gesù Cristo – e quindi per i cattolici, che in tutte le chiese ne hanno festeggiato la Resurrezione,  le sette opere di Misericordia vanno compiute perché il Regno dei cieli provi misericordia per i peccatori.
Le prime di tali opere,  al di là della fede professata, costituiscono imperativi etici per tutta l’umanità: dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati. Se si lascia morire qualcuno di fame e di sete, è inutile vestirlo, alloggiarlo e visitarlo. Si può dargli soltanto sepoltura, come richiede la settima e ultima delle opere di Misericordia, che però sa di beffa feroce e non conquista il perdono, se la compie chi è la causa materiale e morale del decesso che conduce alla sepoltura. Seppellire chi si è lasciato morire di fame e di sete non apre le porte del Regno di Cristo e anzi le chiude per sempre: la mancanza di solidarietà non può meritare la misericordia celeste.

A Mimmo e a Marco Cusano, che a Napoli lottano per la dignità in cima al campanile della Chiesa del Carmine, Cardinali, Vescovi, sacerdoti e credenti non hanno dato finora né acqua, né pane. In quanto a Cesare, al quale Cristo riconosce il diritto di avere ciò che gli spetta, ma ha il dovere  di dare ciò che deve, egli ha oggi purtroppo un ministro maledetto, figlio dell’odio e del male, così nemico di Dio, dei figli di Dio e di Cesare stesso, da proibire che acqua e cibo giungano a Mimmo e a Marco.
Nell’indifferenza di chi finge di festeggiarlo, Gesù Cristo oggi  muore di nuovo. Stavolta senza speranza di resurrezione.

Agoravox, 23 aprile 2019

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Ieri avevo scritto queste poche parole per Mimmo Lucano:

Caro Mimmo,
quando la legalità cancella la giustizia, le persone oneste, coraggiose e coerenti finiscono fatalmente agli arresti e c’è un solo nome adatto agli imputati che commettono i reati che tu hai commesso: perseguitato politico.
Le ragioni per cui cui sei stato colpito tu, sono le stesse per cui furono arrestati e condannati uomini come Antonio Gramsci. Tu oggi ti aggiungi alla nobile schiera degli antifascisti. Sei anche tu un perseguitato politico e finora purtroppo – per quanto è dato sapere – ti fanno compagnia Lavinia Cassaro, l’insegnante di Torino brutalmente licenziata e Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore, cinque operai della Fiat di Pomigliano, licenziati anch’essi perché non hanno voluto barattare la dignità con il principio fascista dela fedeltà all’azienda.
Come per loro, anche per te, finora ho sentito tante, troppe parole di solidarietà, ma nessuno ha tradotto in un gesto concreto questa parola bellissima, per la quale tu stai soffrendo e di cui sei un maestro. Ho aspettato invano un tuo collega che non ti stesse vicino a parole, ma riprendesse nella sua città il lavoro che tu sei stato costretto a interrompere a Riace. Nessuno l’ha fatto.
Credo di non sbagliare se immagino che nelle mille difficoltà del momento che vivi, questa solitudine sia la più grande delle tue amarezze. Io non ho nessun modo per seguire il tuo esempio, se non questo: scrivere quello che penso. Mattarella non ha strumenti legali per intervenire? Può darsi, ma questa legalità che ha divorziato dalla giustizia gli imponeva di fare la sola scelta compatibile con il suo mandato: dimettersi. Non lo ricorderemo tra gli antifascisti.

Le avrei pubblicate qui sul mio Blog, da sole, quando mi è giunta, con la richiesta di dare massima diffusione, una lettera inviata da Massimo Napolitano a Paola Esposito e Antonio Di Maio, genitori del ministro Luigi Di Maio. La metto assieme al mio messaggio per il sindaco di Riace e mi domando fino a quando assisteremo indifferenti all’omicidio della democrazia che si commette ogni giorno davanti ai nostri occhi.

Mi chiamo Massimo Napolitano. Sono uno dei cinque licenziati FIAT di Pomigliano che dopo la sentenza della Cassazione ha definitivamente  chiuso con la FIAT.
Sono un operaio e sempre questo ho fatto, lavorare con le mani. Non so fare altro. Questa lettera è stata scritta con l’aiuto di compagni che hanno più confidenza con la penna di me. Sono pensieri miei,  condivisi con i compagni che sono stati licenziati insieme a me.
Perché siamo stati licenziati? Perché ci siamo permessi di criticare la politica aziendale dell’allora amministratore delegato, Sergio Marchionne. L’abbiamo fatto inscenando il suo finto suicidio. Perché si suicidava? Per il rimorso. Per il rimorso delle tragedie personali che la sua politica aziendale aveva determinato in molti di noi e tra le nostre famiglie e che aveva portato al suicidio di due nostri compagni: Peppe De Crescenzo e Maria Baratto. E al tentato suicidio di diversi altri.
I piani industriali di Marchionne hanno risanato i debiti della FIAT e hanno fatto guadagnare montagne di soldi agli azionisti, ma per gli operai sono stati una catastrofe. La metà di noi è stata a cassa integrazione per anni e l’altra metà ha lavorato con ritmi inumani.
Io ero stato trasferito a Nola nel 2008 insieme ad altri 315 operai. Eravamo tutti “limitati fisici”, per patologie maturate in anni di lavoro sulle linee di montaggio, o “sindacalizzati” che per il padrone è la malattia più grave che un operaio può avere. Il nostro era un reparto dove stavamo li a fare niente. Per chi mastica un po’ di cose di fabbrica sa che uno stabilimento che non produce niente è prossimo alla chiusura. E noi vivevamo questa drammatica attesa con i quattro soldi che ci venivano dati per la cassa integrazione, aspettando la chiusura. Qualcuno di noi non ha resistito, dopo un po’ sono iniziati i problemi in famiglia, la depressione, l’isolamento, fino alla scelta senza ritorno di farla finita. 
Il finto suicidio di Marchionne è avvenuto nello stesso giorno dei funerali di Maria Baratto. Eravamo esasperati e arrabbiati. Morivano nostri compagni e nessuno se ne fregava. L’unica cosa che valeva era il rilancio della FIAT, la conquista dell’America. Marchionne era il personaggio più osannato dai politici, dai giornalisti. Cosa contavano due operai morti e la sofferenza silenziosa di migliaia di altri? Niente.
Abbiamo scelto di denunciare quello che stava succedendo utilizzando un’arma pacifica. Non siamo stati violenti, non abbiamo organizzato picchetti e manifestazioni. Forse perché siamo napoletani, abbiamo utilizzato le vecchie armi di Pulcinella, accusare il responsabile dei nostri guai con lo scherzo. Quelli che ne sanno più di noi la chiamano satira.
Non lo sapevamo ancora, ma anche questo non ci era consentito. Mettere al centro di una rappresentazione il nostro capo, anche se fuori dallo stabilimento non ci era consentito. Ci hanno dato addosso la stampa, i giudici, la FIAT. Ci hanno accusato di aver intaccato la dignità dell’amministratore delegato. Abbiamo verificato praticamente che in una società dove si dice che siamo tutti cittadini, ci sono persone che sono più cittadini degli altri. Due compagni morti valevano meno della “dignità” di un padrone.
Siamo stati condannati alla miseria della disoccupazione. Quando abbiamo cercato di far conoscere la nostra situazione abbiamo preso altre mazzate. L’ultima è stata quella di essere stati allontanati da Roma per due anni con quello che chiamano un Daspo. Cosa avevamo fatto? Anche qui nessuna violenza, siamo saliti su un tetto di un palazzo pubblico di Roma per attirare l’attenzione. Tre parlamentari del partito 5 Stelle sono venuti a parlare con noi e a darci la loro solidarietà. Subito dopo siamo scesi e le guardie ci hanno fermati e portati per ore in questura. Dopo il Daspo.
Ho capito che c’è poco da fare per gente come me in Italia. Si, molti dicono che le cose stanno cambiando, ma io tutti questi cambiamenti non li vedo. Ho lottato nel mio piccolo contro quelli che oggi chiamano i “poteri forti” e sono stato stritolato. Oggi che i “poteri forti” sono sotto accusa, sono sempre io e quelli come me a prendere le bastonate.
Mi dispiace. Abbandonare i compagni è brutto. Abbandonare il mio paese mi riempie di malinconia. Ma io non posso più rimanere qui. I miei figli e mia moglie sono già partiti. Forse hanno capito prima di me che non era aria per gente come noi. Sabato parto anch’io. Me ne vado in Inghilterra dove i miei figli mi dicono che è ancora possibile vivere una vita dignitosa, con un lavoro. E senza dover sempre abbassare la testa.

Agoravox, 27 ottobre 2018

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6850271facIl movimento operaio ha una noblie storia di lotte per i diritti dei lavoratori e non ha mai ripiegato. E’ più vivo che mai. Nessuno oggi rappresenta quella storia con maggiore dignità e con tanto coraggio come i Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore. Cinque metalmeccanici licenziati per ragioni politiche dalla Fiat dell’ormai beato Marchionne. Questi uomini, dei quali mi onoro di essere amico e compagno, meritano un incondizionato e fortissimo sostegno. Faccio mia perciò la loro richiesta e rivolgo a chiunque legga un invito pressante alla solidarietà. 

“NON UN PASSO INDIETRO
Questo è il secondo mese senza stipendio
Questo è il codice iban della cassa di resistenza
IT57T 02008 32974 023309421592 intestato ad Antonio Barbati.
Noi non chiediamo 400 milioni….vi chiediamo di farci continuare a resistere anche versando 1 euro.
I 5 operai licenziati politici fiat”.

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Pomigliano 2Ricordiamocelo bene, perché non si scherza: Lavinia Flavia Cassaro, l’insegnante che contestò le forze dell’ordine schierate a protezione dei fascisti del terzo millennio, è stata licenziata. Come capitò a tutti i docenti che si azzardarono a contestare la polizia fascista e com’è capitato in questi giorni maledetti a Mimmo Mignano e ai suoi quattro compagni, licenziati perché hanno osato contestare Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat.
Ora lo sappiamo: come accadeva negli anni più bui della reazione padronale, un reato d’opinione ti condanna alla fame e niente è più efficace, quando si tratta di imbavagliare il dissenso. Prima di aprire bocca, perciò, teniamolo a mente: criticare i padroni o la polizia, costretta dalla politica a difendere i fascisti dei Casapound, vuol dire rovinare se stessi e la propria famiglia.
Prima di proseguire, però, spegniamo l’entusiasmo dei sostenitori dell’Alleanza per la difesa della “democrazia” minacciata dal Governo Conte. I fatti risalgono agli anni dei ministri del PD, il campione della vicenda Casapound è Minniti e Salvini non c’entra. Il PD, quindi, taccia e si tolga dai piedi.
Ciò che purtroppo colpisce di più in questa brutta faccenda non è l’intento apertamente repressivo. Sono anni che andiamo avanti così e non è vero che Salvini ha aggravato la situazione. Salvini, in realtà, ha molto da imparare da Minniti, che a sua volta potrebbe dare lezioni ad Arturo Bocchini e Guido Leto. Per quanto mi riguarda, ciò che veramente colpisce è la solitudine delle vittime, pari solo all’assordante silenzio della debolissima opposizione politica e sociale a questo governo né più, né meno reazionario degli ultimi governi della Repubblica. Un’opposizione che, tranne Potere al Popolo, è attenta a sfruttare tutte le occasioni possibili per parlare di migranti, ma osserva un religioso silenzio, quando di tratta di lavoro e diritti dei lavoratori. Ieri a Pomigliano i lavoratori che hanno manifestato per l’insegnante e gli operai licenziati- non a caso auto organizzati – inutilmente hanno aspettato gli intellettuali e i politici che ogni giorno parlano di pericolo fascista.
Quando capiremo che la democrazia non si difende con accordi elettorali e comunicati stampa contro i fascioleghisti, ma stando nelle piazze e a fianco delle vittime, nei luoghi materiali della sofferenza e dell’ingiustizia sociale, sarà troppo tardi. Chi aspetta, o finge di aspettare il manganello e l’olio di ricino, stia tranquillo comunque: la reazione governa da tempo e non ha certo bisogno di camicie nere.

Fuoriregistro, 24 giugno 2018; Agoravox 25 giugno 2108

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Mimmo MignanoNon ci sono più limiti allo sfruttamento e la violenza dei padroni è diventata ormai legge. Ecco la verità che nessuno racconta.

Tutto accade ogni giorno, nel silenzio complice della stampa e a chi chiede giustizia sociale risponde il manganello di una polizia geneticamente fascista. E’ questa l’unica risposta che sa dare la “grande democrazia italiana”.

Non è vero che non c’è lavoro: c’è una sterminata massa di sfruttati ridotti in semischiavitù. Il mondo del lavoro oggi è soprattutto una semina d’odio, un mare d’ingiustizia e un invito permanente a rivoltarsi.

Ecco com’è oggi il mondo che giornalisti come Miele e Mentana non ci raccontano mai. E’ il mondo di Mimmo Mignano.

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ASSEMBLEA PUBBLICA: DOPO LA VITTORIA DEL NO? COSTRUIAMO IL POTERE POPOLARE!
SABATO 10 DICEMBRE – ORE 17.30 – EX OPG Occupato – Je so’ pazzo

2016_12_10_potere_popolare3Dopo mesi di campagna pancia a terra, e dopo la schiacciante vittoria del NO, promuoviamo un momento di dibattito insieme a tutte le realtà, i comitati, i singoli, con cui in questi mesi abbiamo portato avanti la campagna popolare! Per analizzare insieme il risultato, e per trovare insieme le migliori modalità per proseguire la battaglia! Questa non è la vittoria di Grillo o di Salvini, è la vittoria di un popolo che chiede potere, redistribuzione della ricchezza, giustizia sociale. Cerchiamo di organizzare, a partire dai territori e dalle lotte, questa richiesta!

Interverranno: Giuseppe Aragno, Francesca Fornario, Mimmo Mignano, esponenti di associazioni e comitati…
Ci saranno: collegamenti da Bergamo, Mantova e altre parti d’Italia dove il ruolo della sinistra è stato determinante.

A SEGUIRE APERITIVO E FESTICCIOLA!

L’esito del referendum del 4 dicembre ha parlato chiarissimo: oltre 19 milioni di italiani, il 70% dei votanti complessivi, non ha semplicemente bocciato la riforma costituzionale, ma ha mandato un messaggio netto al governo Renzi.

Le classi popolari di questo paese hanno espresso la necessità di una trasformazione radicale delle loro condizioni materiali e delle loro prospettive di vita. Tra tutti un dato, spicca un dato: in nessuna regione del mezzogiorno italiano, di questo Sud bistrattato e utilizzato da sempre come bacino reazionario e volutamente arretrato dai padroni, la percentuale del NO è andata sotto il 60%. A Napoli, dove tra mille difficoltà e scarsissimi mezzi, dalla scorsa estate si è dato vita a un lavoro intenso e partecipato sui territori, il NO ha vinto con il 70% dei voti.

La vittoria del NO, che qualche commentatore da talk show potrebbe facilmente liquidare come semplice “voto di protesta” è tanto altro. È uno schiaffo alle misure d’austerità, alle controriforme renziane, allo smantellamento della sanità e dell’istruzione pubblica, alle guerre mai terminate, alla povertà dilagante, alla disoccupazione. Rappresenta, un’occasione ricompositiva importante per chi negli anni è rimasto ai margini e ha pagato le conseguenze di una crisi economica causata dalla grande impresa, da banche e finanza.
Così anche se Renzi si è dimesso, non ci basta. Non possiamo permettere che il protagonismo che spontaneamente si è attivato e si è articolato in comitati e assemblee popolari, che si è battuto nei luoghi di lavoro e della formazione, vada disperso o frustrato.

Non possiamo permettere che lo straordinario patrimonio di relazioni, capacità organizzative di autogestione e cooperazione sfumino nella “classica” depressione e nell’incertezza del post voto.
Non siamo disposti a regalare questa vittoria alle destre reazionarie o ai populismi beceri, pericolosi, che sbraitano contro i più deboli della società, che ci mettono l’uno contro l’altro, che predicano razzismo e tutelano gli interessi dei più ricchi, e che ci trascinerebbero in un abisso…

Saremo pazzi, ma siamo certi che sia questo il momento in cui la rabbia si debba trasformare in progetto, speranza, soluzioni concrete e percorribili che parlino di diritti per tutti, di redistribuzione della ricchezza, di giustizia sociale, di potere al popolo, di democrazia reale.

Per farlo non conosciamo altro modo che confrontarci e coordinarci, in una grande assemblea pubblica, con tutte e tutti quelli che hanno animato questa campagna popolare, le voci che hanno attraversato piazze e vicoli, a cui il furgoncino poderoso ha dato forza una tappa alla volta. Studenti, operai, artisti, disoccupati, comunità immigrate: l’alternativa riparte dai nostri bisogni, dal nostro desiderio di scrollarci di dosso un potere ingiusto e opprimente!

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downloadLe parole grondano storia e perciò sangue, dolore e ingiustizia sociale. Quando dici filisteo, per esempio, non pensi più semplicemente al figlio di un antico popolo indoeuropeo che viveva lungo la linea del mare nella terra di Canaan, là dov’è oggi più o meno la sventurata striscia di Gaza. Quella gente, che ormai non c’è più, vive ancora in una parola che la condanna a un’infamia per ciò che è stata nell’immaginario collettivo. Filisteo fu Golia, il guerriero gigante che aveva dalla sua le ragioni della forza e le metteva in campo con ferocia per schiacciare la forza della ragione e la rive indicazione dei diritti. Filisteo fu Golia, il gigante senza pietà, che sfidava gli oppressi:

  • – La libertà che volete è sulla punta della mia spada, diceva, e la ragione non c’entra. Se davvero desiderate di essere liberi, venite a provare la mia lama.

Una sfida infernale che pareva perduta in partenza. Golia aveva armi, forza, potere, leggi scritte e non scritte e gli era complice un mondo. Due metri di muscoli addestrati alla guerra e tutto intero un sistema di potere schierato a suo favore. Quante volte vinse? Quante volte morsero la polvere le ragioni del diritto e l’umanità coraggiosa e dolente degli sfidanti? La storia non lo dice, ma oggi, quando dici Golia, dici filisteo e vuoi dire “gretto, reazionario e vigliacco. Borghese, nel senso peggiore della parola.
Marchionne è il filisteo del secolo nuovo. Vecchio come la storia, tragico come il mito, eterno nella vergogna. Quello d’un tempo fini nella polvere con una sassata ben assestata. Lo uccise Davide con una fionda e lo condannò alla sconfitta.
Se Mimmo Mignano e i suoi compagni sono destinati a perdere o a trovare la fionda e il colpo per mettere in ginocchio l’ultimo filisteo, non dipende solo dal loro coraggio e dalla pietra aguzza che tireranno.  Quando Davide giunse al campo per sfidare il gigante ottuso e arrogante, ci trovò un esercito di fratelli armati che gli fece coraggio. Mignano ha bisogno di compagni che smettano di sentirsi piccini perché sono in ginocchio. Compagni che si alzino in piedi e facciano quadrato, mettendo mano alla loro storia e alle loro risorse. Mignano è di Napoli e la città sarà davvero «ribelle» solo quando metterà in campo per loro tutto quanto la nostra storia ci ha insegnato: la solidarietà, il mutuo soccorso e la disobbedienza. Da troppo tempo diciamo che le regole imposte con la forza di un potere illegittimo vanno disattese. Bene. Un sasso alla fionda allora lo possiamo mettere ancora: portiamo in piazza ogni giorno la protesta per la difesa della Costituzione e ignoriamo le leggi filistee: basta con i patti di stabilità, basta con i pareggi di bilancio, basta con i divieti di assunzione. E se dovessimo perdere il referendum, basta con tutto, anche con le tasse pagate a Roma. Nessun soldo, nessun sì, nessuna regola che non sia la nostra. Abbiamo ancora un sasso: tiriamolo forte e tiriamo diritto.

 

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matteo-renzi1-250x200Altri analizzeranno i numeri. Io vorrei tenermi su un livello diverso di riflessione, perché è vero, sì il «dato è netto, chiaro e inequivocabile», come scrive il «Fatto Quotidiano» e a Napoli il PD tracolla, ma la disfatta, è questo che mi interessa, non giunge «nonostante la presenza ossessiva di Matteo Renzi in città», come scrive il giornale di Travaglio. E’ proprio il contrario: la disfatta giunge soprattutto per le ripetute scorribande di Renzi, dei suoi ministri e di un alleato contro natura come Verdini. La disfatta nasce da un problema culturale, prima ancora che politico. Renzi è troppo ignorante e guitto per capire Napoli e Napoli è una città che respinge nauseata chi non la capisce.

Con Renzi è andata come spesso va con i professori che hanno la puzza sotto il naso nelle scuole di periferia: i ragazzi lo sentono a pelle, si coalizzano, mirano tutti allo stesso bersaglio e i professori diventano lo zimbello degli alunni. E’ giusto così e i docenti non hanno scelta: se ne devono andare. A Napoli puoi comprare per fame lazzari e disperati, ma quella è prostituzione e devi saperlo: l’amore non te lo danno. L’amore non si compra. Renzi non lo sa e nemmeno s’è sforzato di capirlo: Napoli non ama i fanfaroni pericolosi. E’ una città di mare con una storia antica. E’ smaliziata, furba, ma soprattutto intelligente. Se minacci si scansa, se circuisci diffida, se ti fai sprezzante si ribella e ti mette a posto. Qui, da noi, il Fürher diventò «’o furiere» e la sua armata prussiana, che si credeva invincibile ed era soprattutto barbara, s’illuse di averci in pugno. «’O furiere» ci affidò a un colonnello, proprio come Renzi ci ha mandato un commissario, e pensò di averci fregati. Era il 12 di un settembre lontano, il colonnello raccontò frottole alla Marchionne, grande amico di Renzi, promise lavoro in Germania, chiese disciplina, minacciò punizioni per i riottosi, proprio come s’è fatto con Mimmo Mignano e i suoi compagni operai, ma poco più di due settimane dopo, il 28 settembre, i tedeschi si trovarono circondati da un’intera città. Com’è accaduto a Renzi il 5 giungo, il colonnello commissario scoprì che Napoli è una fabbrica di dignità. Quattro giorni  di lotta, poi l’invincibile armata contrattò una resa senza onore con un popolo che aveva fatto di ogni vicolo una fortezza.

Renzi non ha studiato, è un «furiere» da operetta, un caporale travestito da generale che a Napoli non ha radici, né storia. Troppo pieno di sé per capirlo, non ha sentito il campanello d’allarme che sveglia l’Italia e non a caso lo batte un uomo colto, onesto, che s’è fatto le ossa combattendo i colletti bianchi e le mafie di Stato, un uomo che  sa di diritto, ama la libertà, difende la Costituzione e ha governato bene una città difficile senza un centesimo e con mille nemici esterni. Un politico eletto e non è poco in un Paese che Roma governa con «portoghesi» e «abusivi» senza mandato popolare. Un uomo che si è sempre sottoposto al vaglio degli elettori. Un napoletano di qualità, che vale mille volte più del pupo fiorentino.

Mi spiace per il giornale di Travaglio, ma non sono d’accordo. il PD perde soprattutto perché lo guida Renzi con l’arroganza, l’ignoranza e la violenza di Renzi. Poi, certo, c’è anche la forte responsabilità del partito. A luglio, davanti Santa Chiara, il PD è stato avvertito. Io c’ero e sono stato chiaro. Più chiaro di me quel giorno fu Luigi De Magistris: Renzi vi porterà alla rovina, ma non consentirò che distrugga Napoli. Mi ricordo la gente: fummo costretti a intervenire ripetutamente per consentire agli esponenti del PD di parlare. Non vollero ascoltare. E’ venuto il momento di farlo. E’ venuto il momento che siano loro, i giovani del PD soprattutto, a chiedere che il partito si metta in regola con la democrazia, a rompere sulla questione della Costituzione, che è decisiva per il futuro del Paese.
Ho un sogno: i giovani del PD che si rivoltano contro la nostra stampa e le chiedono di piantarla con la disinformazione. I giovani del PD consapevoli del fatto che, prima ancora di Renzi, più responsabile del bambolotto fiorentino è, se possibile, la «grande stampa» napoletana, che in cinque anni è riuscita in un’impresa quasi impossibile: scendere al di sotto del livello praticamente osceno di quella nazionale, che su 180 Paesi, è piazzata al 77° posto ed è fanalino di coda dell’UE, avanti solo a Cipro, Grecia e Bulgaria.  E’ una stampa grande soprattutto per spudoratezza, una stampa che s’è inventata una narrazione delirante, un incubo che l’ha intrappolata: il sindaco Masaniello, il sindaco ciarlatano, il sindaco della pista ciclabile, il sindaco, il sindaco, il sindaco… Mario Appelius si sarebbe vergognato.

Siano i giovani del PD i primi a dirlo: questa stampa non serve a nessuno, nemmeno al PD. Fa bene solo ai Caltagirone di turno.

Agoravox, Contropiano, Libera Cittadinanza, La Sinistra Quotidiana, 6 giugno 2106

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marchionne-suicidioMimmo Mignano, operaio Fiat, licenziato per un manichino appeso che, dopo tanti suicidi di operai, metteva in scena un finto suicidio di Marchionne, è esempio di coraggio, dignità e umanità. Mi “tagga” su facebook e di fronte alle sue parole mi vengono in mente le mie mille storie di antifascisti perseguitati. Domani, scrive,  alle

ore 13,00 ingresso 2 Fiat pomigliano ASSEMBLEA PUBBLICA
Il 5 aprile al tribunale di Nola i 5 licenziati politici della Fiat saranno nuovamente processati per aver denunciato i suicidi avvenuti in un reparto confine come quello di Nola . Un processo che vede imputati 5 operai per aver esercitato il diritto di critica, di satira, e di espressione, un diritto che la Fiat in vuole far passare tramite una sentenza, come legge. Assemblea con megafono aperto, un megafono che deve denunciare i soprusi, le ingiustizie, che oggi sta subendo la classe operaia, denunciare senza se e senza ma le espulsioni che i compagni Destadis e gli altri hanno subito dalla più infame giustizia interna sindacale, ma tutto questo non basta. La solidarietà da sola non basta
.

Per me purtroppo sta diventando molto difficile andare oltre la solidarietà e partecipare fisicamente, come vorrei e come ancora farò quando e finché poterò. Questione di età e soprattutto di malanni, che però passeranno. Tuttavia, non lo dico per dire: ci sarò veramente con la testa e con il cuore, perché questo processo, questa storia di prepotenze, questo gioco vigliacco che devasta la vita dei lavoratori e disprezza la loro immensa dignità, mi fa veramente schifo. E schifo mi fanno Marchionne e i padroni della Fiat. Fascisti, più fascisti del fascista Valletta.

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